Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23210/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA n. 851/2018 depositata il 21/05/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
In data 21.09.2010, RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘) chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Bergamo decreto ingiuntivo n. 3718/2010 per il pagamento della somma di €25.77 2,24 per il saldo del corrispettivo di appalto, avente ad oggetto un impianto idraulico di una piscina realizzato a favore dei committenti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Gli ingiunti proponevano opposizione deducendo, tra l’altro, l’esistenza di vizi relativi alle opere realizzate.
L’opposta costituendosi eccepiva, a sua volta, l’intervenuta decadenza e la prescrizione della garanzia per vizi dell’opera.
1.1. Il Tribunale di Bergamo revocava il decreto ingiuntivo opposto, aderendo alle conclusioni del C.T.U. e, accertato l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, condannava quest’ultima al pagamento in favore degli opponenti della somma di €91.231,00, ritenendo legittimati gli opponenti, ex art. 1460 cod. civ., a non versare il corrispettivo del saldo preteso dalla ricorrente per la somma di €25.772,24.
La pronuncia veniva impugnata da RAGIONE_SOCIALE innanzi alla Corte d’Appello di Brescia che, in parziale riforma della sentenza appellata, rigettava la domanda formulata dagli appellati di risarcimento dei danni per vizi dell’appalto perché estinta per tardiva denuncia dei vizi e/o per prescrizione della relativa azione, condannandoli a restituire all’appellante quanto corrisposto a titolo di danni in ottemperanza alla sentenza di primo grado. A sostegno della sua decisione, affermava la Corte territoriale che:
l’esame degli atti consente pacificamente di rilevare che sin dalla consegna dell’impianto realizzato da RAGIONE_SOCIALE i coniugi COGNOME si erano attivati per comprendere le cause del cattivo funzionamento del medesimo. Tanto depone per una chiara acquisizione di consapevolezza dei committenti già nell’anno 2006, mentre altrettanto incontestata tra le parti è la circostanza che essi avrebbero denunciato vizi e difformità solo nel 2010;
in applicazione del principio fissato dalla Corte regolatrice (Cass. Sez. U, n. 576/2008; Cass. Sez. U, n. 581/2008), non è giustificabile che gli appellati COGNOME non si siano immediatamente attivati alla ricerca della soluzione del problema presentato dall’impianto idraulico, utilizzando gli strumenti di verifica che la migliore conoscenza tecnica o scientifica metteva loro a disposizione, considerando anche la specifica qualificazione professionale dello COGNOME;
collocato, quindi, il dies a quo del decorso della decadenza e della prescrizione del diritto alla garanzia per i dedotti vizi nell’anno 2006, anche a voler qualificare l’azione ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., si rileva la tardività della denuncia e/o della relativa azione relativamente agli asseriti vizi dell’appalto per cui è causa;
non può trovare accoglimento la pretesa di liquidazione del compenso richiesto da RAGIONE_SOCIALE con il ricorso monitorio: l’appellante, infatti, a fronte della contestazione dell’entità del dovuto formulata dai committenti, non ha allegato né fornito prova delle attività eseguite per cui richiede il compenso, nonché della loro corretta esecuzione.
Avverso detta pronuncia proponevano ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME, affidandolo a sette motivi e illustrandolo con memoria.
Si difendeva depositando controricorso RAGIONE_SOCIALE
RILEVATO CHE:
Preliminarmente, devono disattendersi le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente: a) per mancata esposizione dei fatti, ex art. 366, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.: nel ricorso (pp. 2-7) sono sintetizzate le vicende processuali, nonché i fatti più rilevanti del rapporto contrattuale tra RAGIONE_SOCIALE e i coniugi COGNOME (comunque riportate ancor più fedelmente nei mezzi di gravame); b) per mancanza di autosufficienza del ricorso, ex art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ., poiché non sarebbero descritti i vizi né riportati i documenti ove rinvenire le specifiche doglianze: nei mezzi di gravame le censure sono prospettate in modo sufficientemente chiaro da mettere questa Corte in condizioni di comprenderne le argomentazioni.
