Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10842 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10842 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
OGGETTO:
usucapione di immobile
RG. 11774/2019
C.C. 16-4-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 11774/2019 R.G. proposto da: difeso dall’avv. NOME COGNOME
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e
ricorrente
contro
FALLIMENTO DELLA RAGIONE_SOCIALE E DEI SOCI COGNOME NOME E COGNOME, c.f. 00186160875, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza n. 504/2018 della Corte d’ depositata il 5-3-2018
intimati appello di Catania,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16-42025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME ha convenuto avanti il Tribunale di Catania sezione distaccata di Mascalucia la curatela del fallimento di RAGIONE_SOCIALE e dei soci NOME e NOME COGNOME, nonché NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, chiedendo dichiararsi l’acquisto della pr oprietà per usucapione di immobili siti in INDIRIZZO INDIRIZZO censiti al catasto al fg. 11 part. 651 sub 1, sub 2, sub 3, part. 16 sub 9, sub 7, sub 8 e part. 652 sub 1, relativi ad appartamento, autorimesse e depositi; in via subordinata ha chiesto il riconoscimento del diritto al rimborso e alle indennità per le riparazioni, migliorie e addizioni apportate agli immobili.
Si sono costituiti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiarando di non contestare la domanda e chiedendone l’accoglimento. Si è costituito il curatore del fallimento, chiedendo il rigetto della domanda e formulando in via riconvenzionale domanda di condanna dell’attore al rilascio dell’immobile e al pagamento di somma per la fruttificazi one; è intervenuto in causa Banco Popolare di Verona e Novara, chiedendo il rigetto della domanda e alla causa è stata riunita la causa proposta dalla curatela fallimentare nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
COGNOME RAGIONE_SOCIALE per ottenere la condanna al rilascio degli immobili dalla stessa occupati.
Con sentenza n. 3900/2013 depositata il 22-10-2013 il Tribunale di Catania ha rigettato le domande dell’attore e ha accolto la domanda riconvenzionale, condannando l’attore a pagare a favore della curatela fallimentare Euro 22.511,90 per gli immobili destinati a uso diverso da quello abitativo ed Euro 864 ,23 per l’appartamento, a titolo di frutti non percepiti da luglio 2005 a marzo 2008.
NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Catania ha integralmente rigettato con sentenza n.504/2018 depositata il 5-3-2018.
2.NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
La curatela del fallimento di RAGIONE_SOCIALE e dei soci NOME e NOME COGNOME ha resistito con controricorso, mentre tutte le altre parti sono rimaste intimate.
Il 12-2-2024 il consigliere delegato ha depositato proposta di definizione accelerata del giudizio nel senso di dichiararne l’inammissibilità e comunque manifesta infondatezza e il 12-3-2024 il difensore del ricorrente munito di nuova procura speciale ha chiesto la decisione.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 16-4-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione sollevata dal ricorrente di nullità del controricorso per mancanza di procura speciale.
L’eccezione è proposta sulla base della considerazione che la procura in calce al ricorso, rilasciata dall’avv. NOME COGNOME quale curatrice del Fallimento in forza del provvedimento autorizzativo del giudice delegato del 13-52019 conferisce all’avv. NOME COGNOMEesp resso mandato a proporre controricorso al ricorso in Cassazione (RG Cass. 6272/2019)’, e perciò con riferimento ad altro giudizio già pendente tra le parti e ora definito . Però, l’eccezione non considera che immediatamente di seguito la procura specifica che il ricorso è ‘avverso la sentenza n. 504/2018 pronunciata dalla Corte d’Appello di Catania in data 20-22018, pubblicata il 05.03.2018 (RG 1680/2014)’; il preciso e analitico riferimento alla sentenza oggetto di impugnazione nel presente giudizio rende evidente che il precedente richiamo ad altra causa pendente tra le parti, RG 6272/2019, era frutto di mero errore materiale e non comportava il conferimento della procura con riguardo a quella diversa causa. La conclusione è confermata dalla considerazione che l’istanza dell’avv. Fascetto al giudice delegato (n. 5/2019), in forza della quale è stato emesso il provvedimento autorizzativo, ha a oggetto il giudizio di cassazione relativo al ricorso proposto da NOME COGNOME alla sentenza n. 504/2018 della Corte d’appello di Catania.
2.Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. degli artt. 1140, 1141, 1158 e 1167 cod. civ. Dichiara essere pacifico che NOME COGNOME ha avuto potere di fatto esclusivo sugli immobili oggetto del giudizio già da prima della sentenza dichiarativa del fallimento del 10-4-1984 e fino al 2005, allorché ha proposto la domanda di usucapione; evidenzia che gli immobili sono stati individuati nelle perizie giurate depositate dell’arch. NOME COGNOME ove lo stesso ha dichiarato ‘per conoscenza diretta’ che NOME COGNOME aveva avuto il possesso ultraventennale e aveva descritto le migliorie e
modifiche eseguite sugli immobili; aggiunge che l’esistenza del possesso pieno, esclusivo e ininterrotto è stato confermato da tutti gli eredi dei soci della società fallita costituiti in causa e che la stessa curatela aveva ammesso di non avere avuto il possesso degli immobili, che ha poi ottenuto nel 2008. Lamenta che erroneamente la sentenza impugnata abbia ritenuto che l’attore avesse avuto la detenzione consentita dagli organi della procedura concorsuale, in quanto la sentenza dichiarativa di fallimento non aveva effetti interruttivi del possesso ad usucapionem, né tali effetti aveva la redazione dell’inventario da parte del curatore fallimentare; aggiunge che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, NOME COGNOME non era presente all’inventario e la curatela fallimentare, proprio per porre fine all’occupazione de gli immobili e al suo possesso, aveva chiesto la reintegra del possesso nel 2018, senza mai avere avuto prima alcun potere di fatto sugli immobili. Rileva che non poteva essere riconosciuta valenza interruttiva del possesso neppure al provvedimento del giudice delegato di data 11-6-1985, con il quale si disponeva che il curatore provvedesse a richiedere l’immediato rilascio degli immobili, in quanto quel provvedimento non era mai stato portato a conoscenza di NOME COGNOME. Quindi ripropone le deduzioni in ordine al l’esistenza del possesso in capo a NOME COGNOME il quale aveva avuto la piena signoria sulla cosa; rileva che l’ animus possidendi si presume e che la tolleranza da parte della curatela fallimentare era da escludere, in ragione del lungo periodo di tempo per il quale si era protratta la signoria sugli immobili e in ragione del fatto che NOME COGNOME non ne era mai venuto a conoscenza.
2.1.Il motivo è inammissibile nella parte in cui non coglie il contenuto e la ratio della sentenza impugnata e per il resto in quanto è finalizzato a ottenere un accertamento dei fatti diverso da quello eseguito dalla Corte d’appello.
E’ determinante e assorbente rispetto a ogni altra la considerazione che la sentenza impugnata ha accertato in fatto (pag.10) che NOME COGNOME non aveva acquistato il possesso dei beni del padre e dello zio, ma ne aveva acquistato la mera detenzione, in ragione del fatto che ne aveva avuto la disponibilità con il consenso dei proprietari, che non aveva dato origine a una situazione possessoria. In effetti la pronuncia, oltre a non essere censurata in termini ammissibili dal ricorrente, risulta immune da qualsiasi vizio in quanto, nel momento in cui l’attore aveva dichiarato di avere ricevuto il bene dai proprietari e non aveva neppure allegato l’esistenza di un contratto idoneo a trasferire la proprietà, necessariamente la Corte d’appello ha individuato un accordo che aveva comportato traditio del bene e non trasmissione del possesso ma insorgenza di mera detenzione: il possesso costituisce una situazione di fatto non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile ad usucapionem previsto dall’art. 1141 cod. civ. quando la relazione con il bene derivi da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto (Cass. Sez. 3 2-12-2016 n. 24637 Rv. 642328-01, Cass. Sez. 2 22-10-2021 n. 29594 Rv. 662568-01). La sentenza ha aggiunto che non era stato provato se e quando fosse intervenuta l’interversione del possesso, evidenziando come fosse pacifico che gli immobili erano stati attratti all’attivo fallimentare e che le opere di manutenzione ordinaria e straordinaria ben potevano attenere al rapporto tra detentore comodatario e la cosa data in comodato.
Le deduzioni del ricorrente non attingono in modo ammissibile questo accertamento in fatto, perché a tale fine sarebbe stato necessario formulare motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi presupposti, al fine di accertare o che il potere di
fatto non era iniziato in forza di titolo che comportava soltanto detenzione o al fine di accertare che vi era stata interversione della detenzione in possesso; come già esposto, non soccorre il ricorrente neppure la presunzione di possesso posta dall’art. 1141 co. 1 cod. civ.
Ne consegue che tutte le ulteriori argomentazioni svolte nel motivo risultano irrilevanti, perché la negazione che la dichiarazione di fallimento dei proprietari degli immobili e gli atti della procedura fallimentare potessero integrare interruzione del possesso, nonché la negazione delle condizioni per l’esistenza della tolleranza da parte della curatela fallimentare presuppongono l ‘esistenza del possesso , che la sentenza ha escluso laddove ha accertato che l’apprensione della cosa era avvenuta in forza di titolo che attribuiva detenzione e ha escluso che vi fosse stata interversione della detenzione in possesso. Anche tutte le deduzioni volte a sostenere in fatto l’esistenza del possesso ad usucapionem rimangono al di fuori del perimetro del motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ., perché finalizzate a ottenere una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita dalla sentenza impugnata, senza tentare di fornire alcun elemento ammissibile in sede di legittimità al fine di escludere che il rapporto fosse iniziato come detenzione.
3.Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 244 cod. proc. civ., nonché per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., il ricorrente deduce che aveva formulato in primo grado istanza di prova per testi e aveva reiterato l’istanza in appello; lamenta che le istanze istruttorie non siano state ammesse e che la sentenza impugnata abbia dichiarato che i capitoli di prova non avessero specificato le circostanze attraverso le quali sarebbe stato esercitato il possesso ad usucapionem; sostiene che, al contrario, i capitoli -trascritti in ricorso- indicavano le persone da
interrogare e i fatti, esposti negli elementi essenziali, collocati nel tempo e nello spazio.
3.1.In primo luogo, il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. è inammissibile ai sensi dell’art. 348 -ter co.5 cod. proc. civ. ratione temporis vigente, in ragione dell’introduzione del giudizio d’appello successivamente all’11 -92012 e all’introduzione del giudizio di cassazione prima del 28-2-2023, vertendosi in ipotesi di “doppia conforme”. In tale caso il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28-2-2023 n. 5947 Rv. 667202 -01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 64324403, per tutte); nessuna delle deduzioni del ricorrente è finalizzata a dimostrare tale diversità.
Inoltre, avendo la sentenza accertato in fatto che il rapporto di NOME COGNOME con gli immobili era iniziato a titolo di detenzione, il giudizio di rilevanza sui capitoli di prova si poneva in termini di verifica dell’idoneità dei capitoli ad accertare che, diversamente, non fosse configurabile la detenzione o che vi fosse stato il mutamento di detenzione in possesso. Nessuno dei capitoli di prova, come trascritti in ricorso, è utile in tal senso e quindi correttamente la sentenza impugnata ne ha dic hiarato l’inammissibilità; infatti, il primo e il secondo capitoli sono volti a fare confermare ai testimoni che i soci della società fallita avevano immesso ‘nel possesso’ degli immobili NOME COGNOME ma, non specificando in forza di quali accordi e in quali termini questa immissione nel possesso fosse avvenuta, si trattava evidentemente di deduzione inutile a contrastare l’accertamento riferito al fatto che il rapporto con la cosa era iniziato in forza di accordo con i proprietari che aveva trasmesso la detenzione.
4.Con il terzo motivo, proposto ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1147, 1148, 1149, 1150, 1151 e 1152 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere confermato la pronuncia di condanna di NOME COGNOME al pagamento dei frutti civili e per avere confermato il rigetto della domanda volta a ottenere il riconoscimento di migliorie e addizioni. Rileva che non sono dovuti i frutti civili in ragione dell’intervenuto acquisto per u sucapione e comunque ai sensi dell’art.1148 cod. civ., perché il possesso era in buona fede. Aggiunge che, nel non riconoscere le migliorie, la sentenza impugnata ha ignorato la perizia di parte e il contenuto degli artt. 1150 e 1152 cod. civ., in ordine ai diritti del possessore per riparazioni, miglioramenti e addizioni.
4.1.Il motivo è manifestamente infondato, in quanto basato sul presupposto che NOME COGNOME avesse il possesso degli immobili, mentre la sentenza ha ritenuto che il suo rapporto era iniziato come detenzione. Sulla base di questo dato la sentenza (pag.12) ha rigettato la domanda relativa alle migliorie e la considerazione è valida per tutte le domande proposte dal ricorrente facendo valere la sua qualità di possessore, a lui non spettante in quanto detentore.
5.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e di conseguenza, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente è condannato alla rifusione a favore della curatela fallimentare controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
Inoltre, poiché il ricorso è deciso in sostanziale conformità alla proposta formulata ex art. 380-bis cod. proc. civ., devono essere applicati, come previsto dal comma terzo dello stesso art. 380-bis cod. proc. civ., il terzo e il quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento a favore della curatela controricorrente di somma equitativamente determinata nella
misura di cui in dispositivo, nonché al pagamento di ulteriore somma a favore della cassa delle ammende.
Come evidenziato da Cass. Sez. U 27-9-2023 n. 27433 (Rv. 668909-01) e Cass. Sez. U 13-10-2023 n. 28540 (Rv. 669313-01), l’art. 380 -bis co.3 cod. proc. civ., richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96 co. 3 e 4 cod. pro c. civ., codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore, un’ipotesi di abuso del processo, giacché non attenersi alla delibazione del proponente che trovi conferma nella decisione finale lascia presumere una responsabilità aggravata.
Infine, i n considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna il ricorrente ex art. 96 co. 3 e 4 cod. proc. civ. al pagamento di Euro 6.000,00 a favore del controricorrente e di Euro 3.000,00 a favore della cassa delle ammende.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di
ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione