Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10986 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10986 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17243/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso il dr. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 16/2020 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 07/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Il Tribunale di Lecce dichiarò, in accoglimento della domanda riconvenzionale, che NOME COGNOME era divenuto proprietario per usucapione d’un immobile, del quale NOME COGNOME aveva rivendicato la proprietà.
La Corte d’appello di Lecce, accolta l’impugnazione dell’attore COGNOME in riforma della sentenza di primo grado, condannò il convenuto COGNOME a rilasciare l’immobile detenuto senza titolo.
2.1. Per quel che qui rileva, la Corte locale ha rilevato che il rapporto tra il Toto e la ‘res’ era stato di mera detenzione e non di possesso, essendogli stato consegnato l’immobile in virtù di contratto preliminare, che lo vedeva promissario acquirente, senza che potesse assumere rilievo la circostanza che il negozio non prevedesse espressamente la consegna anticipata, in quanto la relazione di fatto con la cosa <>; le attività asseritamente svolte erano compatibili con la detenzione.
Il convenuto NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.
L’intimato resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria.
Con il primo motivo viene denunciata violazione degli artt. 132, co. 2, 161, co. 2 cod. proc. civ. e 118, co. 1, disp. attuaz. cod. proc. civ., poiché il testo della sentenza risulterebbe in parte illeggibile, a cagione di duplicazione d’impaginazione e di periodi sospesi e non collegati.
4.1. Il motivo è infondato.
Pur vero che il testo della sentenza presenta due pagine numerate con il numero 4, esattamente duplicate, salvo che per l’ultimo periodo e che per taluni tratti la insufficiente
inchiostrazione rende la lettura non d’immediata agevolezza. Tuttavia, la seconda pagina numerata col 4 risulta perfettamente coerente nel suo ultimo periodo con il primo della successiva pagina 5. La difficoltà di lettura dei tratti di scrittura non inchiostrati alla perfezione risulta agevolmente superabile con l’attenzione dovuta da una lettura professionale, ben in grado di supplire prontamente a eventuali deficit di stampa.
Proprio in ragione di ciò lo stesso ricorrente è stato pienamente in grado di cogliere completamente il contenuto della decisione, tanto da avere potuto imbastire un ricorso di trentaquattro pagine.
Non resta, quindi, che assegnare continuità al principio di diritto che questa Corte ha già avuto modo d’enunciare in materia pienamente sovrapponibile, secondo il quale, in mancanza di un’espressa comminatoria, non è configurabile nullità della sentenza nell’ipotesi di mera difficoltà di comprensione e lettura del testo stilato in forma autografa dall’estensore, atteso che la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità indispensabili per il raggiungimento dello scopo della stessa (Sez. 2, n. 6307, 05/03/2020, Rv. 657129 -01; conf., fra le altre, Cass. n. 24189/2021, in motivazione).
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ. per non avere la Corte esaminato le eccezioni di inammissibilità dell’appello.
5.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la
pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Sez. 2, Ordinanza n. 28947 del 2024; v. anche Cass. n.2151 del 29/01/2021; n. 29191/2017; n.20718/2018; n.34595/2019).
È utile riportare il contenuto della motivazione con la quale è stato rigettato il primo motivo dell’appello di NOME COGNOME: <>. Nel prosieguo della motivazione, come, peraltro, anticipato dallo stralcio motivazionale sopra trascritto, in accoglimento del secondo motivo d’appello, viene negato l’acquisto per usucapione in favore del Toto, invece riconosciutogli dal Tribunale.
Deve osservarsi che la sentenza d’appello ha semplicemente affermato che l’omessa pronuncia lamentata dall’appellante (cioè dal COGNOME) non sussisteva, poiché il Tribunale ne aveva implicitamente, ma inequivocamente rigettato la relativa domanda, avendo accolto la riconvenzionale d’usucapione; e, tuttavia, la prospettazione di merito dell’appellante era fondata per le differenti ragioni sopra riportate. Di conseguenza, non è dato cogliere il significato censorio della doglianza.
Il rigetto del primo motivo d’appello del COGNOME, pertanto, non implicava affatto anche quello del secondo. Di conseguenza, la Corte di Lecce non ha affatto omesso di decidere sul primo motivo
d’appello dell’impugnante COGNOME il rigetto del quale non ha precluso l’accoglimento del secondo e decisivo motivo d’appello.
Con il terzo, quarto e quinto motivo, tra loro osmotici, si denuncia violazione degli artt. 171, 167, 112 cod. proc. civ., omesso esame di un fatto controverso e decisivo, dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 183, co. 5, cod. proc. civ.
Si assume che la Corte d’appello abbia errato a non giudicare nuova la domanda successivamente coltivata dalla controparte, la quale, alla prima udienza davanti al Tribunale, iscritta la causa a ruolo dal convenuto, aveva dichiarato, per mezzo del suo procuratore, che la materia del contendere era cessata, avendo il Toto abbandonato l’immobile; inoltre, il rigetto dell’usucapione non avrebbe potuto implicare la condanna al rilascio, stante che la controparte aveva dichiarato che l’immobile era stato rilasciato.
6.1. Il complesso censorio sopra riportato è infondato.
Siccome correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata a pag. 3, non vi era stata rinuncia al giudizio formalizzata nei modi di legge. Né le parti in causa avevano concordemente manifestato essere intervenuta cessazione della materia del contendere, che, pertanto, non sussisteva. Di conseguenza, poiché il COGNOME, a dispetto dell’abbandono dell’immobile da parte del COGNOME, aveva continuato a non avere la disponibilità del bene del tutto legittimamente ha insistito per l’accoglimento della domanda.
Con il sesto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., nonché dell’art. 2909 cod. civ.
Si assume che la sentenza sia incorsa in errore per avere richiamato la sentenza n. 201/2004 di quella medesima Corte locale, divenuta definitiva per sentenza della Cassazione, con la quale, decidendo sulla domanda di esecuzione in forma specifica
dell’obbligo di concludere il contratto, era stata dichiarata inammissibile la domanda di accertamento di intervenuta usucapione proposta dal medesimo attore, in quanto nuova.
Secondo il Toto da essa sentenza si sarebbe dovuto trarre il convincimento che il COGNOME non aveva compiuto alcun atto interruttivo del possesso vantato dal ricorrente.
7.1. Il motivo non supera il vaglio d’ammissibilità.
La critica non attinge la ‘ratio decidendi’, che si fonda sulla constatazione della Corte locale, secondo la quale <>.
Con il settimo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1163, 1141, 2697, 2727, 2697 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.
Il ricorrente, dopo avere riportato un lungo stralcio della motivazione, sostiene che la Corte d’appello sia incorsa in errore per non avere tenuto conto del fatto che il preliminare non prevedeva la consegna e che il termine ‘ consegna ‘, usato dal procuratore dell’esponente nell’atto introduttivo del giudizio ex art. 2932 cod. civ. avrebbe dovuto intendersi nel senso che il COGNOME aveva preso possesso del bene.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la censura non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, la quale ha correttamente ragionato, escludendo che il possesso, il quale è integrato da una situazione di fatto che ha le vestigia di un diritto reale, possa sorgere per accordo delle parti. L’accertamento, con giudizio di
merito, in questa sede non sindacabile, che il ricorrente ha iniziato a esercitare un potere di fatto corrispondente alla detenzione soddisfa la presunzione di cui al primo comma dell’art. 1141 cod. civ.
Il Giudice del merito ha osservato che <>. Quindi, la relazione con la cosa non è frutto di un impossessamento, se del caso anche mediante atto d’immutazione, operato nei termini di cui al secondo comma dell’art. 1141 cod. civ., bensì discende da un rapporto obbligatorio intercorso tra le parti.
Con l’ottavo motivo , infine, viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1164 cod. civ.
Si afferma che l’esponente si era comportato come il proprietario avendo pagato le tasse fin dal 1981.
9.1. Anche quest’ultima censura non supera il vaglio d’ammissibilità.
L’asserto, per vero, gravemente aspecifico, per difetto di autosufficienza, non è in alcun modo scrutinabile, anche perché non si confronta con la ratio decidendi, fondata su un rapporto di mera detenzione.
Rigettato il ricorso, il regolamento delle spese segue la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio di giorno 31