Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9433 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9433 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
Oggetto: Mediazione – Causalità adeguata Giudizio di mancata contestazione –
Travisamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15414/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE NOME e NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati.
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2277/2021, emessa dalla Corte d’Appello di Roma, pubblicata il 29/3/2021 e notificata a mezzo PEC il 29/3/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio Poonsubkit COGNOME, COGNOME NOME e NOME NOME, al fine di ottenere il pagamento della provvigione maturata per la compravendita, tra essi intercorsa il 10/12/2007, di un immobile sito in Roma, INDIRIZZO assumendo che aveva ricevuto incarico da Poonsubkit COGNOME di vendere il bene al prezzo di € 1.080.000, con provvigione del l’ 1%, che, in esecuzione dell’incarico, aveva individuato quali potenziali acquirenti dapprima COGNOME NOME e COGNOME NOME, che erano stati anche accompagnati a visionare l’immobile e avevano comunicato, all’esito, l’intenzione di acquistare al prezzo di € 900.000,00 e poi di € 950.000,00, e poi RAGIONE_SOCIALE per il prezzo di € 980.000,00, che entrambe le proposte non erano state accettate dalla venditrice e che quest’ultima aveva, successivamente, revocato l’incarico di mediazione conferitole e successivamente venduto a COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME contestarono che la società di mediazione fosse intervenuta nell’affare tra essi concluso e dedussero che la compravendita si era perfezionata dopo la scadenza del mandato affidato alla società dalla venditrice e all’esito di trattative autonomamente intercorse tra loro.
Con sentenza n. 852/12 del 18/01/2012, il Tribunale di Roma rigettò le domande.
Il giudizio di gravame, instaurato da RAGIONE_SOCIALE, si concluse, nella resistenza degli appellati, con la sentenza n. 2277/2021, pubblicata il 29/03/2021, con la quale la Corte d’Appello di Roma accolse l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannò ciascuna delle parti appellate a corrispondere all’appellante la somma di € 8.500,00, oltre a interessi, e a
restituirle le somme ad essi corrisposte per le spese del giudizio di primo grado nella misura rispettivamente di € 3.027,00, quanto a NOME e NOME NOME in solido tra loro, e di € 1.470,00, quanto a NOME COGNOMENOME
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1755 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, disattendendo le prove orali e documentali, avevano ritenuto decisiva, ai fini della conclusione dell’affare, l’attività svolta dall’agenzia immobiliare sulla scorta dell’erroneo e indimostrato presupposto che la stessa si fosse procurata un’offerta d’acquisto di euro 900 mila, circostanza questa confutata dalla stessa attrice che nell’atto di citazione aveva affermato di avere indotto i Celluprica-Picco a desistere dall’effettuare una proposta per tale cifra (euro 950 mila e non euro 900 mila), in quanto non avrebbe incontrato il favore della venditrice. In tal modo, i giudici avevano disatteso il principio secondo cui il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto di causalità adeguata con l’attività intermediatrice, non avendo considerato che la società non aveva mai messo in rapporto tra loro le parti, non avendole mai fatte incontrare, né avendo comunicato loro l’una all’altra i nominativi dei propri dati anagrafici, né avendo trasmesso mai alcuna proposta d’acquisto.
Con il secondo motivo di ricorso, a completamento di quanto detto nel primo motivo, si lamenta testualmente ‘la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.’, perché i giudici
di merito, nell’affermare che l’offerta dei potenziali acquirenti, all’esito del sopralluogo nell’immobile organizzato dall’agenzia, si era fermata a euro 900 mila, ritenuta inaccettabile dalla venditrice, e nell’affermare che detta circostanza non era stata specificamente contestata, oltre ad essere congrua con l’incarico conferito, avevano formulato una motivazione incomprensibile (perplessa), sulla base della quale non era possibile comprendere da quali elementi probatori avessero dedotto che il mediatore si era procurato dai RAGIONE_SOCIALE un’offerta di acquisto di € 900.000,00, posto che in primo grado non era stata mai prodotta alcuna offerta scritta d’acquisto, né comunicazioni informali in tal senso, né la circostanza era stata acquisita mediante la prova orale, né era stata dedotta dalla stessa attrice.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e l’art. 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché, a completamento di quanto detto, i giudici di secondo grado, sostenendo che i convenuti non avessero dimostrato l’interruzione del nesso causale tra mediazione svolta e compimento dell’affare, non avevano considerato che spettava al mediatore fornire adeguata prova circa il suo apporto causale nella conclusione dell’affare, con conseguente illegittima inversione dell’onere della prova; che mancava la prova dell’offerta formale fatta dai coniugi compratori; che l’unica offerta pervenuta alla venditrice era stata quella della Raf immobiliare, non accettata in quanto risultava che questa fosse stata coinvolta nel fallimento di altre società; e che la circostanza relativa all’offerta di euro 900 mila asseritamente fatta dai coniugi era stata ampiamente contestata nei vari atti del giudizio.
I giudici, infine, nell’analizzare l’operato del suocero della venditrice, NOME COGNOME e la sua idoneità a escludere la riferibilità causale dell’affare al mediatore, si erano limitati ad affermare che non era mai stata sollevata la questione della
ripartizione della provvigione in relazione a ciascun apporto causale.
4. Il secondo motivo, da trattare per primo per motivi di priorità logica, è infondato.
La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830).
Scendendo più nel dettaglio sull’analisi del vizio di motivazione apparente, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che il vizio ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. da ultimo, Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767; vedi anche, tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U,
Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Alla luce di tali principi, deve escludersi che i giudici non abbiano argomentato sulla questione relativa al nesso di causalità adeguata, avendo ritenuto che la conclusione dell’affare fosse causalmente riconducibile all’attività svolta dall’appellante e che sussistessero perciò i presupposti per il riconoscimento, in capo a quest’ultima, del diritto alla provvigione, valorizzando il fatto che la società avesse fatto visitare l’immobile ai potenziali acquirenti, avesse ricevuto l’offerta di acquisto nella misura di euro 900.000,00 e avesse svolto detta attività su incarico della venditrice e che il contratto vendita fosse intercorso pochi mesi dopo tra le medesime parti al prezzo di euro 850 mila, così rendendo una motivazione nient’affatto apparente o incomprensibile.
5.1 Il primo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione relativa alla contestazione della ricezione, da parte della venditrice, di un’offerta d’acquisto da parte dei promissari acquirenti, all’assenza di qualunque contatto, procurato dalla società, tra promittente venditrice e promissari acquirenti e alla valenza interruttiva del nesso causale costituito dall’attività svolta dal suocero della venditrice, ora affrontati in termini di violazione o falsa applicazione delle norme sulla mediazione, ora di riparto dell’onere della prova e di valutazione delle prove, sono infondati.
5.2 In merito, occorre, in primo luogo, osservare come, ai sensi dell’art. 1754 cod. civ., si qualifichi mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare e come il diritto alla provvigione ex art. 1755 cod. civ. sorga tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale (c.d. causalità adeguata) con l’attività intermediatrice (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n.
403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231).
Per ‘conclusione dell’affare”, deve intendersi, in particolare, ciò che, nel linguaggio comune, è l’equivalente del contratto (Cass., Sez. 3, 12/4/2005, n. 7519) e, dunque, il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti, nel loro complesso, a realizzare un unico interesse economico, quand’anche con pluralità di soggetti, di modo che la condizione perché il predetto diritto sorga è l’identità dell’affare proposto con quello concluso, che non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione finale (Cass., 06/04/2022, n. 11127) – purché vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale e la conclusione dell’affare sia collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti originarie, tenute al pagamento della provvigione (Cass., 06/04/2022, n. 11127) -, né, per quanto qui interessa, quando non vi sia una coincidenza totale tra oggetto iniziale delle trattative ed oggetto conclusivo dell’affare (Cass., Sez. 3, 9/12/2014, n. 25851) per essere stati bene e prezzo modificati in esito alle trattative intavolate per effetto dell’opera del mediatore (Cass., Sez. 3, 9/12/2014, n. 25851).
Occorre, in sostanza, il compimento di un atto in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno (come in caso di contratto preliminare di compravendita di un immobile), purché sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti (Cass., Sez. 3, 19/10/2007, n. 22000; Cass., Sez. 3, 26/9/2005, n. 18779), derivando altrimenti dalla presenza di vizi tali da impedire
la definitiva attuazione dell’affare la perdita ex art. 1757, terzo comma, cod. civ., del diritto al compenso (Cass., Sez. 3, 10/05/2002, n. 6731).
Per ‘causalità adeguata’, che poi è il requisito che qui viene in rilievo, deve intendersi, invece, la situazione nella quale la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dall’intervento del mediatore (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403) e questa sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, sempre che il negozio realizzato possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario tale che, senza di essa, non sarebbe stato concluso (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231), senza necessità che il mediatore intervenga o partecipi attivamente anche alle successive trattative sino all’accordo definitivo, né che sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare (Cass., Sez. 2, 16/01/2018, n. 869; Cass., Sez. 3, 09/12/2014, n. 25851; Cass., Sez. 2, 25/10/2010, n. 21836; Cass., Sez. 3, 24/01/2007, n. 1507).
Come affermato più volte da questa Corte, l’affare non può dirsi, però, concluso per effetto dell’intervento del mediatore solo perché questo ha messo in relazione le parti, non essendo possibile attribuire il diritto alla provvigione sulla base di un nesso puramente condizionalistico o della condicio sine qua non (in questi termini Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403), ma è necessario che la ricostruzione in positivo dell’efficienza causale adeguata dell’opera del mediatore sia valutata in maniera tale da rinvenire nella conclusione dell’affare un effetto adeguato della condotta del mediatore (Cass., Sez. 2, 2/2/2023, n. 3165; Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403), come possibile ricavare dall’interdipendente
distinzione di ruolo e di portata normativa tra l’art. 1754 cod. civ. e l’art. 1755, primo comma, cod. civ., la quale, come chiarito da Cass., Sez. 2, 2/2/2023, n. 3165 cit., conduce ad affermare che mentre la prima disposizione si limita a definire la figura del mediatore come «colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza», la seconda attribuisce ad essa una portata normativa ulteriore di ordine negativo, rispetto al carattere esclusivamente definitorio che le è proprio, sostanzialmente negando che la semplice messa in relazione delle parti sia requisito idoneo, di per sé, a far reputare l’affare concluso per effetto dell’intervento del mediatore.
Peraltro, la valutazione operata dal giudice di merito in ordine all’esistenza del nesso di causalità adeguata è soggetta alla verifica di legittimità, posto che l’art. 1755, primo comma, cod. civ., descrive soltanto in negativo l’effetto adeguato e che la norma è destinata, in ragione della sua elasticità, ad essere progressivamente precisata dalla Corte di Cassazione nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica fino alla formazione del diritto vivente (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403).
5.3 Orbene, come sopra ricordato, i giudici di merito hanno fondato il proprio giudizio sulla sussistenza della c.d. causalità adeguata, valorizzando tre elementi: l’incarico conferito alla società dalla venditrice, la visita all’immobile procurata ai potenziali acquirenti dall’incaricata e la ricezione, da pare sua, dell’offerta di acquisto nella misura di euro 900.000,00.
Tralasciando per un attimo le prime due circostanze, occorre focalizzare l’attenzione sulla terza, che i ricorrenti negano costituisse fatto pacifico tra le parti, avendo essi sempre contestato la circostanza e avendo la stessa attrice confessato, nell’atto di citazione, di non essersi procurata alcuna proposta di acquisto in quanto aveva indotto i potenziali acquirenti dall’effettuarla, con
riduzione del prezzo, perché non avrebbe incontrato il favore della venditrice.
Orbene, l’aver dato per pacifica una circostanza che si pretende contestata costituisce un travisamento oggettivo della prova (in questi termini Cass., Sez. 2, 18/07/1966, n. 1947; Cass., Sez. 1, 14/01/1967, n. 143), che, come osservato da Cass., Sez. U, 5/3/2024, n. 5792, ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, allorché il giudice di merito abbia supposto un non-fatto, un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, così da consentire la sua denuncia in cassazione in quanto determini nel giudizio un errore di carattere omissivo, non tanto perché vi sia «omesso esame di un fatto», quanto perché si sia affermato appunto un «non-fatto».
Tale situazione, proseguono le Sezioni Unite con la citata pronuncia, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale.
La svista concernente il fatto probatorio in sé, venutasi a delineare con l’erronea affermazione circa la mancata contestazione sull’offerta, si risolverebbe, in sostanza, in un non -fatto, che lascerebbe in piedi quale unico elemento a sostegno della sussistenza del nesso di causalità adeguata le sole visite all’immobile procurate dall’agenzia ai coniugi COGNOME, come tali astrattamente inidonee a fondare il diritto al contesto,
risolvendosi, come chiarito da Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403, nell’individuazione di un nesso puramente condizionalistico o della condicio sine qua non , in sé insufficiente a suffragare quell’obbligo di ricostruire, in positivo, l’efficienza causale adeguata dell’opera del mediatore, fondante il suo diritto alla provvigione, cui è tenuto il giudice di merito.
E’ però vero che la fondatezza di tale doglianza è sconfessata proprio dalle deduzioni difensive proposte dai ricorrenti nell’atto di citazione del giudizio di primo grado, allorché avevano testualmente affermato che: « 5) frutto di tale attività fu la visione dell’immobile de quo, una prima volta in data 29 marzo 2007 alle ore 16.30 circa e una seconda volta in data 20 aprile alle ore 12.00 circa, da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME sotto la guida dei collaboratori della società attrice; 6) che, sin dalla prima visita, i coniugi COGNOME non esitavano a manifestare un fortissimo interesse all’acquisto, tant’è che nei giorni successivi concordavano di poter effettuare una seconda visita dell’immobile; 7) che, in entrambe le accennate occasioni ai coniugi COGNOME veniva rappresentato che sarebbe stato opportuno formulare una proposta per un importo non inferiore a euro un milione; 8) che, nei giorni successivi, i coniugi COGNOME contattavano telefonicamente l’ufficio dell’affiliato RAGIONE_SOCIALE, manifestando la disponibilità a formalizzare la proposta di acquisto di euro 950 mila », così dimostrando che non si erano limitati a vedere l’immobile, peraltro in più occasioni, ma avevano avviato, per il tramite dell’agenzia, una trattativa, sia pure subito interrotta.
E’ allora evidente come le circostanze in fatto da essi dedotte – e intercettate dai giudici di merito – siano state correttamente valutate come pacifiche, senza che possa ravvisarsi, all’uopo, la violazione o falsa applicazione di legge lamentata, né con riguardo ai presupposti per l’insorgenza del diritto alla mediazione, i quali sono stati, invece, adeguatamente sindacati in sentenza, anche con
riguardo alla pretesa interruzione del nesso causale derivante dall’attività svolta dal suocero della venditrice, ritenuta all’uopo inidonea, né con riguardo alla violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., la quale è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento (Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867; Cass., Sez. 5, 9/6/2021, n. 16016), né con riguardo alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., la quale si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055; Cass., Sez. U, 30/9/2020, n. 20867), non essendosi nessuna di tali situazioni verificate nella specie.
L’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa non rientra, infatti, nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., essendo esterna all’esatta interpretazione della norma e inerendo alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
Le censure – che dunque sollecitano una nuova lettura delle risultanze istruttorie, per addivenire ad un diverso apprezzamento della fattispecie concreta – devono pertanto ritenersi fuori del
perimetro delimitante il sindacato del giudice di legittimità (Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272; Cass., Sez. 3, 4/3/2022, n. 7187).
6.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1758 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di secondo grado, pur avendo appurato l’apporto causale di NOME COGNOME nella conclusione dell’affare, avevano applicato erroneamente la suindicata norma, non riconoscendo una riduzione della provvigione spettante al mediatore e giungendo in tal modo ad una motivazione incomprensibile e contradditoria.
6.2 Il quarto motivo è inammissibile.
Esso non attinge, infatti, la ratio decidendi risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, in contrasto col principio secondo cui le ragioni per invocare la cassazione della decisione impugnata devono avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), non avendo i giudici di merito nient’affatto ritenuto sussistente l’apporto causale del suocero della venditrice, ma essendosi limitati a dire che l’attività da questi svolta successivamente alla cessazione dell’incarico non fosse idonea a interrompere il nesso di causalità adeguata riconducibile alla società, mentre la considerazione riguardante la mancata richiesta di ripartizione della provvigione a ciascun apporto causale al compimento dell’af fare costituisce un mero obiter nella valutazione complessiva compiuta dalla Corte d’Appello.
6.1 Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1372 cod. civ. e dell’art. 5 della lettera di conferimento dell’incarico, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano fatto corretta applicazione del principio in base al quale il diritto alla provvigione, nel caso di mediazione atipica, in cui il mediatore assume le vesti del mandatario, maturava solo nei confronti del mandante, come
peraltro sancito dall’art. 5 del contratto di mandato. Inoltre, neppure la mandante avrebbe dovuto corrispondere la provvigione, posto che l’art. 12 del mandato prevedeva che detto diritto sarebbe insorto soltanto in caso di vendita eseguita durante il mandato; di intervenuta revoca anticipata del mandato (la mandante si era limitata a inviare la disdetta ai sensi dell’art. 3); di mancato perfezionamento della vendita per errate indicazioni fornite; di rifiuto del mandante di sottoscrivere la proposta d’acquisto conforme all’incarico; di impedimento, da parte del mandante, delle visite all’immobile.
6.2 Il sesto motivo è infondato.
Come già affermato da questa Corte, è configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l’attività di mediazione prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d’affari dell’altro contraente. Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciatore d’affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale “normale” assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell’altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest’ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell’attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l’incarico (Cass., Sez. 3, 22/6/2007, n. 14582; Cass., Sez. 2, 25/6/2020, n. 12651).
Alla stregua di tale principio deve allora ritenersi corretta la decisione dei giudici di merito, che hanno posto a carico di
entrambe le parti contraenti l’obbligo di corrispondere la provvigione alla società.
7. Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione dell’art. 3, comma 2 e 5, legge 3 febbraio 1989, n. 39, e del regolamento di attuazione approvato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito non avevano tenuto conto del fatto che l’unico soggetto con il quale i coniugi COGNOME avevano avuto contatti, NOME COGNOME che aveva fatto loro visitare l’immobile, non era iscritto all’albo dei mediatori.
8. Il sesto motivo è infondato.
Occorre innanzitutto evidenziare come la legge n. 39 del 1989 stabilisse, all’art. 2, comma 1, l’istituzione di un ruolo degli agenti di affari in mediazione presso ciascuna camera di commercio, nel quale chiunque intendesse svolgere l’attività di mediazione era tenuto ad iscriversi (Cass., Sez. 3, 22/12/2011, n. 28283; Cass., Sez. 2, 15/3/2006, n. 5777; Cass., Sez. 2, 22/7/2004, n. 13767; Cass., Sez. 3, 24/10/2003, n. 16009; Cass., Sez. 3, 8/5/2001, n. 6389), disponendo all’art. 3, comma 5, che vi fossero iscritti anche tutti coloro che esercitavano l’attività di mediazione per conto di imprese organizzate anche in forma societaria, mentre l’art. 11 del Regolamento recante norme di attuazione della legge 3 febbraio 1989, n. 39, sulla disciplina degli agenti di affari in mediazione, istituito con d.m. n. 452 del 1990, imponeva, nella mediazione svolta in forma societaria, che il requisito dell’iscrizione fosse in capo sia al legale rappresentante, sia ad eventuali preposti, sia agli ausiliari quando questi fossero assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, dovendosi intendere per tale quella avente rilevanza esterna, siccome efficace nei confronti dei soggetti intermediati ed impegnativa per l’ente da cui dipendevano, ma non anche quando espletassero compiti di natura accessoria e strumentale, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Cass.,
Sez. 6-2, 1/6/2020, n. 10350; Cass., Sez. 2, 29/11/2013, n. 26781; Cass., Sez. 3, 24/1/2007, n. 1507; Cass., Sez. 2, 17/6/2002, n. 8697; Cass., Sez. 2, 31/7/2002, n. 11372).
Tale situazione è rimasta sostanzialmente immutata con la soppressione del ruolo di cui all’art. 2 della citata legge n. 39 del 1989, disposta dall’art. 73 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, al comma 1, posto che, come esplicitato nel successivo comma 2, le attività disciplinate dalla legge del 1989 sono soggette a segnalazione certificata di inizio attività da presentare alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del Comune competente per territorio, corredata da autocertificazioni e certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, e che, come previsto dall’art. 2 del Regolamento attuativo della legge n. 39 del 1989, adottato con d.m. 26 ottobre 2011, le imprese di affari di mediazione presentano all’ufficio del registro delle imprese della Camera di commercio della provincia dove esercitano l’attività apposita Scia, corredata delle certificazioni e delle dichiarazioni sostitutive previste dalla legge.
Come questa Corte ha avuto modo di affermare, l’art. 73, pur avendo soppresso il ruolo dei mediatori previsto dall’art. 2 della n. 39 del 1989, non ha abrogato la legge n. 39/1989 e, dunque, nemmeno l’art. 6, secondo cui ” hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli “, il quale è stato interpretato nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal d.lgs. 59/2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass., Sez. U, 2/8/2017, n. 19161; Cass., Sez. 3, 16/1/2014, n. 762; Cass., Sez. 3, 9/5/2011, n. 10125; Cass., Sez. 3, 18/7/2010, n. 16147).
Cass., Sez. 2, 25/5/2022, n. 24051, non massimata, ha altresì chiarito che, in questo nuovo regime, l’iscrizione non è necessaria per tutti i collaboratori dell’impresa, ma solo per coloro che svolgano attività di mediazione in senso proprio, tale essendo la stabile assegnazione, da parte di una o più imprese, alla promozione della conclusione di contratti in una o più zone determinate, come evincibile dalla previsione di cui all’art. 3, comma 2, d.m. 26 ottobre 2011, che riproduce pressoché letteralmente il precedente art. 3, comma 5, legge n. 39 del 1989, secondo cui alla compilazione della sezione di cui al comma 1 sono tenuti il titolare di impresa individuale, tutti i legali rappresentanti di impresa societaria, gli eventuali preposti e tutti coloro che svolgono a qualsiasi altro titolo l’attività per conto dell’impresa e, dunque, anche gli ausiliari quando assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, con compimento di atti a rilevanza esterna, ma non anche coloro che svolgono mere attività materiali o accessorie e strumentali a quella di vera e propria mediazione in funzione di ausilio rispetto ai soggetti a ciò preposti (vedi anche Cass. , Sez. 2, 9/7/2015, n. 19115 non massimata; Cass., Sez. 2, 9/4/2009, n. 8708; Cass. 8697/2002).
Peraltro, secondo Cass., Sez. 2, 25/5/2022, n. 24051, l’attività di mediazione non consiste nel solo materiale contatto tra il mediatore e l’acquirente, ma in tutta l’attività che precede e segue la visita dell’immobile (reperimento dell’altro cliente, ricezione dell’incarico, assunzione di informazioni sul bene venduto, organizzazione della struttura di intermediazione etc.) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l’aspirante acquirente con il venditore, sicché se un segmento pur importante dell’attività -quale la visita dell’immobile o il contatto telefonico -viene svolto tramite l’ausiliario, non per questo si deve imputare necessariamente a costui lo svolgimento dell’attività mediatoria in senso proprio, non avendo i predetti atti valenza
esterna tale da richiedere l’iscrizione del collaboratore all’apposito albo (cfr. Cass., Sez. 2, 1/6/2020, n. 10350; Cass. , Sez. 2, 9/7/2015, n. 19115, cit.).
Una volta delimitate le situazioni in cui è necessaria l’iscrizione all’albo del collaboratore della società di mediazione, è evidente come, anche quando l’immobile sia stato mostrato per il suo tramite, quand’anche in assenza del mediatore, il diritto alla provvigione insorge comunque, purché le parti siano state messe in grado di conoscere l’opera di intermediazione svolta dal mediatore, grazie alla cui attività hanno concluso l’affare, nonché di valutare l’opportunità o meno di avvalersi della relativa prestazione, soggiacendo ai conseguenti oneri, con la conseguenza che la prova di tale conoscenza incombe, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., sul mediatore che voglia far valere in giudizio il diritto alla provvigione (in questi termini, Cass., Sez. 2, 6/5/2019, n. 11776).
Alla stregua di tali principi non può che dichiararsi l’infondatezza della censura, non rilevando affatto che la visita all’immobile fosse avvenuta per il tramite di un dipendente del mediatore.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei motivi, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico dei ricorrenti.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2025.