Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1922 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1922 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al R.G. n. 1682-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME, giusta procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE , in persona del curatore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME, giusta procura speciale in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1411/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 17/10/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/02/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2012 la RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio avanti il Tribunale di Imperia la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, chiedendo il trasferimento a suo favore, tramite sentenza ex art. 2932 c.c., di un appartamento con terrazzo/giardino e di un posto auto ubicato in Diano Marina. Il bene promesso in vendita era identificato sulla mappa allegata al contratto e il prezzo consisteva nella compensazione di un debito che la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avrebbe avuto per pregressi lavori fatti a suo favore dalla RAGIONE_SOCIALE.
La società convenuta, rimasta contumace, veniva successivamente dichiarata fallita. Il RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio dopo la scadenza dei termini concessi ex art. 183 comma 6° c.p.c., eccependo l’inammissibilità della domanda, perché di competenza del giudice fallimentare, oltre all’ insussistenza dei presupposti per il suo accoglimento.
Con sentenza n. 412/2018 il Tribunale di Imperia riteneva identificati i beni promessi in vendita a dispetto delle difformità nelle dimensioni dell’appartamento indicate nel preliminare (69 mq. effettivi contro i 78,50 metri commerciali indicati nel contratto preliminare) e del diverso orientamento dell’appartamento (esposto a nord anziché a sud), ad eccezione del posto auto che non era stato identificato e del terrazzo scoperto che era una porzione della corte comune, peraltro non
Ric. 2020 n. 01682 sez. S2 – ud. 15-02-2023 -2-
frazionata. In accoglimento parziale della domanda di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza emessa ai sensi dell’ art. 2932 c.c. trasferiva alla stessa società l’appartamento di cui è causa.
Avverso tale decisione proponeva appello il RAGIONE_SOCIALE, eccependo l’improcedibilità della domanda in sede ordinaria posta la presenza di una promessa di datio in solutum , che avrebbe imposto il previo accertamento del credito compensato con il prezzo, l’impossibilità di effettuare il trasferimento ex art. 2932 c.c. in quanto i beni promessi in vendita non erano stati compiutamente identificati, la mancata prova del credito oggetto di compensazione con il prezzo.
Con sentenza n. 411/2019, la Corte di Appello di Genova, nella resistenza dell’appellato, accoglieva il motivo di gravame riguardante l’indeterminatezza dei beni promessi in vendita e la loro diversità con quelli trasferiti con la sentenza appellata.
Contro tale decisione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, articolato in un unico motivo di ricorso, corredato da un quesito (non più necessario) e illustrato da memoria.
Ha resistito con controricorso il RAGIONE_SOCIALE , depositando anch’esso in prossimità dell’adunanza memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 2932 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. per errata o incompleta interpretazione del contratto preliminare oggetto di causa e conseguente erronea valutazione in ordine alla
possibilità di emettere sentenza produttiva degli effetti del contratto non concluso.
Sostiene la ricorrente che il giudice di appello ha fatto riferimento esclusivamente sulla descrizione letterale contenuta nel contratto preliminare, omettendo di prendere in esame, ai fini dell’interpretazione dell’effettiva volontà delle parti, la planimetria che era a tale contratto allegata e che nel testo negoziale era espressamente richiamata. L’esame congiunto di planimetria e clausola contrattuale avrebbe invece dovuto attribuire rilevanza alla prima, che offriva una rappresentazione conforme allo stato dei luoghi, così da osservare anche il principio di conservazione del contratto.
2.Il motivo è destituito di fondamento.
Nel caso di specie la sentenza impugnata ha precisato: – che una parte essenziale di quanto promesso in vendita (terrazzo/giardino), considerato unitariamente dalle parti ai fini del trasferimento, non era in realtà trasferibile, perché di proprietà comune (sul punto la sentenza di primo grado è passata in giudicato); -che la parte residua costituita dall’appartamento ‘ vero e proprio ‘ ha ‘ caratteristiche differenti da quanto promesso in vendita ‘, sia per la riduzione del 13% della superficie commerciale (rilevante in un appartamento di modeste dimensioni) sia per la diversa (e non irrilevante) ubicazione dello stesso (a nord anziché a sud, con ricadute sulle temperature interne dell’immobile ). Tali rilievi hanno condotto la Corte distrettuale a riscontrare ‘ una non superabile difformità fra unità immobiliare promessa in vendita ed unità immobiliare esistente nella realtà ‘ e, dunque, a ritenere fondato il motivo di gravam e data ‘ una profonda diversità fra i beni promessi in vendita ed i beni trasferiti con la sentenza oggi appellata ‘ .
Secondo la ricorrente, ‘ verosimilmente ‘, la planimetria allegata anziché la clausola contrattuale avrebbe consentito alla Corte di appello una migliore individuazione dell’oggetto del contratto, in contrasto con la descrizione contenuta nella clausola 2 dello stesso, che non coincideva con la realtà esistente.
La giurisprudenza di questo Giudice ha affermato che ‘ le piante planimetriche allegate ai contratti aventi ad oggetto immobili fanno parte integrante della dichiarazione di volontà, quando ad esse i contraenti si siano riferiti nel descrivere il bene, e costituiscono mezzo fondamentale per l’interpretazione del negozio, salvo, poi, al giudice di merito, in caso di non coincidenza tra la descrizione dell’immobile fatta in contratto e la sua rappresentazione grafica contenuta nelle dette planimetrie, il compito di risolvere la “quaestio voluntatis” della maggiore o minore corrispondenza di tali documenti all’intento negoziale ricavato dall’esame complessivo del contratto’ (Cass. n. 4934/2014). È stato ulteriormente precisato che ‘ la difformità tra i dati risultanti da un contratto avente ad oggetto beni immobili e la richiamata planimetria, ad esso allegata, involge una questione di fatto, che il giudice di merito deve risolvere ricostruendo la volontà delle parti alla luce del testo complessivo degli atti, rimanendo la sua decisione sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto i profili del rispetto dei criteri legali di interpretazione e del difetto di motivazione ‘ (Cass. n. 12594/2013).
2.1.Il motivo di ricorso (peraltro incentrato sul vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., cui non corrisponde il contenuto dei rilievi svolti, non essendo censurata alcuna norma processuale: da qui la sua inammissibilità dedotta dalla
contro
ricorrente) non solo non aggredisce la sentenza impugnata sul punto del difetto di motivazione, ma neppure è formulato secondo i criteri richiesti da questa Corte qualora venga censurata la violazione di regole ermeneutiche. In questo caso ‘ il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito, alternativamente: 1) si sia discostato dai canoni legali assuntivamente violati; 2) li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti ‘ (Cass. n. 30686/2019), non essendo consentito ‘ alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra ‘, posto che ‘ quella data dal giudice al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto ma una delle possibili e plausibili interpretazioni ‘ (Cass. n. 7963/2018; Cass. n. 10891/2016).
Niente di questo si rinviene nel mezzo di ricorso, nel quale il sindacato sulla violazione delle regole di ermeneutica finisce per ‘ investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ‘ (Cass. n. 5670/2019).
Quanto all’unico e meno generico richiamo alla violazione dell’art. 1367 c.c. si deve rilevare , unitamente a precedenti di
questo Giudice, che ‘ il criterio ermeneutico contenuto nell’art. 1367 cod. civ. – sussidiario rispetto a quello principale di cui all’art. 1362 comma 1 cod. civ. – condivide il limite comune agli altri criteri sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è rivolto, non può essere autorizzata attraverso l’interpretazione sostitutiva della volontà delle parti ‘ (Cass. n. 28357/2011), quale quella che la ricorrente si proporrebbe in questa sede di ottenere.
3.Alla luce dei rilievi svolti, il ricorso va rigettato e la ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, in forza del principio della soccombenza.
4.Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda