Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11261 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11261 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16788/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 3092/2021, depositata il 22/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
NOME e NOME COGNOME proposero opposizione avverso il decreto con cui l Tribunale di Treviso aveva loro ingiunto, in solido con i germani NOME e NOME COGNOME, il pagamento di euro 8.122,64 in favore del dott. NOME COGNOME a titolo di compenso per l’attività di amministratore giudiziario dei beni ereditati da NOME COGNOME, da lui svolta da gennaio a ottobre 2015.
Le opponenti a sostegno dell’opposizione osservarono che il professionista non aveva adempiuto correttamente ai propri doveri di amministratore nell’anno 2015 ; non aveva effettuato pagamenti in favore di creditori dell’eredità, pur avendo a disposizione più che sufficiente provvista, non aveva venduto il raccolto e non aveva provveduto a sgombrare beni mobili che occupavano il compendio di proprietà delle opponenti; rilevarono inoltre che le ‘dimissioni’ da lui presentate, erano nulle, in quanto assunte in violazione dell’art. 1105 c.c.
Con la sentenza n. 1535/2018 il Tribunale di Treviso ritenne infondata l’eccezione di inadempimento proposta dalle opponenti. Rilevato, però, che parte della somma ingiunta era stata pagata ante causam da NOME e NOME COGNOME, il Tribunale revocò il decreto ingiuntivo e condannò in solido NOME e NOME COGNOME a pagare all’opposto la residua somma di euro 3.249,06.
La sentenza è stata impugnata da NOME e NOME COGNOME ma la Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame con la sentenza n. 3092/2021.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Sono state depositate memorie da entrambe le parti.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in sette motivi.
Il primo e il secondo motivo sono tra loro connessi.
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1105 c.c., 94 disp. att.
c.c. e 1727 c.c. in relazione alla possibilità da parte del dott. COGNOME di dimettersi’: a dire della ricorrente, la Corte d’appello, perseverando nell’errore compiuto dal giudice di primo grado, ritiene applicabile l’art. 1727 c.c. invece degli artt. 1105 c.c. e 94 disp. att. c.c., articoli che prevedono soltanto una possibile revoca da parte del giudice su istanza delle parti e non la possibilità di dimettersi.
b) Il secondo motivo contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1105 c.c., 94 disp. att. c.c. e 1129 c.c. in relazione alla considerazione del giudice di secondo grado, per la quale la mancata sostituzione immediata da parte dei coeredi dell’amministratore esonera lo stesso dal gestire l’ordinaria amministrazione’: gli artt. 1105 c.c. e 94 disp. att. c.c. affermano la possibilità di revoca giudiziaria dell’amministratore e non la sua possibilità di presentare dimissioni; l’art. 1129 c.c., riferito all’amministrazione di condominio, ma applicabile al caso in esame, prevede il regime della prorogatio , secondo il quale l’amministratore di condominio prosegue nell’esercizio dei suoi poteri fino al momento in cui l’assemblea non nomina un nuovo soggetto e questi non accetti la carica.
I due motivi sono infondati.
La Corte d’appello ha osservato che, nell’ambito di un’altra vertenza, NOME COGNOME aveva ottenuto il ‘ blocco ‘ del conto corrente utilizzato dal COGNOME nell’ambito dell’incarico gestorio, che gli era stato affidato nel 2008 dal Tribunale di Treviso e non era stato più in grado, da quel momento, di svolgere il suo incarico, così che la rinuncia all’incarico comunicata ai coeredi con congruo preavviso -era da considerarsi giustificata. Al riguardo i giudici di merito hanno ritenuto applicabile l’art. 1727 c.c., che subordina la rinuncia al mandato alla presenza di una giusta causa. L’applicazione della disposizione all’ amministratore della comunione ereditaria nominato dal giudice ai sensi dell’ultimo comma dell’art.
1105 c.c., è contestata dalla ricorrente in modo poco comprensibile. La Corte d’appello ha infatti correttamente richiamato, a conferma della applicabilità dell’art. 1727 c.c., l’orientamento di questa Corte relativo all’amministratore di condominio nominato dall’autorità giudiziaria ai sensi del primo comma dell’art. 1129 c.c., orientamento in base al quale la nomina dell’amministratore da parte del tribunale, in sostituzione dell’assemblea che non vi provvede, non muta la posizione dell’amministratore stesso, il quale, benché designato dall’autorità giudiziaria, instaura con i condomini un rapporto di mandato e non riveste la qualità di ausiliario del giudice (così Cass. 11717/2021, v. pure Cass. 21966/2017 richiamata dalla Corte d’appello).
Ora, se la ricorrente esclude nel primo motivo l’applicazione all’amministratore giudiziario della comunione l’art. 1727 c.c., ma poi nel secondo motivo sostiene invece che al caso in esame ‘ è da applicarsi la normativa relativa alla nomina degli amministratori di condominio ‘, normativa in relazione alla quale questa Corte (cfr. ad esempio Cass. n. 16698/2014) ha ritenuto applicabili le disposizioni dettate in materia di mandato già prima che il legislatore all’art. 1129, penultimo comma c.c., facesse espresso richiamo ‘per quanto non disciplinato nel presente articolo’ agli artt. 1703 -1730 c.c.’ (si veda al riguardo Cass. n. 7874/2021).
Quanto alla contestazione -mossa nel secondo motivo -secondo cui la Corte d’appello avrebbe affermato che la mancata sostituzione immediata da parte dei coeredi dell’amministratore esonera lo stesso dal gestire l’ordinaria amministrazione, si tratta di contestazione, da un lato, non corretta, in quanto la Corte d’appello non ha affatto parlato di sostituzione ‘immediata’, ma ha unicamente sottolineato che, a fronte del congruo preavviso dell’amministratore e della sua oggettiva impossibilità di operare a seguito del blocco del conto (v. al riguardo anche la sentenza di primo grado, pag. 3), spettava ai coeredi la nomina di un altro
amministratore, anche mediante ricorso al Tribunale, e dall’altro lato priva di specificità, in quanto nel motivo si parla genericamente di atti di ordinaria amministrazione, senza specificare quali atti COGNOME avrebbe dovuto compiere e non ha compiuto.
Il terzo, il quarto, il quinto e il sesto motivo sono tra loro strettamente connessi.
Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c., ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione al fatto che il mancato sgombero del capannone della ricorrente e la mancata vendita degli attrezzi e dei macchinari agricoli di proprietà dei coeredi fossero stati oggetto di richiesta da parte della ricorrente e avrebbero dovuto essere eseguiti precedentemente alle dimissioni di COGNOME
Il quarto motivo contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 1105 c.c., 94 disp. att. c.c. e 1129 c.c. in relazione al fatto che il giudice di secondo grado considera l’attività di sgombero dei capannoni e di vendita dei macchinari come di straordinaria amministrazione e dunque non più di competenza dell’amministratore successivamente alle sue dimissioni’.
Il quinto motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. in relazione alla considerazione del giudice di secondo grado per cui il mancato svolgimento da parte dell’amministratore di determinate attività non costituirebbe inadempimento perché suddette attività non sarebbero espressamente richiamate nel provvedimento di nomina dell’amministratore’: le attività di cui si è denunciato l’inadempimento da parte di COGNOME sono il mancato pagamento di debiti ereditari, l’omessa vendita di raccolti dell’anno 2015, il mancato sgombero degli immobili di proprietà della ricorrente dai mezzi agricoli e la mancata vendita degli stessi, la mancata divisione delle quote AVEPA; è di tutta evidenza che dette attività
vadano considerate come parte dell’attività di amministratore e il loro mancato svolgimento determina il mancato rispetto del dovere di diligenza prescritto dall’art. 1176, comma 2 c.c.
d) Il sesto motivo, infine, contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., ‘violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. in relazione alla considerazione del giudice di secondo grado per cui il mancato svolgimento da parte dell’amministratore di determinate attività non costituirebbe inadempimento perché detta mancanza non avrebbe danneggiato il ricorrente’: la stessa Corte d’appello ammette il mancato adempimento da parte di COGNOME dei propri doveri di amministratore, ma giustifica tale inadempimento con l’assenza di danno causato agli eredi.
Il terzo motivo è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 348 -ter , penultimo e ultimo comma c.p.c. (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, basandosi sulle stesse ragioni inerenti la questione di fatto, non può essere proposto per il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma c.p.c. Questa Corte ha poi specificato che nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. -deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023), indicazione che manca nel motivo fatto valere dalla ricorrente.
Quanto agli ulteriori motivi, va osservato che alla base della propria eccezione di inadempimento le opponenti hanno posto -oltre le illegittime dimissioni (su cui supra ) -le negligenze elencate nel quinto motivo, ossia l’omessa vendita di raccolti dell’anno 2015, il mancato pagamento di debiti ereditari, il mancato sgombero degli immobili di proprietà della ricorrente dai mezzi agricoli e la
mancata vendita degli stessi, la mancata divisione delle quote AVEPA. In relazione a tali omesse attività la Corte d’appello ha confermato l’accertamento del Tribunale: già i primi giudici avevano rilevato che per la mancata vendita dei raccolti vi era stato un accordo al riguardo con stoccaggio senza spese; che il ritardo nei pagamenti costituiva una prassi dell’amministratore a vantaggio dei coeredi; che il mancato sgombero degli immobili e la mancata vendita dei relativi mobili era stata richiesta con diffida dopo le dimissioni dell’amministratore e che, per la mancata divisione delle quote, le opponenti non avevano neppure provato in quale misura ne fossero titolari.
La Corte d’appello ha poi precisato che la vendita di attrezzi e macchinari agricoli costituisce attività di straordinaria amministrazione e che l’incarico dell’amministratore era stato chiaramente definito dal Tribunale (‘ redigere l’inventario dei beni presenti nell’azienda e amministrare la medesima, provvedendo a tutte le operazioni colturali e di mantenimento necessario, con autorizzazione a subentrare nei rapporti bancari e patrimoniali in genere riconducibili all’azienda e all’eredità di NOME NOME ‘) e non comprendeva attività diverse da quelle ordinarie, utili per la mera conservazione dei beni caduti in successione, nelle quali non rientrano certo attività di sgombero e di vendita ovvero di divisione di quote.
Si tratta di affermazioni giuridicamente corrette, che rispondono a orientamenti di questa Corte (se sono di ordinaria amministrazione gli atti di comune gestione dei beni e quelli che -ancorché comportanti una spesa -lo migliorino o anche solo lo conservino, ricadono invece nell’area dell’amministrazione straordinaria gli atti suscettibili di ridurli o di gravarli di pesi o vincoli, si veda al riguardo, da ultimo, Cass. n. 36370/2023) e che si fondano sull’accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito, come tale non censurabile da parte di questa Corte di legittimità.
Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., violazione ‘dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza o del procedimento per violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nella misura in cui il giudice di secondo grado pronuncia sui danni causati alla ricorrente, quando invece il giudizio riguarda l’opposizione alla richiesta dell’amministratore di essere retribuito per un’attività non svolta’.
Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello non ha affatto violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto non si è pronunciata su una domanda di risarcimento del danno proposta. La Corte d’appello si è infatti limitata a pronunciare sulla eccezione di inadempimento fatta valere dalle opponenti e in relazione a uno degli inadempimenti contestati, il mancato pagamento di alcuni debiti, ne ha sottolineato la ‘modesta’ entità e che non vi era stata diffida al riguardo e alcun pregiudizio per gli interessi dei coeredi e ha quindi confermato quanto statuito al riguardo dal Tribunale, senza per questo pronunciarsi su una domanda non proposta.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, che liquida in euro 2.000,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente,
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione