Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3172 Anno 2025
SENTENZA
sul ricorso N. 9386/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
– intimate – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Napoli recante il n. 4831/2022 depositata il 16.11.2022;
udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del 16 dicembre 2024 dal consigliere dr. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa NOME COGNOME che ha chiesto l ‘ accoglimento del terzo motivo di ricorso per quanto di ragione, con rigetto nel resto;
udito l ‘ avv. NOME COGNOME per delega dell ‘ avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME debitore esecutato nella procedura esecutiva iscritta al N. 348/2007 R.G.E., pendente dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a seguito di pignoramento immobiliare eseguito in suo danno dalla Banca di Credito Popolare s.c.p.a., propose opposizione all ‘ esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. con ricorso del 19.9.2008, contestando il diritto di procedere ad esecuzione forzata del creditore pignorante, per difetto di titolo esecutivo (cambiale non in regola con l ‘ imposta di bollo). Il giudice dell ‘ esecuzione respinse l ‘ istanza di sospensione e la procedura seguì pertanto il suo corso; introdotto frattanto il giudizio di merito dall ‘ opponente, il Tribunale sammaritano accolse però l ‘ opposizione con sentenza n. 1524/2013 del 18.7.2013, dichiarando l ‘ inesistenza del diritto della Banca di procedere ad esecuzione forzata in forza del detto titolo cambiario e disponendo anche l ‘ inserimento della sentenza stessa nel fascicolo d ‘ ufficio della procedura esecutiva. Ciononostante, quest ‘ ultima
proseguì ulteriormente – senza che la suddetta questione venisse affrontata, né sollecitata da alcuno – fino all ‘ aggiudicazione dell ‘ immobile pignorato, da parte del professionista delegato, in data 23.2.2018, in favore della RAGIONE_SOCIALE con successiva emissione e pubblicazione del decreto di trasferimento in data 27.11.2018. Il giorno successivo, dunque il 28.11.2018, NOME COGNOME propose al giudice dell ‘ esecuzione istanza ex art. 486 c.p.c. perché venisse dichiarata l ‘ improcedibilità della procedura, previa sospensione; il giudice dapprima sospese la procedura con decreto inaudita altera parte , ma con ordinanza del 27.3.2019 dispose procedersi oltre, assegnando il termine per l ‘ introduzione del giudizio di merito ex art. 616, comma 2, c.p.c. (così interpretando l ‘ istanza come una ulteriore opposizione all ‘ esecuzione proposta dal COGNOME) e rimettendo gli atti al professionista delegato perché predisponesse il progetto di distribuzione. Introdotto dal COGNOME il giudizio di merito, si costituirono la Banca di Credito Popolare (che frattanto aveva spiegato atto d ‘ intervento nella procedura esecutiva per il medesimo credito di cui alla cambiale, ma in forza di decreto ingiuntivo successivamente conseguito), Ubi Banca e l ‘ Agenzia delle EntrateRiscossione (AdER), mentre la RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito della procedente, nonché la RAGIONE_SOCIALE, aggiudicataria dell ‘ immobile, rimasero contumaci. L ‘ adito Tribunale rigettò l ‘ opposizione con sentenza del 24.9.2021, rilevando che l ‘ acquisto della RAGIONE_SOCIALE, benché avvenuto in seno ad una procedura che non aveva più ragion d ‘ essere (stante l ‘ accoglimento dell ‘ opposizione all ‘ esecuzione con sentenza del 18.7.2013), era tuttavia da considerare valido ed efficace, in forza del disposto dell ‘ art. 2929 c.c. e del principio di affidamento in favore del terzo aggiudicatario.
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Il COGNOME propose quindi gravame e la Corte d ‘ appello di Napoli, con sentenza del 16.11.2022, lo rigettò, confermando la prima statuizione e rilevando che, al lume dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., l ‘ esecutato opponente aveva manifestato un atteggiamento tendenzialmente inerte e dunque non meritevole di tutela, attivandosi per il riconoscimento delle sue ragioni solo a seguito dell ‘ aggiudicazione dell ‘ immobile in favore della RAGIONE_SOCIALE e così ledendo il legittimo affidamento dei creditori. La Corte partenopea confermò poi la statuizione di rigetto delle domande subordinate proposte dal COGNOME per la restituzione delle somme ricavate dalla vendita e per il risarcimento del danno, non avendo il COGNOME stesso reagito in alcun modo alla disposta distribuzione, i cui esiti erano oramai irretrattabili. Infine, quanto alla domanda ex art. 96, comma 2, c.p.c., pure proposta dal COGNOME, la Corte d ‘ appello escluse che l ‘ appellante avesse fornito idonea prova del danno subito a causa del preteso svilimento del prezzo di vendita.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di tre motivi, cui resiste con controricorso la Banca di Credito Popolare s.c.p.a. I restanti intimati non hanno svolto difese. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta, con cui ha chiesto l ‘ accoglimento del terzo motivo per quanto di ragione, con rigetto nel resto. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in riferimento all ‘ art. 474 c.p.c., ‘ nonché per contraddittoria motivazione e per insufficiente esame dei punti decisivi della controversia prospettati dalle parti e per un insanabile
contrasto tra le argomentazioni adottate ed i fatti in giudizio, contrasto che non consente l ‘ identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ‘. Sostiene il ricorrente che, una volta definitasi la prima opposizione all ‘ esecuzione con la citata sentenza n. 1524/2013, che aveva dichiarato l ‘ inesistenza del diritto della pignorante di procedere ad esecuzione nei suoi confronti, null ‘ altro egli doveva fare, ben attendendosi che la procedura esecutiva (non sospesa e dunque proseguita) sarebbe stata dichiarata improcedibile, tanto più che il Tribunale aveva disposto l ‘ inserimento di copia della sentenza stessa nel fascicolo d ‘ ufficio della procedura e che essa era stata redatta dal medesimo magistrato che svolgeva la funzione di giudice dell ‘ esecuzione in detta procedura. Rileva poi che, proposta la seconda opposizione all ‘ esecuzione, rigettata dal Tribunale sammaritano con sentenza n. 3133/2021, esso ricorrente aveva invocato col gravame l ‘ insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 61/2014, che imponeva l ‘ immediato arresto della procedura esecutiva, in quanto iniziata da soggetto privo di titolo esecutivo, irrilevanti essendo gli interventi successivi di altri creditori, anche se titolati; e sostiene inoltre che l ‘ invalidità e/o inefficacia degli atti dell ‘ esecuzione forzata siano opponibili anche all ‘ aggiudicatario. Su tali premesse, il ricorrente si duole del percorso decisorio della Corte d ‘ appello di Napoli, che – pur ritenendo che la vicenda fosse astrattamente sussumibile nell ‘ egida del citato insegnamento nomofilattico – ha tuttavia affermato che l ‘ inerzia da esso esecutato tenuta nel corso della procedura, dopo aver conseguito la sentenza favorevole sulla prima opposizione, era tuttavia lesiva del principio di affidamento dei creditori e dell ‘ aggiudicatario: l ‘ essersi attivato
solo dopo l ‘ aggiudicazione dell ‘ immobile staggito in favore di RAGIONE_SOCIALE, secondo il giudice d ‘ appello, si pone in contrasto con i principi di correttezza e buona fede, ex artt. 1175 e 1375 c.c., applicabili anche al rapporto processuale tra le parti del processo esecutivo. In proposito, il ricorrente evidenzia la manifesta contraddittorietà del ragionamento seguito dal giudice d ‘ appello, che si pone in frontale contrasto con l ‘ insegnamento della citata Cass., Sez. Un., n. 61/2014, in tal modo sanando una procedura esecutiva del tutto improcedibile, in quanto incardinata in violazione dell ‘ art. 474 c.p.c., e non esprimendosi sulla domanda di improcedibilità; ciò presumendo che esso COGNOME fosse a conoscenza che la procedura, nonostante la sentenza di accoglimento dell ‘ opposizione, avesse avuto regolare corso, come se egli avesse voluto approfittare della situazione, attendendo il momento più propizio per sollevare la questione; ma di detta conoscenza non v ‘ è però prova alcuna, ma solo supposizioni. Infine, il ricorrente evidenzia che, nella specie, ad aver agito in mala fede è proprio la banca creditrice pignorante, ben a conoscenza dell ‘ esito del primo giudizio di opposizione e, ciononostante, incurante delle conseguenze che ne derivavano.
1.2 Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell ‘ art. 112 c.p.c., e dell ‘ art. 24 Cost., ai sensi dell ‘ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorrente si duole della violazione del principio del contraddittorio da parte del giudice d ‘ appello, che ha sostituito le ragioni della decisione adottate dal Tribunale con motivazioni fondate sui principi di buona fede e correttezza verso i creditori, questioni che non erano mai state affrontate dalle parti nel processo (detti principi erano stati
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richiamati dal Tribunale solo a conferma della ritenuta stabilità della vendita forzata in favore della RAGIONE_SOCIALE.
1.3 Con il terzo motivo si denuncia la violazione, falsa applicazione e comunque errata applicazione degli artt. 2043 c.c. e 96, comma 2, c.p.c. in relazione all ‘ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Il ricorrente, premesso di aver chiesto nei precedenti gradi di giudizio, in via subordinata, la restituzione della somma di € 21.180,00, oltre accessori, conseguita dalla vendita dell ‘ immobile pignorato, nonché il risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c. (pari alla differenza tra il valore effettivo dell ‘ immobile venduto e quello ricavato dalla vendita), nella misura di € 146.964,50, nonché del danno non patrimoniale, contesta la decisione della Corte partenopea che ne ha negato ingresso sul rilievo che esso COGNOME non aveva reagito alla disposta distribuzione del ricavato con gli strumenti offerti dall ‘ ordinamento, pur potendo farlo proprio in forza della ripetuta sentenza del 2013; e che comunque non era stata data prova del danno. Rileva il ricorrente, quanto al primo profilo, che la domanda risarcitoria non è stata rivolta alla procedura esecutiva, ma al creditore procedente, che aveva dato corso alla procedura in difetto di titolo idoneo; nonché, quanto al secondo profilo, che la parte che assume essere stata danneggiata dalla condotta processuale della controparte ha solo l ‘ onere di allegare e provare la sussistenza dell ‘ elemento oggettivo e dell ‘ elemento soggettivo della fattispecie, il che era regolarmente avvenuto.
2.1 Prima di affrontare il merito cassatorio, ritiene la Corte di dover necessariamente premettere che la complessa vicenda processuale che ha condotto fino a questo giudizio di legittimità si presta (almeno) a due differenti
visualizzazioni prospettiche: richiamando categorie proprie del giuspositivismo, l ‘ una emergente sotto il profilo del sollen , l ‘ altra del sein .
2.2 Nella prima prospettiva – sulla scorta delle vigenti disposizioni normative, nonché di oramai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità -, una volta presentata dal COGNOME la ‘ istanza ex art. 486 c.p.c. ‘ del 28.11.2018, il giudice dell ‘ esecuzione sammaritano, preso atto della propria mancata declaratoria di improcedibilità della procedura esecutiva N. 348/2007 R.G.E. (invero, necessaria al lume del noto insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 61/2014, di cui meglio si dirà infra ), avrebbe dovuto limitarsi a provvedere sull ‘ istanza stessa secondo il suo significato letterale e pratico (riassunto a p. 10 del ricorso, in quanto volto a far dichiarare la immediata sospensione della procedura e, dopo, la sua improcedibilità; ma occorre notare che l ‘ istanza, prodotta dal ricorrente nel fascicolo di primo grado, mirava preliminarmente ad impedire ‘ l ‘ imminente emissione del decreto di trasferimento ‘ ). Il giudice, infatti, avrebbe dovuto evidenziare, da un lato, l ‘ intangibilità dell ‘ acquisto dell ‘ immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE, oramai consacrato nel decreto di trasferimento in realtà già pubblicato appena un giorno prima, ossia il 27.11.2018 (pronuncia regolarmente adottata), e dall ‘ altro avrebbe dovuto pronunciare la chiusura anticipata della procedura esecutiva (sulla base del principio affermato dalla citata Cass., Sez. Un., n. 61/2014), comunque disponendo il pagamento del ricavato della vendita in favore del debitore esecutato, secondo il principio del pretium succedit in locum rei : quella vendita non avrebbe dovuto svolgersi, ma se – stante l ‘ insopprimibile e prevalente esigenza di tutela dell ‘ aggiudicatario, affermata da Cass., Sez. Un., n.
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21110/2012 – i suoi effetti restavano comunque irretrattabili a beneficio dell ‘ aggiudicatario, non solo era possibile, ma pure doveroso che l ‘ esecutato ne conseguisse almeno il ricavato, impregiudicata ogni altra questione.
Avverso una simile decisione le parti avrebbero potuto se del caso azionare gli strumenti offerti dall ‘ ordinamento e, segnatamente, una eventuale opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., nel cui ambito far valere le proprie ragioni.
2.3.1 Senonché, con la ordinanza del 27.3.2019, il giudice dell ‘ esecuzione ha esitato detta istanza rigettandola tout court , addirittura ordinando al professionista delegato di predisporre il progetto di distribuzione, nonché qualificando l ‘ istanza stessa come una nuova opposizione endoesecutiva, da parte del COGNOME (con l ‘ assegnazione del termine ex art. 616 c.p.c. per l ‘ introduzione del giudizio di merito), benché essa, all ‘ evidenza, altro non fosse se non una sollecitazione dei poteri direttivi del giudice dell ‘ esecuzione, onde conseguire la declaratoria di improcedibilità (o di chiusura anticipata) della procedura.
2.3.2 Tale impropria impostazione, non contestata da alcuna delle parti, non solo ha dato la stura al processo che occupa (assolutamente non necessario, stando al tenore di quanto richiesto dall ‘ esecutato), vieppiù complicando le sorti della presupposta esecuzione forzata, ma impone a questa Corte di esaminare la complessa vicenda nella prospettiva del sein (v. supra, par. 2.1), giacché sulla qualificazione dell ‘ iniziativa processuale avviata dal Ventura con l ‘ istanza del 28.11.2018, nel senso indicato dal giudice dell ‘ esecuzione, s ‘ è chiaramente pronunciata la Corte d ‘ appello ed è quindi sceso il giudicato, una simile statuizione non essendo stata impugnata.
Si è dunque al cospetto di una opposizione all ‘ esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c. (così la sentenza impugnata, in particolare alle pp. 3-5), con cui il COGNOME ha contestato il diritto della Banca di Credito Popolare s.c.p.a. di procedere ad esecuzione forzata, e ciò in forza del giudicato derivante da Trib. Santa Maria Capua Vetere n. 1524/2013, il pignoramento essendo stato eseguito in assenza di un valido titolo esecutivo: ciò, lo si ripete per chiarezza, quale immediato corollario della suddetta qualificazione giuridica della domanda, oramai coperta dal giudicato interno formatosi sul punto e, così, non ulteriormente discutibile. Benché il COGNOME abbia in realtà proposto, con l ‘ istanza del 28.11.2018, una mera ‘ domanda di improcedibilità ‘ (così, anodinamente, la stessa sentenza impugnata, p. 15, non senza contraddizione rispetto alla pur illustrata qualificazione, data poche pagine prima), id est non abbia depositato, con essa, un vero e proprio ricorso al giudice dell ‘ esecuzione ex art. 615, comma 2, c.p.c., questa Corte è dunque impossibilitata ad emettere i conseguenti provvedimenti ai sensi dell ‘ art. 382, comma 3, c.p.c., con la cassazione senza rinvio della sentenza d ‘ appello e di quella di primo grado a causa dell ‘ inammissibilità originaria della domanda di merito proposta con atto di citazione del 30.4.2019 (e ciò anche al lume della violazione della struttura bifasica dell ‘ opposizione, su cui, per tutte, v. Cass. n. 25170/2018).
Infatti, è stato di recente condivisibilmente specificato che ‘ Il giudicato si forma anche sulla qualificazione giuridica data dal giudice alla domanda se la parte interessata non ha proposto specifica impugnazione, salvo i casi in cui tale qualificazione o non ha condizionato l ‘ impostazione e la definizione dell ‘ indagine di merito, o è incompatibile con le censure formulate dall ‘ appellante, o non ha
formato oggetto di contestazione tra le parti, o quando si tratti soltanto di stabilire, fermi i fatti accertati, quale norma debba applicarsi ad una determinata fattispecie concreta ‘ (così, Cass. n. 31330/2023) .
Non v ‘ è dubbio, per quanto già detto, che nella specie non ricorra nessuna delle ipotesi eccettuative richiamate dal suesposto principio, sicché il giudicato interno formatosi sulla qualificazione della domanda, benché assolutamente eccentrico rispetto a quella originariamente formulata con l ‘ istanza ex art. 486 c.p.c. del 28.11.2018, non consente di adottare i provvedimenti che avrebbero consentito di riportare l ‘ anomalo svolgimento del processo che occupa sul binario corretto. 3.1 Ciò chiarito, l ‘ accoglimento del primo motivo segue de plano , nei limiti che verranno appresso illustrati.
Infatti, non può che richiamarsi il già più volte citato insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 61/2014, che ha affermato in modo assolutamente condivisibile, tanto da essere pedissequamente richiamato dall ‘ intera giurisprudenza successiva sul punto, che ‘ Nel processo di esecuzione forzata, al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell ‘ esecuzione sull ‘ impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. Tuttavia, occorre distinguere: a) se l ‘ azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l ‘ intervento, poiché nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile; b) se il difetto del titolo posto a fondamento dell ‘ azione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo
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impedisce che l ‘ azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l ‘ estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente ha conservato validità ‘ .
Pertanto, trattandosi nella specie di un pignoramento eseguito in forza di un atto (cambiale non in regola con l ‘ imposta di bollo) non costituente titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c., come accertato con efficacia di giudicato dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 1524/2013, non v ‘ è dubbio che l ‘ azione esecutiva così intrapresa avrebbe dovuto essere dichiarata senz ‘ altro improcedibile, non essendo suscettibile di ‘sopravvivere’ all’ accoglimento della prima opposizione all ‘ esecuzione: in tali condizioni, dunque, la circostanza che risultassero intervenuti nella procedura altri creditori titolati, addirittura prima dell ‘ emissione della suddetta sentenza (indicati dal ricorrente in Equitalia RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e Banca Popolare di Ancona s.p.a.) è assolutamente irrilevante, perché il pignoramento è affetto da illegittimità sostanziale ab origine e la procedura avrebbe dovuto definitivamente arrestarsi, a prescindere da ogni altra considerazione, posto che nessuno dei predetti intervenuti aveva effettuato un pignoramento autonomo, ex art. 493 c.p.c.
3.2 Né può farsi riferimento – come invece opinato dalla Corte partenopea – ad una presunta lesione del principio di affidamento in capo ai creditori coinvolti, ad opera del COGNOME, che nella sostanza avrebbe abusato del proprio diritto, attendendo strumentalmente circa cinque anni per sollevare la questione del giudicato nella prima occasione apparsagli utile (ossia una volta concretizzatosi l ‘ effettivo pericolo di perdere definitivamente il bene pignorato, a seguito dell ‘ aggiudicazione in favore della RAGIONE_SOCIALE: in tale ottica, secondo la Corte
d ‘ appello, detta lesione comporterebbe sostanzialmente l ‘ impossibilità, per la parte che se ne sia resa responsabile, di far valere diritti che avrebbero potuto invocarsi con maggiore tempestività, sicché la pretesa del COGNOME, per quanto astrattamente fondata – al lume della giurisprudenza più volte richiamata -, non sarebbe accoglibile.
In realtà – a parte la sterilità di una simile intenzione da parte del COGNOME, se effettiva, giacché destinata ad infrangersi sulla regola dettata dall ‘ art. 2929 c.c. (su cui v. infra ) -, il ragionamento seguito dalla Corte d ‘ appello non è affatto condivisibile: la Corte territoriale estende, infatti, il dovere di comportamento secondo correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. anche al rapporto tra le parti del processo, richiamando pure a sostegno l ‘ elaborazione giurisprudenziale consolidatasi sul diverso tema della tutela dell ‘ aggiudicatario, ossia di un soggetto di regola estraneo al processo esecutivo.
Non senza dire che – come correttamente evidenziato dallo stesso ricorrente e, sia pure ad altri fini, dal Procuratore Generale – se comportamento contrario a buona fede deve ascriversi a carico dello stesso COGNOME, resterebbe comunque incomprensibile come analogo giudizio non possa spendersi (e non sia stato speso dalla Corte partenopea) nei riguardi del creditore procedente, che, ben consapevole del giudicato derivante dalla sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere n. 1524/2013, ha insistito nella prosecuzione del processo esecutivo, scientemente portandolo con il proprio impulso all ‘ esito finale, nonostante il chiarissimo principio affermato dalla ripetuta Cass., Sez. Un., n. 61/2014: da un semplice esame del citato arresto, tutt ‘ altro che di difficile lettura, la Banca di Credito Popolare ben avrebbe potuto desumere che quel
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processo esecutivo giammai avrebbe potuto continuare il suo corso – e ciò, beninteso, quali che siano state le ragioni per cui il giudice dell ‘ esecuzione non ne rilevò, singolarmente, di ufficio l ‘ improcedibilità -, non essendo sufficiente il deposito di un ulteriore atto d ‘ intervento da parte sua e per lo stesso credito, benché stavolta regolarmente titolato, come pure avvenuto. L’originaria carenza di titolo esecutivo, infatti, in difetto di allegazione della presenza nella procedura di altro creditore munito di titolo esecutivo, a sua volta autore di un pignoramento successivo ex art. 493 c.p.c., ha comportato il travolgimento ex tunc di tutti gli atti di quella, esclusi solo, a tutela dell’aggiudicatario, aggiudicazione e trasferimento del bene staggito (sul punto, v. infra ).
Elementari regole di prudenza avrebbero dunque consigliato, quantomeno, di ‘ sottoporre al giudice dell ‘ esecuzione la questione affinché valutasse se il pignoramento potesse considerarsi validamente ‘ oggettivizzato ‘ dai creditori intervenuti ‘ (così il Procuratore Generale, in memoria, p. 8).
3.3.1 In realtà, per quanto implicitamente, con la suddetta impostazione la Corte territoriale ha finito col richiamare un istituto tipico del diritto tedesco, ossia quello della Verwirkung , definito da autorevole dottrina come quell ‘ istituto ‘ che comporta la perdita del diritto soggettivo in seguito alla inattività del titolare, durata per un periodo di tempo non determinato a priori , ed alla concorrenza di circostanze idonee a determinare un affidamento meritevole di tutela in base al principio di buona fede ‘. In sostanza, l’ inerzia del titolare del diritto, coniugata con il conseguente affidamento ingenerato nel soggetto debitore che esso non sarà più esercitato, determinerebbe l ‘ abuso del diritto stesso ciononostante esercitato dal suo titolare e, dunque, la sua perenzione.
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3.3.2 -Senonché, una simile opzione interpretativa deve recisamente respingersi, per almeno due ragioni.
Anzitutto, nonostante episodiche pronunce di questa Corte (il riferimento, da ultimo, è a Cass. n. 16743/2021), ritiene il Collegio di dover convintamente dare continuità all ‘ idea che l ‘ istituto della Verwirkung -la cui elaborazione concettuale, da quanto consta, attiene propriamente al rapporto obbligatorio sostanziale, non anche al rapporto tra le parti del processo, come nella sostanza invece opinato dalla Corte territoriale – non sia affatto compatibile con l ‘ ordinamento italiano, come del tutto condivisibilmente affermato, di recente, da Cass. n. 11219/2024, alla cui motivazione si rinvia per brevità (par. 3.1.c, in particolare; in senso analogo, comunque, già Cass. ord. n. 31922/2022).
In secondo luogo, perché il codice di rito già prevede autonome e bastevoli regole dettate per garantire la lealtà e probità cui le parti, e i loro difensori, sono tenuti (art. 88), nonché per sanzionare la parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 96), sicché non occorre affatto attingere ad un complesso di regole e concetti, oggetto di amplissima elaborazione dottrinale e giurisprudenziale (riferita soprattutto ad altri ordinamenti), ma dettate ad altri fini, ossia con specifico riferimento al rapporto obbligatorio. Ed è bene chiarire che, nel vigente ordinamento italiano, la facoltà di esercitare un potere processuale può venir meno in funzione del tempo trascorso solo se una specifica norma tanto preveda, sanzionando l ‘ inerzia della parte con la decadenza, come ad es. è – per restare all ‘ ambito del processo esecutivo – per la proponibilità dell ‘ opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617
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c.p.c., oppure, oggi, dell ‘ opposizione all ‘ esecuzione, ex art. 615, comma 2, ult. periodo, c.p.c., aggiunto dal d.l. n. 59 del 2016.
3.3.3 Ebbene, dopo aver qualificato la ripetuta iniziativa processuale del COGNOME come opposizione endoesecutiva, con la sentenza qui impugnata la Corte partenopea ha dunque individuato una vera e propria decadenza a suo carico, senza che nessuna disposizione normativa a tanto la abilitasse, giacché – nel regime antecedente alla cennata novella del 2016, applicabile ratione temporis – l ‘ opposizione all ‘ esecuzione era senz ‘ altro proponibile senza limiti di tempo ed anche nella stessa fase distributiva (v. Cass. n. 15439/2023): il termine di decadenza finale di una simile iniziativa, dunque, avrebbe potuto al più individuarsi nella stessa chiusura del processo esecutivo, non certo essere ricollegato ad una generica inerzia del debitore esecutato. Ciò in quanto il processo esecutivo è caratterizzato ‘ da un sistema chiuso, tipizzato ed inderogabile, di rimedi interni ‘ (così, Cass. n. 7708/2014, in motivazione; nello stesso senso, Cass. n. 23182/2014; inoltre: Cass. n. 11172/2015, Cass. ord. n. 12242/2016, Cass. n. 5175/2018, Cass. ord. n. 11191/2019, Cass. n. 17661/2020, Cass., Sez. Un., n. 28387/20, punto 60 delle ragioni della decisione; e ancora, da ultimo, Cass. n. 12466/2023, Cass. n. 13362/2023, Cass. n. 22715/2023 e Cass. n. 32143/2023; Cass. n. 11698/2024).
3.4.1 Da tutto quanto precede consegue, dunque, che la Corte d’appello , accogliendo la (così qualificata) opposizione all’esecuzione del COGNOME, avrebbe dovuto dichiarare la invalidità degli atti della procedura stessa (v. Cass. n. 23477/2022 : ‘ l ‘ originaria mancanza del diritto di procedere all ‘ esecuzione determina l ‘ invalidità di tutti gli atti esecutivi, essendo irrilevante il successivo,
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eventuale deposito di un atto d ‘ intervento fondato su un diverso credito (dello stesso pignorante o di terzi ‘ ), compresi quelli inerenti alla fase distributiva, benché il COGNOME stesso non vi avesse reagito specificamente con l ‘ opposizione ex art. 512 c.p.c., ciò non occorrendo fare al lume del principio della nullità derivata (su cui v., da ultimo, Cass. n. 21860/2024).
3.4.2 Fanno però eccezione a tale approdo gli atti del subprocedimento di vendita, che – come già in parte anticipato – restano non attinti da detta invalidità, benché il ricorrente, anche in memoria, sostenga il contrario. Infatti, al lume del disposto dell ‘ art. 2929 c.c., deve trovare applicazione l ‘ insegnamento della già citata Cass., Sez. Un., n. 21110/2012 (e successive conformi), secondo cui ‘ Il sopravvenuto accertamento dell ‘ inesistenza di un titolo idoneo a giustificare l ‘ esercizio dell ‘ azione esecutiva non fa venir meno l ‘ acquisto dell ‘ immobile pignorato, che sia stato compiuto dal terzo nel corso della procedura espropriativa in conformità alle regole che disciplinano lo svolgimento di tale procedura, salvo che sia dimostrata la collusione del terzo col creditore procedente. In tal caso, tuttavia, resta salvo il diritto dell ‘ esecutato di far proprio il ricavato della vendita e di agire per il risarcimento dell ‘ eventuale danno nei confronti di chi, agendo senza la normale prudenza, abbia dato corso al procedimento esecutivo in difetto di un titolo idoneo ‘.
Pertanto, non risultando essere stata neppure dedotta alcuna collusione della RAGIONE_SOCIALE con i creditori, il suo acquisto deve ritenersi pienamente valido ed efficace, come peraltro – stavolta, correttamente – ritenuto dai giudici di merito, sicché il mezzo in esame è rigettato sul punto.
3.4.3 -Il motivo è, pertanto, accolto, alla stregua del seguente principio di diritto: ‘ in tema di esecuzione forzata, qualora difetti altro creditore munito di titolo esecutivo, che abbia effettuato atto di pignoramento successivo ex art. 493 c.p.c., l’accertamento giudiziale, ritualmente acquisito al processo, della mancanza del diritto di procedere in executivis in capo al creditore procedente per originario difetto di titolo esecutivo esige il rilievo di ufficio da parte del giudice dell’esecuzione, senza che rilevi alcuna condotta inerte del debitore, con conseguente invalidità di tutti gli atti esecutivi, compresi quelli della eventuale fase distributiva, restando irrilevante il successivo, eventuale deposito di un atto d’intervento fondato su llo stesso o su un diverso credito (dello stesso procedente o di altro creditore), né occorrendo che l’esecutato proponga opposizione avverso ciascun atto dell’esecuzione, stante il principio della nullità derivata; restano tuttavia salvi l’aggiudicazione del bene e il relativo decreto di trasferimento , ove non sia applicabile l’eccezione prevista dall’art. 2929 c.c.’.
4.1 Il secondo motivo resta conseguentemente assorbito, giacché – a parte la dubbia configurabilità di una lesione del principio del contraddittorio ove si tratti di questione, esaminata d ‘ ufficio dal giudice di merito, di puro diritto, come è nella specie – la decisione che, nella sostanza, il ricorrente assume avere le caratteristiche della sentenza ‘della terza via’ è comunque non conforme a diritto, tanto che il primo motivo è stato accolto, come s ‘ è visto.
5.1 Il terzo motivo – concernente la domanda restitutoria e quella risarcitoria – è in parte inammissibile, ma in parte fondato.
In proposito, la Corte d ‘ appello ha rigettato le doglianze avanzate dal COGNOME col terzo, quarto e quinto motivo di gravame, ascrivendo principalmente e
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ancora una volta all ‘ inerzia dell ‘ esecutato (nei termini già visti) la causa della non accoglibilità delle domande.
In particolare, quanto alla domanda restitutoria del ricavato della vendita, il giudice d ‘ appello ha evidenziato che il COGNOME non aveva reagito contro gli atti della fase distributiva, sicché essi erano coperti dalla irretrattabilità (è stato richiamato l ‘ insegnamento di Cass. n. 12127/2020); quanto alla domanda risarcitoria, essa è stata rigettata perché il COGNOME ben avrebbe potuto paralizzare per tempo la procedura esecutiva e, non avendolo fatto, restava esclusa ‘ ex post la possibilità di riconoscere, sia pure in via subordinata, il risarcimento del danno ‘ (così la sentenza impugnata, p. 19), e ciò anche con riferimento alla domanda ex art. 96, comma 2, c.p.c., sia con riguardo ai danni patrimoniali che non patrimoniali.
5.2 Ora, quanto alla domanda restitutoria, il mezzo si rivela inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., difettando in ricorso la pur minima indicazione circa il dove e il quando la domanda stessa venne veicolata nel giudizio di merito, tanto più che -da quanto risulta dagli atti legittimamente consultabili da questa Corte -l’atto introduttivo del giudizio di merito venne notificato dal Ventura in data antecedente alla stessa distribuzione del ricavato, nella procedura esecutiva.
È poi da considerare che, in ogni caso, la domanda restitutoria, se ritualmente avanzata in tempo successivo alla distribuzione della somma ricavata, avrebbe dovuto dirsi inammissibile, in quanto essa non può che proporsi in separato giudizio, una volta definitivamente accertata l ‘ illegittimità della distribuzione (e, dunque, una volta che sia stata rimossa la sua naturale irretrattabilità).
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È, infatti, questo uno dei casi (Cass. n. 23283/2024) in cui è eccezionalmente consentito agire, al di fuori del processo esecutivo concluso e del suo sistema chiuso di rimedi, per conseguire utilità altrimenti riservate a questi ultimi.
Detto principio, di regola affermato nell ‘ ambito delle opposizioni distributive (di cui è consolidata, nella giurisprudenza di questa Corte, la valutazione circa la loro natura meramente rescindente: si vedano, in particolare, Cass. ord. n. 28926/2023, nonché Cass. n. 32143/2023, ove altri e compiuti riferimenti), ben può applicarsi anche al caso della accertata nullità di tutti gli atti della procedura esecutiva che si sia comunque conclusa con la distribuzione (nei sensi esposti nei parr. 3.4.1 e 3.4.2) per sua illegittimità sostanziale ab origine , identici essendone gli effetti, nell ‘ uno e nell ‘ altro caso.
Pertanto, nessun altro provvedimento avrebbe potuto adottarsi, nel presente giudizio, riguardo alla restituzione delle somme ricavate dai creditori in sede distributiva. Infatti, le conseguenze della decisione qui assunta – pacifica essendo, tra le parti, l ‘ avvenuta attuazione della distribuzione – non potranno che essere vagliate dalla competente A.G., in relazione ad eventuali ulteriori iniziative delle odierne parti, non escluse dalla ritenuta inammissibilità, in parte qua , del mezzo in esame; resta comunque escluso che il giudice dell ‘ esecuzione sammaritano – ove mai di tanto dovesse essere eventualmente richiesto – possa ordinare ai creditori la restituzione delle somme in discorso, perché privo di un simile potere, né compete al giudice dell ‘ opposizione esecutiva (e, dunque, a questa stessa Corte di legittimità, quoad effectum ) valutare la configurabilità dei presupposti per una autonoma azione di ripetizione di indebito (v. Cass. n. 26927/2018).
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5.3.1 Diverso è invece il discorso per le pretese risarcitorie del COGNOME, una volta complessivamente ricondottele nell ‘ egida della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 2, c.p.c. (sulla non configurabilità di un concorso, anche alternativo, tra la norma generale ex art. 2043 c.c. e quella processuale prima indicata, v., tra le ultime, la recente Cass. n. 36593/2023).
Ciò che il COGNOME invoca, infatti, è inequivocamente il danno (patrimoniale e non patrimoniale) che la Banca di Credito Popolare gli avrebbe arrecato, non tanto nell ‘ aver pignorato il suo immobile senza titolo esecutivo (danno che, in sé, avrebbe dovuto essere richiesto nell ‘ ambito della prima opposizione all ‘ esecuzione, definita dal noto giudicato), ma nell ‘ aver insistito per la vendita forzata dello stesso immobile, poi puntualmente avvenuta, benché la sentenza n. 1524/2013 avesse accertato che essa Banca non aveva il diritto di procedere ad esecuzione forzata. Richiamato quanto più volte osservato sulla natura del presente giudizio, si tratta quindi di domanda risarcitoria per responsabilità processuale aggravata, da mala fede o colpa grave, certamente ammissibile perché avanzata nell ‘ ambito del giudizio di opposizione all ‘ esecuzione, con riguardo alla condotta tenuta dal creditore procedente nel processo esecutivo (sul punto, v. Cass. n. 9152/2013).
5.3.2 Ciò chiarito, la motivazione adottata dalla Corte partenopea per respingere la domanda in questione non può condividersi.
Infatti, una volta esclusa la irretrattabilità della distribuzione (v. par. 3.4.1) invece supposta dal giudice d ‘ appello a sostegno della ritenuta inaccoglibilità della domanda risarcitoria, nonché la sussistenza di una colpevole inerzia del COGNOME così come valutata dalla Corte d ‘ appello (nella sostanza, alla stregua
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dell ‘ art. 1227, comma 2, c.c., onde escludere la stessa configurabilità di un danno risarcibile tout court – ma, sul punto, v. infra ), l ‘ impianto logico-giuridico della decisione impugnata viene necessariamente a mancare.
Va pure aggiunto che l ‘ argomento della decisione di primo grado testualmente richiamato dalla Corte territoriale – secondo cui il danno patrimoniale non può ritenersi in re ipsa , in misura pari alla differenza tra il valore di stima del bene e l ‘ importo effettivamente conseguito nell ‘ esecuzione, giacché quest ‘ ultimo è il prezzo che il mercato ha determinato ‘fisiologicamente’, a seguito dei diversi ribassi nei vari esperimenti di vendita – è chiaramente fallace. Esso, infatti, è certamente valevole allorché si tratti di stabilire se il prezzo della vendita forzata possa dirsi ‘giusto’ ai sensi dell’ art. 586 c.p.c., ma non può certo richiamarsi per affermare che il valore del bene venduto, astrattamente o anche concretamente considerato, deve presumersi pari al prezzo conseguito in una esecuzione illegittima, onde addirittura essere preso a riferimento per determinare l ‘ entità del danno reclamato da colui che l ‘ ha subita.
Almeno sul piano dell ‘ allegazione, dunque, il COGNOME aveva assolto ogni onere cui era tenuto, avendo indicato il valore di stima del bene, come determinato nell ‘ ambito della procedura esecutiva (dunque, da un tecnico per definizione ad esso esecutato non riconducibile), nonché il prezzo ricavato dalla vendita forzata, restando rimesso poi al prudente apprezzamento del giudice di merito valutare se il danno reclamato – di per sé certo nell ‘ an , posto che l ‘ esecutato ha perduto la titolarità di un bene per effetto di un ‘ esecuzione che non aveva ragion d ‘ essere, così come dipanatasi dovesse dirsi pari alla differenza ‘secca’, o se fossero riscontrabili uno o più coefficienti riduttivi, se emergenti dagli atti del
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processo. A tanto provvederà il giudice del rinvio, così come in relazione al reclamato danno non patrimoniale, ove ne sussistano i presupposti.
Né del resto – come anche evidenziato dal Procuratore Generale, in memoria la circostanza che la Banca procedente avesse comunque ragioni di credito effettive nei confronti del COGNOME può incidere sulla questione che occupa, perché ciò che rileva, ai fini della configurabilità della responsabilità aggravata del creditore procedente, è che questi abbia intrapreso o portato a termine l ‘ intero procedimento, benché non fosse in possesso di un valido titolo esecutivo che a tanto lo abilitava (Cass. n. 27689/2021).
Non v ‘ è poi dubbio che nella specie sia certamente da valutare l ‘ operato processuale della Banca procedente, secondo quanto già esposto nel par. 3.2 (cui si rinvia per brevità).
Occorre infine evidenziare che – quanto alla pur sussistente inerzia del COGNOME nell ‘ attivarsi, dinanzi al giudice dell ‘ esecuzione, onde conseguire il definitivo arresto della procedura, all ‘ esito del passaggio in giudicato della sentenza del 2013, non apparendo di per sé credibile (o, comunque, corrispondente a condotte di ordinaria cautela) che egli possa essere rimasto in balìa degli eventi per circa cinque anni – è del pari rimesso al prudente apprezzamento del giudice del rinvio valutare se essa sia idonea a rilevare, e in che misura, sotto il profilo del concorso colposo del creditore ex art. 1227, comma 1, c.p.c., tenuto conto anche del peculiare intreccio tra le vicende della prima parentesi cognitiva e dell ‘ esecuzione forzata, più volte descritto; resta comunque escluso che detta inerzia possa considerarsi quale causa esclusiva del danno, ai sensi dello stesso
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art. 1227, comma 2, c.c., come invece nella sostanza già ritenuto dalla Corte territoriale.
6.1 In definitiva, sono accolti il primo e il terzo motivo, per quanto di ragione, mentre il secondo è assorbito.
La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d ‘ appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà ai superiori principî e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
la Corte accoglie il primo e il terzo motivo, per quanto di ragione, e dichiara assorbito il secondo; cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d ‘ appello di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno