Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25091 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25091 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17170/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1390/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 29/04/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Osserva
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), esponendo di avere acquistato da RAGIONE_SOCIALE nell’anno 1997 un capannone industriale e che da allora aveva posseduto con animo proprietario l’area circostante indicata in atti, chiese, citando in giudizio RAGIONE_SOCIALE, costituita dalla scissione di RAGIONE_SOCIALE, emettersi sentenza che la dichiarasse proprietaria per usucapione dell’anzidetta area. La convenuta resistette.
Il Tribunale accolse la domanda
La Corte d’appello di Milano rigettò l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE
La soccombente appellante avanzava ricorso sulla base di tre motivi, l’intimata resisteva con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, hanno chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 12 settembre 2024.
Occorre premettere che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte -ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase
distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa (S.U., n. 9611, 10/04/2024, Rv. 670667 -01).
Ciò posto il consigliere proponente NOME COGNOME legittimamente compone il Collegio.
In via di ulteriore preliminarietà deve stigmatizzarsi il contenuto largamente improprio dell’istanza con la quale la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso. Con essa, infatti, la ricorrente non si è limitata, come avrebbe dovuto ai sensi dell’art. 380 bis, co. 2, cod. proc. civ., a chiedere la decisione, ma si è spesa in apprezzamenti giuridici, come si trattasse d’una integrazione del ricorso o, comunque, d’una memoria atipica, che precede la fissazione della trattazione della causa, invece che seguirla, con deposito nel termine perentorio di cui all’art. 380 bis 1 cpc. Di un tale contenuto, pertanto, non deve tenersi conto (Sez. 2, n. 8303, 27/03/2024, Rv. 670576 -01).
Con il primo motivo la ricorrente denuncia falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e violazione degli artt. 1141 cod. civ. e 113 cod. proc. civ.
Si assume che la sentenza aveva erroneamente qualificato possesso la mera detenzione dell’area, stante che la stessa parte attrice aveva ammesso di essere stata <> dell’anzidetta area dalla proprietaria, in attesa del suo frazionamento e del suo successivo trasferimento in proprietà. Quindi, il rapporto con la ‘res’ trovava fondamento in un contratto di comodato gratuito, senza che fosse intervenuto successivamente mutamento della detenzione in possesso. Di talché non operava la presunzione del possesso ‘ad usucapionem’ di cui all’art. 1141 cod. civ. e non poteva valere quale atto d’immutazione la richiesta al
comune di modifica della destinazione urbanistica, trattandosi di atto non diretto nei confronti della proprietaria.
9. La doglianza è fondata.
Con il primigenia citazione (prodotta dalla ricorrente) l’COGNOME espose che la RAGIONE_SOCIALE, con contratto preliminare di compravendita del 4/12/1995 le aveva promesso in vendita <> , che con l’atto pubblico di compravendita del 10/4/1997 era stato ceduto <>, oltre ad essere stato concesso il diritto di prelazione ventennale sull’appezzamento di terreno avente destinazione agricola. Con lettera manoscritta dal rappresentante legale dell’alienante in quella stessa sede la società venditrice <>. Con il medesimo documento, qualche rigo prima, veniva chiarito che <>. Da quel momento, si precisa con la citazione, <>.
Da quanto riferito dalla stessa controricorrente si ricava, pertanto, che costei instaurò il rapporto di fatto, che la medesima qualifica possesso, non per apprensione diretta e autonoma, bensì per concessione della proprietaria. Da ciò deriva che l’instaurato rapporto, privo di autonomia, perché dipendente dal potere della proprietaria, deve qualificarsi detenzione.
Costituisce, invero, principio fermo quello secondo il quale in un contratto ad effetti obbligatori, la “traditio” del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l’insorgenza di una
mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una “interversio possessionis”, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso “uti dominus”, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile “ad usucapionem”, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto (Sez. 2, n. 29594, 22/10/2021, Rv. 662568 -01). Ed ancora, in un contratto ad effetti obbligatori, la ‘traditio’ del bene non configura la trasmissione del suo possesso ma l’insorgenza di una mera detenzione, sebbene qualificata, salvo che intervenga una ‘interversio possessionis’, mediante la manifestazione esterna, diretta contro il proprietario/possessore, della volontà di esercizio del possesso ‘uti dominus’, atteso che il possesso costituisce una situazione di fatto, non trasmissibile, di per sé, con atto negoziale separatamente dal trasferimento del diritto corrispondente al suo esercizio, sicché non opera la presunzione del possesso utile ‘ad usucapionem’, previsto dall’art. 1141 c.c., quando la relazione con il bene derivi da un atto o da un fatto del proprietario non corrispondente al trasferimento del diritto (sez. 3, n. 24637, 02/12/2016, Rv. 642328 – 02).
Affermazioni, queste, che trovano solido appiglio nella giurisprudenza elaborata a riguardo della consegna della ‘res’ al promissario acquirente: nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente
collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile “ad usucapionem”, salvo la dimostrazione di un’intervenuta “interversio possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ. (S.U., n. 7930, 27/03/2008, Rv. 602815 -01; conf., fra le tantissime, Cass. nn. 1296/2010, 9896/2010, 5211/2016).
Sulla base delle emergenze di causa riportate in sentenza non consta che la detentrice della striscia di terreno abbia validamente proceduto a mutare la detenzione in possesso, ai sensi dell’art. 1141, co. 2, cod. civ. Viene solo riferito dell’utilizzo della stessa per posteggio e transito. Quale che sia stato l’ ‘animus’ che ha sorretto un tale utilizzo, in mancanza di mutamento del titolo del rapporto con la ‘res’, non si è in presenza di possesso utile all’usucapione, bensì di detenzione.
Sul punto deve escludersi che la coltivazione di pratiche edilizie urbanistiche, di cui parla la stessa ricorrente, possa procurare un tale effetto, salvo che essa sia seguita dalla costruzione di opere, tali da manifestare inequivocamente al proprietario la volontà di mutare la detenzione in possesso (cfr., Sez. 2, n. 23458, 26/08/2021, Rv. 662075 -01).
Accolto il primo motivo, gli altri due, con i quali la ricorrente denuncia, rispettivamente, violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., restano assorbiti in senso proprio, risultandone vano lo scandaglio.
Cassata la sentenza, il Giudice del rinvio riesaminerà la vicenda facendo applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, regolando, inoltre, le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano, altra sezione.
Così deciso in Roma il giorno 12 settembre 2024.