Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30619 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30619 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1389/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliati in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che li rappresenta e difende
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 312/2020 depositata il 21/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza in data 16.9.2020 la Corte d’Appello di Campobasso rigettava l’appello interposto da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Campobasso con la quale gli appellanti, convenuti in primo grado, erano stati condannati, su richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE, al rilascio di un immobile devoluto allo Stato con decreto del Pretore di Campobasso in data 2.9.1997 nonché al pagamento degli indennizzi risarcitori dovuti per l’indebita occupazione a far data dal decreto stesso.
Gli appellanti avevano dedotto in primo e secondo grado l’illegittima devoluzione dell’immobile per vizi del procedimento, attesa l’appartenenza solo parziale dei beni all’RAGIONE_SOCIALE, l’omessa autorizzazione al terzo incanto dell’Intendenza di Finanza e la successiva comunicazione a loro del provvedimento di devoluzione; gli stessi avevano poi lamentato che l’indennizzo dovuto era stato determinato in relazione al minor prezzo tra quello base stabilito al terzo incanto dell’esecuzione e la somma per cui si procedeva anziché essere riferito al solo prezzo previsto per il terzo incanto; avevano rilevato, inoltre, l’erronea condanna di COGNOME NOME al pagamento dell’indennizzo, nonostante la stessa avesse lasciato l’immobile sin dal 2003, ed anche di COGNOME NOME non proprietaria del bene.
La convenuta appellata RAGIONE_SOCIALE, costituitasi, aveva insistito nel rigetto della domanda.
Avverso tale pronuncia COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso articolando tre motivi.
Si è costituita l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Fissata l’odierna adunanza camerale, parte ricorrente ha depositato memoria ex art.380 -bis.1 c.p.c.
Nell’imminenza dell’udienza odierna è sopravvenuto impedimento del relatore designato ed è stato designato altro relatore .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.85,76 e 57 del d.p.r. n.602/73 nonché dell’art.12 disp. prel. c.c.
Il motivo è inammissibile.
Ed infatti, a fronte della conferma da parte della Corte d’Appello delle motivazioni già poste a fondamento della decisione del giudice di primo grado e basate sulla giurisprudenza in tema di impugnabilità del provvedimento di devoluzione dei beni immobili alla Stato, parte ricorrente non ha esposto alcuno specifico elemento atto a consentire una diversa applicazione delle norme di legge rispetto alla ricostruzione datane da entrambi i giudici investiti della cognizione della controversia.
In particolare, parte ricorrente ha rilevato che la devoluzione allo Stato dei beni immobili occupati era inficiata da nullità del procedimento con riferimento all’omessa notifica del decreto di trasferimento, all’omessa autorizzazione dell’Intendenza di Finanza al terzo incanto, all’appartenenza solo parziale dei beni all’RAGIONE_SOCIALE ed alla mancata valutazione di un’ultima offerta presentata prima
della devoluzione; la medesima parte ha inoltre dedotto l’omessa corretta determinazione dell’indennizzo dovuto a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art.85 d.p. r. n.602/73.
Sul punto il giudice dell’impugnazione ha specificatamente motivato richiamando i principi di cui alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo i quali l’istituto della devoluzione del bene immobile allo Stato si caratterizza per la riconduzione nella sfera di controllo del giudice dell’esecuzione (Cass. n. 15201/2005; Cass. n. 3574/1998).
Infatti, la particolare disciplina di cui agli artt. 85 e ss. d.p.r. n.602/73 consente di ricostruire tale procedimento come un’esecuzione forzata seppur caratterizzata dall’estensione dei poteri di iniziativa del creditore procedente, a sua volta giustificata dalla particolare natura del credito. Pertanto, i soggetti che si ritengano eventualmente lesi dal provvedimento medesimo (tra cui lo Stato) devono avvalersi, per idoneamente contestarlo, dello strumento della opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ.
Peraltro, l’art. 85 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, come modificato dall’art. 16 del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ribadisce il concetto di ‘trasferimento’ dell’immobile allo Stato quale possibile esito dell’esecuzione in forza di uno specifico provvedimento di assegnazione del bene da parte del g.e., così eliminando ogni automatismo della devoluzione dell’immobile allo Stato in caso di esito negativo dell’ultimo incanto, come invece derivante dalla precedente formulazione della norma, e chiaramente riconducendo alle forme dell’esecuzione forzata il procedimento in oggetto.
Ed allora si rileva che, come questa Corte ha in più occasioni osservato, ‘ ogni questione relativa alla validità ed efficacia dell’aggiudicazione e della vendita forzata deve essere fatta valere, tanto dalle parti del processo esecutivo quanto dall’aggiudicatario, nell’ambito del processo esecutivo stesso, attraverso i rimedi impugnatori ad esso connaturali (e, quindi, in primo luogo attraverso l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c.), non potendo ritenersi ammissibile una autonoma azione di ripetizione (in tutto o in parte) del prezzo di aggiudicazione, nei confronti dei creditori che hanno partecipato al riparto ovvero del debitore al quale sia stato attribuito l’eventuale residuo (e comunque qualsiasi azione volta a contestare l’efficacia della vendita forzata ovvero il prezzo della stessa), al di fuori del processo esecutivo, se non in via eccezionale, previa dimostrazione, da parte di chi la proponga, che l’esperimento dei rimedi endoesecutivi non gli era in alcun modo possibile prima della definitiva chiusura della procedura esecutiva, in ragione della data in cui era insorta la effettiva e concreta possibilità di far valere la causa di invalidità, nonostante una condotta improntata all’ordinaria diligenza….’ (Cass.n.22854/2020).
Nella specie, tale impossibilità non è stata specificatamente allegata né provata essendosi parte ricorrente limitata a dedurre il vizio di omessa comunicazione del decreto di devoluzione; la stessa parte, d’altro canto, avrebbe potuto proporre la necessaria opposizione nei termini di legge decorrenti dalla conoscenza dell’atto a sé pregiudizievole.
Il principio di necessaria deduzione dei vizi procedurali tramite i rimedi oppositivi previsti dagli artt. 617 e ss. c.p.c. deve, inoltre, ritenersi avere validità generale, per tutte le ipotesi di contestazioni attinenti alla regolarità della vendita coattiva. Infatti ‘Esso si applica, quindi, non solo in caso di totale inefficacia della vendita
per la ricorrenza di un’ipotesi di «aliud pro alio» ma altresì – anzi, a più forte ragione – nell’ipotesi in cui venga in discussione l’entità del prezzo di aggiudicazione, trattandosi in ogni caso di contestazioni attinenti alla regolarità di atti della procedura esecutiva e, segnatamente, della fase della liquidazione e del trasferimento dei beni pignorati (ciò è a dirsi tanto nel caso in cui siano dedotti vizi che abbiano inciso sulla determinazione del prezzo base della vendita, quanto nel caso in cui si contesti la regolarità dell’aggiudicazione o del suo prezzo, ovvero l’illegittimità del decreto di trasferimento ‘ (Cass. n. 22854/2020; Cass. n. 7708/2014; Cass. n. 27677/2022).
Pertanto, ogni questione proposta dall’odierno ricorrente avrebbe dovuto essere trattata in sede di opposizione ex art. 617 c.p.c.
Ciò, quindi, rileva anche nell’ipotesi in cui si volesse affermare l’efficacia, ai fini della conseguente determinazione del corrispettivo della devoluzione, della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 85 citato per effetto della pronuncia n.281/2011 della Corte Costituzionale.
Tale decisione, infatti, non può comunque incidere sui rapporti già esauritisi o, comunque, in relazione ai quali non è più esperibile alcun rimedio oppositivo, come nella specie, per effetto del decreto di devoluzione emesso in data 2.9.1997 e mai impugnato ai sensi dell’art. 617 c.p.c.
Si osserva che ‘ai sensi degli artt. 136 della Costituzione e 30, terzo comma, della legge 1l marzo 1953, n. 87, la norma dichiarata costituzionalmente illegittima non può più avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale. La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale si traduce in un ordine rivolto, tra l’altro, ai giudici di non applicare più la norma illegittima: ciò significa che gli effetti
della sentenza di accoglimento non riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato, purché non si tratti di rapporti esauriti. Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, Sez. III, 28 luglio 2005, n. 15809), infatti, le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione di illegittimità che inficia fin dall’origine la dichiarazione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate, attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali sі collocano non solo la sentenza passata in giudicato (e l’atto amministrativo non più impugnabile), ma anche altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, quali, ad esempio, la prescrizione e la decadenza.’ (Cass. n.26275/2007, Cass. n.15809/2005).
Nella specie, dunque, il decreto di devoluzione allo Stato, in quanto non tempestivamente impugnato, anche nella parte relativa al corrispettivo dovuto o non dovuto per effetto del medesimo trasferimento, all’epoca determinatosi ope legis , non può essere ulteriormente sindacato.
Né possono rivivere le contestazioni relative al decreto di devoluzione allo Stato, mai tempestivamente proposte nella sede adeguata (quella delle opposizioni esecutive), in forza della contestazione dell’importo successivamente richiesto dall’RAGIONE_SOCIALE per l’occupazione illegittima del bene a seguito della devoluzione allo Stato del bene, contestazione svolta dagli odierni ricorrenti nel giudizio di primo grado innanzi al Tribunale di Campobasso. Tale giudizio, infatti, con riferimento al quale è stata pronunciata la sentenza d’appello qui impugnata, è distinto da quello di esecuzione esattoriale conclusosi con la pronuncia del decreto di devoluzione e solo conseguente allo stesso e, come tale,
non consente, per quanto sopra esposto, di riproporre contestazioni ormai precluse.
Irrilevante, poi, deve ritenersi la circostanza che l’RAGIONE_SOCIALE abbia chiesto l’integrazione del decreto di trasferimento con l’autorizzazione alla cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni, formalità meramente accessoria rispetto al decreto stesso.
Pertanto, la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 85 d.p.r. n.602/73 di cui a Corte Cost. n.281/2011 non può aver alcuna incidenza sul caso di specie.
Con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta l’omessa pronuncia della Corte d’Appello in ordine al risarcimento dei danni dovuti ex art. 59 d.p.r. n. 602/73 corrispondenti all’indebito arricchimento dello Stato derivante dalla ‘rilevante differenza tra il valore dell’immobile e l’importo con il quale lo Stato ha operato la devoluzione’.
Il motivo deve ritenersi assorbito da quanto sopra esposto.
Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. nonché dell’art.112 c.p.c. in relazione all’art.360 n.4 c.p.c. poiché COGNOME NOME è stata dichiarata tenuta al pagamento dell’indennità integrale dovuta all’RAGIONE_SOCIALE nonostante avesse lasciato l’immobile dal 2003.
Anche in tal caso il motivo è inammissibile per difetto di specificità atteso che, da un lato, non risulta prodotta in atti la sentenza pronunciata dal Tribunale di Campobasso con i relativi accertamenti svolti in merito alla durata dell’occupazione della COGNOME NOME; da altro lato, il motivo è comunque infondato poiché, vertendosi in tema di solidarietà passiva per l’obbligo di risarcire il danno subito dall’RAGIONE_SOCIALE, ogni questione relativa alla spettanza di parte dell’importo a carico della COGNOME NOME deve essere fatta
valere tra i soli condebitori e con specifica istanza della stessa (in questa sede non proposta). Né, ancora, si evince ove nel procedimento di primo e secondo grado, parte ricorrente avrebbe indicato la rilevanza dell’intervenuto accordo tra l’RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME NOME ai fini dell’esclusione del debito di COGNOME NOME, accordo che, in ogni caso, non esclude l’obbligo di pagamento degli altri condebitori tra cui, per quanto sopra, anche quello di COGNOME NOME.
Infine, con l’ultimo motivo, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art.1022 c.c. in riferimento all’art.360 n.3 c.p.c. nonché la violazione o falsa applicazione dell’art.112 c.p.c. in riferimento all’art.360 n.4 c.p.c.
Il motivo è infondato, atteso che la ricorrente, richiamando integralmente le difese già svolte nei precedenti atti, si limita ad assumere che COGNOME NOME, in quanto non proprietaria dell’immobile, non doveva ritenersi tenuta al pagamento dell’indennizzo, laddove l’indennizzo è dovuto dal mero occupante del bene allorché sia privo di titolo che ne giustifichi l’occupazione. Pertanto, la circostanza per cui la COGNOME NOME non fosse proprietaria originariamente dell’immobile non ne escludeva che l’accertata permanenza in loco fosse come tale illegittima.
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
In considerazione della soccombenza, parte ricorrente deve rifondere a parte controricorrente le spese processuali liquidate come al dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere a parte controricorrente le spese processuali liquidate in euro 6.000,00 per compensi oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
Sussistono i presupposti per il versamento ex art.13 c.1.quater d.p.r. 115/2002 da parte della medesima ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28.10.2025 nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile.
Il Presidente Dr.ssa NOME COGNOME