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Deroga art 1957 c.c.: la clausola ‘a richiesta’

La Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola ‘a semplice richiesta’ in un contratto di fideiussione costituisce una valida deroga all’art. 1957 c.c. Di conseguenza, il creditore non è tenuto a iniziare un’azione giudiziaria entro sei mesi dalla scadenza del debito, essendo sufficiente una semplice richiesta scritta al garante per evitare la decadenza. La Corte ha rigettato il ricorso dei fideiussori, confermando la legittimità della richiesta di pagamento della banca.

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Deroga art 1957 c.c.: la clausola “a semplice richiesta” salva il creditore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale nei contratti di fideiussione: la validità della clausola di pagamento “a semplice richiesta” come deroga art 1957 c.c. Questo articolo impone al creditore di agire legalmente contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza del debito, pena la perdita della garanzia. La Suprema Corte, con questa decisione, consolida un orientamento giurisprudenziale di grande rilevanza per banche e garanti, stabilendo che una semplice richiesta scritta può bastare se il contratto lo prevede.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo emesso da un Tribunale su richiesta di un istituto di credito. La banca chiedeva a tre fideiussori il pagamento di quasi 400.000 euro, a saldo di un mutuo fondiario contratto da una società, nel frattempo dichiarata fallita. I garanti si opponevano, lamentando l’applicazione di interessi anatocistici e usurari e chiedendo la nullità della fideiussione stessa.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto gran parte delle richieste dei garanti, confermando il debito relativo al mutuo. La Corte d’Appello, successivamente adita, aveva parzialmente riformato la decisione, ammettendo la compensazione tra il debito dei fideiussori e un credito vantato dalla società debitrice verso la banca su un diverso rapporto di conto corrente. Tuttavia, aveva confermato la validità della garanzia e l’obbligo di pagamento del debito residuo. I garanti, insoddisfatti, hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

I motivi del ricorso e l’analisi della Corte

I ricorrenti hanno basato il loro ricorso su due motivi principali. Il primo, di natura processuale, è stato rapidamente respinto dalla Corte per non aver impugnato specificamente tutte le ragioni della decisione di primo grado.

La validità della deroga art 1957 c.c.

Il secondo motivo, di gran lunga più interessante, riguardava la presunta violazione dell’art. 1957 del Codice Civile. Secondo i garanti, la banca aveva perso il diritto di agire nei loro confronti perché non aveva iniziato un’azione giudiziaria contro la società debitrice entro il termine di decadenza di sei mesi. Sostenevano che una semplice lettera di messa in mora, inviata dalla banca, non fosse sufficiente a interrompere tale termine.

Inoltre, contestavano che la clausola presente nel contratto di fideiussione, che prevedeva l’obbligo del garante di pagare “a semplice richiesta scritta”, potesse costituire una valida deroga alla norma.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo una motivazione chiara e dettagliata. In primo luogo, ha rilevato un vizio procedurale: l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. era stata sollevata tardivamente nel corso del giudizio di merito e, pertanto, era inammissibile.

Nonostante ciò, la Corte è entrata nel merito della questione per ribadire un principio consolidato. Ha spiegato che, sebbene l’art. 1957 c.c. richieda di norma una “istanza” giudiziale per impedire la decadenza, le parti possono liberamente derogare a questa previsione. La giurisprudenza costante considera la clausola che obbliga il fideiussore al pagamento “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” come un’efficace deroga pattizia.

Questa clausola, infatti, modifica la regola legale, rendendo sufficiente una qualsiasi richiesta stragiudiziale (come una lettera di messa in mora) per assolvere l’onere del creditore e impedire la liberazione del garante. La Corte ha sottolineato che la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c. non è posta a presidio di interessi di ordine pubblico e, quindi, può essere liberamente modificata dall’accordo delle parti. Nel caso di specie, il contratto di fideiussione conteneva proprio tale clausola, rendendo la lettera inviata dalla banca un atto idoneo a interrompere il termine semestrale.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione conferma che la volontà contrattuale è sovrana nel modellare gli obblighi derivanti dalla fideiussione, anche in relazione alle tutele previste dalla legge per il garante. La presenza di una clausola di pagamento “a semplice richiesta” sposta significativamente l’equilibrio a favore del creditore, esonerandolo dall’onere di avviare un’azione legale entro brevi termini. Per i fideiussori, questa pronuncia è un monito a leggere con estrema attenzione le clausole contrattuali prima di firmare, poiché esse possono limitare notevolmente le tutele legali previste a loro favore. Per gli istituti di credito, rappresenta una conferma della validità ed efficacia di prassi contrattuali ormai diffuse.

Una semplice lettera di messa in mora è sufficiente per interrompere il termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c.?
In generale no, la legge richiede un’istanza giudiziale. Tuttavia, se il contratto di fideiussione contiene una clausola di pagamento ‘a semplice richiesta’, allora una lettera di messa in mora è sufficiente, poiché tale clausola costituisce una valida deroga alla norma.

La clausola ‘a semplice richiesta’ in un contratto di fideiussione è valida per derogare all’art. 1957 c.c.?
Sì, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, tale clausola è una deroga pattizia pienamente valida. Non essendo la norma posta a tutela dell’ordine pubblico, le parti possono liberamente accordarsi per modificarne l’applicazione.

Cosa succede se in appello non si contestano tutte le ragioni su cui si fonda la sentenza di primo grado?
Se una sentenza di primo grado si basa su più ragioni autonome e sufficienti (pluralità di ‘rationes decidendi’), la parte che appella ha l’onere di contestarle tutte specificamente. Se anche una sola di queste ragioni non viene impugnata, essa diventa definitiva e sufficiente a sorreggere la decisione, rendendo inammissibile l’esame delle altre censure.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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