Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3020 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3020 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto: Vendita immobile – Garanzia ex art. 1490 c.c.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30391/2019 R.G. proposto da
COGNOME e COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME Mari e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio della prima in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova n. 986/2019, depositata il 7/3/2019 e notificata il 5/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con atto del 20/10/2014, COGNOME NOME e COGNOME NOME proposero appello avverso la sentenza n. 564/2014 del 09/06/2014, con la quale il Tribunale della Spezia, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME, aveva risolto il contratto di compravendita con il quale il predetto aveva acquistato da NOME COGNOME e NOME COGNOME l’immobile sito in Sarzana, INDIRIZZO e aveva condannato, da una parte, questi ultimi a corrispondere all’attore la somma di € 1.014.000,00 a titolo di restituzione del prezzo, la somma di € 35.672,00 a titolo di rimborso delle spese sostenute per la compravendita e la somma di € 89.636,78 a titolo di risarcimento del danno e dall’altra, in accoglimento della domanda riconvenzionale subordinata, NOME COGNOME a rilasciare, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME l’immobile e a restituire tutti i beni mobili elencati in un documento prodotto in giudizio, nonché a corrispondere ai predetti la somma di € 5.000,00 a titolo di restituzione dell’equivalente del valore dei beni distrutti, la somma di € 72.367,00 a titolo di restituzione di un importo equivalente al valore di godimento del bene e la somma di € 1.300,00 per ogni mese in cui eventualmente avesse occupato l’immobile.
Il giudizio di gravame si concluse, nella resistenza di COGNOME Paolo, con la sentenza n. 986/2019 del 7/3/2019, con la quale la Corte d’Appello di Genova respinse l’appello principale e quello incidentale.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. COGNOME NOME si è difeso con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e ss. cod. civ., 1495, primo comma, cod. civ., 1492, 1458 e 1494 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato la tempestività dell’azione di garanzia per vizi dell’immobile ai sensi dell’art. 1495 cod. civ., ritenendo che il termine di otto giorni decorresse dal momento in cui l’acquirente aveva avuto certezza della sussistenza dei vizi e dunque dalla data di deposito della relazione tecnica dell’ing. COGNOME avvenuta il 12/7/2010, essendo la stessa stata effettuata il 16/7/2010, senza considerare che i pretesi vizi erano stati denunciati per la prima volta dal legale della controparte con la lettera del 18/1/2010 e scoperti prima di tale data, come risultante dalle stesse dichiarazioni rese da NOME COGNOME all’udienza di primo grado del 25/1/2011, quando aveva detto che eventi analoghi a quelli del dicembre 2009 e correlati alle abbondanti precipitazioni del 23 e 24 dicembre 2009 – che avevano determinato l’allagamento delle fondazioni dell’edificio e dei vani posti nel seminterrato nonostante le pompe dell’impianto di pompaggio fossero state continuamente in funzione – erano avvenuti nei mesi di novembre e dicembre 2009, dalle affermazioni contenute nella comparsa di risposta in appello e dalla stessa relazione del c.t.u. Ing. COGNOME nella parte in cui aveva dato atto dell’ispezione compiuta, in data 7/1/2010, dal c.t.p., mediante foro sulla pavimentazione del locale armadi e ‘prova penetrometrica dinamica superpesanti’, che aveva consentito di accertare la presenza di acqua tra caldana armata e pavimentazione. Pertanto, essendosi gli allagamenti verificati già nei giorni 23 e 24 dicembre 2009 e avendo l’acquirente fatto svolgere anche accertamenti tecnici il 7 gennaio 2010, era evidente, ad avviso dei ricorrenti, l’intempestività e, dunque, inammissibilità della denuncia inoltrata con la citata lettera del 18/1/2010, essendo all’epoca già decorso il
termine di otto giorni dalla scoperta, e a maggior ragione di quella inviata con la lettera del 16/7/2010, posto che, diversamente da quanto avviene per il contratto d’appalto ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., nella compravendita la denuncia per i vizi prescinde dalla consapevolezza delle relative causa, essendo all’uopo sufficiente il loro solo manifestarsi, e che grava sull’acquirente la dimostrazione della tempestività della denuncia.
Col secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, nell’affermare che la scoperta dei presunti vizi era avvenuta in seguito all’accertamento tecnico preventivo conclusosi il 12/7/2010 e che dunque la denuncia inoltrata con lettera del 16/7/2010 era tempestiva, avevano omesso di considerare e perfino di menzionare la lettera, inoltrata dal difensore dell’acquirente il 18/1/2010 e sottoscritta anche da quest’ultimo, che essi avevano prodotto a dimostrazione della sollevata eccezione di decadenza e che era stata oggetto di discussione tra le parti, dalla quale risultava inconfutabilmente che la scoperta dei vizi e delle relative cause era avvenuta in precedenza e, in particolare, alla fine del mese di dicembre 2009 e/o al più tardi il 7/1/2010, ciò che aveva portato anche al travisamento della prova. I ricorrenti hanno, peraltro, evidenziato, onde non incorrere nell’inammissibilità della c.d. doppia conforme, il fatto che la predetta lettera, da essi posta a fondamento dell’eccezione di decadenza dalla garanzia in quanto avente portata dirimente in ordine a tale questione, non fosse stata esaminata né dal giudice di primo grado, né dalla Corte d’Appello.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’ error in procedendo , in relazione alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché la violazione del principio della
corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e comunque la nullità ex art. 161 cod. proc. civ. della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito omesso di pronunciarsi sull’eccezione di decadenza, formulata dai ricorrenti ai sensi dell’art. 1495, primo comma, cod. civ. e fondata sulla lettera del 18/1/2010, continuando a sostenere la tempestività della denuncia, siccome intervenuta entro otto giorni decorrenti dal deposito della relazione del c.t.u. in sede di accertamento tecnico preventivo, senza mai fare menzione della suddetta lettera, che, se esaminata come chiesto con l’atto d’appello, avrebbe portato al rigetto dell’azione di risoluzione, di restituzione del prezzo e di danni.
4.1 I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto attengono al medesimo thema decidendum della ravvisata tempestività della denuncia per vizi ex art. 1495 cod. civ. dell’immobile compravenduto, ora affrontata in termini di violazione di legge (rispetto alla decorrenza del termine di decadenza, asseritamente da ricondurre alla lettera del gennaio 2010), ora di omesso esame di un fatto decisivo (la lettera del gennaio 2010), ora di nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (circa l’omesso esame della lettera del 2010), sono parte inammissibili e parte infondati.
4.2 Quanto al profilo afferente all’omesso esame di fatto decisivo, deve osservarsi come, nell’ipotesi di c.d. «doppia conforme», prevista dall’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 3, 28/2/2023, n. 5947; Cass., Sez. 3, 20/9/2023, n. 26934;Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860).
A tal proposito è stato anche da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme in facto ‘, la quale ricorre, come chiarito da Cass., Sez. 6 -2, 9/3/2022, n. 7724, non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice.
In presenza della c.d. doppia conforme, dunque, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass., Sez. 1, 21/12/2023, nn. 35782, 26934 e 5947; Cass., Sez. L, 6/8/2019, n. 20994; Cass., Sez. 1, 22/2/2016, n. 26774; Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860): onere questo rimasto, invece, assolutamente inadempiuto nella specie, stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua , nella quale i ricorrenti hanno affermato l’inesistenza della causa di inammissibilità della c.d. doppia conforme sul presupposto che
nessuna delle due pronunce, né quella di primo grado, né quella d’appello avessero esaminato la missiva del gennaio del 2010.
Tale argomentazione non consente, infatti, di superare l’inammissibilità della censura, atteso che l’omesso esame di un siffatto documento è indicativo, diversamente da quanto preteso, del fatto che l’iter argomentativo nei due gradi del giudizio sia stato invece il medesimo.
4.2 Quanto alla dedotta violazione di legge, occorre, innanzitutto, osservare come la normativa di cui agli artt. 1490-1492 cod. civ. preveda l’obbligo del venditore di garantire che la cosa venduta sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscono in modo appezzabile il valore, attribuendo, al contempo, al compratore il diritto di domandare a sua scelta la risoluzione del contratto, ovvero, la riduzione del prezzo salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
Per ottenere questi rimedi, il compratore è soggetto a un onere di denuncia dei vizi e a particolari termini non solo di prescrizione, ma anche di decadenza (art. 1495 cod. civ.), il cui decorso può restare impedito solo se viene compiuto l’atto che elimina la situazione di incertezza, ossia se vengono tempestivamente denunciati i vizi annessi alla cosa venduta (Cass., Sez. 2, 10/3/2011, n. 5732).
A tali fini, occorre distinguere i vizi apparenti da quelli occulti a seconda che essi siano obiettivamente riconoscibili o non riconoscibili e non effettivamente riconosciuti al momento della conclusione del contratto: nel primo caso il termine coincide con la consegna del bene e nel secondo decorre dal giorno in cui essi sono divenuti riconoscibili per il compratore (Cass., Sez. 2, 10/3/2011, n. 5732; Cass., 4/5/1965, n. 797; Cass. 30/8/2000, n. 11452).
Come più volte affermato da questa Corte, in caso di vizi occulti (ma questo vale anche per quelli apparenti), non è sufficiente, ai fini della decorrenza del termine, il semplice sospetto del vizio, ma
è necessario che l’acquirente ne acquisisca la certezza obiettiva e completa (Cass., Sez. 2, 10/3/2011, n. 5732; Cass. 30/8/2000, n. 11452; Cass., Sez. 2, 14/5/1990, n. 4116; Cass., 4/5/1965, n. 797), senza che rilevi né la data in cui i vizi avrebbero potuto essere astrattamente conosciuti (Cass., Sez. 2, 8/7/1995, n. 7541), né la conoscenza delle relative cause (Cass., Sez. 2, 06/05/2005 , n. 8515; Cass., Sez. 2, 28/11/1997 , n. 12011; Cass., Sez. 2, 05/10/1978, n. 4439; Cass., Sez. 2, 14/02/1977, n. 676; Cass., Sez. 3, 20/07/1971, n. 2354), sicché, ove la scoperta del vizio avvenga gradatamente e in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sulla consapevolezza della sua entità, occorre far riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (cfr. Cass., Sez. 6-2, 20/12/2021, n. 40814; Cass., Sez. 2, 27/5/2016, n. 11046; Cass., Sez. 2, 16/3/2011, n. 6169), la quale, quando si rendano necessari accertamenti tecnici disposti in sede giudiziale, coincide col momento in cui la cancelleria comunica il relativo esito (Cass., Sez. 6-2, 20/12/2021, n. 40814; Cass., Sez. 2, 23/5/2000, n. 6735; Cass., Sez. 2, 8/7/1995, n. 7541).
4.3 Nella specie, i giudici di merito hanno ritenuto che il termine di decadenza decorresse dalla data di deposito della relazione tecnica disposta in sede di accertamento tecnico preventivo, giacché soltanto con essa l’acquirente aveva avuto la certezza della sussistenza dei vizi e della riconducibilità delle macchie di umidità -notate in precedenza -ai difetti individuati nell’elaborato peritale.
I ricorrenti pretendono, invece, di ricondurre tale certezza a periodo antecedente, ossia all’invio della lettera del 18/1/2010 firmata dal medesimo acquirente e dal di lui difensore, con la quale, si legge nel ricorso, il predetto si era lamentato della presenza di rilevanti ed estese macchie di umidità nel piano seminterrato, il cui solaio era stato raggiunto dal livello dell’acqua, e dell’allagamento degli spazi entrostanti i muri di fondazione,
evidenziando, all’uopo, come l’acqua provenisse probabilmente da una falda prossima all’edificio, mancassero opere idonee alla difesa dell’edificio dalle acque sotterranee, mancasse l’impermeabilizzazione dei muri di fondazione, lo scannafosso latistante la casa fosse insufficiente e fosse dubbia l’efficacia dei sistemi di smaltimento e scarico delle acque, elementi questi idonei a limitare stabilmente e irrimediabilmente il godimento del bene, oltre a costituire fattori di rischio per l’integrità dell’immobile, e riservando, all’esito degli accertamenti tecnici necessari, le azioni più opportune.
Orbene, giova al riguardo ricordare come la garanzia per vizio redibitorio prevista dall’art. 1490 cod. civ. si riferisca ai soli vizi che esistevano già prima della conclusione del contratto, la cui prova è a carico del compratore (Cass., Sez. 2, 24/5/1980, n. 3413; Cass., Sez. 3, 14/10/1974, n. 2841), e abiliti normalmente quest’ultimo a chiedere, a sua scelta, la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo.
La garanzia in esame si distingue, dunque, dall’azione di adempimento o di esatto adempimento della vendita sia per presupposti, sia per gli effetti, in quanto quest’ultima, a differenza della prima, attiene ad un vizio posteriore alla conclusione del contratto, che rende esperibile l’ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, e non è soggetta a limiti temporali a pena di decadenza come la prima (Cass., Sez. 2, 15/11/2022, n. 33612; Cass., Sez. 2, 5/8/1985; Cass., Sez. 2, 19/7/1983, n. 4980; Cass., Sez. 1, 17/5/1974, n. 1438), sicché per essa non trovano applicazione i principi relativi all’inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno e le regole probatorie enunciate da Cass. Sez. U. n. 13533/2001 (Cass., Sez 2, 28/3/2022, n. 9960; Cass., Sez. U, 3/5/2019, n. 11748; Cass., Sez. 2, 26/7/2013, n. 18125; Cass., Sez. 2, 12/6/2007, n. 13695),
in coerenza con il principio per cui l’obbligo di garanzia, per la quale rileva soltanto la sussistenza oggettiva del vizio, ma non anche la colpevolezza del contraente, dà luogo ad una responsabilità speciale interamente disciplinata dalle norme sulla vendita, che pone il venditore in situazione non tanto di obbligazione, quanto di soggezione, esponendolo all’iniziativa del compratore, intesa alla modificazione del contratto od alla sua caducazione mediante l’esperimento, rispettivamente, dell’ actio quanti minoris o della actio redibitoria (Cass., Sez. 2, 15/11/2022, n. 33612).
Occorre inoltre evidenziare come la garanzia in esame, che risponde alla finalità di assicurare l’equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale, indipendentemente, come detto, dalla colpa del venditore (Cass., Sez. 2, 16/12/2019, n. 33149), riguardi le imperfezioni e i difetti inerenti il processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa (Cass., Sez. 2, 05/04/2016, n. 6596; Cass., Sez. 2, 25/9/2002, n. 13925; Cass., Sez. 2, 12/2/1994, n. 1424; Cass., Sez. 2, 19/7/1983, n. 4980) e, in generale, quelle alterazioni che, nonostante la coincidenza della natura del bene con quella richiesta dall’acquirente, ne menomino l’idoneità funzionale (Cass., Sez. 2, 15/03/1995, n. 3046) o ne diminuiscano il valore.
E’ allora evidente come il requisito della certezza e completezza della conoscenza del vizio, postulato dai principi sopra richiamati, non può che riguardare sia le caratteristiche intrinseche del vizio stesso (inerenza a processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa) e la sua idoneità ad incidere sulla funzione e sul valore del bene, sia la sua preesistenza rispetto al contratto, aspetti questi che, in caso di vendita immobiliare, non possono rinvenirsi nella sola manifestazione di episodi di allagamento o di infiltrazioni, che costituiscono il mero effetto del vizio, ma necessitano di un più approfondito
accertamento tecnico che consenta di sindacarne tanto l’aspetto ontologico, quanto quello temporale.
Ciò comporta che nessuna falsa applicazione della norma può dirsi avvenuta nel caso in esame, essendo estranea all’esatta interpretazione della norma, contemplata dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, costituente, invece, tipica valutazione del giudice di merito, sottratta in quanto tale al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640), e tantomeno alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la quale, come noto, postula l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio -, non ravvisabile invece nell’utilizzo di un mezzo istruttorio, piuttosto che un altro, da parte del giudice di merito, al quale solo spetta il compito di individuare, secondo il suo prudente apprezzamento, le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (in questi termini, Cass., Sez. L, 13/6/2014, n. 13485).
Consegue da quanto detto l’infondatezza delle censure.
4.1 Con il quarto motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano, infine, l’ error in procedendo e la violazione degli artt. 112, 115, 189, 345 e 346 cod. proc. civ. e, comunque, la nullità ex art. 161 cod. proc.
civ. della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., perché i giudici di merito, in relazione alla domanda da essi proposta al fine di ottenere il rilascio dell’immobile e la corresponsione del relativo valore di godimento da parte dell’acquirente, nonché la restituzione dei beni mobili e il pagamento dell’equivalente in denaro di quelli dispersi o distrutti, avevano rilevato la loro decadenza dalle prove dedotte, in quanto non avevano, a loro dire, richiamato le istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, senza però considerare che, all’udienza del 10/4/2014, originariamente fissata davanti al Tribunale della Spezia ai sensi dell’art. 281 sexies cod. proc. civ. e nella quale il giudice aveva, invece, invitato le parti a precisare le conclusioni, trattenendo la causa a decisione senza termini di legge per il deposito di comparse conclusionali, essi avevano concluso riportandosi ai loro atti e alle rispettive note conclusionali del 3/4/2014, depositate il 4/4/2014, nelle quali avevano insistito per l’accoglimento di tutte le istanze istruttorie proposte con le memorie ex art. 183, sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., non accolte e meglio specificate nella censura, tra cui l’ammissione della prova per testi e della c.t.u., richiesta che era stata reiterata anche con l’atto d’appello e in sede di precisazione conclusioni in appello all’udienza del 6/12/2018.
4.2 Il quarto motivo è invece fondato.
Si osserva come i ricorrenti abbiano limitato la censura alla sola parte della sentenza che ha respinto la domanda di ammissione dei mezzi istruttori già avanzata in primo grado, sul presupposto dell’omessa sua reiterazione in sede di precisazione delle conclusioni, dagli stessi negata.
Orbene, il principio, secondo cui la parte che si sia vista rigettare dal giudice le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle, in modo specifico, quando precisa le conclusioni, senza limitarsi al
richiamo generico dei precedenti atti difensivi, poiché, diversamente, le stesse devono ritenersi abbandonate e non potranno essere riproposte in sede di impugnazione, va esteso anche all’ipotesi in cui sia stato il giudice di appello a non ammettere le suddette richieste, con la conseguenza che la loro mancata ripresentazione al momento delle conclusioni preclude la deducibilità del vizio scaturente dall’asserita illegittimità del diniego quale motivo di ricorso per cassazione (Cass., Sez. 6-3, 23/11/2021, n. 36134; Cass., Sez. 2, 27/02/2019, n. 5741; Cass., Sez. 3 – , 03/08/2017, n. 19352).
In caso di reiterazione delle istanze istruttorie, il provvedimento reso all’uopo può essere censurato con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass., Sez. 3, 6/11/2023, n. 30810).
In tal caso, il vizio denunciato, avente ad oggetto il difetto di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova, deve investire un punto decisivo della controversia, dovendo la prova non ammessa o non esaminata in concreto essere idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass., Sez. 3, 25/6/2021, n. 18285; Cass., Sez. 6 1, 17/06/2019, n. 16214; Cass., Sez. L, 08/01/2015, n. 66).
Nella specie, i giudici di merito hanno dichiarato i ricorrenti decaduti dalle prove, ritenendo erroneamente che le istanze istruttorie non fossero state reiterate in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, benché richieste nelle memorie difensive richiamate nel verbale di udienza, prove che, per come articolate e riprodotte integralmente nella censura, avrebbero consentito di quantificare con maggiore certezza e precisione l’entità delle somme ad essi dovute per i beni di cui era stata chiesta la restituzione.
In ragione di ciò, il motivo deve trovare accoglimento.
6. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei primi tre motivi e la fondatezza del quarto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, respinge gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29/1/2025.