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Dichiarazione di fallimento: basta un credito non definitivo?

Una società di produzione cinematografica viene dichiarata fallita su istanza di una creditrice, basata su una sentenza di primo grado non ancora definitiva. La società fallita ricorre in Cassazione sostenendo che il titolo non fosse definitivo e di non superare le soglie di fallibilità. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, confermando che per la dichiarazione di fallimento è sufficiente un credito accertato in primo grado, anche se non definitivo, e che l’onere di provare il mancato superamento delle soglie di fallibilità spetta al debitore.

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Dichiarazione di fallimento: basta un credito non definitivo?

La procedura per la dichiarazione di fallimento rappresenta un momento critico per qualsiasi impresa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su due aspetti fondamentali: la natura del credito necessario per avviare la procedura e l’onere della prova riguardo le soglie di fallibilità. La pronuncia chiarisce che anche un credito accertato con una sentenza non ancora definitiva può essere sufficiente, e ribadisce che spetta al debitore dimostrare di non essere fallibile.

I Fatti di Causa: Dalla Condanna alla Dichiarazione di Fallimento

Una società operante nel settore cinematografico è stata dichiarata fallita dal Tribunale su richiesta di un’altra azienda dello stesso settore. Il credito vantato dalla società istante derivava da una sentenza di primo grado che, pur accogliendo la sua domanda, era stata appellata dalla società debitrice e quindi non era ancora passata in giudicato.

Contro la sentenza di fallimento, la società debitrice ha proposto reclamo alla Corte d’Appello, la quale ha però confermato la decisione del Tribunale. La Corte territoriale ha osservato che:
1. Non era necessario che il creditore fosse munito di un titolo definitivo.
2. La società reclamante non aveva dimostrato di trovarsi al di sotto delle soglie di fallibilità previste dalla legge.
3. Il valore dell’attivo, costituito principalmente da diritti di distribuzione di alcune pellicole, non era stato adeguatamente provato.

Di conseguenza, la società ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La società ricorrente ha contestato la decisione della Corte d’Appello lamentando la violazione di diverse norme della legge fallimentare e l’omesso esame di fatti decisivi.

Primo Motivo: la Validità del Titolo del Creditore

La ricorrente sosteneva che, in caso di accoglimento del suo appello contro la sentenza di primo grado, sarebbero venute meno sia la legittimazione del creditore ad agire, sia il superamento della soglia minima di indebitamento per la dichiarazione di fallimento. La Cassazione ha ritenuto questo motivo inammissibile perché generico e ipotetico, ribadendo un principio consolidato: per avviare una procedura fallimentare non è necessario un accertamento definitivo del credito. È sufficiente una valutazione sommaria del giudice prefallimentare, specialmente quando, come nel caso di specie, il credito è già stato accertato in un giudizio di primo grado a cognizione piena.

Secondo Motivo: la Prova del Valore dell’Attivo

La società si doleva del fatto che la Corte d’Appello non avesse considerato una perizia di parte che attestava un valore dei suoi attivi (diritti cinematografici) superiore al credito vantato. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha chiarito che una perizia di parte non ha valore di prova, ma solo di indizio, e il giudice non è obbligato a tenerne conto. Inoltre, il confronto tra il singolo credito e il valore dell’attivo non è, di per sé, sufficiente a escludere lo stato di insolvenza.

Terzo Motivo: il Superamento delle Soglie di Fallibilità

Infine, la ricorrente lamentava che la Corte non avesse considerato le sue argomentazioni sul mancato superamento delle soglie dimensionali per la fallibilità (attivo patrimoniale, ricavi e debiti). La Cassazione ha respinto anche questa censura, evidenziando come la società non avesse assolto al proprio onere di provare di essere al di sotto di tali soglie. Il Tribunale aveva già rilevato il mancato deposito della documentazione contabile e dei bilanci dal 2013, un’omissione che impediva qualsiasi verifica in tal senso.

La Decisione della Cassazione e la Dichiarazione di Fallimento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la sentenza di fallimento. La decisione si fonda su principi giurisprudenziali consolidati che rafforzano la tutela dei creditori e la celerità delle procedure concorsuali.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si articolano su tre pilastri. In primo luogo, la legittimazione del creditore a chiedere il fallimento non richiede un credito certo, liquido ed esigibile accertato con sentenza passata in giudicato. Un’indagine sommaria da parte del giudice, supportata da una sentenza di primo grado, è ritenuta sufficiente a meno di ‘significative anomalie’. In secondo luogo, una perizia stragiudiziale non costituisce prova legale ma un semplice argomento di difesa, il cui apprezzamento è rimesso alla discrezionalità del giudice. Infine, e questo è un punto cruciale, l’onere di dimostrare il mancato superamento delle soglie di fallibilità grava interamente sul debitore. Se il debitore non fornisce la documentazione contabile necessaria, come i bilanci regolarmente depositati, non può lamentare una mancata valutazione in suo favore.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. Per i creditori, conferma che è possibile agire per la dichiarazione di fallimento anche sulla base di un credito non ancora definitivo, accelerando la tutela delle proprie ragioni. Per i debitori, invece, emerge con chiarezza l’importanza di una gestione contabile trasparente e puntuale. L’omesso deposito dei bilanci non solo costituisce un’irregolarità, ma impedisce di fatto all’impresa di difendersi efficacemente in sede prefallimentare, facendo ricadere su di essa le conseguenze negative della mancata prova.

È necessario un credito basato su una sentenza definitiva per chiedere il fallimento di un’impresa?
No, non è necessario un accertamento pieno e definitivo del credito. Secondo la Corte, è sufficiente un vaglio incidentale del giudice prefallimentare, che può basarsi anche su una sentenza di primo grado non ancora definitiva, a meno che non emergano ‘significative anomalie’ in essa.

A chi spetta dimostrare che un’impresa non raggiunge le soglie di fallibilità previste dalla legge?
L’onere di provare il mancato superamento di tutte e tre le soglie di fallibilità (attivo patrimoniale, ricavi e debiti) spetta esclusivamente al debitore. La mancata produzione della documentazione contabile, come i bilanci, impedisce al debitore di assolvere a tale onere.

Che valore ha una perizia di parte prodotta in un giudizio per la dichiarazione di fallimento?
Una perizia di parte (o stragiudiziale) non ha valore di prova legale, ma solo di indizio o argomento di prova. Il suo apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, il quale non è obbligato a tenerne conto nella sua decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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