Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34633 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 34633 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32251/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende per procura a margine del ricorso,
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende per procura in calce al controricorso,
nonchè contro
COGNOME e COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n.2390/2020 depositata il 18.5.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.12.2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 7/15.10.2009 la società d’intermediazione immobiliare RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma INDIRIZZO, COGNOME e NOME chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della provvigione pari al 3% del prezzo di vendita previsto dagli usi locali (€ 31.600,00 per ciascuna parte contrattuale), asseritamente dovutale in quanto, tramite la sua attività d’intermediazione, Vianello Nicola aveva venduto a COGNOME Albano (usufruttuario) e NOME (nuda proprietaria) l’immobile di sua proprietà sito in Roma, INDIRIZZO piano primo, interno 2, con l’atto del notaio NOME COGNOME del 15.3.2007 al prezzo di € 880.000,00.
In particolare la RAGIONE_SOCIALE esponeva che il 30.10.2006 COGNOME Nicola le aveva conferito l’incarico di ricercare acquirenti
del suddetto immobile di sua proprietà per il prezzo di €950.000,00; che aveva quindi pubblicizzato l’offerta sul suo sito internet e su riviste specializzate; che in virtù della pubblicazione sul sito internet, i suoi collaboratori, previo appuntamento, avevano accompagnato a visionare l’immobile, alla presenza anche di INDIRIZZO, che vi risiedeva, NOME il 16.11.2006, e NOME COGNOME e sua sorella NOME il 24.11.2006 ed il 5.12.2006; che le sorelle COGNOME, alle quali era stato indicato il prezzo chiesto dal venditore, avevano manifestato subito interesse all’acquisto, ed avevano quindi domandato alla RAGIONE_SOCIALE di organizzare un appuntamento presso il bar dell’Hotel Hilton di Roma da tenersi alla presenza del padre, COGNOME per discutere le condizioni di un’eventuale proposta di acquisto; che tale incontro era effettivamente avvenuto pochi giorni dopo la visita dell’immobile del 5.12.2006, e nel corso di esso la RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato a COGNOME COGNOME che il prezzo richiesto dal venditore era di € 950.000,00, al quale doveva aggiungersi la sua provvigione, ma poiché NOME COGNOME aveva ritenuto eccessivo il prezzo richiesto rispetto alle sue disponibilità (circa € 850.000,00), era stato comunque invitato a presentare una proposta scritta di acquisto, che però non era stata presentata; che prima di Natale 2006 e dopo che la RAGIONE_SOCIALE aveva accompagnato il 18 ed il 20 dicembre 2006 altri potenziali acquirenti a visitare l’immobile, Vianello NOME le aveva comunicato che aveva personalmente trovato un acquirente per il proprio immobile tra i suoi colleghi di lavoro e che quindi l’incarico doveva ritenersi esaurito; che a settembre 2007 era poi venuta a sapere del menzionato atto di vendita a rogito del notaio COGNOME del 17.3.2007, dal quale era emerso che il 18.12.2006 era stato consegnato a Vianello NOME un assegno per il pagamento di un acconto sul prezzo di €130.000,00, e che NOME aveva dichiarato di essersi avvalsa della mediazione della RAGIONE_SOCIALE, alla quale
aveva corrisposto una provvigione di € 13.000,00; che in ragione della breve distanza temporale esistente tra l’ultima visita dell’immobile fatta effettuare dalla RAGIONE_SOCIALE alle sorelle COGNOME il 5.12.2006 e l’incontro all’Hotel Hilton, al quale aveva partecipato anche COGNOME Albano, da un lato, ed il pagamento a favore del COGNOME dell’acconto sul prezzo di € 130.000,00 del 18.12.2006, e per avere messo per prima in contatto le parti che erano poi addivenute alla vendita, doveva ritenersi sussistente il suo diritto alla provvigione, parametrabile secondo gli usi locali, al 3% del prezzo di vendita.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NicolaCOGNOME che chiedeva il rigetto della pretesa avanzata nei suoi confronti, sottolineando che non aveva conferito alla RAGIONE_SOCIALE alcun incarico di vendita in esclusiva, e che la vendita del 17.3.2007 era avvenuta a condizioni, soprattutto di prezzo, diverse da quelle che erano state proposte tramite l’intermediazione della RAGIONE_SOCIALE
Si costituivano nel giudizio di primo grado NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME che eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che l’incarico di mediazione atipica era stato conferito alla RAGIONE_SOCIALE solo da COGNOME Nicola, e nel merito chiedevano il rigetto della pretesa avanzata nei loro confronti, sottolineando che essi avevano seccamente rifiutato l’offerta di vendita dell’immobile loro prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE al prezzo di €950.000,00 oltre provvigione, e successivamente, avendo visionato l’annuncio di vendita della RAGIONE_SOCIALE a condizioni più favorevoli, anch’essa incaricata della vendita non in esclusiva dal INDIRIZZO, avevano visionato tramite essa l’immobile ed avviato una trattativa, che era poi culminata nella pattuizione del prezzo di € 880.000,00, e che comunque gli usi locali prevedevano una provvigione non superiore al 2%.
Espletati gli interrogatori formali ed acquisite prove testimoniali, il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 9633/2014, rigettava le domande della RAGIONE_SOCIALE e la condannava alle spese processuali in favore delle parti convenute.
Proposto appello dalla RAGIONE_SOCIALE, che contestava la ritenuta insussistenza di un nesso causale tra le attività d’intermediazione da essa svolte e l’affare poi concluso dalle controparti, e lamentava che le spese processuali fossero state poste a suo carico nonostante le molteplici attività d’intermediazione svolte, la Corte d’Appello di Roma, nella resistenza del COGNOME e dei COGNOME, con la sentenza n. 2390/2020 del 18.11.2019/18.5.2020, rigettava l’appello e condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese processuali di secondo grado a favore degli appellati.
In particolare il giudice di secondo grado, confermando la decisione del Tribunale, riteneva che la RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito la prova a suo carico del nesso di causalità esistente tra le attività da essa svolte (messa in contatto delle parti, accompagnamento durante la visita dell’immobile di uno dei futuri acquirenti ed incontro presso il bar dell’Hotel Hilton anche con l’altro acquirente con illustrazione delle condizioni della vendita offerta) e l’affare poi concluso dagli appellati il 15.3.2007, non avendo provato che, a seguito dell’incontro presso l’Hotel Hilton, fosse stata intavolata una trattativa con i COGNOME per addivenire alla vendita, dato che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva ammesso che, avendo rappresentato nell’incontro suddetto che la vendita era offerta al prezzo di €950.000,00, che andava maggiorato della provvigione dovutale, i COGNOME avevano detto di non essere interessati ad acquistare a quel prezzo, che superava le loro disponibilità destinate all’acquisto di un immobile, e che benché invitati a formulare comunque un’offerta scritta, non avevano poi fatto pervenire alcuna proposta di acquisto alla RAGIONE_SOCIALE, con conseguente abbandono della trattativa.
La Corte d’Appello, inoltre, desumeva dalla testimonianza resa da NOME, che la sua agenzia d’intermediazione immobiliare aveva a sua volta pubblicizzato la vendita dell’immobile di proprietà del Vianello tra novembre e dicembre 2006, ben potendolo fare per il mancato conferimento di incarichi di vendita in esclusiva, che aveva a sua volta accompagnato i COGNOME (compreso COGNOME) a visitare l’immobile, che aveva concordato col COGNOME una consistente diminuzione del prezzo da lui richiesto per la vendita, e su questa base aveva quindi avviato le trattative tra il proprietario ed i COGNOME, poi culminate nel perfezionamento della compravendita all’inferiore prezzo di €880.000,00. Quanto alle spese processuali, la Corte d’Appello rilevava che per le spese di primo grado era stato correttamente applicato il principio della soccombenza, e faceva uso dello stesso principio per le spese di secondo grado.
Avverso tale sentenza, non notificata, ha proposto ricorso a questa Corte la RAGIONE_SOCIALE affidandosi a due motivi, ed hanno resistito con separati controricorsi da un lato INDIRIZZO, e dall’altro COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Tutte le parti, nell’imminenza dell’udienza camerale, hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) e n. 5) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato nell’incongruenza dei documenti depositati rispetto all’affermata interruzione delle trattative tra il Vianello ed i RAGIONE_SOCIALE condotte dalla RAGIONE_SOCIALE.
Si duole la ricorrente, che l’impugnata sentenza, pur avendo riconosciuto che il COGNOME ed i COGNOME erano stati messi in contatto
per la prima volta dalla RAGIONE_SOCIALE, che quest’ultima aveva fatto visitare l’immobile alle sorelle COGNOME il 16 e 24 novembre ed il 5 dicembre 2006, e che pochi giorni dopo vi era stato l’incontro anche con COGNOME nel quale erano stati discussi i termini e le condizioni da trasfondere in una proposta di acquisto dei COGNOME, e pur essendo poi avvenuta la conclusione dell’affare tra gli stessi ed il Vianello il 18.12.2006, solo pochi giorni dopo, col pagamento a quest’ultimo dell’acconto di € 130.000,00, non abbia riconosciuto la sussistenza di un nesso causale tra l’attività posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE e la conclusione dell’affare, in quanto quest’ultima non avrebbe considerato che l’incarico di vendita conferitole dal COGNOME non era in esclusiva. Sostiene la ricorrente, che l’impugnata sentenza non abbia considerato che dal contratto di vendita del 15.3.2007 risultava che i RAGIONE_SOCIALE avevano consegnato al Vianello un assegno bancario di € 130.000,00 a titolo di acconto già in data 18.12.2006, e quindi a pochissimi giorni di distanza dall’incontro coi COGNOME, organizzato dalla RAGIONE_SOCIALE presso il bar dell’Hotel Hilton di Roma, e che gli originari convenuti non avrebbero fornito prova dell’autonomia delle trattative successivamente intraprese con altro intermediario. Deduce ulteriormente la ricorrente, che ci sarebbe stato un comportamento fraudolento in suo danno, in quanto i COGNOME, – che avevano visitato per la prima volta l’immobile tramite la RAGIONE_SOCIALE, come emergente dalla deposizione di NOME COGNOME dopo aver saputo che l’immobile era offerto ad un prezzo inferiore da un’altra agenzia, che avrebbe loro applicato una provvigione inferiore -, e lo stesso COGNOME, si erano ben guardati dall’informare la RAGIONE_SOCIALE delle nuove trattative avviate tramite un’altra agenzia d’intermediazione immobiliare.
Il primo motivo é palesemente inammissibile, perché in presenza di una doppia pronuncia conforme di rigetto delle domande di provvigione per la mancata dimostrazione del nesso causale tra
l’attività d’intermediazione svolta dalla RAGIONE_SOCIALE ed il contratto di compravendita immobiliare poi concluso da COGNOME NOME con COGNOME e COGNOME NOME il 15.3.2007, non é invocabile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c..
Quanto alla lamentata violazione dell’art. 2697 cod. civ., é palesemente insussistente, in quanto la prova dell’esistenza del nesso causale tra l’attività svolta dal mediatore e la conclusione dell’affare grava sul mediatore che agisca per il pagamento della provvigione (vedi Cass. 8.1.2024 n. 538), mentre a carico del cliente grava l’onere di provare i fatti modificativi ed estintivi che abbiano reciso tale nesso causale, fra i quali rientra la dimostrazione della sopravvenienza di autonome attività d’intermediazione (pubblicità, visite, avvio e conclusione delle trattative) da parte di altri intermediari (Cass. 16.10.2020 n.22426; Cass. 22.1.2015 n. 1120), ed a tali principi l’impugnata sentenza si é perfettamente conformata, mentre non può essere invocata la violazione dell’art. 2697 cod. civ. per dolersi della cattiva valutazione delle risultanze probatorie.
La violazione del precetto di cui all’articolo 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3) c.p.c., infatti, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 7.10.2021 n.27225; Cass. 29.8.2019 n. 21778; Cass. 29.5.2018 n.13395).
Inammissibile é poi la doglianza di violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.. Come ribadito dalle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. n.20867/2020), infatti, per dedurre la violazione dell’art.
115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre); parimenti la citata pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ” prudente apprezzamento “, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Nella specie, di contro, é di tutta evidenza che la ricorrente, dietro al richiamo formale alle violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c., vorrebbe inammissibilmente ottenere da questa Corte una diversa ricostruzione in fatto, che riconosca la sussistenza, che é stata motivatamente negata, del nesso di causalità tra l’attività d’intermediazione da essa svolta e la conclusione dell’affare, e nel contempo l’insussistenza dell’interruzione di quel nesso causale determinata dall’attività d’intermediazione posta in essere da altra società d’intermediazione immobiliare, che é stata invece
riconosciuta dai giudici di merito sulla base della valutazione complessiva delle prove raccolte ed in particolare sulla base della testimonianza di NOME
In realtà la sentenza impugnata é pienamente conforme al principio di diritto enunciato dalla sentenza di questa Corte del 16.10.2020 n. 22426, secondo il quale ‘ in tema di mediazione, non sussiste il diritto alla provvigione, quando una prima fase delle trattative avviate con l’intervento del mediatore non dia risultato positivo e la conclusione dell’affare, cui le parti siano successivamente pervenute, sia indipendente dall’intervento del mediatore che le aveva poste originariamente in contatto ‘.
Interamente confinati entro il perimetro di una rivalutazione del fatto, inammissibile in sede di legittimità, sono poi le considerazioni svolte dalla ricorrente, sempre col primo motivo, in ordine all’esistenza di un asserito contegno fraudolento in suo danno degli originari convenuti.
Col secondo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e degli articoli 1755 (che prevede il diritto del mediatore al compenso se l’affare é concluso per effetto del suo intervento) e 1758 cod. civ. (che prevede che se l’affare é concluso con l’intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto ad una quota della provvigione), nonché in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c. ( rectius n. 5) l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, individuato nella sussistenza del nesso di causalità tra l’intervento di più mediatori e la conclusione dell’affare.
Si duole la ricorrente, che l’impugnata sentenza non sarebbe in linea con la comune nozione di nesso di causalità tra l’attività svolta dal mediatore e la conclusione dell’affare, di regola seguita dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale non é richiesto che tra esse vi sia un nesso eziologico diretto ed
esclusivo, essendo essenziale, piuttosto, che la messa in relazione delle parti intermediate operata dal mediatore sia un antecedente necessario per la conclusione dell’affare, anche se attraverso fasi e vicende successive alle quali il mediatore resti estraneo (in tal senso Cass. 15.4.2008 n. 9884; Cass. 2.8.2001 n. 10606). La ricorrente richiama, poi, quella giurisprudenza di questa Corte, che segue il criterio della causalità adeguata o efficiente, ritenendo che non sia necessario l’intervento del mediatore in tutte le fasi delle trattative, fino all’accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta per l’avvicinamento dei contraenti (Cass. 15.5.2001 n. 6703; Cass. 8.8.2002 n. 3438), ed invoca, quindi, quelle pronunce di questa Corte, che hanno riconosciuto che anche la semplice attività consistente nel ritrovamento e nell’indicazione dell’altro contraente o nella segnalazione dell’affare, legittima il diritto alla provvigione, sempre che tale attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti (Cass. 20.12.2005 n. 28231; Cass. 13.11.2000 n.15751; Cass. 25.2.2000 n. 2136; Cass. 20.5.2002 n. 7253; Cass. 16.1.1997 n. 392), e quelle pronunce della Suprema Corte, che ai fini dell’applicazione dell’art. 1758 cod. civ., danno rilievo per l’attribuzione del compenso a più mediatori, al concetto di concausalità ai fini della conclusione dell’affare, alle attività da ciascuno poste in essere ove il secondo mediatore riparta da posizioni già raggiunte nella trattativa dal primo mediatore (Cass. 18.3.2005 n. 5952), incidendo poi la consistenza delle attività da ciascun mediatore intervenuto svolte, ai soli fini della quantificazione a ciascuno spettante della provvigione. Da ultimo sostiene la ricorrente, che sulla base dei documenti prodotti e della circostanza che l’affare era stato poi concluso dagli originari convenuti pochi giorni dopo l’incontro al bar dell’Hotel Hilton di Roma, quando ancora non era stato revocato l’incarico di vendita conferito dal RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE
doveva esserle riconosciuto almeno un concorso alla conclusione dell’affare, con conseguente diritto ad una provvigione del 3% in base agli usi locali.
Per quanto concerne l’inammissibilità delle violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c. lamentate, valgono i richiami giurisprudenziali già effettuati, mentre in ordine all’asserito omesso esame della sussistenza del nesso di causalità tra l’intervento di più mediatori e la conclusione dell’affare, da rapportare evidentemente all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. e non all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., va detto che la doglianza é inammissibile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. per ‘ doppia conforme ‘.
La ricorrente, inoltre, non ha neppure indicato dove avrebbe invocato l’applicazione dell’art. 1758 cod. civ. al fine di vedersi riconosciuto il diritto alla provvigione per avere concorso con altro mediatore alla conclusione dell’affare, posto che, al contrario, alla pagina 5 dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado aveva espressamente escluso l’applicabilità dell’art. 1758 cod. civ., sostenendo che non era mai stata informata dalla parte convenuta dell’esistenza di eventuali terzi mediatori, anche in occasione degli incontri avvenuti pochi giorni prima della presumibile data di stipulazione da parte dei convenuti del contratto preliminare di vendita.
Quanto alle violazioni di legge degli articoli 1755 (che prevede il diritto del mediatore al compenso se l’affare é concluso per effetto del suo intervento) e 1758 cod. civ. (che prevede che se l’affare é concluso con l’intervento di più mediatori, ciascuno di essi ha diritto ad una quota della provvigione), sono lamentate non perché la ricorrente rimproveri alla Corte d’Appello l’attribuzione a tali norme di un significato diverso da quello corretto, ma in quanto punta, inammissibilmente, ad ottenere in sede di legittimità una diversa ricostruzione del fatto rispetto a quella motivatamente compiuta dai giudici di merito, che riconosca l’apporto concausale delle
attività d’intermediazione effettivamente svolte (messa in contatto degli originari convenuti, accompagnamento delle sorelle COGNOME nelle visite all’immobile oggetto di causa, incontro anche con COGNOME presso il bar dell’Hotel Hilton con illustrazione del prezzo e delle condizioni di un’eventuale proposta di acquisto) alla successiva conclusione dell’affare, e determini quindi il riconoscimento alla RAGIONE_SOCIALE del diritto ad una quota della provvigione.
Quanto alle doglianze relative alla nozione di nesso causale, va detto che la Corte d’Appello ha ritenuto, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede se non sotto il profilo dell’adeguatezza della valutazione espressa, che dopo l’incontro tra i collaboratori della RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE presso il bar dell’Hotel Hilton di Roma, avvenuto pochi giorni dopo il 5.12.2006, nel quale la ricorrente aveva illustrato il prezzo di vendita offerto (€950.000,00), da maggiorare della provvigione, e le condizioni di un’eventuale proposta di acquisto, la trattativa coi COGNOME non era neppure iniziata, in quanto COGNOME aveva radicalmente escluso che quelle condizioni economiche rientrassero nel badget da lui destinato all’acquisto di un immobile a Roma, e non aveva quindi sottoscritto, neppure successivamente, alcuna proposta di acquisto dell’immobile di Roma INDIRIZZO anche a prezzo inferiore, con la RAGIONE_SOCIALE, e che un’altra società di intermediazione immobiliare, di NOME, ha autonomamente gestito tutta la trattativa, dall’attività pubblicitaria risalente a novembre-dicembre 2006, alle visite nell’immobile con tutti i COGNOME (compreso COGNOME Albano, che non aveva visitato l’immobile del Vianello con la RAGIONE_SOCIALE), alla pattuizione col COGNOME di un ribasso del prezzo di vendita, fino alla conclusione della vendita al diverso e nettamente inferiore prezzo di €880.000,00 anziché di €950.000,00, senza quindi che la pregressa attività della
RAGIONE_SOCIALE abbia fornito un qualche apporto causale alla conclusione dell’affare.
La nozione di nesso causale impiegata dalla Corte d’Appello é stata quindi conforme, alla teoria della causalità adeguata seguita dalla più recente, ma già consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. 5.12.2024 n. 31187; Cass. 19.3.2024 n.7394; Cass. 9.1.2024 n. 785; Cass. n. 3165/2023), per la quale il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, il che avviene quando il mediatore abbia utilmente messo in relazione le parti intervenendo nelle varie fasi delle trattative, così da realizzare l’antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, nel senso che quest’ultima possa ritenersi conseguenza dell’opera prestata dall’intermediario, tale che, senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso. Per contro non sussiste il diritto alla provvigione quando, dopo una prima fase di trattative avviate con l’intervento del mediatore senza risultato positivo, le parti siano successivamente pervenute alla conclusione dell’affare in maniera indipendente da quell’originario intervento, per effetto di iniziative nuove, non ricollegabili con le precedenti o da queste condizionate. Poiché il diritto alla provvigione da parte del mediatore consegue non alla conclusione del negozio giuridico, ma dell’affare, inteso come qualsiasi operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, la condizione perché sorga il diritto alla provvigione è, dunque, l’identità dell’affare proposto con quello concluso, vi deve essere continuità nell’operazione e la conclusione dell’affare dev’essere collegabile al contatto determinato dal mediatore tra le parti (Cass. 5.12.2024 n. 31187; Cass. n.7626/2023; Cass. n. 3165/2023; Cass. n.27185/2022; Cass. n. 11443/2022; Cass. n. 22426/2020).
In applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo. Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui D.P.R. n. 115/2002 per imporre un all’art. 13 comma 1-quater ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso della RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per Vianello Nicola in € 200,00 per spese ed € 7.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15% e per NOME NOME e NOME in € 200,00 per spese ed € 7.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 12.12.2024