Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5146 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5146 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
Oggetto: negoziazione diritti di opzione
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli AVV_NOTAIOti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) in persona del legale rappresentante pro tempore, e per essa, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultima in RomaINDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 1616/2018 del 27.3.2018, nel giudizio r.g. n. 2813/2012, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ex art. 2 d.lgs. n. 5/2003, notificato in data 8.10.2008, COGNOME NOME conveniva dinanzi il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per ivi sentir dichiarare la responsabilità contrattuale, ovvero extracontrattuale, della convenuta per aver alienato i diritti di opzione RAGIONE_SOCIALE giacenti sul deposito amministrato n. 503.0.234 di cui l’attore era titolare, con condanna della Banca a pagare la somma di € 271.927,27 di cui € 40.000,00 per danno non patrimoniale, oltre interessi e rivalutazione dalla domanda al saldo.
COGNOME rappresentava di esercitare professionalmente l’attività di consulente informatico finanziario e di aver, in tale veste, appreso che la RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato un aumento del capitale a pagamento mediante stacco dei diritti di opzione in Borsa, offrendo ai soci azioni al prezzo unitario € 1,00 secondo un rapporto di sottoscrizione di 6 azioni ogni 17 possedute e di aver appreso dal prospetto informativo che l’operazione avrebbe avuto predeterminate scansioni temporali. Sulla base delle azioni possedute e, al fine di recuperare la perdita accumulata da anni, l’attore aveva calcolato che avrebbe dovuto acquistare 452.500 diritti di opzione per poter poi disporre di 180.000 azioni RAGIONE_SOCIALE ad un prezzo medio di carico vicino ai prezzi correnti di borsa, confidando anche in un utile, nel caso di successo dell’operazione di aumento del capitale e conseguente aumento di valore delle azioni. In data 23.1.2008 l’attore aveva illustrato la propria strategia alla signora NOME COGNOME, dipendente della Banca; alla quale si era rivolto per regolarizzare il suo profilo di investitore ed aveva, così, acquisito la qualifica di “investitore professionale” per potersi muovere liberamente nell’esecuzione dell’operazione, tramite l’home banking. Il giorno successivo, 24.1.2008, COGNOME aveva acquistato, tramite il sito interno della Banca, 452.500 diritti
di opzione, sostenendo una spesa complessiva di € 45. 250 più commissioni e spese; aveva, quindi, comunicato alla. signora COGNOME che l’operazione era andata a buon fine e che avrebbe esercitato 467.500 diritti di opzione per l’acquisto di 165.000 nuove azioni. In data il 28.1.2008, accedendo al proprio conto deposito titoli, COGNOME aveva scoperto che la Banca il 24.1.2008, aveva impartito l’ordine di vendita di 467.500 diritti di opzione, diritti che erano stati venduti il giorno successivo all’asta di apertura del 25.1,2008 al prezzo di € 0,082 con una perdita immediata di € 7.096,60. A seguito della richiesta di spiegazioni rivolte telefonicamente alla Signora COGNOME, l’attore apprendeva dell’esistenza di una procedura automatica di vendita dei diritti di opzione acquistati dai clienti, nell’ipotesi in cui, riguardo agli stessi, non fossero state impartite istruzioni scritte entro l’ultimo giorno utile per la negoziazione. Dell’esistenza di detta procedura automatica COGNOME veniva reso edotto solo nel corso di detta telefonata. L’attore, ritenendo la Banca responsabile del danno conseguito dalla vendita dei diritti di opzione, richiedeva alla RAGIONE_SOCIALE il ripristino della posizione titoli sul proprio deposito, senza ricevere alcuna risposta e solo in data 22.2.2008 rinveniva, nella propria cassetta di posta presso la sede della Banca, la comunicazione relativa all’aumento di capitale RAGIONE_SOCIALE, con indicazione delle modalità per la partecipazione all’operazione e l’avviso di vendita automatica dei diritti in mancanza di istruzioni. La Banca, nel giugno successivo, rispondeva alle richieste del COGNOME e negava ogni responsabilità perché la necessità dell’ordine scritto emergeva sia dalla comunicazione di RAGIONE_SOCIALE relativa alla specifica, operazione che dal contratto stipulato con l’allora RAGIONE_SOCIALE in data 20.4.1990 che, infine, dal successivo aggiornamento Mifid, da cui in particolare si evinceva che «nel caso di esercizio del diritto di opzione il nostro Istituto provvede all’esecuzione delle operazioni solo a seguito di ordine scritta e previa versamento fondi».
Il Tribunale sulla base del disposto dell’alt 1838 c.c. riteneva sussistente per la Banca l’obbligo di vendere i diritti di opzione, in assenza, in tempo utile, di istruzioni scritte da parte del cliente, circa l’acquisto delle azioni, accompagnate dal versamento dei fondi occorrenti per l’operazione; escludeva che il prospetto prodotto dal COGNOME, potesse integrare l’ordine impartito per iscritto, atteso che risultava essere solo un quadro riepilogativo dell’acquisto dei diritti di opzione; escludeva di poter condividere l’interpretazione della norma su richiamata, che, secondo il COGNOME, non richiedendo la forma scritta per disporre la vendita dei diritti di opzione, analogamente doveva considerarsi che disponesse per l’ordine teso ad impedire detta vendita. Il Tribunale evidenziava che un’interpretazione siffatta risultava logicamente insostenibile e contraddetta dalle stesse allegazioni dell’attore, che aveva riferito come in occasione di altra operazione relativa all’esercizio dei diritti di opzione della RAGIONE_SOCIALE, si era comunque preoccupato di “formalizzare” tempestivamente l’ordine di acquisto. In assenza di ordine scritto, quindi, la Banca non aveva spazio per una condotta diversa da quella tenuta. Osservava, comunque, il Tribunale che la responsabilità della Banca dovesse ritenersi sussistente sotto altro profilo ed emergesse dalla condotta della signora COGNOME, impiegata della RAGIONE_SOCIALE, tenuta quest’ultima, quale mandataria per procedere nelle trattive sul prezzo di acquisto dei titoli, a comunicare al COGNOME quanto fosse necessario fare perché l’operazione andasse a buon fine, ex art. 1710, 2 comma c.c. La Banca, secondo il primo giudice, quando procede all’acquisto dei diritti di opzione, agisce come un mandatario in fase precontrattuale, atteso che detta fase può configurarsi come una preventiva trattativa finalizzata all’eventuale, ma non certo, acquisto delle azioni e in riferimento a detta fase la Banca avrebbe dovuto rendere edotto il mandante di quanto occorreva per la definizione dell’affare. In tale veste, quindi, ad avviso del Tribunale, la Banca risponde ex art. 1228 c.c. del
risarcimento del danno, limitato al mero interesse negativo, ovvero alle spese inutilmente sopportate e costituite dalla differenza dell’importo speso per l’acquisto dei diritti di opzione e quanto ricavato dalla vendita degli stessi, ovvero € 7. 096,60, oltre interessi dal 16.5.2008, data in cui la Banca risultava, con certezza, essere stata messa in mora.
L’attuale ricorrente proponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello di Bologna che rigettava l’appello del COGNOME ed accoglieva l’appello incidentale della banca rigettando tutte le domande poste in I grado. Per quanto qui di interesse la Corte, nel confermare il giudicato di I grado stabiliva anche che:
a) dagli esiti probatori era risultato: a1) che il ricorrente aveva contattato la Banca al solo fine di adeguare il suo profilo MIFID ed aveva riferito alla dipendente l’operazione che intendeva realizzare autonomamente ai soli fini meramente informativi; a2) la Banca aveva adeguatamente informato il ricorrente sull’esistenza della procedura automatica di vendita dei diritti in caso di mancato ordine scritto di diverso avviso con circolare del 14.1.2008, e la comunicazione era stata inserita nella cassetta postale del cliente b) che nessuna prova contraria adeguata era stata allegata e che il ricorrente non aveva sicuramente controllato la sua cassetta postale, tant’è che egli stesso ammette di aver chiesto alla dipendente COGNOME di compiere la verifica.
in ogni caso nel contratto sottoscritto dal ricorrente era previsto l’obbligo della Banca di vendere i diritti di opzione entro il termine di negoziazione degli stessi salvo diverso ordine scritto.
d) gli accertamenti istruttori confermavano la totale estraneità della Banca all’operazione per cui non era configurabile nemmeno la sancita responsabilità extracontrattuale così come richiesto dalla Banca nell’appello incidentale.
COGNOME NOME ha presentato ricorso con tre motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha presentato controricorso ed anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente deduce:
Con il primo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione dell’art. 1838 c.c. Dovere della Banca di attivarsi in tempo utile per ottenere le istruzioni del cliente. Violazione dell’art. 2697 c.c. Onere della prova dell’ invio della richiesta di istruzioni a carico della Banca (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.). La Corte non ha interpretato correttamente l’art. 1838, comma 2, c.c. che sancisce l’obbligo della Banca di chiedere in tempo utile istruzioni al depositante. La vendita automatica scatta soltanto in caso di mancata risposta del cliente alla richiesta di istruzioni. Ed avrebbe interpretato non correttamente la risposta del Teste COGNOME sull’avvenuto inserimento della circolare nella cassetta postale del COGNOME. Egualmente il ricorrente contesta il significato attribuito sulla vicenda del tutto analoga dell’aumento di capitale di RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo si denuncia: Violazione dell’art. 115 c.p.c. Assenza di contestazioni sulla circostanza della provvista necessaria del COGNOME per l’acquisto azioni (art. 360, comma 1, n.3 c.p.c.). La presenza della provvista non è mai stata contestata dalla Banca e la Corte ha violato il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.
3.
Con il terzo motivo si denuncia: Violazione degli art. 1218 e 1228
c.c. Responsabilità contrattuale della Banca per omissione informativa del proprio funzionario (art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.). Il dipendente della Banca, informato dell’operazione che sarebbe stata posta in essere dal ricorrente, aveva l’obbligo di renderlo edotto sulla necessità dell’ordine scritto, poiché anche se l’operazione era effettuata autonomamente dal cliente la sua complessità rendeva necessaria la collaborazione della Banca almeno sulle procedure necessarie, con particolare evidenza della necessità
dell’ordine scritto per non dismettere le opzioni; formalità non contrattualmente prevista.
3.1 I tre motivi possono trattarsi congiuntamente e sono inammissibili. A i sensi dell’art. 1838 c.c., con riferimento al deposito di titoli in amministrazione (al contrario delle attività previste dal primo comma, che concernono l’attività di tutela dei diritti inerenti ai titoli, e che la banca compie senza autorizzazione del cliente) in caso di esercizio – come nella specie – di diritti di opzione, la banca «deve chiedere in tempo utile istruzioni al depositante e deve eseguirle, qualora abbia ricevuto i fondi all’uopo occorrenti». Nel caso di mancanza di istruzioni, i diritti di opzione devono essere venduti per conto del depositante a mezzo di un agente di cambio». Orbene, la Corte d’appello ha accertato in fatto che, nel caso di specie, il COGNOME aveva acquistato in proprio, tramite banking on line, le opzioni, dopo avere acquisito la qualifica di investitore professionale, per potere concludere l’operazione in piena autonomia. La Corte ha accertato, poi, che sia nel contratto RAGIONE_SOCIALE del 20 aprile 1990, che nel successivo aggiornamento Mifid, era presente la clausola – sostanzialmente riproduttiva dell’art. 1838 c.c. – secondo cui «nel caso di esercizio del diritto di opzione il nostro Istituto provvede all’esecuzione delle operazioni solo a seguito di ordine scritto e previo versamento dei fondi». Il giudice di seconde cure ha accertato, quindi, che il COGNOME era consapevole della necessità di ordine scritto, perché già previsto dai suddetti contratti, oltre che da circolare immessa – e sul punto il ricorso tende ad una diversa, inammissibile, ricostruzione dei fatt i nella sua cassetta postale. A tale mancanza di istruzioni avrebbe fatto seguito, ai sensi dell’art. 1838 c.c., la vendita dei diritti di opzione, cosa effettuata dalla banca. L’ordine scritto mancava, tale non potendo considerarsi un prospetto contabile depositato in banca dal COGNOME, come non vi era prova della provvista, giacchè – al contrario di quanto sostenuto dall’istante anche in questa sede – la banca aveva reiteratamente
contestato, come accertato dal la Corte, l’esistenza della provvista. Nessuna assistenza all’operazione – ha correttamente rilevato la Corte -era necessaria, avendo il COGNOME svolto, in forza dell’acquisita competenza Mifid, in proprio l’operazione di acquisto dei diritti di opzione. Sul punto non c’è alcun giudicato, inoltre, essendo l’affermazione della Corte riferita, non all’esclusione della volontà di acquistare i diritti di opzione, come dice il ricorrente, bensì alla intenzione di acquisire la qualifica per il compimento dell’operazione in proprio. A fronte di tali motivate argomentazioni della Corte territoriale, i tre motivi si risolvono in un evidente tentativo di rivisitazione del merito, anche mediante richiesta di riesame delle prove espletate e valutate dal giudice di merito. È, peraltro, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici o delle risultanze istruttorie operata dal giudice di merito (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/04/2017, 8758; Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987)
4. Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità a favore del controricorrente che liquida in € 10.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione