Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28083 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Data pubblicazione: 22/10/2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28083 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME
Consigliere NOME.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Oggetto:
BANCA
Ad.17/09/2025
CC
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19015 R.G. anno 2022 proposto da:
COGNOME NOME , domiciliata lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che la rappresenta e difesa unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
contro
ricorrente e ricorrente incidentale nonché contro
COGNOME NOME ;
intimato avverso la sentenza n. 1855/2022 emessa dalla Corte di appello di Milano il 30 maggio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2025
Sez. I -RG 19015/2022
camera di consiglio 17.9.2025
dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. ─ Con sentenza della Corte di appello di Milano del 30 maggio 2022, resa in un giudizio che ha preso l’avvio da un decreto ingiuntivo opposto dall’odierna istante, è stata integralmente riformata la pronuncia di primo grado resa dal Tribunale di Pavia. Questo aveva dichiarato la nullità parziale del contratto di fideiussione, concluso da NOME e NOME COGNOME, siccome riproduttivo dello schema ABI che la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2005, aveva ritenuto espressione di una intesa restrittiva della concorrenza.
La decisione del Giudice distrettuale è stata impugnata per cassazione da NOME COGNOME con un ricorso basato su due motivi.
A tale ricorso resiste RAGIONE_SOCIALE con un controricorso in cui è svolta una impugnazione incidentale basata su di un motivo.
2 . ─ E’ stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.. A fronte di essa, la ricorrente principale ha domandato la decisione della causa e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-La proposta ha il tenore che segue.
« l primo motivo del ricorso principale evoca l’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. in relazione agli artt. 99, 101, 112 e 115 c.p.c.;
«la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia ‘ finito per prendere in considerazione, per di più basando esclusivamente su di essi la decisione assunta, aspetti della vertenza ‘ che ‘mai stati, nel giudizio di primo grado (svoltosi davanti al Tribunale di Pavia con il n. 5572/RAGIONE_SOCIALE R.G.) fatti oggetto di apposita allegazione e di conseguente discussione ‘;
«è da rammentare, al riguardo, che in base all’art. 7 del contratto di garanzia, concluso dall’odierna ricorrente e dall’intimato NOME
Numero registro generale 19015/2022 Numero sezionale 3026/2025 Numero di raccolta generale 28083/2025 Data pubblicazione 22/10/2025
COGNOME con la banca, i fideiussori erano tenuti a pagare immediatamente, a semplice richiesta scritta da parte del creditore, quanto dovuto (pag. 12 della sentenza impugnata);
«come è esposto dalla stessa istante, col quinto motivo di appello l’odierna controricorrente aveva dedotto che la garanzia prestata dalla controparte integrava un contratto autonomo di garanzia cui non doveva conseguentemente applicarsi la disciplina di cui all’art. 1957 c.c.;
«la Corte di appello ha interpretato il cit. art. 7 nel senso che esso imponeva alla banca creditrice la sola richiesta scritta, ‘onde non era richiedibile alla banca alcuna ulteriore iniziativa, essendo invece dovere dei fideiussori provvedere al pagamen to immediatamente dopo l’invio della richiesta’; ha quindi ritenuto che l’invio, da parte dell’istituto bancario, della semplice missiva con cui era stato intimato il pagamento fosse idonea a scongiurare la decadenza di cui all’art. 1957 c.c.; ciò ha fatto evocando il principio per cui ‘ ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire a prima richiesta , l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza di cui all’art. 1957, comma 1, c.c., deve intendersi riferito – giusta l’applicazione del criterio ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. – esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione; pertanto, deve ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, secondo la tradizionale esegesi della norma, atteso che, diversamente interpretando, vi sarebbe contraddizione tra le due clausole contrattuali, non potendosi considerare ‘a prima richiesta’ l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio ‘ (così Cass. 26 settembre 2017, n. 22346);
«il tema della deroga convenzionale alla disciplina sulla decadenza posta dall’art. 1957 c.c. era parte del giudizio di appello, essendo stato veicolato dal quinto motivo di gravame, e tale mezzo di censura poneva
pure la questione della qualificazione della garanzia come garanzia autonoma;
«a fronte di tale perimetrazione della materia del contendere (per la parte che qui interessa), non può imputarsi alla Corte di appello di aver preso in esame la clausola contrattuale da essa reputata decisiva ai fini della definizione della questione sollevata;
«infatti, per giurisprudenza ampiamente consolidata, il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l’obbligo di attenersi all’interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti: al riguardo non è configurabile un vizio di ultrapetizione, ravvisabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto (così Cass. 11 giugno 2021, n. 16608, che richiama in motivazione: Cass. 10 settembre 2012, n. 15086; Cass 4 marzo 1968, n. 702; Cass. 4 dicembre 1967, n. 2874; Cass. 22 giugno 1966, n. 1608);
«il primo motivo è quindi inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c.;
«il secondo lamenta i vizi di cui all’art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c. e cita, in rubrica, gli artt. 653 e 336 c.p.c.;
«ci si duole che la Corte di appello, nel riformare la sentenza di primo grado abbia accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo e confermato quest’ultimo, laddove, a seguito della revoca del provvedimento monitorio da parte del Tribunale, questo non poteva ‘rivivere’;
«come insegna la giurisprudenza di questa Corte, l ‘accoglimento
dell’opposizione a decreto ingiuntivo comporta la definitiva caducazione del provvedimento monitorio, sicché l’eventuale riforma della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello , anche ove impropriamente conclusa con un dispositivo con il quale si ‘ conferma ‘ lo stesso, non determina la ‘ riviviscenza ‘ del decreto ingiuntivo già revocato, che, pertanto, non può costituire titolo per iniziare o proseguire l’esecuzione forzata (Cass. 6 settembre 2017, n. 20868);
«ne discende che, ad onta delle espressioni impiegate dalla Corte di merito, la sentenza di appello non può aver determinato l’effetto paventato dalla ricorrente: per il che NOME COGNOME non ha interesse ad impugnare la pronuncia per il profilo indicato; un tale interesse potrebbe semmai delinearsi ove controparte si avvalesse del decreto ingiuntivo quale titolo esecutivo, fattispecie, questa, che è però del tutto estranea all’odierna impugnazione;
«il secondo motivo è dunque inammissibile per carenza di interesse;
«poiché il ricorso principale è inammissibile, quello incidentale, con cui si denuncia la violazione degli artt. 393 e 653 c.p.c., è da considerarsi inefficace ex art. 334, comma 2, c.p.c. in quanto tardivo: nel controricorso si espone, infatti, che la sentenza di appello è stata notificata il 31 maggio 2022, mentre il ricorso incidentale risulta notificato il 4 ottobre dello stesso anno».
2. Il Collegio reputa condivisibili tali argomentazioni, che resistono ai rilievi formulati dalla parte ricorrente nella sua memoria.
I precedenti menzionati nella detta memoria non sono pertinenti. Il principio desumibile da quegli arresti (Cass. 17 febbraio 2020, n. 3893; Cass. 26 giugno 2012, n. 10617), circa i limiti che incontra il giudice di appello di dare al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data dal primo giudice, opera, evidentemente, nel caso in cui allo stesso giudice di appello non sia devoluta la questione su quella qualificazione ( sull’onere del
soccombente di impugnare la qualificazione giuridica del contratto operata con la pronuncia di primo grado, cfr., per tutte, Cass. 15 maggio 2019, n. 12875): e infatti, nelle pronunce richiamate dalla odierna ricorrente tale tema era stato sollevato solo negli scritti conclusionali del giudizio di gravame (non, quindi, con tempestiva censura). Ove, invece, in appello si faccia questione della qualificazione, il giudice ben può ricercare quale sia la clausola realmente applicabile ai fini della decisione della questione proposta, procedendo, in relazione al contenuto della clausola stessa, ad una diversa qualificazione giuridica, sempre che non risulti violato il principio della non rilevabilità di ufficio delle eccezioni in senso stretto (Cass. 29 novembre 1973, n. 3288). Ora, la banca, col quinto, ma anche col primo motivo di appello, aveva censurato la sentenza di primo grado deducendo che la garanzia prestata doveva qualificarsi autonoma: la Corte di merito era dunque pienamente investita della questione e non poteva deciderla che prendendo in esame le risultanze di causa, tra cui rientrava, come è ovvio, il documento contrattuale nella sua interezza, comprensivo della clausola di cui all’art. 7, di cui qui si dibatte.
– Il ricorso principale va quindi dichiarato inammissibile, mentre quello incidentale deve essere dichiarato inefficace.
– Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
Trovano applicazione, a carico della ricorrente principale, le statuizioni di cui all’art. 96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori
di legge; condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, dell’ulteriore somma di euro 6.000,00; condanna la parte ricorrente al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile, in data 17 settembre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME