Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5031 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5031 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 3995 – 2021 proposto da:
COMUNE DI SAN COGNOME, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
LUMINOSO CARMINE
– intimato – avverso la sentenza n. 1943/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, pubblicata il 17/11/2020, notificata in data 4/12/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’ 8/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME letta la memoria del ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 18/11/2009, il Comune di San Severo convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Foggia, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, esponendo che, in data 12/02/1992, aveva sottoscritto con la società convenuta una convenzione urbanistica avente per oggetto la concessione di un diritto di superficie, per anni novantanove, di alcuni suoli edificatori in zona A del primo P.E.E.P., da destinare alla costruzione di un parcheggio; la società, in considerazione della gravosità degli oneri a suo carico relativi al costo del suolo, alla quota dovuta sul costo globale delle opere di urbanizzazione e al costo di costruzione, aveva assunto, in adempimento de ll’obbligo del pagamento di tali somme, l’obbligo di vendergli a prezzo preferenziale e a scomputo della somma dovuta, «una superficie coperta di metri quadrati 598 al netto delle superfici condominiali, con entrata autonoma, secondo quanto prenotato dall’amministrazione su planimetria di progetto» (così nel testo della convenzione); in data 17/07/1995, aveva ricevuto in consegna, a tale titolo, un locale censito al foglio 78, particella 1771, subalterno 20 (utilizzato come sede dell’ufficio del Giudice di pace dal 26/09/2005); intanto, per scongiurare la vendita all’asta di questo immobile nel corso della procedura esecutiva di pignoramento immobiliare
e contro
instaurata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società costruttrice, aveva provveduto a estinguere un debito della convenuta per Euro 72.000; quindi, il legale rappresentante della società aveva preteso di inserire nel contratto di trasferimento una clausola di manleva avente ad oggetto questo debito e, al suo diniego, si era rifiutato di sottoscrivere l’atto definitivo.
Pertanto, il Comune chiese il trasferimento dell’immobile suindicato ex art. 2932 cod. civ. e la condanna della società al pagamento della somma di Euro 72.000 corrisposta ad Equitalia ETR s.p.a., invocando la surroga legale ex art. 1203 n. 2 cod. civ., oltre al risarcimento dei danni.
1.1. La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione chiese, in riconvenzionale, la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto, non risultando identificato l’immobile, né il prezzo da scomputare, nonché la conseguente cancellazione della trascrizione della domanda ex art. 2932 cod. civ. e il rilascio dell’immobile asseritamente occupato senza titolo dal Comune; in subordine, eccepì l’intervenuta prescrizione dell’azione ex art. 2932 cod. civ., per essere trascorsi oltre dieci anni dalla richiesta delle planimetrie e visure catastali al fine di predisporre l’atto di vendita e il rigetto della domanda di restituzione della somma di Euro 72.000, non risultando il Comune, privo di titolarità sul bene, titolare di alcun diritto di surroga.
Con sentenza n. 1984/2017, il Tribunale di Foggia dichiarò nullo per indeterminatezza dell’oggetto il contratto di cui era stata richiesta l’esecuzione ex art. 2932 cod. civ. e, in conseguenza, parzialmente nulla la convenzione urbanistica; dispose l’im mediato rilascio, alla società, dell’immobile occupato ed escluse l’invocato diritto di surroga, non risultando il Comune acquirente del bene; rigettò ogni altra domanda, anche riconvenzionale; ordinò la cancellazione della
trascrizione della domanda giudiziale ex art. 2932 cod. civ., subordinatamente al passaggio in giudicato della sentenza.
3. Il Comune propose appello, notificandolo ai soci NOME COGNOME e NOME COGNOME, perché la società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione era stata intanto cancellata dal registro delle imprese; in particolare, con l’impugnazione rappresentò il difetto di interesse della società alla dichiarazione di nullità del contratto di trasferimento del bene, ribadì la determinatezza o determinabilità dell’oggetto per essere stato comunque consegnato un immobile e stabilito un suo prezzo, rimarcò l’illegittimità della dichiarazione di nullità soltanto parziale della convenzione, attesa l’inscindibilità dell’accordo di trasferimento e della clausola di determinazione del prezzo con la compensazione dei costi e, in ogni caso, lamentò il mancato esame dell’eccezione di prescrizione dell’azione di restituzione e censurò il rigetto della sua domanda di surroga.
NOME COGNOME propose appello incidentale avverso il rigetto delle eccezioni e delle istanze proposte in riconvenzionale, nonché avverso la mancata previsione della cancellazione immediata della trascrizione della domanda e la regolamentazione delle spese.
Per quel che ancora rileva, con sentenza n. 1943/2020, la Corte di appello di Bari rigettò l’ impugnazione principale e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale , provvide soltanto a nuova regolamentazione delle spese di primo grado.
In particolare, la Corte territoriale confermò l’indeterminabilità dell’oggetto, assorbendo la questione della determinazione del prezzo, escluse fosse stata proposta in primo grado, a verbale del 16/3/2010, l’eccezione di prescrizione dell’azione di restituzione del bene e ribadì l’infondatezza della domanda di restituzione della somma corrisposta al terzo Equitalia ETRRAGIONE_SOCIALE
Avverso questa sentenza il Comune di San Severo ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati da successiva memoria, a cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il Comune di San Severo ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 cod. civ., in relazione all’art. 100 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto che la controparte avesse ancora un interesse meritevole di tutela ad eccepire la nullità del contratto, senza considerare che la società consegue, con questa eccezione, un doppio vantaggio e, cioè, la realizzazione del centro civico e commerciale con risparmio degli oneri di costruzione e la restituzione dell’immobile precedentemente consegnato al Comune ; in conseguenza, sarebbe stata preclusa l’eccezione di nullità ex art. 1418 cod. civ. a fronte di finalità di tutela ormai inesistenti, perché gli interessi e i diritti della società risultavano già pienamente soddisfatti al momento della sottoscrizione del contratto.
1.1 Il motivo è infondato: come correttamente rilevato dalla Corte d’appello, secondo l’interpretazione consolidata di questa Corte, la locuzione «chiunque vi ha interesse», che l’art. 1421 cod. civ. utilizza per individuare i soggetti legittimati ad esperire l’azione di nullità di un contratto, si riferisce ai terzi rimasti estranei al contratto per non averlo sottoscritto e non alle parti stipulanti che invece, in quanto tali, sono sempre legittimate all’esercizio di detta azione, poiché è in re ipsa il loro interesse all’accertamento della invocata nullità, in dipendenza dell’attitudine del contratto stesso ad incidere nella loro sfera giuridica ( ex plurimis , Cass. Sez. 2, n. 7017 del 27/07/1994; Sez. 2 n. 2670 del 05/02/2020; Sez. 2, n. 1897 del 23/01/2023, in motiv., non mass.).
Non sussiste abuso del diritto atteso che l’azione di nullità è stata utilizzata per tutelare i diritti dedotti in giudizio, non per perseguire finalità ultronee, in violazione del generale dovere di correttezza e buona fede come sanciti dagli art. 1175 e 1375 cod. civ..
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’ente ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 cod. civ. e dell’art. 100 cod. proc. civ. per avere la Corte ritenuto nullo il contratto per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto della convenzione; ha sostenuto che la Corte d’appello non avrebbe dovuto ritenere la pronuncia ex art. 2932 cod. civ. soltanto una meccanica trasposizione del contratto preliminare, sì da ritenere possibile addivenire alla conclusione del definitivo soltanto in tali limiti; avrebbe dovuto, invece, accertare l’effettiva volontà delle parti in ordine all’esatta identificazione dell’oggetto che potrebbe anche essere individuabile con elementi acquisiti aliunde a mezzo di atti e documenti collegati a quello oggetto di valutazione; in particolare, nella specie, la Corte territoriale non avrebbe considerato l’evidente individuazione del bene da trasferire a mezzo dei riferimenti contenuti nel contratto e dell’avvenuta consegna in data 17/07/1995 che configurava un comportamento concludente allo scopo di ritenere determinabile l’oggetto .
2.1. Con il terzo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato , con un primo profilo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte ritenuto che la convenzione non contenesse gli elementi per la determinazione del prezzo dell’immobile e che, in conseguenza, il contratto dovesse essere annullato per indeterminatezza del corrispettivo, laddove la «reciproca tacitazione delle rispettive pretese» non era mai stata oggetto di contestazione da
parte di alcuna delle parti contraenti; ha, quindi, sostenuto sia stato omesso l’ esame del fatto decisivo consistente nell’essere stato individuato, in convenzione, il prezzo di vendita dell’immobile nella somma di lire 280.985.60 più IVA (pari ad Euro 145.116,95 più IVA), già corrisposto e fatturato, sicché la compensazione oggetto della convenzione rappresenterebbe non una forma di negoziazione implicante la rinuncia alla somma dovuta dal privato per i costi da corrispondersi al Comune, ma la previsione di una diversa modalità di adempimento delle obbligazioni gravanti sulla società.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono fondati, in disparte ogni considerazione sulla loro formulazione.
La Corte d’appello, esaminando il secondo motivo di appello formulato dal Comune avverso il rigetto della sua domanda ex art. 2932 cod. civ., ha rilevato che, come già osservato dal Tribunale, al contratto non era stata allegata alcuna planimetria da cui fosse possibile individuare, con esattezza, l’ ubicazione e i confini dell’immobile descritto soltanto con la locuzione «superficie coperta di metri quadrati 598 al netto delle superfici condominiali, con entrata autonoma, secondo quanto prenotato dall’amministrazione su planimetria di progetto»; ha ritenuto, pertanto, non fosse identificabile quale immobile la società avrebbe dovuto vendere al Comune a prezzo preferenziale, in adempimento dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione, del costo del suolo e del costo di costruzione, né risultasse che l’immo bile consegnato al Comune corrispondesse a quello così genericamente indicato; ha escluso, quindi, che l’oggetto di un contratto per cui è prescritta la forma scritta possa considerarsi determinabile in riferimento al comportamento successivo dei contraenti, secondo la regola ermeneutica ex art. 1362 II comma cod. civ., perché l’obbligo di tale forma risulterebbe vanificato se, per
determinare l’ oggetto dell’accordo, si potesse fare riferimento a comportamenti concludenti successivi all’accordo stesso.
Esclusa la determinabilità dell’oggetto, ha ritenuto, quindi, assorbito il motivo di appello concernente la determinabilità del prezzo, pur dopo aver argomentato in ordine al suo ammontare.
Così decidendo, la Corte d’appello non ha correttamente individuato i principi, via via espressi nella giurisprudenza di questa Corte, applicabili al caso in esame.
La peculiarità della fattispecie, invero, consiste nel fatto che -come riportato nella sentenza impugnata l’immobile promesso era stato effettivamente individuato, nell’ultima convenzione intercorsa tra le parti ( rep. n. 12442 del 12/2/1992, registrata presso l’Ufficio del registro di San Severo il 14/2/1992 al n. 278/1), soltanto con la locuzione «superficie coperta di metri quadrati 598 al netto delle superfici condominiali, con entrata autonoma, secondo quanto prenotato dall’amministrazione su planimetria di progetto»; eppure, comunque, in data 17/7/1995, era stato consegnato dalla società al Comune un immobile, con conseguente redazione di verbale di consistenza e di presa in consegna dei locali, sottoscritto da un rappresentante sia del Comune che della società costruttrice; quindi, per richiesta di quest’ultima , con delibera n. 73 del 5/5/1998, il Consiglio comunale aveva deliberato, in considerazione dei maggiori oneri da lei sostenuti per la realizzazione dei locali ceduti, di mantenere «a disposizione del Comune» la minor superficie di mq 567,94, corrispondente al solo locale censito al foglio 78, particella 1771, subalterno 20, a fronte, però, dello stesso prezzo preferenziale, già stabilito nella citata convenzione, di Lire 280.985.603 (così calcolato a scomputo delle somme dovute a titolo di costo del suolo, quota costo globale delle opere di urbanizzazione e costo di costruzione); dal
26/09/2005 l’immobile era , poi, stato utilizzato come sede dell’ufficio del Giudice di pace.
In diritto, allora, deve considerarsi che, da un canto, questa Corte ha ritenuto ammissibile anche rispetto agli immobili, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico, la vendita di cose generiche, appartenenti ad un genus limitandum , relativamente al genus limitatum costituito dal complesso di un determinato fondo: le parti, indicando quantitativamente, nella misura della sua superficie, il terreno a distaccarsi dalla maggiore estensione nella disponibilità del venditore, possono considerare la maggior estensione come genus , essendo stata la stessa perfettamente individuata nel contratto e non procedere a una nuova manifestazione di volontà (cfr. in ultimo, Cass. Sez. 2, n. 30058 del 13/10/2022).
D’altro canto , soprattutto, questa Corte ha pure considerato rilevante, ai fini della validità del contratto preliminare di compravendita immobiliare, anche in ipotesi di indicazione incompleta degli ordinari elementi identificativi, il riscontro dell ‘intervenuta convergenza delle volontà delle parti, sia pure ricavabile aliunde o per relationem (v. Cass. Sez. 2, n. 11297 del 10/05/2018, con indicazione di numerosi precedenti): la convergenza può essere ravvisata, dunque, anche nell’avvenuta consegna del bene, come riscontrata dal verbale di consistenza sottoscritto da entrambe le parti contraenti e nella determinazione del relativo prezzo come contenuta nella delibera del Consiglio comunale.
In tal senso, allora, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione perché provveda al riesame dell’impugnazione del Comune in applicazione dei principi e delle considerazioni suesposte.
Dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento del quarto motivo, articolato in
riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui il Comune ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1419 I comma cod. civ. per non avere la Corte considerato che la clausola relativa alla consegna dell’immobile era collegata inscindibilmente alla clausola relativa al pagamento del prezzo di favore a mezzo di compensazione dei costi, sicché la parziale nullità della prima avrebbe travolto l’intera convenzione che senza entrambe le pattuizioni non sarebbe stata stipulata.
Ugualmente assorbito risulta il quinto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui il ricorrente ha censurato la statuizione di rigetto del quinto motivo di appello, avente ad oggetto l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione , per violazione dell’art. 1422 cod. civ..
Con il sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato , infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte autonomamente valutato e qualificato la domanda giudiziale volta ad ottenere la restituzione dell’importo di Euro 72.000,00 sborsato in favore di RAGIONE_SOCIALE, al fine di evitare la vendita all’asta dell’immobile in ragione di un debito della società costruttrice.
6.1. Il motivo è inammissibile. Con il sesto motivo di appello, il Comune aveva impugnato il rigetto della domanda avanzata in primo grado a titolo di surroga legale ex art. 1203, n. 2 cod. civ., di restituzione della somma di Euro 72.000,00, motivato dal Tribunale per il difetto di qualità di acquirente del bene ipotecato, ancora intestato alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione; ha altresì sostenuto che fosse possibile una diversa qualificazione di questa sua domanda, quale estromissione, accollo o ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ..
La Corte d’appello, dedicando alla censura la motivazione dal terzo capoverso di pag.17 al secondo capoverso di pag. 19 della sentenza, ha rilevato innanzitutto che il potere del giudice di qualificare diversamente l’azione , a prescindere dall’erronea denominazione usata dalla parte, trova un limite nel divieto di sostituire un’azione diversa da quella formalmente ed espressamente proposta e ha, quindi, rimarcato che tutte le domande indicate dall’ente appellante avevano, tra loro, presupposti e finalità connessi alla tutela di interessi e diritti ben diversi; in conseguenza, ha escluso l’espromissione o l’accollo per non essere stata riportata la sussistenza di un accordo con il terzo Equitalia ETR o tra le parti e l’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. perché passivamente legittimato sarebbe stato soltanto il terzo che aveva ricevuto la somma assunta come non dovuta.
Ciò precisato, la Corte territoriale, escludendo motivatamente la sussistenza di un’ipotesi di surroga, ha ritenuto che nella specie ricorra « l’adempimento spontaneo di un’obbligazione da parte di un terzo che, ai sensi dell’art. 1180 cod. civ., determina l’estinzione dell’obbligazione, anche contro la volontà del creditore , ma non attribuisce automaticamente al terzo un titolo per agire direttamente nei confronti del debitore».
Così interpretata la domanda, la Corte d’appello ha, infine, negato pure la possibilità di qualificare, in sede di impugnazione, l’azione proposta dal Comune di San Severo come azione di indebito arricchimento, perché connotata da un suo petitum e una sua distinta causa petendi sì da dover essere necessariamente proposta in modo esplicito dalla parte interessata e da non poter essere, quindi, sostituita d’ ufficio alla diversa azione fondata su diverso titolo e non accolta dal giudice.
A fronte di questa articolata ed esaustiva motivazione, la censura formulata con il ricorso si risolve, pertanto, in una inammissibile richiesta di una diversa qualificazione della domanda.
Il ricorso è perciò accolto limitatamente al secondo e al terzo motivo, rigettato il primo motivo, dichiarato inammissibile il sesto e assorbiti il quarto e il quinto; la sentenza impugnata è, conseguentemente, cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione perché provveda al riesame della impugnazione del Comune secondo quanto qui rilevato.
Statuendo in rinvio, la Corte d’appello deciderà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, dichiarato inammissibile il sesto e assorbiti il quarto e il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Bari , in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda