Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5478 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 5478 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5311/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, n.q. di unica erede di COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE MATERA, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO POTENZA n. 52/2019 pubblicata il 31/07/2019, RG 33/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/02/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Potenza, con la sentenza n.52/2019 pubblicata il 31/07/2019, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME -nella qualità di unica erede di NOME COGNOME -nella controversia con la Provincia di Potenza, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Matera.
La controversia ha per oggetto il pagamento della indennità di posizione per gli anni 1999-2001 nella misura determinata dall’art.12 del C.C.D.I. della dirigenza per gli anni 1999 -2001.
Il Tribunale di Matera rigettava le domande proposte da NOME COGNOME
La Corte territoriale ha ritenuto che per la determinazione della indennità di posizione venisse in considerazione l’accordo decentrato per il personale con qualifica dirigenziale del 28/03/2002; che tali disposizioni fossero applicabili al lavoratore, nonostante il suo collocamento in quiescenza nel 2001, perché adottate in «adempimento di un preciso obbligo assunto dalle parti contrattuali in occasione della sigla del CCNL 1998-2001»; che non si vertesse in materia di successione di disposizioni contrattuali nel tempo, ma di «integrazione e specificazione» delle prime ad opera delle seconde, tale da integrare una «applicazione attuale con effetti retroattivi»; che il nuovo contratto collettivo potesse comunque modificare in peius la disciplina precedente, con il solo limite dei diritti quesiti.
Per la cassazione della sentenza ricorre NOME COGNOME nella qualità di erede, con ricorso affidato ad un unico motivo.
La Provincia di Potenza resiste con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto dei contratti e accordi collettivi di lavoro e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art.360, comma primo, n.3 e n. 5, cod. proc. civ.
Nella prospettazione della ricorrente, l’omesso esame imputabile alla corte territoriale è riferito sia alla questione della esistenza di un diritto quesito ─ da parte del COGNOME ─ alla indennità di posizione «nella misura originariamente contemplata dall’art.12 del citato C.C.N.L.», che alla questione del difetto di rappresentatività della delegazione trattante l’accordo decentrato per il personale con qualifica dirigenziale del 28/03/2002.
In entrambi i casi l’omesso esame non ha per oggetto un fatto della natura, ma afferisce a valutazioni giuridiche, a giudizi di sussunzione tra fattispecie concreta e fattispecie astratta che non rientrano nel motivo a critica vincolata previsto dall’art.360 comma primo n.5, cod. proc. civ.
Non viene dunque prospettato alcun “fatto decisivo” nel senso precisato da questa Corte ai fini dell’art. 360, n. 5, c.p.c. L’omesso esame di un fatto decisivo deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo.
Costituisce un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante; non costituiscono, viceversa” “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 cit. le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, una moltitudine di fatti e circostanze, o “il vario insieme dei materiali di causa” (così, Cass. n. 9483 del 2020).
Il motivo, in parte qua , è dunque inammissibile.
Per quanto concerne la censura proposta ex art.360, comma primo, n.3, cod. proc. civ., il motivo di ricorso il motivo investe le disposizioni della contrattazione integrativa e decentrata, deducendo il diritto a percepire l’indennità di posizione nella misura prevista dalla contrattazione collettiva decentrata integrativa vigente al momento del suo collocamento a riposto, ossia l’art.12 del C.C.D.I. della dirigenza per gli anni 1999-2001.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale si intende dare continuità, «la regola posta dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5, che consente di denunciare direttamente in sede di legittimità la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’art. 40 del predetto d.lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimità è finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione» (Cass. 28/06/2022 n.20792).
Avuto riguardo a tale principio di diritto, deve rilevarsi che la censura proposta dal ricorrente si risolve nella deduzione della violazione della contrattazione collettiva integrativa, senza alcuna
specificazione dei canoni di interpretazione violati dalla corte territoriale, né censura specifica con riferimento all’assolvimento dell’obbligo di motivazione.
Nella parte restante la censura consiste nella affermazione della intangibilità del diritto vantato siccome già entrato nel suo patrimonio. Il ricorrente deduce che sarebbe titolare di un diritto quesito al trattamento preteso, ma non specifica quali sarebbero le norme di diritto o della contrattazione collettiva che sarebbero state violate dalla corte territoriale. Giova rilevare che il motivo a critica vincolata previsto dall’art.360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. non consente la proposizione di censure fondate sulla violazione di principi generali, essendo invece necessaria l’articolazione del motivo nella specifica indicazione delle norme di diritto e/o della contrattazione collettiva che si assumono violate.
La parte ricorrente non ha specificato quali sarebbero le disposizioni della contrattazione collettiva nazionale che costituirebbero il fondamento del suo diritto quesito alla percezione della indennità di posizione nei termini pretesi.
A questo proposito il CCNL per l’area dirigenza del comparto regionienti locali 1998/2001, all’art.27, con riferimento alla retribuzione di posizione si limita a prevedere che: «1. Gli enti determinano i valori economici della retribuzione di posizione delle funzioni dirigenziali previste dai rispettivi ordinamenti, tenendo conto di parametri connessi alla collocazione nella struttura, alla complessità organizzativa, alle responsabilità gestionali interne ed esterne.
La retribuzione di posizione è definita, per ciascuna funzione dirigenziale, nei limiti delle disponibilità delle risorse di cui all’art.26, entro i seguenti valori annui lordi per tredici mensilità:
da un minimo di L. 17.000.000 a un massimo di L. 82.000.000.
(…)
6. Le Regioni e le Province, nell’ambito delle risorse disponibili ai sensi dell’art. 26, possono determinare valori superiori a quello massimo indicato nel comma 2 per la retribuzione di posizione delle funzioni dirigenziali di massima responsabilità previste dai rispettivi ordinamenti, qualora gli stessi enti, nell’ambito delle regole definite in base alla loro autonomia organizzativa, non conferiscano, all’interno o all’esterno, i relativi incarichi mediante contratto individuale a termine di diritto privato con oneri a carico dei singoli bilanci».
10. La determinazione, in concreto, della retribuzione di posizione è dunque demandata agli enti locali avuto riguardo ai parametri previsti dall’art.27, comma 1, del C.C.N.L. e delle disposizioni della contrattazione decentrata e integrativa. Pertanto, nessuna censura può essere fondata direttamente sulla disposizione del C.C.N.L. di comparto, salvo che si denunci che la contrattazione collettiva decentrata e integrativa abbia violato i limiti stabiliti da quella di comparto.
11. Il tema è dunque quello della successione di contratti decentrati e integrativi, in ordine al quale la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto stabiliti da questa Corte, secondo i quali la successione nel tempo di fonti contrattuali del rapporto realizza l’immediata sostituzione delle clausole precedenti con le nuove, ancorché queste ultime siano meno favorevoli ai lavoratori, senza che, in contrario, possa invocarsi il divieto di reformatio in peius (che opera sul diverso piano dei rapporti tra contratto individuale e contratto collettivo di lavoro) o l’esistenza di diritti quesiti in capo ai lavoratori, atteso che, per un verso, l’esistenza di un diritto quesito presuppone il riconoscimento dell’esistenza ex lege del diritto, il che è configurabile solo in caso di successione di leggi nel tempo, non anche nell’ipotesi di successione di normativa di origine pattizia, e, per altro verso, di
diritti acquisiti può parlarsi solo con riferimento a quei diritti già entrati a far parte del patrimonio dei lavoratori, in relazione ad un evento già maturato, e non con riferimento ad aspettative sorte sulla base di regole previgenti o a semplici pretese di stabilità nel tempo di una regolamentazione di origine pattizia (Cass. 14/02/2024 n.9136; id . 30/09/2022 n.28550, id . 08/05/2000 n.5825).
Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro