Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1165 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1165 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 22636 anno 2020 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso in proprio ex art.
83 c.p.c.;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME in forza di procura speciale in calce al controricorso, domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME ;
contro
ricorrente
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 444/2020 pubblicata in data 13/05/2020, notificata il 03/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/10/2024
dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1577/2009 emesso in data 04/11/2009 ad istanza di Asset Banca S.p.a. con cui il Tribunale di Macerata gli aveva ingiunto di pagare la somma di €.23.162,12, quale saldo a debito alla data di estinzione del rapporto bancario del 06/07/2009, comprensivo di interessi maturati, oltre agli interessi contrattuali di mora dalla data del saldo a debito e sino all’estinzione del rapporto di c/c ed alle spese del procedimento monitorio.
A sostegno dell’opposizione l’odierno ricorrente deduceva la inidoneità della documentazione prodotta ai sensi dell’art. 50 T.U.B. ai fini dell’emissione dell’ingiunzione fondata su calcoli (relativi alla sorte capitale ed agli interessi) arbitrari ed incerti, formulati in violazione di quanto disposto dall’art. 120 T.U.B.; inoltre, chiedeva la condanna di Asset Banca S.p.a. alla restituzione in favore dell’attore di ‘eventuali somme che dovessero risultare, in base a consulenza tecnica, dovute dalla banca al correntista in relazione alla somma di €.357.380,00 gap tra versamenti e prelievi’, nonché condannare Asset alle spese di lite ed ‘al risarcimento di eventuali danni che abbiano ad emergere in corso di causa’.
Con sentenza in data 23/05/2014, il Tribunale di Macerata rigettava l’opposizione confermando integralmente il decreto ingiuntivo.
Il signor COGNOME proponeva appello che veniva respinto integralmente dalla Corte di Appello di Ancona.
In primo luogo, la corte distrettuale accoglieva l’eccezione formulata dalla appellata in ordine alla inammissibilità delle nuove domande formulate dall’appellante in sede di gravame rispetto a quelle dedotte negli atti di primo grado. Secondo la corte d’appello, in sede di gravame il sig. COGNOME aveva chiesto di « dichiarare non raggiunta la prova della certezza, esigibilità e liquidità del credito vantato dalla Asset Banca S.p.A. né nel ricorso per ingiunzione né ad esito del giudizio di opposizione, in mancanza di idonea documentazione nel ricorso, e di CTU, o di una trattazione sostitutiva supportata da congrua motivazione all’oggetto da parte del Giudice, nel giudizio di opposizione, motivazione da rendersi su elementi specifici e specificatamente indicati e contestati, anche in riferimento all’anato cismo ed alla usura negli interessi, e di conseguenza revocare il decreto ingiuntivo opposto », quando, invece, con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo aveva chiesto di « dichiarare la nullità di tale decreto perché emesso su ricorso privo di idonea documentazione di base ai sensi dell’art. 50 T.U.B. e fondato su calcoli di sorte ed interessi arbitrari ed incerti, e formulati in violazione di quanto disposto dall’art. 120 T.U.B., così come modificato dall’art. 25 del Dl 342/1999, e dalla L. 108/1996 », modificando poi queste domande in sede di precisazione delle conclusioni con altre, poi ritrascritte nel corpo della comparsa conclusionale, ove l’opponente chiedeva al Tribunale adito di « dichiarare la nullità del decreto opposto e revocarlo perché emesso su ricorso privo di idonea e completa documentazione di base, e cioè di esauriente prova scritta come richiesto dall’art. 633 co I n. 1 c.p.c., privo quindi del primo requisito necessario per la sua emissione, ricorso
inoltre fondato su calcoli di sorte ed interessi arbitrari ed incerti, e formulati in violazione di quanto disposto dall’art. 120 T.U.B., così come modificato dall’art. 25 del Dl 342/1999, e dalla L. 108/1996 ».
In secondo luogo, la corte territoriale respingeva la domanda riconvenzionale formulata dall’appellante in quanto carente di prova idonea a dimostrare la debenza delle somme indicate nello stralcio di un verbale della Guardia di Finanza di Macerata.
La sentenza veniva impugnata dal signor COGNOME con ricorso per Cassazione assistito da tre motivi cui la Banca ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c. de ll’art. 345 c.p.c..
In particolare, ad avviso del ricorrente non sussisterebbe una modificazione delle domande, come rilevata dal giudice di appello e segnatamente della causa petendi che in primo grado avrebbe avuto ad oggetto la insussistenza ‘di idonea documentazione di base ai sensi dell’art. 50 TUB e fondato su calcoli di sorte e interessi arbitrari e incerti e formulati in violazione a quanto disposto dall’art. 120 TUB così come modificato dall’art. 25 del DL 342/1999 e dalla legge 108/96’ mentre in appello sarebbe stata precisata nel seguente senso: ‘dichiarare non raggiunta la prova della certezza esigibilità e liquidità del credito vantato dalla Asset Banca nel ricorso per ingiunzione né ad esito del giudizio di opposizione in mancanza di idonea documentazione nel ricorso e di CTU o di una trattazione sostitutiva supportata da congrua
motivazione all’oggetto da parte del giudice, nel giudizio di opposizione, motivazione da rendersi su elementi specifici e specificatamente indicati e contestati anche in riferimento all’anatocismo ed all’usura negli interessi’.
In sintesi, l’unica domanda che l’appellante avrebbe formulato sarebbe esclusivamente quella di revoca del decreto ingiuntivo, senza alcuna modificazione ed ampliamento del thema decidendum .
Con il secondo motivo si deduce la violazione di cui all’art. 360 n . 5 c.p.c. essendo la corte incorsa in un duplice errore, ritenendo la domanda riconvenzionale formulata dall’appellante infondata.
In primo luogo, la corte avrebbe erroneamente ritenuto che le somme indicate nel verbale della Guardia di Finanza di cui il RAGIONE_SOCIALE sarebbe creditore nei confronti della Banca non sarebbero riferibili al c/c di cui è causa; viceversa, il conto corrente oggetto di accertamento da parte della Finanza sarebbe proprio il n. 00/03/00746.
In secondo luogo, l’emerso gap tra entrate ed uscite non sarebbe, come ritenuto dalla corte di appello, a favore di Asset, ma del correntista. Tali errori avrebbero comportato l’erroneo rigetto della domanda riconvenzionale.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 1 c.p.c. dell’art. 115 c.p.c. non avendo il giudice di merito tenuto conto della mancata contestazione ad opera della controparte del verbale della Guardia di Finanza da cui emergeva un credito in favore del sig. COGNOME
6. Il ricorso è inammissibile.
6.1. Il primo motivo è inammissibile.
Risulta dal ricorso, pagina 6, che l’odierno ricorrente, con i primi due motivi di appello, aveva lamentato quanto segue: « a- Non ammissione della richiesta di consulenza tecnica su specifiche operazioni poste in essere dalla Banca e specificatamente contestate, anche in relazione a documenti in atti, e suoi riflessi sul giudizio di I grado; b- Non ammissione della richiesta di consulenza tecnica su calcoli di sorte ed interessi arbitrari ed incerti, e formulati in violazione di quanto disposto dall’art. 120 T.U.B., cosi come modificato dall’art. 25 d el Dl 342/1999, e di quanto regolato dalla L. 108/1996, pur in presenza di un documento prodotto in comparsa di costituzione ed attestante la presenza di tali vizi, e suoi riflessi sul giudizio di I grado ».
Tali sono i motivi d’appello nei riguardi dei quali si appunta la censura sviluppata col primo mezzo di cassazione, ora in esame. Ed allora , è ben vero che la Corte d’appello ha scrutinato e ritenuto di accogliere un’eccezione formulata dalla parte appellata in ordine alla novità della domanda che il COGNOME aveva proposto in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, poi reiterate in appello, conclusioni giudicate per l’appunto nuove, parrebbe in parte (« L’avv. COGNOME quindi, nel rassegnare le conclusioni in sede di gravame ha introdotto nel giudizio un petitum diverso e ben più ampio rispetto a quello or iginario chiedendo al giudice d’appello di svolgere un’indagine su elementi e con finalità differenti rispetto a quelle che costituivano l’oggetto della originaria domanda »: pagina 12 della sentenza d’appello), rispetto a quelle avanzate nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo e poi in sede di memorie di cui all’allora vigente articolo 183 c.p.c.: ma è altrettanto vero, per un
verso, che la decisione adottata dal Tribunale, il quale ha integralmente respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo del Magnalbò, e così accolto, dunque, la domanda proposta dalla Banca con il ricorso per ingiunzione, è stata censurata in appello, con i primi due motivi poc’anzi trascritti, esclusivamente per il diniego di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, e, per altro verso, che dal ricorso per cassazione non emerge affatto quale errore avrebbe commesso la corte distrettuale nel non dar cors o all’istanza di accertamento tecnico.
E cioè, dinanzi al rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, e dunque al pieno accoglimento, da parte del Tribunale, della domanda spiegata dal creditore in monitorio, il mezzo di cassazione in esame censura la sentenza d’appello esclusivamente per aver disatteso i due motivi concernenti il diniego di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio : ma, nel dolersi della violazione dell’articolo 345 c.p.c., il ricorrente non spiega in alcun modo perché la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre la consulenza t ecnica d’ufficio che il Tribunale non aveva ammesso, tanto più che il giudice d’appello ha anche dato conto, sebbene sotto altro profilo, del carattere discrezionale del potere del giudice di merito di disporre consulenza tecnica d’ufficio. Va da sé che il primo mezzo è inammissibile per carenza d’interesse, dal momento che denuncia un ipotetico error in procedendo che non risulta essere causale: in breve, ciò che, secondo il ricorrente, avrebbe condotto al rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo da parte del Tribunale è il diniego di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio, ma il motivo di ricorso per cassazione non censura la conferma di detto diniego da parte della Corte
d’appello , bensì la statuizione di questa in ordine alla novità della domanda , statuizione del tutto ininfluente sull’esito della lite, in punto di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo .
6.2. Il secondo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente avendo entrambi ad oggetto l’asserita erroneità dell’esame del materiale probatorio da parte del la corte d’appello . Le censure sono inammissibili.
Quanto all’omessa considerazione di fatto decisivo e controverso, la giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. Un., 18 aprile 2018, n. 9558; Cass., Sez. Un., 31 dicembre 2018, n. 33679; da ult. Cass., Sez. Un., 21 febbraio 2019, n. 5200) nell’affermare che: i) il novellato testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; ii) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; iii) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; iv) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza
della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Nel caso di specie, il fatto al quale il ricorrente si riferisce consiste in un preteso credito nei confronti della banca, che risulterebbe documentato in un verbale della Guardia di Finanza: ora, al di là di ogni considerazione sul quesito se l’esistenza del credito possa essere configurata come fatto storico riconducibile alla previsione poc’anzi richiamata, certo è che il fatto, in tal senso considerato, è stato esaminato dalla Corte d’appello, la quale ha in buona sostanza ritenuto che detto credito non fosse provato.
Quanto poi alla violazione dell’articolo 115 c.p.c. il motivo si infrange contro il principio secondo cui, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (tra le tante Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867). Nulla di tutto ciò ricorre nel caso di specie, non senza aggiungere che l’errore concernente la riconducibilità delle somme e dei movimenti di entrata ed uscita al conto corrente su cui è basata la domanda ingiuntiva della banca, non solo costituirebbe errore percettivo
non riconducibile alla previsione dell’articolo 360 c.p.c., ma neppure è riscontrabile da questa Corte, non avendo il ricorrente riportato nell’atto la parte del verbale della Guardia di Finanza in cui sarebbe evidente la riferibilità dei flussi di entrata ed uscita al c/c 00/03/00746, né potendo ovviamente la Corte accedere direttamente all’esame del documento, sicché la censura è inammissibile anche sotto il profilo dell’autosufficienza di cui all’articolo 366, numero 6, c.p.c .. Infine, la accertata inidoneità dello stralcio del verbale ai fini della prova della pretesa creditoria dell’odierno ricorrente non può che comportare la irrilevanza della asserita non contestazione del medesimo in sede di giudizio di merito.
7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna parte ricorrente al rimborso di € 5.000,00, a titolo di compensi, oltre € 200,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione