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Difetto di motivazione: quando il ricorso è nullo

Una società immobiliare ha citato in giudizio una vicina, ritenendola responsabile della risoluzione anticipata di un contratto di affitto di un ramo d’azienda (ristorante). La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il motivo principale del rigetto è che il ricorso contestava la valutazione dei fatti e delle prove, cercando un inammissibile terzo grado di giudizio, invece di evidenziare un reale difetto di motivazione.

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Difetto di Motivazione: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso

Quando una sentenza d’appello delude le aspettative, è forte la tentazione di ricorrere in Cassazione, magari lamentando un difetto di motivazione. Tuttavia, è fondamentale comprendere i limiti di questo strumento. Una recente ordinanza della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di come un ricorso, basato su una presunta errata valutazione dei fatti, sia destinato all’inammissibilità, ribadendo che la Cassazione non è un terzo grado di giudizio.

I Fatti di Causa

Una società, proprietaria di un immobile adibito a ristorante, aveva affittato il ramo d’azienda a un’altra società. Quest’ultima, dopo qualche tempo, decideva di recedere anticipatamente dal contratto. La società proprietaria, ritenendo di aver subito un ingente danno economico, citava in giudizio la proprietaria dell’immobile confinante. Secondo la tesi dell’attrice, il recesso era stato causato esclusivamente dalla condotta molesta e disturbatrice della vicina nei confronti del gestore del ristorante e dei suoi clienti.

L’Iter Processuale: Dal Tribunale alla Cassazione

In primo grado, il Tribunale dava ragione alla società proprietaria, riconoscendole un risarcimento di 34.000 euro. Il giudice riteneva provato il nesso tra il comportamento della vicina e la decisione della società di ristorazione di abbandonare l’attività.

La vicina, tuttavia, impugnava la decisione. La Corte d’Appello ribaltava completamente la sentenza, accogliendo il gravame e rigettando la domanda di risarcimento. Secondo i giudici di secondo grado, non vi erano prove sufficienti per ricondurre il recesso contrattuale alle condotte della vicina; le testimonianze raccolte parlavano di episodi sporadici, privi della rilevanza e incisività necessarie per giustificare una decisione così drastica come la chiusura di un’attività.

Insoddisfatta, la società proprietaria presentava ricorso per Cassazione, basandolo su due motivi principali: la nullità della sentenza per insussistenza dei requisiti e il difetto di motivazione, e l’omesso ed erroneo esame di fatti decisivi, in particolare il contenuto della lettera di recesso e le testimonianze.

L’analisi della Corte sul presunto difetto di motivazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che i motivi presentati dalla ricorrente non denunciavano un vero vizio di legittimità, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove e dei fatti, un’attività preclusa in sede di Cassazione.

La ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse operato una ricostruzione dei fatti non corrispondente alla realtà emersa dall’istruttoria, ignorando testimonianze che, a suo dire, provavano inequivocabilmente la responsabilità della vicina. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, qualificandola come un tentativo di sollecitare un riesame del merito della controversia. Il ruolo della Suprema Corte non è quello di stabilire quale delle possibili ricostruzioni dei fatti sia la più attendibile, ma solo di verificare che la motivazione del giudice di merito sia logicamente coerente e non meramente apparente.

Le Motivazioni

La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. I primi due gradi di giudizio (Tribunale e Corte d’Appello) servono ad accertare i fatti e a valutare le prove. La Corte di Cassazione, invece, ha il compito di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge (funzione nomofilattica).

Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione chiara, anche se sintetica. Aveva esplicitamente affermato che mancava “qualsiasi elemento probatorio che possa ricondurre il recesso a presunte condotte della Massucci” e che le testimonianze non erano sufficienti, riferendo di “episodi sporadici, privi di incisività e rilevanza”.

Questa motivazione, per la Cassazione, è sufficiente. Il giudice di merito non è tenuto a confutare ogni singola argomentazione della parte o ad analizzare minuziosamente ogni prova. È sufficiente che esponga le ragioni del suo convincimento in modo da rendere comprensibile l’iter logico seguito. Scegliere quali prove ritenere più attendibili e quali meno è un apprezzamento di fatto riservato esclusivamente al giudice di merito. Tentare di contestarlo in Cassazione equivale a chiedere un inammissibile terzo grado di giudizio.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un insegnamento fondamentale per chiunque affronti un contenzioso: il ricorso per Cassazione non è un’ulteriore opportunità per discutere dei fatti. Per avere successo in sede di legittimità, è necessario individuare vizi specifici della sentenza impugnata, come la violazione di una norma di diritto o un vizio motivazionale grave, inteso come motivazione assente, apparente o manifestamente illogica. Criticare semplicemente la valutazione delle prove operata dal giudice d’appello, proponendo una propria lettura alternativa, è una strategia destinata al fallimento. La decisione finale spetta al giudice di merito, e la sua valutazione, se logicamente motivata, è insindacabile in Cassazione.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di appello?
No, la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o rivalutare le prove. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.

Cosa si intende per ‘difetto di motivazione’ che può rendere nulla una sentenza?
Un difetto di motivazione rilevante si ha quando la motivazione è totalmente assente, puramente apparente, o così contraddittoria e illogica da non rendere comprensibile il ragionamento del giudice. Non è sufficiente che la motivazione sia sintetica o che non analizzi ogni singolo argomento difensivo.

Chi deve provare il nesso di causa in una richiesta di risarcimento danni?
L’onere di provare il nesso causale, ovvero che il danno è una conseguenza diretta della condotta contestata, spetta sempre a chi richiede il risarcimento. Nel caso specifico, la società proprietaria avrebbe dovuto dimostrare in modo inequivocabile che il recesso della società di ristorazione fosse stato causato dal comportamento della vicina, cosa che la Corte d’Appello ha ritenuto non provata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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