Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22779 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22779 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6941/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 273/2018 depositata il 19/01/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con la sentenza indicata in epigrafe, l a Corte d’appello di Napoli ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da Monte dei Paschi di Siena, in cui si era fusa per incorporazione la Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.A., contro il rigetto dell’opposizione ex art. 98 l.fall. (vecchio rito) da parte del Tribunale di Nola, all’esito di CTU contabile, avverso il diniego di ammissione allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE del credito di € 3.587.679,65 oltre interessi, insinuato a titolo di saldo debitore di due conti correnti, per inidoneità della documentazione prodotta.
1.1. -In particolare, la corte territoriale, dopo la precisazione delle conclusioni all’udienza del 9.12.2016, con ordinanza del 17.3.2017 (depositata il 18.4.2017) ha rimesso la causa sul ruolo in quanto la banca era ” costituita in persona del responsabile del servizio assistenza giudiziale che pare munito dei poteri di rappresentanza (giusta delibera c.d.a. 25.3.14) in virtù della procura speciale per notaio COGNOME del 12/5/2014 (rep. 33190, racc. 15728) che tuttavia non è stata prodotta ” e, ritenendo il vizio sanabile ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (anche nel testo anteriore alle modifiche introdotte con l. 69/2009, applicabile ratione temporis , secondo Cass. Sez. U, 9217/2010), ha concesso all’appellante termine fino al 5.5.2017 per il deposito della procura speciale; quindi, all’udienza del 12.5.2017 ha di nuovo trattenuto la causa in decisione, che ha poi rimesso ulteriormente sul ruolo per consentire al curatore fallimentare il deposito dell’autorizzazione del G.D. a costituirsi in appello, sempre ai sensi dell’art. 182 c.p.c.; infine, all’udienza del 10.10.2017 ha trattenuto la causa in decisione e, rilevato che la banca appellante non aveva provveduto a depositare la procura speciale entro il termine del 5.5.2017, ha ritenuto che la stessa non fosse validamente costituita.
1.2. -Il collegio partenopeo, pur dando atto d ell’ indirizzo di legittimità per cui chi si costituisce in giudizio come rappresentante di una persona giuridica, e ne nomina il procuratore ad litem , indicando la fonte dei suoi poteri rappresentativi, ha l’onere di fornire la prova di tali poteri solo qualora questi siano stati tempestivamente contestati dalla controparte e la loro fonte sia costituita da un atto non soggetto a regime di pubblicità legale
(Cass. Sez. U, 20596/2007; Cass. 20563/2014, 9908/2010, 22605/2009, 22287/2009, 28401/2008), ha però aderito al diverso orientamento per cui, in base all’art. 182 c.p.c., il giudice deve sempre verificare d’ufficio che chi si costituisca in giudizio quale rappresentante di altro soggetto sia munito del relativo potere (Cass. Sez. U, 24179/2009; cfr. Cass. 16274/2015, 4248/2013) -specie laddove, come nel caso in esame, vi siano state articolate vicende di mutamento del soggetto che ha inizialmente promosso il giudizio e del soggetto che si qualifica legale rappresentante dell’appellante (che non solo è diverso da quello costituitosi nel primo grado, ma invoca quale fonte dei suoi poteri un atto differente) -ed anche in assenza di contestazioni della controparte, posto che il cd. principio di non contestazione ex art. 115, comma 1, c.p.c. riguarda solo i fatti costitutivi, modificativi, impeditivi ed estintivi della situazione soggettiva giuridica sostanziale controversa, cioè i ‘fatti principali’, nonché i ‘fatti secondari’, cioè quelli allegati dalle parti al fine di provare i primi, ma non anche quelli afferenti alla regolare costituzione del rapporto processuale.
Perciò, ha concluso, qualora il giudice richieda ai sensi dell’art. 182 c.p.c. il deposito di atti ritenuti necessari a dimostrare il potere di rappresentanza, e la parte non vi ottemperi, la costituzione va necessariamente considerata invalida, e, ove si tratti dell’appellante, l’appello è improcedibile ai sensi dell’art. 348 c.p.c.
1.3. -La corte d’appello ha ritenuto irrilevante l’obiezione che l’appellante non ha ricevuto valida comunicazione dell’ordinanza del 17.3.2017, in quanto « dal sistema informatico Consolle del Magistrato risulta infatti che la relativa comunicazione, contenente in allegato il predetto atto, è stata trasmessa, tramite posta elettronica certificata, ad entrambe le parti in data 18/4/2017; tuttavia, la stessa è stata ricevuta regolarmente dal difensore della sola parte convenuta, mentre non è stata consegnata al difensore dell’appellante … in quanto la relativa casella era piena (nella ricevuta di mancata consegna viene riportato il seguente messaggio di errore: “5.2.2 – RAGIONE_SOCIALE – casella piena”) », e, in tal caso, nessuna ulteriore comunicazione spetta al difensore.
Difatti, l’art. 16 , d.l. 179/2012 conv. in l. 221/2012 prevede che ” nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ” (comma 4) e che ” nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario ” la notificazioni e le comunicazioni “sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria ” (comma 6). Solo nel caso in cui ” non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l’articolo 136, terzo comma, e gli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile (…) “. La casella di posta elettronica piena costituisce la tipica ipotesi di causa di mancata consegna imputabile al difensore, sul quale grava l’onere di provvedere periodicamente a svuotarla; di conseguenza, il difensore dell’appellante non aveva diritto ad ottenere ulteriori comunicazioni, e comunque avrebbe potuto prendere visione del provvedimento semplicemente collegandosi al sistema informatico.
1.4. -In ogni caso il giudice a quo ha ritenuto assorbente il rilievo che, dopo la suddetta comunicazione, la causa è stata nuovamente rimessa sul ruolo con ordinanza del 18.7.2017, questa volta regolarmente ricevuta dal difensore dell’appellante, il quale è comparso all’udienza del 10.10.2017, ma non ha prodotto la documentazione richiesta con l’ordinanza del 17.3.2017, né ha chiesto di essere rimesso in termini a tal fine.
-Avverso detta decisione MPS ha proposto ricorso per cassazione in tre mezzi, illustrato da memoria, cui il Fallimento ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia la « erronea applicazione degli artt. 77 e 182 c.p.c. » per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello « muovendo dall’erroneo presupposto della sussistenza di un difetto di
rappresentanza processuale » della banca, evocando la pronuncia di Cass. Sez. U, 24179/2009 però inconferente, poiché relativa a fattispecie in cui il ricorso era stato proposto da una banca tramite un difensore munito di procura rilasciata non già dal legale rappresentante dell’Istituto di credito, ma dal funzionario responsabile del recupero crediti per due sole Regioni e delegato a compiere “la cura diretta di quanto occorre in ordine alla difesa del Banco nel primo grado di giudizio”: dunque un caso di difetto di poteri rappresentativi (cioè inesistenza degli stessi) e non di difetto di prova dei poteri rappresentativi (prova nemmeno necessaria).
Difatti, osserva il ricorrente, RAGIONE_SOCIALE si era costituita in appello tramite l’avv. NOME COGNOMEche ha conferito il mandato al difensore avv. NOME COGNOME « in persona di un soggetto validamente munito dei poteri rappresentativi dell’Istituto di credito appellante, in virtù della menzionata delibera del Consiglio di Amministrazione del 25 marzo 2014 ai sensi del vigente Statuto sociale e della conseguente procura speciale ai rogiti dott. NOME COGNOME notaio in Siena, in data 12 maggio 2014 repertorio n. 33190 raccolta n. 15728 registrata in Siena il 15 maggio 2014 al n. 2401, serie 1T » -ed ora si dice depositata presso l’Ufficio del Registro Imprese della CCIAA di Siena dal 30.05.2014 (prot. n. 10559/2014) -che « all’art. 39 (“Atti relativi alla gestione del recupero dei crediti”) conferisce espressamente ai destinatari di poteri di firma con livello di procura C5 (richiamati nel capo secondo della stessa procura notarile, tra cui i Responsabili di Servizio di Capogruppo Bancaria con funzione Legale, quali l’avv. NOME COGNOME procuratore costituito nel giudizio di appello), la facoltà tra le altre di “proporre impugnazioni, in via autonoma o incidentale, avverso provvedimenti e sentenze”, “elegger domicili, nominare avvocati e revocarli, conferendo loro mandati generali o speciali alle liti per rappresentanza e difesa in tutti i gradi di giudizio”, e all’art. 40 “Controversie legali di qualunque natura di fronte a qualsiasi magistratura o arbitri, esposti o querele” – conferisce agli stessi soggetti (tra i quali l’avv. NOME COGNOME procuratore costituito nel giudizio di appello), la facoltà di “nominare avvocati, procuratori o arbitri al fine di proporre ogni azione, domanda o gravame, resistere alle domande, compiere ogni atto a tutela dei diritti della Banca” ».
Varrebbe allora il principio affermato da Cass. Sez. U, 20596/2007 (non condiviso dalla corte d’appello), per cui solo nel caso in cui il potere rappresentativo abbia origine da un atto della persona giuridica non soggetto a pubblicità legale, incombe a chi agisce l’onere di riscontrare l’esistenza di tale potere -sempre che la contestazione della relativa qualità ad opera della controparte sia tempestiva, non essendo il giudice tenuto a svolgere di sua iniziativa accertamenti in ordine all’effettiva esistenza della qualità spesa dal rappresentante, dovendo egli solo verificare se il soggetto che ha dichiarato di agire in nome e per conto della persona giuridica abbia anche asserito di farlo in una veste astrattamente idonea ad abilitarlo alla rappresentanza processuale della persona giuridica stessa -avendo i terzi la possibilità di verificare il potere rappresentativo consultando gli atti soggetti a pubblicità legale, spettando perciò a loro fornire la prova negativa.
2.2. -Il secondo mezzo denuncia « erronea applicazione dell’art. 16, d.l. 179/2012, co. 8, e 136 – 137 c.p.c. » poiché, in concreto, la ‘casella piena’ non era imputabile alla parte, in quanto « l’operatività e la funzionalità della casella PEC dello scrivente difensore sono state verificate fino alle ore 16:49 di venerdì 14.4.2017 (data dell’ultimo deposito effettuato – cfr. file log, forniti da RAGIONE_SOCIALE su richiesta della scrivente procuratrice, all. 4) e ripristinate dopo le festività Pasquali (sabato 15.4.2017, domenica 16.4.2017 e lunedì in Albis 17.4.2017 in data 18.4.2017 allorquando, alle ore 16:24, viene effettuato un nuovo deposito ».
Nella fattispecie concreta, dunque, i canoni di diligenza -individuati dalla giurisprudenza nella “periodica verifica delle comunicazioni inviate” (Cass. 15070/2014) -non sarebbero stati violati, poiché la scansione temporale delle notifiche a mezzo PEC e dei depositi telematici effettuati tramite la casella PEC evidenzierebbero la sua piena funzionalità; si sarebbe allora dovuto applicare il comma 8 e non il comma 6 dell’art. 16 , d.l. 179/2012, con conseguente necessità di procedere alla notifica nelle forme ordinarie ex artt. 136 e ss. c.p.c.; inoltre, la rimessione in termini non avrebbe potuto essere chiesta all’udienza del 10.10.2017, fissata per il deposito dell’autorizzazione del G.D., giusta decreto
del 18.7.2017, che non consentiva di avere contezza del precedente provvedimento del 17.3.2017.
Il ricorrente sostiene che pertanto la banca avrebbe diritto alla rimessione in termini, previa cassazione con rinvio della sentenza impugnata, individuando quale dies a quo ex art. 184 bis c.p.c. il 19.01.2018, data della comunicazione della sentenza di appello dalla quale avrebbe appreso dell’esistenza del provvedimento del 17.3.2017 che le ordinava l’esibizione documentale.
2.3. -Con il terzo mezzo si denuncia « erronea applicazione dell’art. 16 d.l. 179/2012, co. 4 – 6, e dell’art. 3 Cost .» poiché, anche a voler ritenere la mancata comunicazione dell’ordinanza del 17.3.2017 imputabile alla banca, l’ iter notificatorio adottato dalla corte d’appello sarebbe comunque erroneo e illegittimo e il provvedimento non potrebbe dirsi validamente notificato, poiché il deposito in cancelleria richiede la notifica materiale in cancelleria del provvedimento e anche la pubblicazione nel portale dei servizi telematici dell’avviso di avvenuta notifica con tali modalità (artt. 34 e 51 d.l. 25.6.2008 n. 112, convertito in l. 6.8.2008 n. 133), come invece non risulterebbe dal fascicolo telematico; né sarebbe bastato inserire il provvedimento nel fascicolo informatico, perché altrimenti non avrebbe senso il successivo comma 14 dell’art. 16 , d.l. 179/12 che ha introdotto nell’art. 40 del TUSG il comma 1 -ter che fissa l’importo del diritto di copia per prendere visione degli atti notificati in cancelleria “nei casi in cui la comunicazione o la notificazione al destinatario non si è resa possibile per causa a lui imputabile”. Diversamente, vi sarebbe una lesione del principio di cui all’art. 3 Cost. per disparità di trattamento, rispetto alla medesima fattispecie, tra notifiche telematiche e notifiche cartacee, dovendo applicarsi anche alle prime l’incombente posto a carico del notificante per il caso di mancata consegna cartacea dell’atto ex art. 140 c.p.c., avendo il destinatario diritto ad un avviso della mancata notifica (cfr. Cass. pen. 54121/2017).
-Il primo motivo è infondato, mentre i restanti due sono in parte assorbiti e in parte inammissibili.
3.1. -L’assunto su cui si basa il primo motivo muove da un fraintendimento della giurisprudenza di questa Corte.
Non vi è dubbio che, con pronunce anche più recenti di quelle evocate, è stato ribadito in generale il principio per cui, ai fini della rappresentanza processuale della persona giuridica, è sufficiente l’indicazione della funzione e del potere del soggetto che ha rilasciato la procura, senza che, in assenza di una puntuale e tempestiva contestazione relativa all’effettiva esistenza del potere esercitato, si configuri l’onere di dimostrare il potere rappresentativo (cfr. Cass. Sez. U, 31963/2021, che ha ritenuto infondata l’eccezione relativa al difetto di rappresentanza del soggetto il quale, qualificatosi come “legale rappresentante della sede secondaria della società” straniera, aveva rilasciato la procura in calce al ricorso per cassazione, essendo stati dimostrati documentalmente, ex art. 372 c.p.c., in seguito a precisa contestazione, sia la formale costituzione di una sede secondaria in Italia, sia il conferimento con atto notarile del potere di rappresentanza).
Nondimeno, occorre partire dal dato normativo, segnatamente dal l’art. 182 c.p.c. (come riformato dalla l. n. 69 del 2009, applicabile ratione temporis ), il quale è chiaro ed inequivocabile nel prevedere che «Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa» (con la cd. riforma Cartabia di cui al d.lgs. n. 149 del 2022 è stata inserita anche l’ipotesi della «mancanza della procura al difensore» e si è aggiunto, in fine, che « L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione»).
Deve allora ritenersi persino ovvio che, di fronte a un rilevato difetto di rappresentanza processuale ( legitimatio ad processum ), integrante la mancanza di una condizione dell’azione, il giudice, proprio in base all’art. 182 c.p.c., ben possa promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e
indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc , senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali (v. Cass. Sez. U, 37434/2022, 9217/2010).
In altri termini, il fatto che l’onere di fornire la prova dei propri poteri rappresentativi da parte di colui che si sia costituito in giudizio come rappresentante di una persona giuridica e ne abbia nominato il procuratore ad litem , indicando la fonte di detti poteri, incomba solo a fronte di una tempestiva contestazione della controparte e sempre che detta fonte non sia soggetta a un regime di pubblicità legale (secondo l’indirizzo richiamato in atti: cfr. Cass. Sez. U, 20596/2007; Cass. 20563/2014, 9908/2010, 22605/2009, 22287/2009, 28401/2008), non toglie che il giudice possa rilevare d’ufficio quel difetto di rappresentanza , assegnando alla parte interessata un termine per la sua sanatoria ( secondo l’altro indirizzo parimenti richiamato in atti: cfr. Cass. Sez. U, 24179/2009; Cass. 16274/2015, 4248/2013).
Rimane dunque valido l’insegnamento per cui la legittimazione “ad processum”, riguardando un presupposto della regolare costituzione del rapporto processuale, è questione esaminabile anche d’ufficio, come dimostra la previsione dell’art. 182, comma 2, c.p.c., in ogni stato e grado del giudizio, salvo il limite della formazione del giudicato, con la conseguenza che non rileva il momento processuale in cui sia fornita la relativa prova, non operando, ai relativi effetti, le ordinarie preclusioni istruttorie (Cass. 22099/2013; cfr. Cass. 22559/2015, entrambe con riguardo al testo dell’art. 182 c.p.c. anteriore alla riforma del 2009) .
La differenza, semmai, sta in questo: che mentre nel caso di tempestivo rilievo ad eccezione di parte del difetto di rappresentanza, sostanziale o processuale, ovvero di un vizio della “procura ad litem”, è onere della controparte interessata produrre immediatamente, con la prima difesa utile, la documentazione necessaria a sanare il difetto o il vizio, invece, nel caso del rilievo officioso, opera il meccanismo di assegnazione del termine ai sensi dell’art. 182 c.p.c. (cfr. Cass. 29244/2021, 7589/2023, 22564/2020).
Viene quindi affermato il seguente principio di diritto:
‘ In tema di rappresentanza processuale della persona giuridica, il fatto che l’onere di dimostrare la sussistenza dei poteri rappresentativi da parte di colui che si sia costituito in giudizio come rappresentante di una persona giuridica, e ne abbia nominato il procuratore ad litem, sussista solo a fronte di una tempestiva contestazione della controparte, e sempre che la fonte di detti poteri non sia soggetta a un regime di pubblicità legale, non esclude il potere generale del giudice , ai sensi dell’art. 182 c.p.c., di rilevare d’ufficio il difetto di rappresentanza e di assegnare alla parte un termine per la sanatoria, con effetti ex tunc .’
3.2. -Chiarito ciò in diritto, la censura mossa con il secondo motivo è affetta da plurimi profili di inammissibilità, in quanto solleva una questione apparentemente nuova, afferente questioni di merito (il funzionamento della casella di PEC) e peraltro senza rispettare il principio di autosufficienza del ricorso.
3.3. -Analoghe considerazioni valgono per il terzo motivo, le cui censure si appuntano sulle modalità della comunicazione in cancelleria del provvedimento di rimessione sul ruolo del 17.3.2017, senza aggredire specificamente e in modo autosufficiente l’ulteriore ratio decidendi, assorbente, della mancata produzione della procura speciale (ovvero della richiesta di rimessione in termini) in occasione della seconda rimessione della causa sul ruolo giusta provvedimento del 18.7.2017, pacificamente ricevuto dall’appellante, e che secondo il controricorrente (in apparente assonanza con la decisione impugnata) evocava anche il precedente, analogo, provvedimento.
-Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato , pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 08/07/2025.