Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 24045 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 24045 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19132/2024 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in BOLOGNA INDIRIZZO COGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in BOLOGNA INDIRIZZO DIGITALE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
contro
COMUNE DI BOLOGNA, elettivamente domiciliato in BOLOGNA
INDIRIZZO DOM DIG, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
contro
MINISTERO DELLA CULTURA – SOPRINTENDENZA A.B.A.P. PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI BOLOGNA
-intimati- per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio n. 772/2024 pendente dinanzi al TAR Emilia-Romagna.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06 /05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale conclude chiedendo che la Corte voglia dichiarare inammissibile il ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, proprietario di un immobile in Bologna, è stato autorizzato, in forza di più provvedimenti amministrativi, alla demolizione e ricostruzione del medesimo immobile. I provvedimenti sono stati impugnati, dinanzi al TAR EmiliaRomagna, dai proprietari frontisti COGNOME NOME e COGNOME NOME. ricorso, disponendo l’annullamento dei provvedimenti impugnati, «al fine
Il TAR, con sentenza 649 del 2022, ha accolto il del necessario riesame secondo i criteri di cui in motivazione».
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3868 del 2023, ha confermato la decisione.
Il Comune di Bologna ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a., chiedendo al TAR di chiarire « la portata del
proprio comando e confermando che la propria volontà comporti che il Comune debba assumere uno dei seguenti provvedimenti conclusivi in esito ad uno dei seguenti procedimento di ‘riesame’: A) riesame ora per allora; B) ‘riesame’ alla luce della normativa e della disciplina sopravvenuta medio tempore ».
Nel corso del giudizio dinanzi al TAR, COGNOME Giovanni e COGNOME Stefano hanno proposto regolamento preventivo di giurisdizione, sostenendo che l’azione ex art. 112, comma 5, c.p.a postula che venga chiesto al giudice amministrativo di «’illuminare’ la riedizione del potere amministrativo alla luce di quanto è stato stabilito da una pronunzia giurisdizionale passata in giudicato». Solo entro questo limiti essa sarebbe ammissibile, mentre sarebbe invece inammissibile quando la sentenza «abbia lasciato impregiudicati uno o più aspetti della futura azione amministrativa» e la domanda giudiziale chieda al giudice «di stabilirne autoritativamente il contenuto ponendola a raffronto unicamente con la legge e con i principi giuridici a cui è soggetta in via generale la condotta della p.a. ». Secondo i ricorrenti, una domanda del genere, dando luogo a uno sconfinamento nella sfera del potere amministrativo, è «affetta ex ante da un difetto assoluto di giurisdizione denunciabile ex art. 41 c.p.c.».
Si sono costituiti il Comune di Bologna e NOME COGNOME. Il primo ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, il secondo ha concluso in modo analogo, chiedendo alla Corte di cassazione, «di dichiarare la sussistenza della giurisdizione del Giudice amministrativo sulle domande oggetto del giudizio proposto dal Comune di Bologna innanzi al TAR Emila Romagna ».
Il Procuratore generale ha concluso, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, il Collegio rileva che il Tar ha respinto l’istanza di sospensione del giudizio e ha poi definito il procedimento, accogliendo l’istanza del Comune di Bologna.
Il Procuratore generale, nelle conclusioni scritte, osserva che «il ricorso è palesemente inammissibile e a riprova della sua inammissibilità, il ricorso omette di individuare quale sarebbe la diversa giurisdizione competente, limitandosi a denunciare il rischio che la richiesta di chiarimenti possa determinare un superamento dei cc.dd. limiti esterni del giudice amministrativo, e in particolare la violazione della sfera riservata alla discrezionalità dell’autorità amministrativa, così integrando, nella sua abnormità, una sorta di impugnazione anticipata di una decisione che ancora non c’è ( recte : non c’era al momento della formulazione del ricorso) e che, comunque, mai potrebbe essere contestata per le ragioni in parola, posto che il sindacato delle Sezioni unite ».
A tali considerazioni, i ricorrenti obiettano nella memoria che « esaminando la giurisprudenza di codeste Sezioni Unite i ricorrenti hanno rinvenuto il principio secondo cui lo strumento del regolamento di giurisdizione è utilizzabile non solo per dedurre che un’azione avanti ad una determinata Autorità giudiziaria è viziata da un difetto di giurisdizione relativo , ma anche per far accertare che una domanda giudiziale è affetta da una carenza di giurisdizione assoluta , perché il suo petitum sostanziale essere la relativa domanda rientrante nella sfera ad altri poteri dello Stato».
Il ricorso è inammissibile, come giustamente suggerisce il Procuratore generale.
Il difetto assoluto di giurisdizione è ravvisabile solo quando manchi nell’ordinamento una norma di diritto astrattamente idonea a tutelare l’interesse dedotto in giudizio, sì che non possa individuarsi alcun giudice titolare del potere di decidere; attiene, per contro, al merito della controversia ogni questione relativa all’idoneità di una norma di diritto a tutelare il concreto interesse affermato dalla parte in giudizio (Cass. S.U., n. 17954/2007; n. 10375/2007). In altre parole, il difetto assoluto di giurisdizione è configurabile solamente quando la domanda non risulta conoscibile, né in astratto, né in concreto, da alcun giudice (Cass., S.U., 15601/2023).
Nel caso in esame l’Autorità amministrativa ha adito il TAR per ottenere chiarimenti su come dare esecuzione alla sentenza n. 649 del 2022; e tanto ha fatto tramite il ricorso a una norma (l’art. 112, comma 5, c.p.a.) che riconosce tale possibilità dell’Amministrazione.
I ricorrenti ritengono che lo strumento, seppure in astratto consentito dalla norma, sia stata usato in modo improprio. Essi deducono che, tramite il ricorso, al TAR, il Comune di Bologna non avrebbe inteso ottenere ‘chiarimenti’, ma piuttosto ottenere una «integrazione delle precedenti decisioni circa il modo di esercizio di un potere che esse avevano lasciato alla potestà e discrezionalità dell’Amministrazione».
Così identificato l’assunto che ispira l’istanza di regolamento, è inevitabile replicare che la questione proposta alle Sezioni unite non investe la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, ma pone solo la questione della legittimità dell’esercizio del potere medesimo (Cass., S.U., n. 3447/2023). Si osserva, per completezza di esame, che l’eccezione
di inammissibilità è stata proposta dai Vallisi anche dinanzi al TAR adito dal Comune ai sensi dell’art. 112, comma 5, c.p.a. Il giudice amministrativo l’ha respinta in base al rilievo che «con la richiesta di chiarimenti il Comune di Bologna non ha inteso abdicare all’esercizio del proprio potere -dovere di ottemperanza bensì invocato delucidazioni in merito all’esatta portata dell’obbligo conformativo derivante dal giudicato di annullamento, senza che in ciò sia ravvisabile alcuna pretesa allo sconfinamento da parte del g.a. nella sfera del potere amministrativo» (sentenza per chiarimenti n. 645/2024).
È opportuno ancora ricordare che, secondo la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato, il ricorso ex art. 112, comma 5, c.p.a. non presenta caratteristiche che consentono di ricondurlo, in senso sostanziale, al novero delle azioni di ottemperanza, trattandosi di un ricorso che ha natura giuridica diversa tanto dall’azione finalizzata all’attuazione del comando giudiziale (art. 112, comma 2, c.p.a.), quanto dall’azione esecutiva in senso stretto (art. 112, comma 3), e che presuppone, fondamentalmente, dubbi e incertezze sull’esatta portata del comando giuridico oggetto dell’obbligo conformativo. Il rimedio per la richiesta di chiarimenti è ammissibile, quale strumento volto a ottenere precisazioni e delucidazioni su punti del decisum ovvero sulle concrete e precise modalità di esecuzione, laddove si riscontrino elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che con ciò possano essere introdotte ragioni di doglianza volte a modificare e/o integrare le statuizioni rese (Consiglio di Stato, n. 5971/2023; n. 3138/2024). Si precisa ancora che lo strumento ex art. 112, comma 5, cit. è proponibile dalla parte soccombente nel giudizio di cognizione, atteso che la parte vittoriosa non ha necessità di chiedere
chiarimenti circa le modalità di ottemperanza, ma, in caso di non esecuzione o di non corretta esecuzione, può agire direttamente con ricorso ex 112, commi 2 e 3, c.p.a. Alteris verbis , se la parte vittoriosa, come nel caso in esame, reputa che l’amministrazione si sia rivolta al giudice per fare assumere in sua vece «scelte amministrative che esso non si sente di assumere per timore di subire le contrapposte impugnazioni delle parti private», dovrà semplicemente attendere l’evolversi dell’azione amministrativa e poi verificarne la coerenza con la pronuncia di cognizione. In caso negativo (esecuzione non conforme per violazione o elusione) ovvero in caso di totale inerzia potrà proporre un ordinario ricorso per l’ottemperanza.
4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Non trattandosi di impugnazione, non v’è luogo per pronunciarsi sul raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore dei controricorrenti, liquidate, per ognuno di essi, in € 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite