Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21424 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21424 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5616-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA N. 145/2021 DELLA CORTE D ‘ APPELLO DI BOLOGNA, depositata il 26/1/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 3/7/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. La corte d ‘ appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato il reclamo proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del tribunale di Ferrara che, in data 3/9/2020, aveva dichiarato, su richiesta del pubblico ministero, il suo fallimento.
1.2. La RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 25/2/2023, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza.
1.3. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell ‘ art. 111 Cost. e dell ‘ art. 7 n. 2 l.fall., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello non ha rilevato, come invece avrebbe dovuto fare anche d ‘ ufficio, la nullità della sentenza reclamata in quanto pronunciata su richiesta del pubblico ministero ma a seguito di segnalazione proveniente dallo stesso tribunale che ha poi dichiarato il fallimento.
2.2. Il motivo è inammissibile.
2.3. Non risulta, infatti, che la ricorrente abbia dedotto, in reclamo, la nullità della sentenza di fallimento in ragione del vizio in questa sede denunciato.
2.4. Ed è, invece, noto che i vizi di nullità degli atti processuali, tanto se investano direttamente la sentenza come tale, quanto se la investano (a norma degli artt. 156 s. c.p.c.) soltanto quale effetto della nullità (rimasta) insanata degli atti antecedenti (in applicazione dell ‘ art. 159 c.p.c.), si convertono (anche se si tratta di vizi rilevabili d ‘ ufficio per tutto il corso del grado: arg. ex art. 158 c.p.c.), a norma dell ‘ art. 161, comma 1°, c.p.c., in motivi di gravame della pronuncia che ha definito il giudizio e devono essere, come tali, fatti valere nei limiti e secondo le regole proprie dei relativi mezzi d ‘ impugnazione, sicché, quando si tratti di sentenza (come quella di fallimento) suscettibile di reclamo alla corte d ‘ appello, tali vizi devono essere censurati con l ‘ atto di reclamo, non essendo deducibili nel corso del giudizio né, in difetto, con il ricorso per cassazione
avverso la pronuncia resa dalla corte d ‘ appello a norma dell ‘ art. 18 l.fall., con la conseguenza che la mancata denuncia di detta nullità (anche se fosse, in ipotesi, insanabile) in sede di reclamo comporta l ‘ impossibilità di rilevarla successivamente e, in definitiva, la sua sanatoria.
2.5. D ‘ altra parte, come le Sezioni Unite di questa Corte hanno già del tutto condivisibilmente affermato, quando il procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento non si concluda con una decisione nel merito, il tribunale fallimentare può disporre, ai sensi dell ‘ art. 7 l.fall., la trasmissione degli atti al pubblico ministero, affinché valuti se instare per la dichiarazione di fallimento, non sussistendo alcuna violazione del principio di terzietà del giudice, di cui all ‘ art. 111 Cost., per il solo fatto che il tribunale sia chiamato una seconda volta a decidere sul fallimento dell ‘ imprenditore a seguito di richiesta del pubblico ministero. conseguente alla segnalazione da parte dello stesso giudice (Cass. SU n. 9409 del 2013; conf., Cass. n. 7255 del 2014).
2.6. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 16, 160, 161 e 162 l.fall. e dell ‘ art. 133 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c., ha censurato la pronuncia impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha confermato la sentenza di fallimento della società reclamante sul presupposto formale ed irrilevante che la stessa aveva proposto domanda di ammissione al concordato preventivo dopo che il tribunale aveva già dichiarato il suo fallimento senza considerare ‘i rilevantissimi interessi economici di tutte le parti coinvolte ‘, come la società fallita e il ceto creditorio.
2.7. Il motivo è inammissibile.
2.8. Il ricorso per l ‘ ammissione al concordato preventivo della società debitrice, infatti, come incontestatamente emerge
dalla sentenza impugnata, è stato depositato dalla stessa solo dopo la sentenza che ne aveva già dichiarato il fallimento: a nulla, per contro, rilevando che ciò sia avvenuto ‘ a distanza di brevissimo tempo ‘ dalla relativa pubblicazione con il suo formale deposito, il quale, in effetti, una volta eseguito (non importa se da molto o poco tempo), preclude in ogni caso al debitore (a quel punto) già fallito di proporre la domanda di ammissione alla procedura del concordato preventivo.
2.9. Gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento si producono , d’altra parte, sin dall ‘ora ‘ zero ‘ del giorno della sua pubblicazione o iscrizione nel registro delle imprese con riguardo, rispettivamente, da una parte, al debitore fallito e al creditore istante, e, dall ‘ altra, ai terzi, poiché la legge ricollega detti effetti alla sola data di esecuzione di tali adempimenti, senza ulteriori riferimenti cronologici (Cass. n. 7477 del 2020). La legge, in effetti, non indica né prescrive, tra gli elementi di individuazione della data della sentenza dichiarativa di fallimento, l ‘ annotazione della ora in cui è stata emessa la decisione, sicché il fallito resta privo dell ‘ amministrazione e della disponibilità dei beni (anche ai fini della proposizione della domanda di ammissione al concordato preventivo che tale disponibilità, evidentemente, presuppone) sin dall ‘ ora zero del giorno della sua pubblicazione (cfr. Cass. n. 14779 del 2016).
2.10. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 5 e 7 l.fall., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha ritenuto che la società reclamante versava in stato d ‘ insolvenza, omettendo, tuttavia, di considerare fatti decisivi emersi nel corso del giudizio, e cioè che la stessa aveva: – provveduto, nell ‘ esercizio 2018, alla corretta rivalutazione di un immobile di sua proprietà
perché divenuto edificabile; – curato e ottenuto, negli anni 2018 e 2019, l ‘ approvazione da parte dei competenti organi amministrativi di diversi progetti di edificazione e stipulato una convenzione urbanistica per la costruzione di una struttura sanitaria polivalente; – correttamente rappresentato, nei propri bilanci, il valore del proprio patrimonio immobiliare per un ammontare superiore ‘ di molti milioni ‘ ai debiti dell ‘ azienda.
2.11. Il motivo è inammissibile.
2.12. La ricorrente, in effetti, non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato: la quale, invero, con statuizione rimasta del tutto incensurata, ha ritenuto che la società reclamante, a prescindere dall ” ipotetico (e … indimostrato) superamento meramente contabile dell ‘ attivo patrimoniale rispetto al passivo ‘ (che comunque non è di per sé sufficiente ad escludere lo stato d ‘ insolvenza), versava in stato d ‘ insolvenza in quanto priva, in fatto, delle risorse finanziarie necessarie per far fronte, con mezzi ordinari, alle proprie obbligazioni, rilevando: – per un verso, che la stessa è risultata da anni strutturalmente priva di una concreta attitudine a produrre beni o servizi con un margine di redditività da destinare alla copertura dei debiti, tanto più che la sua attività di costruzione è di fatto cessata, limitandosi a percepire i canoni delle locazioni e dell ‘ affitto dei rami di azienda, e che sin dal 31/12/2013 risulta aver interamente perduto il capitale sociale senza che siano mai state poste in essere le iniziative doverosamente volte alla sua ricostruzione; – per altro verso, che era rimasta indimostrata l ‘ idoneità degli immobili di sua proprietà ad essere ‘ prontamente liquidati ai valori di mercato ‘ al fine di soddisfare tempestivamente le obbligazioni esistenti nei confronti delle banche, complessivamente pari, per quanto
emerge dagli ‘ atti delle esecuzioni pendenti ‘, ad oltre 31 milioni di euro.
2.13. Ai fini della dichiarazione di fallimento di una società (che, come quella in esame, non è formalmente in stato di liquidazione), l ‘ accertamento dello stato d ‘ insolvenza è desumibile, infatti, più che dal rapporto tra attivo e passivo, dalla possibilità dell ‘ impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato fronteggiando con mezzi ordinari le proprie obbligazioni, sicché i beni e i crediti che compongono il patrimonio sociale vanno considerati non solo per il loro valore contabile e di mercato ma anche in rapporto all ‘ attitudine ad essere adoperati per estinguere tempestivamente i debiti senza compromissione, di regola, dell ‘ operatività dell ‘ impresa (Cass. n. 30284 del 2022).
2.14. Lo stato d ‘ insolvenza delle società che non siano in liquidazione dev ‘ essere desunto, invero, non già dal rapporto tra attività e passività bensì dall ‘ impossibilità dell ‘ impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, che si traduca in una situazione d ‘ impotenza strutturale (e non soltanto transitoria) a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, per il venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie allo svolgimento dell ‘ attività (Cass. n. 7087 del 2022; Cass. n. 32280 del 2022; Cass. n. 29913 del 2018).
2.15. Lo stato d ‘ insolvenza dell ‘ imprenditore commerciale (il cui accertamento è incensurabile in cassazione quando, come nel caso in esame, emerga da un motivazione immune da vizi logici), quale presupposto per la dichiarazione di fallimento, si realizza, in definitiva, in presenza di una situazione d ‘ impotenza, strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir
meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività. E anche il dato di un assai marcato sbilanciamento tra l ‘ attivo e il passivo patrimoniale accertati, pur se non fornisce, di per sé solo, la prova dell ‘ insolvenza (potendo comunque essere superato dalla prospettiva di un favorevole andamento futuro degli affari, o da eventuali ricapitalizzazioni dell ‘ impresa) nondimeno deve essere attentamente valutato, non potendosene per converso radicalmente prescindere, perché l ‘ eventuale eccedenza del passivo sull ‘ attivo patrimoniale costituisce, pur sempre, nella maggior parte dei casi, uno dei tipici fatti esteriori che, a norma dell ‘ art. 5 l.fall., si mostrano rivelatori dell ‘ impotenza dell ‘ imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni (Cass. n. 26217 del 2005).
Il ricorso, per l ‘ inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, inammissibile: e come tale dev ‘ essere, quindi, dichiarato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l ‘ inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 10.200,00 , di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater ,
del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima