Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2389 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 2389 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso 4195-2018 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente incidentale –
nonché contro
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2649/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/11/2017;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott. NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento di entrambi i ricorsi; ricorrente lette le memorie del ricorrente principale e del incidentale;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott. AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento di entrambi i ricorsi;
uditi l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente principale, l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente incidentale e l’avvocato NOME COGNOME per il controricorrente;
RAGIONI IN FATTO COGNOMEA DECISIONE
Con sentenza n. 2101 del 18 dicembre 2009 il Tribunale di Vicenza rigettava la domanda proposta da NOME nei confronti di COGNOME NOME NOME NOME, per il pagamento della provvigione dovutagli per l’attività di RAGIONE_SOCIALE relativa alla vendita di un immobile intervenuta tra i convenuti, attività che
era culminata in una proposta di acquisto proveniente dal NOME e non accettata dal COGNOME, alla quale aveva poi fatto seguito a distanza di circa tre anni l’effettiva alienazione del bene.
Avverso tale sentenza proponeva appello il NOME cui resistevano gli appellati.
La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2649 del 17 novembre 2017, in riforma della sentenza appellata, ha accolto la domanda attorea, condannando i convenuti al pagamento della provvigione, liquidata per ognuno nell’importo di € 3.305,32 oltre interessi.
In primo luogo, osservava che l’appellante aveva prodotto in appello la documentazione attestante la sua iscrizione all’apposito RAGIONE_SOCIALE, e che tale produzione era del tutto ammissibile, anche perché il rigetto della domanda, motivato dal Tribunale per la mancata prova dell’iscrizione, era avvenuto d’ufficio (o meglio a seguito del deposito della comparsa conclusionale del convenuto, con il relativo rilievo), nel mentre sarebbe stato necessario rimettere in termini le parti, trattandosi di questione in precedenza non oggetto di contestazione.
Passando al merito, disattesa l’eccezione di prescrizione del diritto alla provvigione, evidenziava che le prove raccolte avevano confermato l’intervento del NOME nelle trattative che avevano portato all’acquisto del bene da parte del COGNOME nei primi mesi del 1996, dovendosi altresì reputare che la successiva vendita, avvenuta a distanza di circa tre anni, a condizioni non differenti da quelle che erano state oggetto della trattativa iniziale, fosse conseguenza dell’attività di messa in relazione dell’appellante, non emergendo l’insorgenza di fattori idonei a recidere il nesso di causalità.
Quanto alla misura della provvigione, la Corte d’Appello riteneva di dover far riferimento agli usi della provincia di Vicenza, e che quindi occorresse determinarla in una percentuale pari al 2 % del valore dell’affare. A questo riguardo, ancorché il prezzo dichiarato nella vendita risultava inferiore a quello che era stato oggetto dell’iniziale proposta, secondo la sentenza la differenza era da ricondurre a ragioni di carattere fiscale, non essendo stato nemmeno comprovato che il prezzo dichiarato fosse stato effettivamente corrisposto in quell’importo, con la conseguenza che occorreva far riferimento alla somma che era stata oggetto della proposta originaria (£. 320.000.000).
I convenuti dovevano altresì essere condannati alla ripetizione di quanto incassato per effetto della sentenza di primo grado, così come pure, atteso l’esito del gravame, doveva essere riformata la condanna dell’attore ex art. 96 c.p.c.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso, da qualificare come principale in ragione della sua anteriorità cronologica, COGNOME NOME, sulla base di quattro motivi.
Ha proposto ricorso incidentale adesivo, articolato in cinque motivi, NOME.
NOME ha resistito con autonomo controricorso ad entrambi i ricorsi.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Il ricorrente principale ed incidentale hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
RAGIONI IN DIRITTO COGNOMEA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione ed errata applicazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in quanto è stato riconosciuto il diritto alla provvigione ad un soggetto che si era
intromesso invito domini in una trattativa che però si era arrestata nel 1996, essendosi altresì onerata parte convenuta, in violazione dell’art. 2697 c.c., di dover dimostrare che la compravendita avvenuta a distanza di tre anni non fosse riconducibile all’apporto causale dell’attore.
Si ribadisce che il mediatore è tenuto ad offrire la prova del nesso di causalità adeguata tra la propria attività e la conclusione dell’affare, laddove nella vicenda, dopo essersi provata l’esistenza di un incontro fra le parti presso l’agenzia, non risulta fornita alcuna prova che la vendita intervenuta nel 1999 sia ricollegabile all’iniziale attività del NOME risalente al 1996. Inoltre, non si è tenuto conto del fatto che l’incarico al mediatore era stato conferito solo dal COGNOME ma non dal COGNOME, che in effetti aveva sempre frapposto un rifiuto all’intervento dell’intermediario.
Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia del pari la violazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., sulla scorta delle medesime argomentazioni dell’analogo motivo del ricorso principale, avendo la sentenza trascurato che, dopo l’inziale apporto del 1996, il NOME non aveva più svolto alcuna attività.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
Quanto alla dedotta violazione di legge, secondo il Collegio occorre assicurare continuità a quanto di recente affermato da Cass. n. 3165/2023, a mente della quale, per il riconoscimento del diritto alla provvigione ex art. 1755, co. 1, c.c., è necessario che la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dall’intervento del mediatore (c.d. causalità adeguata), senza che l’aver messo le parti in relazione tra loro sia di per sé sufficiente a conferire all’intervento il carattere dell’adeguatezza e senza che,
ad esempio, anche l’intervento di un secondo mediatore sia in sé idoneo a privare ” ex post ” di tale qualità l’operato del primo. Pertanto, poiché la norma in esame descrive soltanto in negativo l’effetto adeguato ed essendo la stessa destinata, in ragione della sua elasticità, ad essere progressivamente precisata dalla Corte di Cassazione nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica fino alla formazione del diritto vivente, l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito non sfugge alla verifica in sede di legittimità. Con tale pronuncia è stato, infatti, ribadito l’orientamento del tutto prevalente nella più recente giurisprudenza di legittimità a mente del quale il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario, tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso (Cass. n. 11443 del 08/04/2022).
E’ stato altresì precisato che la nozione di affare, cui è correlato il diritto alla provvigione, va intesa come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti nel loro complesso a realizzare un unico interesse economico, anche se con pluralità di soggetti, di modo che la condizione perché il predetto diritto sorga è l’identità dell’affare proposto con quello concluso, che non è esclusa
quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione finale, sempre che vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale, e la conclusione dell’affare sia collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti originarie, che sono tenute al pagamento della provvigione (Cass. n. 11127 del 06/04/2022). Affinché, quindi, si recida il nesso di causalità tra l’attività del mediatore e la successiva conclusione dell’affare è necessario che dopo una prima fase delle trattative avviate con l’intervento del mediatore e che non abbia dato esito positivo, la finalizzazione dell’affare sia indipendente dall’intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto (Cass. n. 22426 del 16/10/2020), non potendosi però escludere a priori la sussistenza del nesso causale sol perché alla iniziale fase delle trattative ne sia seguita un’altra con l’intervento di un secondo mediatore (Cass. n. 869 del 16/01/2018), ovvero in via diretta tra le parti. E’ però pur sempre necessario che sia verificata la permanenza, anche a seguito dell’ingerenza del nuovo mediatore ovvero della revoca dell’incarico, dell’efficacia causale dell’attività posta in essere dal primo mediatore, efficacia da valutare secondo le regole della causalità adeguata (cfr. Cass. n. 1120/2015, che ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto efficacia causale all’attività di un primo mediatore consistita nell’aver occasionalmente accompagnato presso l’abitazione della venditrice una potenziale acquirente, senza valutare se la ripresa delle trattative tra le parti fosse intervenuta per effetto di iniziative nuove assolutamente non ricollegabili alle precedenti e da queste condizionate, tali da escludere la rilevanza dell’intervento dell’originario mediatore). Come efficacemente
chiarito da Cass. n. 3165/2023, al fine di considerare che la conclusione dell’affare sia l’effetto dell’intervento del mediatore, non è sufficiente che questi abbia messo in relazione le parti, ma si impone la verifica del carattere adeguato dell’apporto causale di quest’ultimo rispetto alla conclusione dell’affare.
A tale esito si perviene tramite la lettura combinata dell’art. 1754 c.c., per il quale la messa «in relazione di due o più parti per la conclusione di un affare» (art. 1754 c.c.) che contraddistingue l’attività del mediatore, norma che però non può prescindere dal successivo art. 1755 c.c. che individua le condizioni per il riconoscimento della provvigione, e precisamente impone che vi sia un nesso di derivazione causale tra la messa in relazione e l’affare, ma secondo le regole della causalità adeguata (cfr., fra le più recenti, Cass. 11443/2022, 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020).
Non è, quindi, possibile attribuire il diritto alla provvigione sulla base di un nesso puramente condizionalistico (o della condicio sine qua non ), e che si esaurisca nel solo riscontro della messa in relazione delle parti, ma è necessario che la ricostruzione in positivo dell’efficienza causale adeguata dell’opera del mediatore sia valutata in maniera tale da rinvenire nella conclusione dell’affare un effetto adeguato della condotta del mediatore, il tutto secondo un giudizio che non può essere affidato in esclusiva al sindacato del giudice di merito, ma che, come tutte le norme elastiche, consente la verifica in sede di giudizio di legittimità, come previsto per tutte le norme cd. elastiche.
Ritiene il Collegio che, proprio alla luce dei principi sinora esposti, la sentenza impugnata sia pervenuta all’accoglimento della
domanda della RAGIONE_SOCIALE in maniera che risulta immune alle censure mosse.
La ricostruzione delle vicende di causa, come offerta dal giudice di merito, non consente al Collegio di poter compiere interventi ortopedici dell’applicazione delle norme compiuta dai giudici di merito.
La sentenza impugnata alle pagg. 7 ed 8 ha effettuato un’analitica ricostruzione delle vicende che avevano interessato le parti nel 1996, sottolineando come la messa in relazione tra il NOME ed il COGNOME venne curata da collaboratori del controricorrente, che in ben due occasioni accompagnarono la parte interessata all’acquisto nell’immobile del COGNOME, esplicitando in maniera univoca il ruolo che nella vicenda intendeva assumere.
E’ stato, poi, ricordato che vi fu un incontro presso l’ufficio del NOME ove venne sottoscritta una proposta di acquisto (non accettata), aggiungendo che l’asserzione del COGNOME di avere sempre dichiarato di non volersi avvalere dell’intervento di un mediatore era confutata dal fatto che lo stesso si era effettivamente recato presso l’agenzia accompagnato da un collaboratore del NOME, denotando in tal modo come lo stesso fosse consapevole dell’intervento del mediatore, e che nei fatti il rifiuto della sua attività non trovasse conferma nella condotta in concreto tenuta.
La sentenza ha, perciò, ritenuto, con accertamento logico e coerente, in quanto adeguatamente supportato dalla puntuale ricostruzione e valutazione delle emergenze probatorie, che vi fu l’effettiva messa in relazione tra le parti, sottolineando che l’apporto causale, da reputare in termini di adeguatezza, dell’attività del mediatore si è protratto nel tempo, dovendosi
ritenere che la successiva vendita, sebbene intervenuta a distanza di circa tre anni, trovasse il proprio antecedente causale (non meramente naturalistico), nel contributo offerto dal COGNOME nell’avvicinamento delle parti, come confermato dal fatto che l’oggetto dell’affare era il medesimo della trattativa, che le parti erano rimaste le stesse, che non vi era stato un significativo mutamento delle condizioni di vendita, essendo emerso che anche il corrispettivo offerto era rimasto nella sostanza il medesimo (come appunto poi ribadito in occasione della determinazione dell’entità della provvigione).
La sentenza impugnata ha, quindi, reputato che il solo decorso del tempo non potesse ritenersi elemento idoneo a determinare la recisione del nesso di causalità adeguata, attesa l’identità degli altri elementi relativi alla vicenda traslativa, aggiungendo che non erano state nemmeno allegate eventuali sopravvenienze che potessero far ritenere che la vendita fosse il frutto di una ripresa delle trattative, avvenuta in via autonoma (cfr. Cass. n. 869/2018, secondo cui il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, non occorrendo un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare, poiché è sufficiente che il mediatore – pur in assenza di un suo intervento in tutte le fasi della trattativa ed anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – abbia messo in relazione le stesse, sì da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto; Cass. n. 25851/2014; Cass. n. 15014/2000).
2. Il secondo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli artt. 2 e 3 della legge n. 39/1989 e dell’art. 100 c.p.c. in quanto la sentenza gravata riconosce il diritto alla provvigione sebbene l’attività sia stata svolta in violazione delle norme di legge da persone non iscritte al Ruolo presso la RAGIONE_SOCIALE, attribuendo l’intera provvigione anche per l’attività svolta da soggetti non iscritti.
Si deduce che COGNOME NOME ha dichiarato in sede di prova testimoniale di essere dipendente delle RAGIONE_SOCIALE e di aiutare saltuariamente il NOME, senza però essere iscritto al ruolo dei RAGIONE_SOCIALE, analogamente a quanto riferito anche dal teste COGNOME.
Ne consegue che al NOME non poteva essere riconosciuta alcuna provvigione, o quanto meno non per l’intero ammontare.
Analogo tenore ha il secondo motivo del ricorso incidentale del NOME.
I motivi, da esaminare evidentemente in maniera unitaria, sono infondati.
La sentenza ha chiaramente individuato l’attività del COGNOME nell’accompagnamento del NOME alla visita dell’appartamento del COGNOME, e quella RAGIONE_SOCIALE COGNOME nell’accompagnamento del COGNOME presso la sede dell’agenzia, avendo poi riferito della presenza in loco del NOME, precisando che avevano in entrambe le occasioni agito su richiesta dell’attore.
Risulta, pertanto, evidente che ai soggetti che i ricorrenti indicano come RAGIONE_SOCIALE abusivi è stato affidato un ruolo meramente ausiliario, il che esclude che possa ritenersi che la loro attività infici il diritto del mediatore al pagamento della provvigione.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, ancorché tutti coloro che esercitano l’attività di RAGIONE_SOCIALE per conto di imprese organizzate, anche in forma societaria, devono essere iscritti nell’apposito ruolo professionale, a norma dell’art. 3, comma quinto, della legge 3 febbraio 1989, n. 39, tuttavia a mente dell’art. 11 del relativo regolamento di attuazione, emanato con D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, in caso di esercizio dell’attività di RAGIONE_SOCIALE da parte di una RAGIONE_SOCIALE, i requisiti per l’iscrizione nel ruolo debbono essere posseduti dal legale rappresentante di essa ovvero da colui che da quest’ultima è preposto a tale ramo di attività. Ne consegue che per gli ausiliari della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE è prescritta l’iscrizione nel ruolo solo quando, per conto della RAGIONE_SOCIALE, risultino assegnati allo svolgimento di attività mediatizia in senso proprio, della quale compiono gli atti a rilevanza esterna, con efficacia nei confronti dei soggetti intermediati, ed impegnativi per l’ente da cui dipendono; essa non è invece richiesta per quei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE che esplicano attività accessoria e strumentale a quella di vera e propria RAGIONE_SOCIALE, in funzione di ausilio ai soggetti a ciò preposti (Cass. n. 8708/2009).
Il principio che è suscettibile di trovare applicazione anche nel caso in cui l’attività di RAGIONE_SOCIALE sia svolta in forma di impresa individuale, come nel caso in esame, è stato poi ribadito anche nella successiva giurisprudenza, avendo da ultimo Cass. n. 24051/2022, ribadito che le attività materiali, quali ad esempio quella di visita di un immobile per conto del mediatore, nell’ambito di un rapporto di collaborazione, non integrano un’attività di RAGIONE_SOCIALE esercitata autonomamente dal collaboratore-persona fisica e non richiedono la registrazione del
nominativo di quest’ultimo nel registro delle imprese. La pubblicizzazione della vendita, la valutazione dell’immobile, la raccolta delle dichiarazioni di interesse e l’assistenza nella fase delle trattative potevano perciò giustificare la maturazione della provvigione, ove l’affare fosse risultato concluso per effetto l’interRAGIONE_SOCIALE svolta. Infatti, l’attività di RAGIONE_SOCIALE non si limita solo al materiale contatto tra il mediatore e l’acquirente, ma comprende tutta l’attività che precede e segue la visita dell’immobile (reperimento dell’altro cliente, ricezione dell’incarico, assunzione di informazioni sul bene venduto, organizzazione della struttura di interRAGIONE_SOCIALE etc.) e che, tramite il complesso di attività, pone fruttuosamente in contatto l’aspirante acquirente con il venditore. Pertanto, “se un segmento pur importante dell’attività -quale la visita dell’immobile -viene svolto tramite l’ausiliario, non per questo si deve imputare necessariamente a costui lo svolgimento dell’attività RAGIONE_SOCIALEa in senso proprio” (cfr. Cass. 19115/2015, in motivazione). Anche di recente si è affermato che l’attività consistente nei contatti telefonici e nell’accompagnamento dei potenziali acquirenti alle visite dell’immobile, qualora compiuti da collaboratori del mediatore iscritto, non costituiscono atti a rilevanza esterna tali da richiedere l’iscrizione del collaboratore all’apposito RAGIONE_SOCIALE (cfr., testualmente, Cass. 10350/2020), dovendosi reputare tali conclusioni valide anche a seguito delle modifiche introdotte dal D. Lgs. n. 59/2010 (modifiche inapplicabili ratione temporis ).
Il carattere meramente ausiliario delle attività svolte dagli incaricati del RAGIONE_SOCIALE esclude quindi che questi non potesse esigere il pagamento della provvigione, ed in maniera integrale.
Il terzo motivo di ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 101 c.p.c., per avere disposto il pagamento della provvigione anche per la quota dell’immobile non di proprietà del COGNOME, omettendo anche l’esame della relativa eccezione.
Si sostiene che l’appartamento venduto era di proprietà del ricorrente solo per la quota del 50 %, spettando la restante quota alla sig.ra NOME COGNOME.
Pertanto, la provvigione poteva essere pretesa solo per la misura del 50 %, dovendosi la residua parte richiedere all’altra comproprietaria.
Tale deduzione è stata però del tutto omessa in sentenza, trascurandosi anche il fatto che per esigere la provvigione in maniera integrale sarebbe stato necessario evocare in giudizio anche l’altra comproprietaria.
Il quarto motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 101 e 112 c.p.c. per essere stata disposta la condanna al pagamento della provvigione anche per la quota di immobile non acquistata dal convenuto, senza avere esaminato la relativa eccezione. Analogamente a quanto dedotto con il motivo di ricorso principale, si evidenzia che l’acquisto era avvenuto da parte del COGNOME in comunione con la moglie COGNOME NOME, così che non poteva essere pretesa la provvigione per l’intero valore del bene acquistato.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
Va disattesa la censura che lamenta l’omessa decisione sull’eccezione de qua, dovendosi ritenere che la sentenza d’appello, nel condannare i ricorrenti al pagamento della
provvigione interamente gravante sulla parte acquirente e venditrice abbia disatteso la stessa, quanto meno in via implicita.
Nel merito, va qui ribadito che (cfr. Cass. n. 21712/2019) ai fini della configurabilità del rapporto di RAGIONE_SOCIALE non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene (Cass. n. 11656 del 2018; Cass. n. 25851 del 2014). Il rapporto di RAGIONE_SOCIALE, inteso come interposizione neutrale tra due o più persone per agevolare la conclusione di un determinato affare, non postula, infatti, necessariamente un preventivo accordo delle parti sulla persona del mediatore, ma è configurabile pure in relazione ad una materiale attività intermediatrice che i contraenti accettano anche soltanto tacitamente, utilizzandone i risultati ai fini della stipula del contratto: sicché, ove il rapporto di RAGIONE_SOCIALE sia sorto per incarico di una delle parti, ma abbia avuto poi l’acquiescenza dell’altra, quest’ultima resta del pari vincolata verso il mediatore (Cass. n. 21737 del 2010).
Tali considerazioni consentono, quindi, di affermare che l’altra titolare del bene venduto, così come la coacquirente, sebbene non abbiano preso attivamente parte alla fase delle trattative, avendo in ogni caso utilizzato i risultati dell’attività del mediatore, avendo partecipato all’atto di vendita, sono tenute al pagamento della provvigione.
Rileva altresì che l’art. 1755 c.c., nella parte in cui riferisce che la provvigione deve gravare su ciascuna delle parti, secondo la misura determinata dal giudice fa riferimento alla necessità di dover tenere distinta la provvigione rispettivamente dovuta dalla parte acquirente e dalla parte alienante, ma non incide invece
sulla soluzione da adottare nel diverso caso in cui una delle due parti contraenti sia costituta da più soggetti, attesa la natura comune del diritto alienato o acquistato.
In tal caso, e ferma restando la doverosità del pagamento della provvigione da parte di tutti i contitolari del bene, opera per la parte plurisoggettiva la regola della solidarietà che è destinata a trovare applicazione in via generale per tutte le ipotesi di obbligazioni assunte da più soggetti, ancorché, come nel caso di specie, per effetto dell’intervento del mediatore.
La natura solidale dell’obbligazione gravante sui comproprietari del bene oggetto di interRAGIONE_SOCIALE è quanto meno stata implicitamente ritenuta in motivazione da Cass. n. 19991/2004 (secondo cui non costituisce domanda nuova, ma una modifica della domanda originaria, la richiesta di condanna solidale del marito al pagamento della provvigione, chiesto inizialmente alla sola moglie; nella specie era stato allegato in causa sin dall’atto introduttivo che la moglie, con il rogito definitivo, aveva acquistato un appartamento oggetto del contratto preliminare stipulato dal solo marito e relativo anche ad altro immobile) e trova il suo fondamento giustificativo sul piano normativo nell’art. 1115 c.c., che prevede che le obbligazioni contratte per la cosa comune (come devono reputarsi essere anche quelle aventi ad oggetto il diritto al pagamento della provvigione per l’acquisto o la vendita del bene comune) abbiano natura solidale (cfr. sul punto anche Cass. n. 21907/2011, a mente della quale, sebbene con riferimento alle obbligazioni in ambito condominiale, i comproprietari di un’unità immobiliare sono tenuti in solido, nella specie nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione
grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall’art. 1294 cod. civ., secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume).
Il quarto motivo del ricorso principale denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e dell’onere della prova, in quanto il giudice ha determinato d’ufficio il valore della compravendita, disattendendo quanto riportato nell’atto notarile, e senza che fosse stata formulata una domanda di simulazione o fosse stata fornita alcuna prova.
Si deduce che l’atto del 1999 riportava un prezzo di £. 191.000.000, ma che il giudice di appello ha calcolato la provvigione sul maggiore importo di £. 320.000.000, pari alla somma che era stata oggetto della proposta risalente al 1996, trascurando che in realtà lo stesso attore aveva ragguagliato il suo diritto alla percentuale calcolata sul prezzo di vendita.
Il quinto motivo del ricorso incidentale denuncia analogamente la violazione dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’Appello determinato d’ufficio il valore dell’affare disattendendo quanto riportato nell’atto notarile, in assenza di una domanda di simulazione.
I motivi, da esaminare anche in questo caso congiuntamente, vanno disattesi.
Questa Corte ha affermato che la misura della provvigione che spetta al mediatore per l’attività svolta nella conclusione dell’affare – anche se ciò non sia specificamente previsto in patti, tariffe professionali od usi, e tanto più in quanto si utilizza il criterio di commisurarla ad una percentuale di un dato montante –
deve tenere conto del reale valore dell’affare (nella specie, una compravendita), che è cosa diversa dal prezzo che le parti indicano nel contratto, anche se può coincidere con questo (Cass. n. 12236/2007; Cass. n. 21712/2019).
Ne deriva che la sentenza impugnata ha ritenuto di dover autonomamente individuare il valore dell’affare, prescindendo quindi dal tenore formale dell’atto di vendita e dal prezzo ivi indicato (che incidentalmente ha ritenuto essere stato non veritiero, in ragione di evidenti ragioni di carattere fiscale), addivenendo alla incensurabile indicazione del valore effettivo sulla base della somma offerta nella proposta originaria, ed in assenza di elementi che inducessero a ritenere tale importo non corrispondente al reale valore del bene venduto.
Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. per essere stata ammessa una nuova prova documentale, priva del carattere di idoneità intrinseca ad eliminare incertezze sulla ricostruzione fattuale del giudizio di primo grado, in relazione alla produzione per la prima volta in appello del certificato di iscrizione del NOME al ruolo degli agenti RAGIONE_SOCIALE.
Anche tale motivo va rigettato.
In disparte il richiamo al principio secondo cui, in tema di RAGIONE_SOCIALE, ai fini del riconoscimento del diritto al compenso per l’attività prestata, l’onere della prova dell’iscrizione nell’RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, così come previsto nella legge 3 febbraio 1989, n. 39, può essere assolto mediante la prova per testimoni o anche per presunzioni e che a tal fine, può valere il modulo di proposta di acquisto predisposto dal mediatore, dal quale risulti la suddetta iscrizione (Cass. n. 11539/2013; Cass. n. 26292/2007; Cass. n.
20556/2021), modulo che il mediatore riferisce essere stato già prodotto in primo grado, l’infondatezza della censura si rileva alla luce delle seguenti considerazioni.
Infatti, per la fattispecie trova applicazione, in ragione della data di pubblicazione della sentenza di primo grado (18/12/2009), il previgente testo dell’art. 345 c.p.c., che consentiva la produzione in appello di prove nuove purché connotate dal requisito dell’indispensabilità.
Questa Corte ha poi chiarito che nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nel testo previgente rispetto alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. S.U. n. 10790/2017; Cass. n. 24129/2017).
La rilevanza della prova dell’iscrizione assume poi evidente rilevanza in vista del giudizio di indispensabilità che deve reputarsi oggetto di valutazione, quanto meno implicita, da parte del giudice di appello.
Né infine appaiono condivisibili le conclusioni del PG favorevoli all’accoglimento del motivo, in quanto si tratta di documento pacificamente prodotto per la prima volta in appello, sicché non appare pertinente il richiamo al principio affermato da Cass. n. 11804/2021, che attiene alla diversa ipotesi in cui si voglia,
tramite il richiamo all’indispensabilità di cui all’art. 345 c.p.c., porre rimedio ad una prova inammissibilmente prodotta in primo grado.
Il ricorso principale ed incidentale sono rigettati, dovendo le spese seguire la soccombenza, ponendole a carico dei ricorrenti in solido tra loro, come liquidate in dispositivo.
Poiché il ricorso principale e quello incidentale sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le loro impugnazioni.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; condanna il ricorrente principale ed il ricorrente incidentale, in solido tra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 4.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di entrambi i ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis RAGIONE_SOCIALE stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2024