Tanto premesso, si possono ora esaminare i mezzi di ricorso.
Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Affermano i ricorrenti che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai eccepito la tardività della denuncia ai sensi dell’art. 1669 cod. civ., bensì ai sensi dell’art. 1667 cod. civ.: atteso che sia l’eccezione di decadenza che quella di prescrizione sono eccezioni in senso stretto, e dunque non rilevabili d’ufficio dal giudice ai sensi degli artt. 2938 e 2969 cod. civ., la sentenza d’appello viene censurata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è infondato, in quanto non attinge la ratio decidendi (come peraltro messo in rilievo anche nel controricorso: pp. 20- 22). L’argomentazione della Corte d’Appello era tesa ad individuare il dies a quo ai fini della decorrenza dei termini di decadenza, che fossero i 60 giorni dell’art. 1667 cod. civ. ovvero i due anni dell’art. 1669 cod. civ., poiché a giudizio della Corte in entrambi i casi la denuncia sarebbe da considerare tardiva.
1.2. Quanto al vizio di ultrapetizione, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che è precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass. Sez. 2, n. 15368 del 2022; Cass. Sez. L, n. 5832 del 03.03.2021; Cass. Sez. 3, n. 11103 del 10.06.2020; Cass. Sez. 3, n. 30607 del 27.11.2018; Cass. Sez. 6-1, n. 8645 del 09.04.2018). Il vizio di extrapetizione (o di ultrapetizione) ricorre solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del petitum e delle eccezioni dedotte, ovvero su questioni che non siano state sollevate e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, e cioè non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta (Cass. Sez. 3, 29.04.2022, n. 13514; Cass. Sez. 2, 06.05.2022, n. 14403; Cass. n. 17897 del 03.07.2019). La violazione di ultrapetizione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione. D’altra parte, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che la motivazione con cui la Corte ha interpretato la domanda giudiziale sia erronea, fermo restando che l’erronea interpretazione delle domande non è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, entro i limiti in cui tale sindacato è
ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. (ex plurimis : Cass. Sez. 6-1, n. 31546 del 03.12.2019). In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo , ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte (Cass. n. 20718 del 13 agosto 2018).
1.2.1. Nel caso di specie, non vi è stato mutamento dei fatti posti a fondamento della domanda, né è stato concesso un bene diverso da quello chiesto (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 32687 del 2019): il giudice può qualificare la domanda ricollegandola all’art. 1669 cod. civ., invece che all’art. 1667 cod. civ., allorché a suo fondamento siano dedotti vizi così gravi da incidere sugli elementi essenziali e sulla funzionalità globale dell’opera (Cass. 22 giugno 1995, n. 7080; Cass. 20 aprile 2004, n. 7537).
Le doglianze dei ricorrenti postulano che la garanzia di cui all’art. 1667 cod. civ. e la responsabilità di cui all’art. 1669 cod. civ. si trovino fra loro in rapporto di alterità, e invece esse stanno fra loro in rapporto di continenza, giacché, pur nella diversità di titolo (contrattuale ed extracontrattuale), i due istituti vanno da genere a specie, nel senso che il mezzo ex art. 1669 cod. civ. è una specie del mezzo ex art. 1667 cod. civ., in aderenza alla finalità di rafforzamento della tutela del committente, sottesa alla previsione dell’art. 1669 cod. civ. (Cass. 15 febbraio 2011, n. 3702; Cass. 19 gennaio 2016, n. 815).
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. La Corte bresciana ha accolto le eccezioni di decadenza formulate da ll’appaltatrice sul presupposto che l’impianto idraulico commissionato fosse stato consegnato e collaudato nel 2006, omettendo di esaminare un’importante circostanza di fatto oggetto di discussione tra le parti
sin dal primo grado del presente giudizio, come risulta dai documenti in atti, ossia la prosecuzione dei lavori di realizzazione del complesso impianto idraulico di regolazione delle condizioni termoigrometriche dell’abitazione dei ricorrenti fino all’autunno del 2009. Tanto spiega perché RAGIONE_SOCIALE abbia chiesto il pagamento del saldo a fine 2009, cioè dopo aver terminato i lavori; al contempo, esclude la tardività della denuncia, posto che già il 12.01.2010 gli odierni ricorrenti avevano dato atto, con lettera raccomandata, del malfunzionamento dell’impianto, cui avrebbe fatto séguito una seconda lettera raccomandata del 26.02.2010 e, infine, l’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificato il 06.12.2010.
Con il terzo motivo si deduce nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. I ricorrenti lamentano l’assenza totale di motivazione resa dalla Corte d’Appello di Brescia, poiché non è minimamente spiegato perché la consegna dell’impianto sarebbe avvenuta nel 2006.
Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la sentenza impugnata – sebbene sotto due diversi aspetti di omissione di fatto decisivo e di omessa motivazione -sotto il profilo della determinazione del mo mento di consegna dell’impianto quale dies a quo per la decorrenza dei termini di decadenza.
4.1. Entrambi sono inammissibili.
La Corte distrettuale ha affermato l’intendimento di far decorrere il termine decadenziale dal momento di consegna dell’impianto idraulico (v. sentenza p. 8, 2° capoverso, p. 9 ultimo capoverso), facendo così sostanzialmente coincidere i momenti della consegna (individuata nell’anno 2006) con la scoperta delle difformità e dei vizi. Nel prosieguo delle pagine 8 e 9, il giudice di seconde cure sintetizza
il maturare del suo convincimento, in merito all’acquisizione di consapevolezza dei committenti circa il cattivo funzionamento dell’impianto realizzato, riportandosi alle risultanze probatorie dalle quali non traspare il protrarsi della consegna e la realizzazione di diversi e ulteriori lavori fino all’anno 2009, come invece affermato nel secondo mezzo di ricorso, ove si ripropone la lettura dei documenti dai quali emergerebbe il fatto asseritamente omesso dal giudice di seconde cure, ossia il protrarsi dei lavori fino all’anno 2009 (v. pp. 12, 13 del ricorso).
4.2. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione ( ex multis , Cass. n. 8718 del 27/04/2005). Si è, inoltre, stabilito (per tutte: Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629830; più di recente: Cass Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 -01) che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento; non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte
ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati.
4.3. In definitiva, il motivo di ricorso si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. La Corte bresciana ha attribuito, alla dichiarazione resa dallo COGNOME in sede di interrogatorio formale («L’impianto non ha mai funzionato continuativamente in tutte le sue parti»), un valore ed un significato che assolutamente non ha, valutando secondo prudente apprezzamento una prova soggetta al diverso regime della prova legale, in violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
5.1. Anche il quarto motivo si rivela inammissibile perché carente di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. L a Corte d’Appello non ha valutato liberamente una prova legale, ma ne ha tratto – unitamente ad altre circostanze univoche dedotte dall’esame degli atti e dalle deposizioni testimoniali, con un potere discrezionale che gli è proprio -una deduzione, ossia l ‘acquisita consapevolezza dei coniugi COGNOME riguardo la sussistenza dei vizi già nell’anno 2006 .
La valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, se rette da un ragionamento logico-giuridico scevro da incongruenze ( ex multis : Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021, Rv. 661734 – 01).
6. Con il quinto motivo si deduce nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., con riferimento all’art. 115 cod. proc. civ. per errore di percezione in cui è in corsa la Corte distrettuale, che ha basato la propria decisione su una prova in realtà inesistente. Dalla deposizione resa dal test e, che si era occupato dell’impianto elettrico, non risulta che l’impianto idraulico sia stato completato nel 2006, semmai solo iniziato in tale anno, né risulta che gli odierni ricorrenti fossero consapevoli del cattivo funzionamento dell’opera.
6.1. Il motivo è infondato : l’errore di percezione, per essere censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ., per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., postula -oltre ad aver formato oggetto di discussione nel giudizio, ed essere con assoluta certezza decisivo (Sez. 1, n. 9507 del 06/04/2023 – Rv. 667489 -01, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 2022; Cass. 6-309.02.2023 n. 3955) – che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ( demonstrandum ), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ( demonstratum ), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre.
6.1.1. Nel caso di specie, la deposizione del teste non è stata stravolta dal giudice di seconde cure, che ne ha rispettato il contenuto oggettivo (il cattivo funzionamento dell’impianto), traendone un elemento di valutazione, e non di percezione, ossia la consapevolezza dei coniugi COGNOME riguardo la sussistenza dei vizi. Anche in questo caso, come rilevato per il quarto mezzo di gravame (v. supra , punto 5.1.), il giudice di seconde cure non attribuisce alla dichiarazione testimoniale il valore di prova dell’avvenuta consegna dell’impianto nel 2009 , ma di circostanza non contestata dalle parti.
7. Con il sesto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. La Corte territoriale – applicando un principio di diritto pronunciato dalle Sezioni Unite nel 2008 che nulla ha a che fare con la fattispecie in esame, riguardando la diversa materia del risarcimento del danno derivante da fatto illecito -non si è uniformata alla costante e unanime giurisprudenza di legittimità in tema di garanzia per gravi difetti dell’opera ai sensi dell’ art. 1669 cod. civ., applicabile anche in materia di garanzia ex art. 1667 cod. civ., in virtù della quale il termine per la relativa denuncia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti, che non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (Cass. n. 2436/2018; Cass. n. 24486/2017). Nel caso di specie, non è stata fornita dall’appaltatrice la prova della scoperta dei vizi da parte dei committenti in data anteriore al 2010, ed è anzi emersa la prova dell’ignoranza dei vizi.
8. Con il settimo motivo si denuncia nullità del procedimento e/o della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. Il livello delle conoscenze scientifiche del 2006 che, a dire della Corte territoriale, avrebbe permesso di risolvere tutti i problemi relativi al mancato funzionamento di un impianto, costituisce un’inesatta nozione di notorio, in violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., che va inteso quale fatto generalmente conosciuto in una determinata zona o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura, e che non può essere rappresentato da
acquisizioni specifiche di natura tecnica o da elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, neppure con riferimento alla qualificazione professionale dello COGNOME architetto e direttore dei lavori.
Il sesto e settimo motivo possono essere esaminati congiuntamente, poiché entrambi censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della rilevanza della consapevolezza dei malfunzionamenti in relazione al momento di decorrenza del termine decadenziale.
Entrambi sono infondati.
9.1. In disparte il riferimento inconferente operato dalla Corte territoriale a Cass. Sezioni Unite del 2008, nn. 576 e 581: non solo le due pronunce non riguardano, in effetti, la materia contrattuale (appalto), bensì l’illecito aquiliano derivante dalla somministrazione di emoderivati infetti; ma affrontano il diverso problema della prescrizione del diritto al risarcimento del danno, non della decadenza da una garanzia.
9.2. Tanto premesso, occorre chiarire che il termine per la denuncia dei difetti nella costruzione di un immobile, previsto a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può -non deve – essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 32687 del 2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10048 del 24/04/2018, Rv. 648162 -02; Sez. 2, Ordinanza n. 24486 del 17/10/2017, Rv. 645800 – 01; Cass. n. 9966 del 2014).
9.2.1. Nel caso che ci occupa, la Corte territoriale ha dedotto da ll’esame degli atti e da una pluralità di circostanze – che a partire dalla data di conse gna dell’impianto (individuata nell’anno 2006 , e non 2009 come sostengono i ricorrenti) i committenti avessero acquisito quella consapevolezza che avrebbe dovuto spingerli verso l’approfondimento tempestivo delle cause del problema al fine di acquisire sicura conoscenza, utilizzando strumenti di verifica già disponibili, stante la qualità professionale e il ruolo svolto nell’installazione dell’impianto dallo COGNOME , senza attendere necessariamente l’intervento del consulente tecnico in fase contenziosa.
Si tratta di una valutazione di merito che sfugge al sindacato di questa Corte, perché scevra da incongruenze logico-giuridiche e non riconducibile ad alcuna violazione di legge.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza, come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art.
13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda