Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 34648 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 34648 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14976/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
e contro
COGNOME Lorenzo;
-intimato- per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze n. 221/2019, depositata il 30 gennaio 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione, notificato in data 15 novembre 2005, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio NOME COGNOME esponendo di aver stipulato con la medesima una scrittura privata, con la quale si impegnava a perfezionare un preliminare di compravendita con la società attrice, o ‘con la persona che essa indicherà quale futuro acquirente’, avente a oggetto un monolocale facente parte di un più ampio complesso immobiliare di proprietà della COGNOME a titolo di corrispettivo per i lavori di ristrutturazione interna, così come individuati in un computo metrico che la Guidi s.n.c. si obbligava a eseguire su di esso. In forza della citata scrittura la RAGIONE_SOCIALE s.n.c.
avrebbe dovuto far fronte: al compenso inerente alla progettazione, agli oneri di urbanizzazione, ai costi di costruzione (nonché a quelli di mediazione), oltre alla realizzazione di una scala esterna. Di contro, prima dell’inizio dei lavori, la COGNOME si sarebbe impegnata a stipulare un preliminare con cui si sarebbe obbligata a cedere la proprietà del monolocale alla RAGIONE_SOCIALE o a un terzo da questa indicato. L’impresa, inoltre, al momento del rogito, ‘da effettuarsi non prima della fine dei lavori’ e dopo l’invio del solo ‘preavviso raccomandato di 8 giorni’, avrebbe dovuto versare a saldo alla COGNOME lire 10.000.000 e, contestualmente, quest’ultima alla Guidi s.n.c. l’importo dovuto per l’IVA sulle fatture emesse. Nella scrittura privata era, infine, prevista una penale di lire 30.000.000 a carico della parte inadempiente. La società attrice asseriva che, terminate le opere nel rispetto degli accordi presi e assolti integralmente gli obblighi pattuiti, aveva convocato innanzi al notaio ai fini della stipula del contratto definitivo la COGNOME, la quale, senza mai addurre giustificazione alcuna, non avrebbe proceduto alla stipula del contratto definitivo. Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE.n.cRAGIONE_SOCIALE, constatato l’inutile decorso del termine di cui alla diffida ad adempiere, agiva in giudizio ex art. 2932 cod. civ. per ottenere una sentenza volta a dare esecuzione in forma specifica dell’obbligo della COGNOME a concludere il contratto definitivo, avendo inoltre la società attrice, data la facoltà concessagli ex art. 1401 cod. civ., nominato, quale soggetto subentrante nei diritti nascenti dalla scrittura, NOME COGNOME L’attrice, inoltre, richiedeva la condanna della convenuta al pagamento dell’importo di euro 3.313,59, oltre interessi dalla domanda al saldo, per corrispettivo dell’esecuzione di ulteriori opere rispetto al computo metrico allegato alla scrittura, nonché dell’importo di euro 15.493,71 quale penale pattuita.
Con comparsa di costituzione e risposta, in data 18 gennaio 2006, NOME COGNOME a mezzo del suo procuratore speciale
NOME COGNOME si costituiva in giudizio eccependo il mancato adempimento delle obbligazioni assunte dalla società attrice con il contratto preliminare del 20 novembre 1995. La convenuta eccepiva altresì come la società RAGIONE_SOCIALE non avesse eseguito alcuni lavori di cui al computo metrico estimativo e che altri non fossero stati eseguiti a regola d’arie. Contestava, inoltre, all’attrice di essersi illegittimamente impossessata del monolocale oggetto della scrittura privata, percependone i relativi frutti civili senza accollarsi le spese per le utenze, per manutenzione ordinaria e straordinaria, fosse biologiche, tassa rifiuti, ecc., e senza aver mai proceduto alla consegna dei lavori finiti alla proprietaria, in vista del contratto definitivo di compravendita per sé o persona da nominare. La COGNOME concludeva, quindi, per il rigetto delle domande avversarie e, in via riconvenzionale, chiedeva: dichiararsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento ai sensi dell’art 1668 cod. civ. ovvero ex art 1453 cod. civ.; condannarsi la società attrice al pagamento della penale pattuita pari ad euro 15.493,71 oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannarsi l’attrice al risarcimento danni per l’indebita occupazione dell’immobile dal 1996 ad oggi e per tutte le spese sostenute da NOME COGNOME e delle quali ha beneficiato l’immobile occupato; condannarsi la società attrice a tenere indenne NOME COGNOME in proprio e quale procuratore speciale della sorella NOME COGNOME da qualsivoglia obbligazione risarcitoria nei confronti di terzi a causa dell’inesatto adempimento nell’esecuzione dei lavori; ordinarsi a NOME COGNOME , attuale occupante, l’immediata restituzione del bene immobile; condannarsi il COGNOME, in solido con la società RAGIONE_SOCIALE, al risarcimento dei danni, o all ‘ ingiustificato arricchimento, in seguito all’impossessamento illegittimo dell’immobile e al rimborso delle spese sostenute da NOME COGNOME delle quali aveva beneficiato pro quota l’immobile, da quantificarsi nel corso del giudizio e comunque non
inferiore a euro 10.000,00; in via subordinata, accertato l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE Guido RAGIONE_SOCIALE, disporsi la riduzione e la rideterminazione del corrispettivo dovuto in esecuzione del contratto, con esonero di NOME dall’obbligo di trasferimento dell’immobile di cui alla scrittura privata del 20 novembre 1995. La convenuta, altresì, chiedeva di essere autorizzata, ai sensi dell’art 269 , comma 2, comma cod. proc. civ., a chiamare in causa NOME COGNOME lamentando l’impossessamento del bene da parte della società attrice nonché l’arbitraria cessione di tale possesso, con conseguente godimento senza titolo da parte del COGNOME.
Autorizzata la chiamata del terzo, si costituiva NOME COGNOME concludendo, in via principale, per la reiezione delle domande di NOME COGNOME nei suoi confronti, con contestuale accoglimento della domanda ex art. 2932 cod. civ. a proprio favore, chiedendo altresì l’autorizzazione alla chiamata in causa d i NOME COGNOME (suo diretto dante causa per avergli, quest’ultimo, a sua volta promesso in vendita il monolocale) dal quale, in solido con la RAGIONE_SOCIALE.n.cRAGIONE_SOCIALE, pretendeva di essere manlevato e tenuto indenne nella denegata ipotesi di accoglimento delle domande della COGNOME.
Autorizzata nuovamente la chiamata in causa del terzo, si costituiva in giudizio anche NOME COGNOME contestando la ricostruzione operata dalla COGNOME.
Ammessa ed espletata prova per testi, disposta consulenza tecnica d’ufficio , il Tribunale di Livorno, sez. distaccata di Piombino, con sentenza n. 15/2012, depositata in data 7 febbraio 2012, in accoglimento della domanda di parte attrice, dichiarava trasferito a NOME COGNOME il diritto di proprietà sul l’ immobile, condannando NOME COGNOME a pagare in favore di COGNOME RAGIONE_SOCIALE euro 15.576,58, oltre interessi al saggio legale dalla domanda alla data di pubblicazione della presente sentenza. Tutte le domande di
NOME COGNOME venivano respinte e, conseguentemente, venivano dichiarate assorbite le domande di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Le spese di lite erano poste a carico di NOME COGNOME.
-Avverso tale sentenza, NOME COGNOME nella sua qualità di procuratore speciale di NOME COGNOME proponeva appello dinanzi alla Corte di Appello di Firenze.
La convenuta RAGIONE_SOCIALE e le ulteriori parti, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito in giudizio, ribadendo le conclusioni già formulate in primo grado.
Con sentenza n. 121/2019, la Corte di appello di Firenze ha rigettato l’appello, condannando NOME COGNOME al pagamento delle spese del giudizio.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
La RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono costituiti con controricorso, è rimasto intimato NOME COGNOME.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
In prossimità della pubblica udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza, avendo violato gli artt. 101, 190 cod. proc. civ., quest’ultimo come richiamato dagli artt. 359 cod. proc. civ. e 24 e 111 Cost. (art 360 n. 4 cod. proc. civ.). Parte ricorrente evidenzia che la sentenza risulterebbe essere deliberata e decisa nella camera di consiglio del 5 dicembre 2018. Essendosi tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni in data 23 ottobre 2018 anche se in sentenza è stato fatto riferimento ‘all’udienza del 9 ottobre 2018 ‘ – le parti precisarono le conclusioni chiedendo i termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ. e avendo la Corte di
appello concesso termine di 30 giorni per il deposito di memorie conclusionali ed ulteriori 20 per il deposito di memorie conclusionali di replica, il primo termine scadeva il 22 novembre 2018 e il secondo il 12 dicembre 2018. La sentenza sarebbe stata dunque deliberata prima della scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, sette giorni prima dello spirare del secondo termine in violazione delle regola del contraddittorio.
1.1. -Il motivo è infondato.
La data di deliberazione della sentenza, a differenza della data di pubblicazione (che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica), non è un elemento essenziale dell’atto processuale, sicché tanto la sua mancanza, quanto la sua erronea indicazione, non integrano alcuna ipotesi di nullità, ma costituiscono fattispecie di mero errore materiale, come tale emendabile ex artt. 287 e 288 cod. proc. civ. (Cass., Sez. V, 20 settembre 2017, n. 21806).
Se la data di deliberazione riportata in calce a una sentenza collegiale è anteriore alla scadenza dei termini ex art. 190 cod. proc. civ., ma la data di pubblicazione – che segna il momento in cui la decisione viene ad esistenza – è successiva a detta scadenza, si presume, in assenza di contrari elementi, che l’indicata data di deliberazione sia affetta da semplice errore materiale e che, pertanto, il processo deliberativo si sia correttamente svolto mediante l’esame degli scritti difensivi depositati, senza alcun pregiudizio del diritto di difesa delle parti (Cass., Sez. III, 11 febbraio 2021, n. 3569).
Nel caso di specie deve ritenersi che si sia trattato di un mero errore materiale e che nessun nocumento sia derivato al diritto di difesa della parte.
-Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norma di diritto e precisamente del combinato disposto degli artt. 1141, 1401, 1411, 1655, 1665 e 2932 cod. civ.
(art 360 n. 3 cod. proc. civ.). La ricorrente sottolinea come la sentenza di secondo grado confonderebbe la detenzione (non qualificata e titolata) che del bene immobile consegue, in forza del contratto di appalto, all’impresa appaltatrice per l’esecuzione dell’opera, con la detenzione (qualificata e titolata), che consente al detentore/possessore la possibilità di trasferire il godimento del bene a terzi. Qualora l’impresa appaltatrice, che ha in uso il bene per l’esclusiva finalità di eseguire l’opera e di realizzare i lavori commessi, dovesse trasformare tale detenzione in detenzione titolata o in possesso, attribuendo il bene in godimento a terzi, realizzerebbe il mutamento della detenzione in possesso ai sensi dell’art . 1141 cod. civ.; facoltà che non gli è consentita finché il titolo non venga espressamente mutato, titolo nella specie mai modificato rispetto a quanto regolato con la scrittura del 20 novembre 1995. Egualmente, un contratto preliminare non produce immediatamente gli effetti del trasferimento di proprietà, che consegue solo al contratto definitivo, e in particolare il rilascio del bene nel possesso del promittente acquirente con la facoltà di poterne godere e disporre a immagine del diritto di proprietà. Il rilascio del bene (e dunque l’ immissione nel possesso) consegue al perfezionamento del definitivo, quando si produce l’effetto traslativo del diritto di proprietà. Pertanto, salvo diversa clausola espressa nel contratto preliminare, il promittente acquirente non può detenere né acquisire il possesso del bene e, se lo fa, realizza un’occupazione del bene senza titolo alcuno, con tutte le conseguenze di legge.
Al riguardo si sottolinea come l ‘accordo di cui alla scrittura del 20 novembre 1995 affidava il bene all’impresa appaltatrice esclusivamente per l’esecuzione del contratto di appalto e non immetteva immediatamente nel possesso o in una detenzione qualificata e titolata dell’immobile il promittente acquirente, in modo da consentire il trasferimento del godimento a favore di terzi.
L’unica facoltà consentita all’impresa appaltatrice era quella di indicare il terzo alla stipula del preliminare o al rogito notarile, ai sensi degli artt. 1401 e 1411 cod. civ. Il contratto per persona da nominare e il contratto a favore di terzi non consentono al terzo di acquisire diritti o facoltà diversi da quelli stabiliti nel contratto originario. Solo la riconsegna del bene, al termine dell’esecuzione dell’appalto, avrebbe consentito alla COGNOME la verifica dell’esecuzione a regola d’arte dell’opera e l’esercizio di tutti i diritti conseguenti spettanti al committente, ai sensi degli artt. 1665 e 1667 e 1668 cod. civ. Ne risulterebbero anche violati gli artt. 1141 cod. civ. sull’ interversio possessionis , 1401 e 1411 cod. civ., sul contratto per persona da nominare o sul contratto a favore di terzi, l’art. 1655 cod. civ. sul contratto di appalto e l’art. 2932 cod. civ. sul contratto preliminare di compravendita che origina il trasferimento della proprietà con le facoltà conseguenti solo al momento del contratto definitivo o della sentenza costitutiva dell’effetto traslativo in luogo del contratto definitivo di compravendita. La facoltà concessa alla RAGIONE_SOCIALE di indicare al preliminare o al definitivo un terzo, costituiva applicazione degli artt. 1401 o 1411 cod. civ. e non poteva consentire una detenzione titolata o un possesso anticipato, rispetto al contratto definitivo, a favore del promittente acquirente o del terzo che sarebbe stato indicato; detenzione titolata o possesso anticipato di cui non vi è traccia negli accordi.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione o falsa applicazione di norma di diritto e precisamente degli artt. 2043 e 2055 cod. civ. sull’illecito extracontrattuale e sui suoi effetti ex art. 1148 e ss., cod. civ. sugli effetti del possesso (art 360 n. 3 cod. proc. civ.). Quale effetto dell’accoglimento del secondo motivo, in relazione alla pronuncia della Corte di appello che ha rigettato il diritto ad un indennizzo per occupazione senza titolo del bene formulato dalla COGNOME, parte ricorrente fa discendere la
conseguenza che la RAGIONE_SOCIALE, trasformando l’uso strumentale e necessitato dall’esecuzione del contratto di appalto, in un vero e proprio possesso, con godimento diretto, titolato e qualificato, al punto di trasferirlo a terzi, ha realizzato un illecito ex art. 2043 cod. civ., non risultando alcun rapporto tra le parti che la abilitasse a un godimento diretto o indiretto, con gli effetti dell’art. 2055 cod. civ. Ne conseguirebbe il diritto della COGNOME al risarcimento dei danni subiti per occupazione senza titolo che il consulente ha determinato e quantificato quale valore locatizio degli ultimi 12 anni (aprile 1996 aprile 2008,) che ammonta complessivamente ad euro 69.101,00, utilizzando i criteri sviluppati nella relazione.
2.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono fondati.
Nel contratto d’appalto il committente non perde il possesso del bene, ma continua ad esercitarlo tramite l’appaltatore ancorché questi sia un detentore autonomo, legittimato ex. art. 1168 cod. civ. all’azione di reintegrazione contro il terzo autore dello spoglio (Cass., Sez. II, 15 maggio 1998, n. 4908).
Fino alla consegna dell’opera al committente, l’appaltatore, detiene l’opera stessa nel suo personale interesse, in virtù di un rapporto obbligatorio e deve pertanto considerarsi detentore qualificato (Cass., Sez. II, 28 maggio 2003, n. 8522).
Alla luce della giurisprudenza richiamata appare evidente che l’impresa appaltatrice, incaricata di realizzare dei lavori all’interno dell’immobile, avesse una detenzione sia pur qualificata del bene per cui non esercitava alcun possesso, non aveva alcuna facoltà di cedere il bene a terzi. La pronuncia impugnata, al riguardo, confonde le due situazioni materiali di dominio, alternando i due istituti -possesso e detenzione -nella parte motiva e sovrapponendo le diverse facoltà spettanti al titolare. In tal modo finisce per riconoscere all’appaltatore, che resta un detentore qualificato, le facoltà derivanti dal possesso.
La società appaltatrice, al termine dei lavori, avrebbe semplicemente dovuto restituire il bene alla committente e non immettere terzi nel godimento. Gli effetti del trasferimento della proprietà discendono dal contratto definitivo, nella specie non concluso, né risulta esservi stata una cessione anticipata del possesso.
3. -Con il quarto motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza e del procedimento, avendo riconosciuto valore probatorio decisivo all’affermazione della parte relativa alla rimozione della parete in cartongesso, contenuta nella comparsa conclusionale di NOME COGNOME e immediatamente contestata in memoria di replica, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonché degli artt. 163, 167, 183 e 189 cod. proc. civ., sulle decadenze nella allegazione dei fatti, non essendo consentita, per queste ultime norme, l’allegazione di nuovi fatti e circostanze in sede di comparsa conclusionale (art 360 n. 4 cod. proc. civ.). La ricorrente, richiamando le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, sottolinea come il monolocale, dato senza titolo in godimento a terzi (nella specie NOME COGNOME), sia stato trasformato in bilocale attraverso una parete in cartongesso. Pertanto, il bene, per fatto non imputabile alla promittente venditrice, ma per pacifico fatto imputabile all’occupante senza titolo dell’immobile per iniziativa della RAGIONE_SOCIALE, è stato reso non commerciabile, se non determinando la radicale nullità del contratto, ciò che, in relazione alla sentenza ex art. 2932 cod. civ., comporta la stessa nullità del trasferimento con essa realizzato.
Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione delle norme sulla circolazione dei beni immobili e precisamente dell’articolo 46 del D.p.r. 380/2001 e dagli articoli 17 e 40 della legge 47/1985 agli effetti della loro applicazione in funzione dell’art. 2932 cod. civ. (art 360 n. 3 cod. proc. civ.). La sentenza avrebbe violato le norme sulla circolazione dei beni
immobili che impongono la regolarità urbanistica ed edilizia del bene immobile per il suo trasferimento (che lo stesso CTU nella propria relazione aveva dichiarato insussistente), in conformità ai titoli amministrativi abilitativi; quindi, anche sotto questo profilo la sentenza appare viziata per illegittimità e quindi da cassare. Peraltro, in nessuna parte del c.d. preliminare o della sentenza risultano menzionati i titoli abilitativi in forza dei quali l’immobile avrebbe potute essere ritenuto in regola sul piano urbanistico ed edilizio, né l’acquirente ha offerto la relativa prova, che appare anzi contraddetta dal consulente (si veda in particolare sul punto Cass. n. 1505 del 2018). In presenza di un immobile abusivo non è possibile ugualmente ottenere la sentenza ex art. 2932 cod. civ. (se il contratto definitivo non può avere ad oggetto un immobile abusivo, identica preclusione deve sussistere per l’eventuale sentenza sostitutiva del contratto ex art. 2932 cod. civ., in quanto la sanzione di nullità del trasferimento di immobili abusivi è, in questo caso, una sanzione di carattere sostanziale e non meramente formale).
3.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
La circostanza dell’abbattimento della parete in cartongesso risulta presente agli atti del giudizio fin dal primo grado e riportata nell’atto di costituzione in appello. La circostanza non risulta essere stata contestata nel corso del giudizio di secondo grado.
In punto di diritto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 cod. civ., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a
sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido, a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato (Cass., Sez. Un., 22 marzo 2019, n. 8230).
In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare, può essere pronunciata sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ. in presenza di opere realizzate in parziale difformità dal permesso di costruire, che non realizzino variazioni essenziali al progetto originario (nella specie, lievi difformità interne regolarizzabili e realizzazione di allacci idrici e di scarico finalizzati al cambio della destinazione del vano cantina), in quanto non incidono sulla validità del corrispondente negozio di trasferimento ai sensi dell’art. 40 della l.n. 47 del 1985 (Cass., Sez. II, 2 gennaio 2024, n. 34).
Nel caso di specie, a seguito del ripristino dello stato dei luoghi, la pronuncia ha escluso che il monolocale presenti una difformità urbanistica, per cui non sussiste la violazione denunciata.
4. -Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione delle norme sull’oggetto del contratto ed in particolare sul suo carattere determinato e determinabile ex artt. 1325 e 1346 cod. civ., agli effetti dell’art . 1418 cod. civ. con conseguente ricaduta sulla sentenza ex art. 2932 cod. civ. anch’essa nulla (art 360 n. 3 cod. proc. civ.). La scrittura 20 novembre 1995, che rappresenta l’unico accordo intervenuto tra le parti, nonostante prevedesse un impegno al successivo perfezionamento di un capitolato speciale di appalto e di un vero e proprio preliminare di compravendita, identifica l’oggetto del preliminare nel seguente modo: ‘Monolocale rappresentato con
colorazione rossa nella planimetria allegata sopra la lettera d) ‘ . L’allegato d) unito alla scrittura privata allegata come documento 2, in allegato alla comparsa di costituzione in primo grado della sig.ra NOME COGNOME e riprodotta nel fascicoletto doc. 3 sub a, raffigura tutte le unità, comprensive delle residue due (bilocali) che sarebbero rimaste in proprietà alla committente, senza alcun preciso riferimento a confini o a dati catastali. Si tratta di un mero schizzo privo di riferimenti ed elementi qualificativi.
Poiché nella fattispecie l’effetto traslativo non discende dal consenso delle parti in vista del quale si può ipotizzare un preliminare con precisazioni generiche sulla identificazione dell’immobile , con semplice rinvio a planimetrie e senza indicazione di confini e dati catastali, bensì da una sentenza costitutiva che prende luogo del contratto, si rende necessario – come affermato in maniera costante ed univoca dalla giurisprudenza di legittimità una puntuale identificazione del confine e del dato catastale in quanto la sentenza costitutiva deve necessariamente corrispondere al contenuto del contratto non potendo attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto di trasferimento, del tutto mancante nel caso di specie.
Il carattere indeterminabile e indeterminato dell’oggetto della compravendita a cui le parti si sarebbero in ipotesi impegnate, renderebbe inevitabile l’applicazione degli artt. 1325 e 1346 cod. civ. , per gli effetti di cui all’art. 1418 cod. civ.: il contratto avente un oggetto indeterminato e indeterminabile è nullo.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
In tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto
del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche. (Cass., Sez. II, 5 marzo 2024, n. 5961).
La censura contenuta nel motivo, che non risulta essere stata formulata precedentemente, difetta di specificità in merito al contenuto dell’accordo. Peraltro, la Corte d’appello ha individuato il bene oggetto del trasferimento, così come indicato dalle parti (immobile situato in San Vincenzo, INDIRIZZO come rappresentato con colorazione rossa nella planimetria allegata al contratto sotto la lettera D), per cui alcuna censura può essere formulata in sede di legittimità a fronte di una valutazione compiuta in sede di merito.
5. -Con il settimo motivo di ricorso si deduce la nullità del procedimento e conseguentemente della sentenza per avere disposto una consulenza esplorativa in difetto di prova sulla determinazione contrattuale dell’oggetto della promessa vendita, in violazione degli artt. 191 e 194 cod. proc. civ. e destinata a sopperire l’onere di allegazione e prova della parte, in violazione degli artt. 2697 cod. civ. e 163 e 183 cod. proc. civ. (art 360 n. 4 cod. proc. civ.). Parte ricorrente evidenzia come di fronte alle incertezze dell’accordo contrattuale circa l’identificazione del bene oggetto della promessa vendita – il giudice non poteva disporre una consulenza tecnica destinata a colmare la grave lacuna della mancanza di oggetto del negozio giuridico.
5.1. -Il motivo è inammissibile.
Il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. IV, 25 agosto 2023, n. 25281).
La censura, che non risulta essere stata formulata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado né in sede di appello, non potrebbe comunque essere esaminata in sede di legittimità, stante i limiti derivanti dalla regola della cd. “doppia conforme”.
6. -Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2932 cod. civ., laddove la sentenza trasferisce unità immobiliari che non sono state oggetto del preliminare originario che sarebbe stato perfezionato con la scrittura 20 novembre 1995 (art 360 n. 3 cod. proc. civ.). Si evidenzia che nell’atto di appello NOME COGNOME aveva evidenziato come fosse stata effettuata in primo grado una consulenza integrativa ai fini della ricostruzione delle unità immobiliari oggetto dell’accordo preliminare, la quale aveva identificato, attraverso ricerche catastali, la particella coincidente con il monolocale, e tuttavia aveva rappresentato anche l’esistenza di particelle limitrofe non costituenti area comune con detta particella o area pertinenziale e/o addirittura di proprietà di terzi. La sentenza di primo grado (confermata in secondo grado) ha, infatti, disposto il trasferimento di unità immobiliari non solo non incluse nell’accordo preliminare ma neppure di proprietà della COGNOME. Nonostante la chiarezza della relazione peritale sul punto, parte ricorrente evidenzia che sarebbe stata trasferita anche la particella 617, che il medesimo ctu chiarisce essere costituita da scala di collegamento tra piano sotto strada e piano terreno, non costituente – neppure – area comune con la particella sub 625 che contraddistingue il monolocale. Ugualmente, per quanto riguarda il trasferimento delle particelle 616 e 634, che il consulente non menziona come di proprietà di NOME COGNOME, di proprietà esclusiva di NOME COGNOME, sulle quali quest’ultimo ha ottenuto una variante a concessione edilizia per edificarvi, come di fatto è avvenuto. Infine, la particella 633 – anche questa conduce ad una
scala – è area comune delle particelle che hanno ingresso al piano terra rialzato e non al seminterrato.
6.1. -Il motivo è inammissibile.
Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. è inammissibile se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., Sez. III, 28 febbraio 2023, n. 5947)
Si chiede una nuova valutazione di fatto su un profilo su cui non sono state formulate censure in sede di gravame, a fronte peraltro di una doppia conforme.
7. -Con il nono motivo di ricorso si deduce la omessa o gravemente insufficiente motivazione, non essendo intelligibile dalla parte motiva la ratio decidendi in ordine all’adempimento da parte della Guidi s.n.c. quanto alla consegna nei termini dell’opera, in violazione delle norme di cui all’art. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. , con conseguente violazione dell’art. 2697 cod. civ. sull’onere della prova (art 360 n. 4 cod. proc. civ.). L’onere di allegazione e della prova a carico di chi richiede la risoluzione del contratto per inadempimento si limita dunque alla deduzione del rapporto contrattuale e dei suoi contenuti (in particolare il termine per la consegna) e alla mera allegazione delle circostanze di inadempimento, essendo invece a carico della parte che si assume inadempiente l’onere della prova di aver correttamente adempiuto la prestazione. Al contrario, la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe dimostrato di aver correttamente adempiuto alla prestazione contrattuale. La consulenza ha fatto emergere la mancata esecuzione di alcune categorie di lavori , l’esecuzione difforme e viziata di altre. Inoltre, sarebbe assolutamente pacifica la mancata consegna del monolocale (divenuto bilocale) alla
COGNOME per cui non vi è mai stata effettiva consegna dell’opera mentre sarebbe altrettanto pacifico cha la RAGIONE_SOCIALE, senza averne titolo, ha consegnato l’immobile a un terzo. Tali profili vengono ‘liquidati’ in parte motiva, con la semplice affermazione che trattasi di un inadempimento non grave perché tale circostanze risulterebbero dalla consulenza dell’Ing. COGNOME
7.1. -Il motivo è inammissibile.
In materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito (Cass., Sez. VI-2, 22 giugno 2020, n. 12182).
Nella specie, la Corte d’appello ha puntualmente escluso che i fatti dedotti costituissero un inadempimento tale da legittimare la risoluzione del contratto.
-Il ricorso va dunque accolto nei termini indicati. La sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in altra composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in altra composizione anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda