Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21803 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21803 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29905/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE CODICE_FISCALE lo rappresenta e difende c ontroricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI n. 159/2021 depositata il 22/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/04/2024 dal Consigliere COGNOME NOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME domandò al Tribunale di Sassari di essere reintegrato nel possesso di un immobile, che abitava unitamente alla sorella NOME, deducendo di esserne stato spogliato da NOME COGNOME, che aveva provveduto a cambiare la serratura di accesso.
NOME COGNOME si oppose alla domanda e il Tribunale di Sassari la rigettò. All’esito del giudizio del merito possessorio, la Corte d’appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari, con sentenza n. 159/2021, confermò la decisione di primo grado.
La Corte di merito pose a fondamento della decisione l’assenza di prova del possesso da parte del ricorrente, rilevando che la COGNOME aveva provato l’esclusivo possesso dell’immobile, anche in qualità di erede di NOME COGNOME, giovandosi del possesso esercitato dalla de cuius ex art. 1146 c.c., anche senza la necessità di una materiale apprensione dei beni. Al contrario, il ricorrente NOME COGNOME, fratello di NOME COGNOME non aveva fornito la prova del possesso, essendo emerso dagli atti che egli aveva abitato l’immobile in ragione dell’ospitalità fornita dalla sorella poiché era privo di alloggio ed in precarie condizioni economiche.
Conseguentemente, ad avviso della Corte di merito, non costituiva atto di spoglio il cambio della serratura da parte di NOME COGNOME, trattandosi di attività corrispondente al suo diritto di proprietà derivante dall’ accettazione della disposizione testamentaria in suo favore.
NOME COGNOME, in qualità di erede di COGNOME NOME, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello sulla base di quattro motivi.
COGNOME NOME resiste con controricorso
Alla proposta di definizione anticipata del 3.6.2023, formulata dal consigliere delegato, è seguita la richiesta di decisione avanzata dal ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.2 c.p.c.
In prossimità della camera di consiglio, le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Deve essere, in primo luogo, rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata da COGNOME NOME per carenza di legittimazione di COGNOME NOME sul presupposto che dal testamento di COGNOME NOME, pubblicato il 26.10.2021 dopo la pubblicazione della sentenza d’appello, risultava che l’esecutore testamentario, NOME COGNOME, aveva il compito di ‘occuparsi di eventuali cause in essere fino alla loro soluzione’.
L’istituto dell’esecutore testamentario si concreta in un ufficio di diritto privato, con alcuni accenti pubblicistici, in base al quale l’esecutore, nominato dal testatore intuitu personae in forza della clausola testamentaria, è investito del potere di compiere in nome proprio determinati atti, i cui effetti ricadono direttamente sul patrimonio ereditario, come se li avessero compiuti gli eredi (Sez. 2, Sentenza n. 719 del 24/04/1965, Rv. 311359). In particolare, compito dell’esecutore testamentario è quello di dare attuazione alle disposizioni di ultima volontà del de cuius , a tal fine prendendo possesso della massa ereditaria, amministrandola e compiendo tutti gli atti di gestione occorrenti.
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte che l’esecutore testamentario, quale titolare di un ufficio di diritto privato, nell’esecuzione del suo compito di assicurare la piena attuazione della
volontà testamentaria è investito di una duplice legittimazione: a) una iure proprio , quale titolare di diritti ed obblighi insorgenti a suo carico sia come custode sia come detentore dei beni ereditari, b) l’altra quale sostituto processuale. Questo ultimo potere d’azione riguarda il promovimento di controversie aventi per oggetto rapporti giuridici dei quali l’esecutore non è titolare, ma la cui tutela assicura l’esatto adempimento dell’incarico testamentario.
Tale ultima legittimazione investe non solo l’accertamento giudiziale della qualità di erede o di legatario degli istituiti, ma, altresì, la determinazione dell’oggetto dell’istituzione, e, quindi, in ogni controversia di questo tipo l’esecutore testamentario è litisconsorte necessario, ex art. 102 c.p.c. (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. II, 28/02/2020, n.5520; RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. lav., 18/08/1982, n.4663; Cass. 16 marzo 1977 n. 1044).
La prosecuzione di un giudizio promosso dal de cuius per l’accertamento di una situazione possessoria nei confronti di un terzo non è una controversia “relativa all’esecuzione” dell’ufficio di esecutore testamentaria ma una controversia volta ad incrementare l’attivo ereditario.
Osserva il collegio che la nomina di un esecutore testamentario non esclude il diritto dell’erede di agire o resistere in giudizio per la tutela dei propri interessi.
Come stabilito da questa Corte, con riguardo al giudizio già pendente in vita del defunto, e nel quale questi faceva valere crediti verso terzi, la legittimazione spetta, a norma dell’art. 110 c.p.c., esclusivamente agli eredi del defunto, senza alcuna deroga per l’ipotesi che sia nominato un esecutore testamentario, non rientrando tale controversia, volta ad incrementare l’attivo ereditario, tra le azioni relative all’ufficio dell’esecutore testamentario, accanto a quelle
dirette ad accertare i diritti successori RAGIONE_SOCIALE parti e ad individuare le persone alle quali l’esecutore deve consegnare i beni e rendere i conti (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. III, 22/03/1994, n.2707).
Come argomentato dalla giurisprudenza citata, l’art. 704 c.c. fa riferimento a “nuove” azioni proposte “nei confronti dell’eredità”, e non a giudizi di cui era, in precedenza, parte il defunto nonché alla facoltà, per l’esecutore, di intervenire “nei giudizi promossi’ e, quindi, non in quelli proseguiti dall’erede.
Infine, le azioni relative al suo ‘ufficio” sono diverse da quelle già promosse dal de cuius e per le quali non sia ancora intervenuta, alla data dell’aperta successione, una sentenza passata in cosa giudicata.
Il problema della “successione nel processo”, quando la parte viene meno per morte, ha la propria disciplina non nell’art. 704 c.c. ma nell’art. 110 c.p.c. che, in via esclusiva, prevede che il processo prosegua “dal successore universale o in suo confronto”, a prescindere dalla circostanza che costui sia tale ex lege o in forza di atto di ultima volontà del defunto e – quindi – senza alcuna deroga per l’ipotesi vi sia stata la nomina di un esecutore testamentario, ex art. 700 c.c.
Va, altresì, disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancanza di prova, da parte di COGNOME NOME, della sua qualità di erede in quanto dal testamento olografo di COGNOME NOME pubblicato il 26.10.2011 risulta inequivocabilmente la sua nomina di erede.
1.1 Superate le questioni preliminari e passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di valutare le risultanze probatorie dalle quali si evincerebbe la prova della sussistenza dell’animus possidendi in capo al COGNOME, con
particolare riferimento alla missiva del 2.7.2016, indirizzata al ricorrente con la quale NOME COGNOME gli comunicava di aver sostituito la serratura in sua assenza e si offriva di consegnargli le nuove chiavi. Inoltre, non si sarebbe tenuto in considerazione che NOME COGNOME era intestatario RAGIONE_SOCIALE utenze dell’immobile oggetto di causa.
2 Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1144 e 1168 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui ha la Corte d’appello ha affermato che NOME COGNOME aveva detenuto l’immobile solo per ragioni di ospitalità, sebbene il possesso dell’immobile si fosse protratto per oltre quaranta anni, come risulterebbe dal certificato storico di famiglia, attestante il fatto che il ricorrente risiedeva dal DATA_NASCITA nell’appartamento de quo con la sorella e risultava essere intestatario della scheda anagrafica, nonché dall’intestazione RAGIONE_SOCIALE utenze elettrica e idrica; la disponibilità del bene per tale durata escluderebbe, pur in presenza di rapporti di parentela, la configurabilità della mera tolleranza e, conseguentemente, della detenzione per mera ospitalità.
3 Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1168 c.c., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con riferimento al rifiuto di NOME COGNOME di consegnare le chiavi a NOME, che costituirebbe manifestazione dell ‘animus possidendi . Secondo il ricorrente, anche qualora NOME fosse stato fino ad allora un mero detentore, attraverso il rifiuto nei confronti di consegnare il bene, si sarebbe determinata, ai sensi dell’art. 1141 c.c., un mutamento della detenzione in possesso.
4 Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1146 e 1168 c.c., con riferimento
all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nella parte in cui è stato ritenuto che la condotta di NOME non integrasse i requisiti dello spoglio. 5 I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati.
Ai fini dell’accoglimento dell’azione di reintegrazione è necessario accertare il possesso, o, ai sensi dell’art. 1168 comma secondo cod. civ., la detenzione qualificata, del soggetto spogliato al momento dello spoglio ( Cass. Civ., Sez. II, 27.12.1993, n.12790; Cass. Civ., Sez. II, 18.5.1985, n.3055).
In tema di prova, spetta, in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (RAGIONE_SOCIALEzione civile sez. II, 09/05/2023, n.12395, non massimata; Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485; Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006).
L’esame dei documenti esibiti e RAGIONE_SOCIALE deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e RAGIONE_SOCIALE risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di
prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata.
La Corte d’appello, con accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito la prova del possesso dell’immobile e che la relazione del bene fosse determinata da ragioni di ospitalità, ovvero da mera tolleranza.
Nel giungere a tale conclusione, la sentenza impugnata, dopo aver affermato che COGNOME NOME era proprietaria e possessore del bene in virtù di atto di divisione ereditaria, ha accertato che la sua dante causa, COGNOME NOME, aveva coabitato con il fratello, il quale si trovava privo di alloggio ed in precarie condizioni economiche e di salute sicchè lo stretto rapporto di parentela e la particolare situazione di difficoltà del ricorrente integravano la mera tolleranza per ragioni di ospitalità.
In proposito, è radicato orientamento di questa Corte quello secondo cui, nell’indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e quindi sia inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell’esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sé labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di
tempo (cfr. Cass., Sez. 2, 10/5/2018, n. 11315; Cass., Sez. 2, 18/6/2001, n.8194; Cass., Sez. 2, 20/2/2008, n. 4327; Cass., Sez. 2, 3/8/1995, n. 8498), mentre il rapporto di parentela e, a fortiori, il rapporto di stretta parentela giustificano notoriamente la configurazione di atteggiamenti di accondiscendenza e, quindi, di tolleranza pur al cospetto di forme di godimento esclusivo di lunga durata (Cass., Sez. 2, 29/5/2015, n. 11277; Cass., Sez. 2, 10/5/2018, n. 11315).
In tale contesto, non era rilevante la circostanza che il ricorrente avesse contribuito alle spese attraverso il pagamento RAGIONE_SOCIALE utenze, trattandosi di atti di gestione giustificati dalla coabitazione con la sorella e, in ogni caso inidonei a provare il possesso.
Non è ravvisabile, pertanto, la violazione del principio dell’onere della prova, che, come più volte affermato da questa Corte ( ex multis Cass. 26769/18 si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione RAGIONE_SOCIALE fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, nel caso di specie, l’onere della prova è stato correttamente posto a carico del ricorrente, che agiva per la reintegra del possesso.
Il ricorso prospetta, in definitiva, una rivalutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie sotto lo schermo della violazione di legge e dell’art.115 c.p.c., che è ravvisabile solo ove il giudice abbia deciso in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, ponendo a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli ( Cass Civile sez. un., 30/09/2020, n.20867).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con inevitabile aggravio di spese per la parte soccombente.
Essendo la decisione resa nel procedimento per la definizione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ.. (novellato dal D. Lgs n.149 del 2022.), con formulazione di istanza di decisione ai sensi dell’ultimo comma della norma citata, e il giudizio definito in conformità alla proposta, parte ricorrente deve essere, inoltre, condannata al pagamento RAGIONE_SOCIALE ulteriori somme ex art.96, comma 3 e 4 c.p.c., sempre come liquidate in dispositivo (sulla doverosità del pagamento della somma di cui all’art.96, comma 4 c.p.c. in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: Cass. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell ‘art.13, comma 1 quater del DPR n.115 del 2002 , sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Condanna altresì la parte ricorrente, ai sensi dell’art.96, comma 3 c.p.c., al pagamento a favore della parte controricorrente di una somma ulteriore di Euro 4.000,00 equitativamente determinata, nonché -ai sensi dell’ art.96, comma 4, c.p.c. – al pagamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR n.115 del 2002,, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1-bis, del DPR n.115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione