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Diffida ad adempiere: quando non è legittima

Un promittente venditore di un terreno agricolo ha inviato una diffida ad adempiere ai promissari acquirenti, chiedendo poi la risoluzione del contratto. I tribunali, fino alla Cassazione, hanno dato torto al venditore. La Corte ha stabilito che la diffida ad adempiere è uno strumento a disposizione della parte adempiente, non di quella che è essa stessa in torto. Nel caso specifico, i compratori avevano regolarmente effettuato i pagamenti concordati, anche estinguendo debiti del venditore con le banche, mentre il venditore si era ingiustificatamente rifiutato di procedere alla vendita definitiva.

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Diffida ad adempiere: Attenzione a chi la invia!

Nel mondo dei contratti, la diffida ad adempiere rappresenta uno strumento potente per risolvere le situazioni di stallo causate dall’inadempimento di una delle parti. Tuttavia, il suo utilizzo non è privo di regole e, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione, può ritorcersi contro chi la usa in modo improprio. La Corte ha infatti ribadito un principio fondamentale: chi invia la diffida deve essere, a sua volta, la parte adempiente o, comunque, non in torto. Analizziamo insieme questo interessante caso pratico.

I Fatti di Causa

La vicenda nasce dalla stipula di un contratto preliminare per la compravendita di un vasto terreno agricolo. I promissari acquirenti si erano impegnati a versare il prezzo pattuito, in parte direttamente al venditore e in parte estinguendo dei debiti che quest’ultimo aveva con due istituti di credito, liberando così l’immobile da un’ipoteca.

Nonostante i pagamenti fossero stati effettuati come da accordi, anche tramite l’avvocato incaricato dallo stesso venditore di trattare con le banche, il venditore si rifiutava di stipulare il contratto definitivo. Anzi, inviava ai compratori una diffida ad adempiere, accusandoli di non aver saldato il prezzo, e successivamente agiva in giudizio per la risoluzione del contratto.

I promissari acquirenti, a loro volta, si rivolgevano al Tribunale per ottenere una sentenza che trasferisse coattivamente la proprietà del terreno, ai sensi dell’art. 2932 del codice civile, offrendosi di saldare l’eventuale residuo prezzo e chiedendo il risarcimento dei danni.

La Decisione dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione ai promissari acquirenti. I giudici hanno accertato che i compratori avevano adempiuto a tutti i loro obblighi contrattuali. I pagamenti erano stati eseguiti, sia con assegni intestati al venditore, sia tramite versamenti sul conto del suo avvocato, che aveva poi estinto i debiti bancari e ottenuto la cancellazione dell’ipoteca.

La Corte d’Appello ha ritenuto la diffida ad adempiere inviata dal venditore come “pretestuosa e preordinata a sottrarsi all’adempimento”. Era emerso, infatti, che il venditore aveva continuato a ricevere acconti anche dopo la data fissata per il rogito definitivo, dimostrando così di non considerare essenziale quel termine. Di conseguenza, è stato provato l’inadempimento del venditore e l’adempimento in buona fede degli acquirenti.

L’analisi della Cassazione sulla diffida ad adempiere

Il venditore, non soddisfatto, ha proposto ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tutti respinti dalla Suprema Corte. Il punto cruciale dell’analisi della Corte riguarda proprio la legittimità della diffida ad adempiere.

La Cassazione ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui lo strumento della diffida, previsto dall’art. 1454 c.c., è a disposizione del contraente che “subisce” l’inadempimento altrui. Per poter intimare alla controparte di adempiere, pena la risoluzione del contratto, è necessario essere la “vittima” dell’inadempimento e non il “carnefice”.

Nel caso esaminato, al momento dell’invio della diffida, l’unica parte inadempiente era il promittente venditore, che si rifiutava di procedere alla vendita nonostante avesse ricevuto i pagamenti e avesse beneficiato dell’estinzione dei propri debiti. Pertanto, la sua diffida era priva di qualsiasi effetto giuridico.

Le Motivazioni

La decisione della Corte si fonda su principi giuridici chiari e consolidati. In primo luogo, la ratio dell’art. 1454 c.c. è quella di offrire una tutela rapida alla parte adempiente, consentendole di liberarsi dal vincolo contrattuale senza dover attendere i tempi di una pronuncia giudiziale. Questo strumento, però, presuppone una chiara posizione di “diritto” da parte di chi lo utilizza.

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che la valutazione sull’inadempimento delle parti e sulla sua gravità è un accertamento di fatto che spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello) e non può essere riesaminato in sede di legittimità, se non per vizi logici o giuridici che in questo caso non sussistevano. La ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello è stata ritenuta ampiamente motivata e logica.

Infine, la Corte ha respinto anche gli altri motivi di ricorso, tra cui quelli relativi alla presunta errata valutazione delle prove testimoniali e documentali, e quelli sulla liquidazione delle spese legali, ritenendoli inammissibili o infondati.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per chi si appresta a utilizzare la diffida ad adempiere. Prima di inviare una tale intimazione, è fondamentale effettuare un’attenta e onesta valutazione della propria posizione contrattuale. Se si è a propria volta inadempienti, anche solo parzialmente, la diffida non solo sarà inefficace, ma potrebbe addirittura costituire un elemento a proprio sfavore in un eventuale giudizio, dimostrando un comportamento contrario a buona fede. La vicenda insegna che, nei rapporti contrattuali, la correttezza e l’adempimento dei propri obblighi sono il presupposto indispensabile per poter pretendere lo stesso dalla controparte.

Chi può validamente utilizzare lo strumento della diffida ad adempiere?
La diffida ad adempiere può essere legittimamente inviata solo dalla parte di un contratto che ha adempiuto o è pronta ad adempiere alle proprie obbligazioni e che subisce l’inadempimento della controparte.

Cosa succede se la parte che invia la diffida è essa stessa inadempiente?
Se la parte che invia la diffida è a sua volta inadempiente, la diffida è inefficace e non produce l’effetto risolutorio del contratto. Anzi, come nel caso di specie, può essere considerata un atto pretestuoso e contrario a buona fede.

Il pagamento a un avvocato incaricato dal venditore è considerato un adempimento valido da parte del compratore?
Sì. La Corte ha ritenuto che i pagamenti effettuati dai compratori all’avvocato, che aveva ricevuto un incarico specifico dal venditore per trattare con le banche e estinguere i debiti, costituissero un corretto adempimento degli obblighi contrattuali da parte degli acquirenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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