Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9414 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9414 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/04/2025
Oggetto: Mediazione – Diritto alla provvigione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27487/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME con domicilio informatico presso indirizzo PEC. -ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Pesaro, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza n. 323/2021, emessa dalla Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 22/3/2021 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25
marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto di citazione notificato il 17-19/04/2012, RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE, con sede in Pesaro, premesso di avere ricevuto, in data 28/5/2005, incarico di mediazione non esclusivo dalla RAGIONE_SOCIALE con sede in Pesaro, per la vendita dell’unità immobiliare, sita in Pesaro, INDIRIZZO nn. INDIRIZZO, che, nell’espletamento dell’incarico, aveva messo in contatto la predetta società con Giardini Maria Chiara, con la quale erano state avviate trattative protrattesi per tutto il 2007, che la società venditrice, in data 11/4/2009, aveva concluso un preliminare per persona da nominare con COGNOME NOME, a prezzo coincidente con quello trattabile originariamente previsto, e che quest’ultimo aveva designato come terzo acquirente proprio la COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Pesaro, sia la RAGIONE_SOCIALE sia Giardini Maria Chiara onde ottenerne la condanna al pagamento della somma di € 24.180,00 ciascuna, oltre interessi e iva dedotta ritenuta di acconto, a titolo di provvigione per l’attività di mediazione prestata.
Costituitasi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE dedusse che, dopo l’incarico conferito all’attrice nel 2005 e la visita della Giardini del 03/11/2006, non aveva più avuto alcun contatto con nessuna delle due e che, trascorsi circa quattro anni dal conferimento dell’incarico senza lo svolgimento di alcuna attività, era stata contattata direttamente dal Sinistrario, col quale aveva concluso il preliminare dell’11/4/2009, senza che tale situazione potesse ricondurre alla Giardini, aggiungendo che il preliminare non era esitato nel contratto definitivo e che il bene che ne era oggetto era diverso da quello oggetto dell’incarico originario.
Si costituì in giudizio anche NOME, che escluse la riconducibilità alla società attrice della conclusione del preliminare.
Il Tribunale rigettò la domanda attorea con la sentenza del 1213/10/2015, che, impugnata dalla medesima RAGIONE_SOCIALE
di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, fu riformata, nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE, che propose appello incidentale nei confronti di NOME dalla quale intendeva essere manlevata, con la sentenza n. 323/2021, pubblicata il 22/3/2021, con la quale la Corte d’Appello di Ancona accolse la domanda proposta dall’appellante e condannò le due appellate al pagamento della somma di euro 24.180,00 ciascuna a titolo di provvigione, rigettando la domanda di manleva proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Giardini NOME
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE si difende con controricorso, illustrato anche con memoria, mentre RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e la violazione di legge e del combinato disposto degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto provata l’esistenza del nesso causale per il solo fatto che NOME, mercé l’intervento di NOME, avesse visitato nel 2006 l’immobile poi acquistato per il tramite di Sinistrario nel 2009.
Ad avviso della ricorrente, non soltanto il nesso causale tra mediazione e vendita non poteva farsi derivare dalla mera visita, costituente, nel ragionamento presuntivo, unico fatto noto e in sé insufficiente a dimostrare il nesso causale tra attività del mediatore e conclusione dell’affare, siccome inidonea a supportare il legame col contratto concluso anni dopo, ma doveva anche dirsi interrotto dalla natura illegale della proposta avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE, che aveva determinato l’interruzione delle trattative, allorché aveva
fatto presente che parte del prezzo dell’acquisto (euro 900.000,00 su 1.500.000,00 complessivi) avrebbe dovuto essere pagato in nero, come rimasto provato in giudizio. In tal modo, i giudici avevano violato gli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., in quanto, facendo ricorso alle presunzioni semplici, erano risaliti da un fatto noto (la visita) ad uno ignoto, omettendo di considerare la prova diretta di segno opposto al nesso causale (ossia i motivi che avevano determinato l’interruzione delle trattative: modalità di pagamento del prezzo e sua entità) e la mancata partecipazione della Giardini alle trattative tra la Aemme e il Sinistrario, i quali, peraltro, avevano seguito un percorso causale del tutto autonomo, né motivato sul punto.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 1754, 1755 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’erronea applicazione dei criteri di causalità, per avere i giudici di merito ritenuto sussistente il diritto dell’attrice alla provvigione sulla sola base della visita dell’immobile da essa procurata alla ricorrente, senza considerare che una siffatta situazione, specie quando una trattativa nasca con un mediatore e si concluda con un altro, non poteva dirsi decisiva, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto provare che l’affare, senza la visita del 2006, non si sarebbe perfezionato nel 2009 e che, a fronte della radicale chiusura della relazione RAGIONE_SOCIALE/Giardini del 2006 e della totale diversità della vendita all’epoca preordinata e quella perfezionatasi nel 2009 (diversità degli artefici, del contatto avvenuto in via diretta tra il Sinistrario e la Aemme), non poteva dirsi provato (e prima ancora dedotto) il nesso causale, non avendo l’attrice specificato in cosa fosse consistita la propria attività se non nel procurare la visita all’immobile.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n.
5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di considerare le circostanze che avevano interrotto il nesso causale tra attività della RAGIONE_SOCIALE e conclusione del contratto del 2009, ossia il fatto che 1) la trattativa del 2006 si fosse interrotta in quanto non vi erano spazi per la riduzione del prezzo, né per le modalità di pagamento del prezzo, buona parte del quale avrebbe dovuto essere corrisposto in nero; 2) che le trattative tra il Sinistrario e la Aemme fossero avvenute in modo autonomo e avulso dalla visita del 2006, senza che la RAGIONE_SOCIALE vi partecipasse; 3) che il contratto tra i due fosse stato concluso in totale assenza della RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, era errata anche l’affermazione, contenuta in sentenza, circa l’identità delle condizioni di vendita del 2006 e del 2009, posto che nel primo caso il prezzo era stato determinato nella misura di euro 1.600.000,00 e non era trattabile, mentre nel secondo caso era stato stabilito nella misura di euro 1.085.000, da versarsi in modo ortodosso e non in nero.
Tali decisive circostanze sconfessavano, ad avviso della ricorrente, quanto asserito dalla COGNOME la quale non aveva positivamente provato che la visita del 2006 fosse stata determinante, sotto il profilo causale, nella conclusione dell’affare poi perfezionatosi in seguito ad altra, diversa trattativa.
I tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto strettamente connessi, siccome tutti afferenti al medesimo thema decidendum dell’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto alla provvigione, ora affrontato in termini di violazione delle norme in materia di mediazione, ora di violazione delle norme sul sistema delle presunzioni, ora di omesso esame di fatti, sono fondate.
Occorre, in primo luogo, osservare come, ai sensi dell’art. 1754 cod. civ., si qualifichi mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare e come il diritto alla provvigione ex art. 1755 cod. civ. sorga tutte le volte in cui la
conclusione dell’affare sia in rapporto causale (c.d. causalità adeguata) con l’attività intermediatrice (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231).
Per ‘conclusione dell’affare”, deve intendersi, in particolare, ciò che, nel linguaggio comune, è l’equivalente del contratto (Cass., Sez. 3, 12/4/2005, n. 7519) e, dunque, il compimento di un’operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, anche se articolatasi in una concatenazione di più atti strumentali, purché diretti, nel loro complesso, a realizzare un unico interesse economico, quand’anche con pluralità di soggetti, di modo che la condizione perché il predetto diritto sorga è l’identità dell’affare proposto con quello concluso, che non è esclusa quando le parti sostituiscano altri a sé nella stipulazione finale (Cass., 06/04/2022, n. 11127) -purché vi sia continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale e la conclusione dell’affare sia collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti originarie, tenute al pagamento della provvigione (Cass., 06/04/2022, n. 11127) -, né quando non vi sia una coincidenza totale tra oggetto iniziale delle trattative ed oggetto conclusivo dell’affare (Cass., Sez. 3, 9/12/2014, n. 25851) per essere stati bene e prezzo modificati in esito alle trattative intavolate per effetto dell’opera del mediatore (Cass., Sez. 3, 9/12/2014, n. 25851). Occorre, in sostanza, il compimento di un atto in virtù del quale sia costituito un vincolo che dia diritto di agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno (come in caso di contratto preliminare di compravendita di un immobile), purché sufficiente a far sorgere tale diritto, sempre che si tratti di contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e, quindi, della forma scritta richiesta ad
substantiam ex artt. 1350 e 1351 cod. civ. (Cass., Sez. 3, 19/10/2007, n. 22000; Cass., Sez. 3, 26/9/2005, n. 18779), derivando altrimenti dalla presenza di vizi tali da impedire la definitiva attuazione dell’affare la perdita ex art. 1757, terzo comma, cod. civ., del diritto al compenso (Cass., Sez. 3, 10/05/2002, n. 6731).
Per ‘causalità adeguata’, deve intendersi, invece, la situazione nella quale la conclusione dell’affare sia effetto causato adeguatamente dall’intervento del mediatore (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403) e questa sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell’opera dell’intermediario tale che, senza di essa, il contratto stesso non si sarebbe concluso (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403; Cass., 08/04/2022, n. 11443; Cass. 3134/2022, 7029/2021, 5495/2021, 4644/2021, 3055/2020; Cass., Sez. 3, 20/12/2005, n. 28231), senza necessità che il mediatore intervenga o partecipi attivamente anche alle successive trattative sino all’accordo definitivo, né che sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare (Cass., Sez. 2, 16/01/2018, n. 869; Cass., Sez. 3, 09/12/2014, n. 25851; Cass., Sez. 2, 25/10/2010, n. 21836; Cass., Sez. 3, 24/01/2007, n. 1507).
Come affermato più volte da questa Corte, l’affare non può dirsi, però, concluso per effetto dell’intervento del mediatore solo perché questo ha messo in relazione le parti, non essendo possibile attribuire il diritto alla provvigione sulla base di un nesso puramente condizionalistico o della condicio sine qua non (in questi termini Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403), ma è necessario che la ricostruzione in positivo dell’efficienza causale adeguata dell’opera del mediatore sia valutata in maniera tale da rinvenire nella
conclusione dell’affare un effetto adeguato della condotta del mediatore (Cass., Sez. 2, 2/2/2023, n. 3165; Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403), come possibile ricavare dall’interdipendente distinzione di ruolo e di portata normativa tra l’art. 1754 cod. civ. e l’art. 1755, primo comma, cod. civ., la quale, come chiarito da Cass., Sez. 2, 2/2/2023, n. 3165 cit., conduce ad affermare che mentre la prima disposizione si limita a definire la figura del mediatore come «colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza», la seconda attribuisce ad essa una portata normativa ulteriore di ordine negativo, rispetto al carattere esclusivamente definitorio che le è proprio, sostanzialmente negando che la semplice messa in relazione delle parti sia requisito idoneo, di per sé, a far reputare l’affare concluso per effetto dell’intervento del mediatore.
Peraltro, la valutazione operata dal giudice di merito in ordine all’esistenza del nesso di causalità adeguata è soggetta alla verifica di legittimità, posto che l’art. 1755, primo comma, cod. civ., descrive soltanto in negativo l’effetto adeguato e che la norma è destinata, in ragione della sua elasticità, ad essere progressivamente precisata dalla Corte di Cassazione nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica fino alla formazione del diritto vivente (Cass., Sez. 2, 5/1/2024, n. 403).
Orbene, i giudici di merito hanno ritenuto sufficiente, al fine di riconoscere il diritto della RAGIONE_SOCIALE ad ottenere il pagamento della provvigione, l’attività svolta da quest’ultima nel novembre 2006 e consistita nell’avere messo in contatto la Aemme, da cui aveva ricevuto l’incarico a vendere, con NOME e nella partecipazione alla visita dell’immobile, da parte di quest’ultima, anche all’interno, ritenendo che non fosse indicativa, al contrario, la sostituzione di altri a sé nella stipulazione conclusiva, purché in presenza di continuità tra il soggetto che partecipa alle trattative e
quello che ne prende il posto in sede di stipulazione negoziale, e che la trattativa condotta nel 2009 dalla Aemme con il Sinistrario riguardasse lo stesso affare, non modificato dalla vendita parziale del terreno rispetto alla trattativa del 2006, e non potesse considerarsi avulsa dall’operato di RAGIONE_SOCIALE in quanto la caparra da quest’ultimo versata proveniva da conto corrente intestato alla Giardini.
A ben vedere, però, tali considerazioni sembrano fondare il diritto alla provvigione su un nesso puramente condizionalistico (o della condicio sine qua non ), ossia la messa in relazione e la visita, in sé insufficienti, come sopra evidenziato, senza in alcun modo affrontare il problema della causalità adeguata, non essendo ad essa riferibile il fatto che la caparra versata dal Sinistrario alla società venditrice provenisse da fondi della Giardini, ben potendo l’interruzione del nesso causale far venir meno il diritto alla provvigione anche quando la nuova e autonoma trattativa sia intavolata tra le medesime parti già messe in contatto col mediatore e potendo lo stesso essere reciso, come chiarito da Cass., 16/10/2020 n. 22426, solo se, dopo una prima fase delle trattative avviate con l’intervento del mediatore, conclusesi con esito negativo, la finalizzazione dell’affare sia indipendente dall’intervento del mediatore che aveva posto le parti originariamente in contatto.
Deriva da quanto detto la fondatezza delle censure.
5. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei motivi, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2025.