Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18854 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18854 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6578 R.G. anno 2022 proposto da:
COGNOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME; ricorrente
contro
Banco BPM s.p.aRAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente avverso la sentenza n. 650/2022 depositata il 1 febbraio 2022 della Corte di appello di Roma.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
─ NOME COGNOME ha proposto appello avverso la sentenza del 21 novembre 2019 con cui il Tribunale di Roma ha respinto la domanda
di risarcimento del danno da lui avanzata nei confronti di Banco BPM s.p.a.: domanda basata sulla contrarietà alla normativa antitrust di una fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni contratte da Albatel ICT s.p.a..
2 . ─ La Corte di appello di Roma, con sentenza del 1 febbraio 2022, ha disatteso il gravame. Ha osservato, in particolare, che la domanda risarcitoria intanto andava accolta, in quanto potesse affermarsi che la fideiussione era illecita; tale illiceità andava però esclusa, ad avviso della Corte, stante il decreto ingiuntivo ottenuto dalla cessionaria del credito nei confronti di COGNOME. Ha spiegato il Giudice distrettuale che l’efficacia riflessa del giudicato può operare quando tra la situazione giuridica oggetto del giudicato e la situazione giuridica facente capo al terzo estraneo al giudizio venga a configurarsi, come accadeva nel caso in esame, una relazione di pregiudizialità-dipendenza in senso giuridico, e cioè ove la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere includa tra i suoi elementi essenziali una situazione giuridica che è stata oggetto di un precedente giudizio. Si legge, ancora, nella nominata sentenza, che la domanda proposta in via monitoria presupponeva la validità del titolo su cui si fondava il credito, sicché l’inoppugnabilità del provvedimento monitorio precludeva la possibilità di far valere l’illiceità del titolo in altro giudizio. In conclusione, a seguito dell’inoppugnabilità del decreto ingiuntivo, la questione della liceità della fideiussione non poteva essere nuovamente affrontata nel giudizio risarcitorio che quella illiceità presupponeva: tale illiceità era elemento costitutivo dell’azione di danno, onde la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere includeva tra i suoi elementi essenziali una situazione giuridica che era stata oggetto del precedente giudizio definito con provvedimento passato in giudicato il quale, per questo, spiegava un’efficacia riflessa nei conf ronti della cedente Banco BPM.
NOME COGNOME ricorre avverso questa pronuncia facendo valere cinque motivi di impugnazione. Resiste con controricorso Banco
BPM. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Col primo motivo si oppone la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 1 01 TFUE (già art. 81 TCE), 2 e 33 l. n. 287/1990, 112, 115 e 116 c.p.c. e 2909 c.c.. La pronuncia impugnata sarebbe contraria alla giurisprudenza di questa S.C., avendo la Corte di appello «omesso di pronunciarsi e rigettato le domande del comparente derivanti da un illecito antitrust solo in ragione di un preteso ‘ giudicato con effetti riflessi ‘ che sarebbe derivato dalla mancata opposizione al decreto ingiuntivo chiesto sulla base della fideiussione, ottenuto peraltro da una cessionaria del credito alla quale non poteva essere imputato l’ illecito dedotto ed oggetto dello speciale giudizio intrapreso».
Col secondo mezzo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 101 TFUE, 2 e 33 l. n. 287/1990, 112, 115 e 116 c.p.c., nonché la contrarietà alla giurisprudenza di questa S.C., avendo la Corte di appello «omesso di pronunciarsi sulla domanda tesa all’accertamento dell’imputabilità alla banca qui intimata dell’illecito antitrust dedotto in giudizio; domanda dalla quale avrebbero poi dovuto trovare accoglimento le conseguenti domande (autonome tra loro) di nullità e risarcimento del danno».
Col terzo mezzo si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 101 TFUE, 2 e 33 l. n. 287/1990, 2697, 2729 e 2909 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., nonché la contrarietà alla giurisprudenza di questa S.C., avendo la Corte di appello «rigettato la domanda tesa alla dichiarazione di nullità della fideiussione, o in subordine, dei suoi artt. 2, 6 e 8, per il medesimo preteso ‘ giudicato con effetti riflessi ‘ di cui al precedente motivo n. 1».
Col quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione degli artt. 101 TFUE, 1, 3, 9 e 17 l. dir. 2014/104/UE, 2 e 33 l. n.
287/1990, 1, 7 e 14 d.lgs. n. 3/2017, 1226, 2033, 2043, 2697, 2729 e 2909 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., nonché la contrarietà alla giurisprudenza della S.C., avendo la Corte di appello «rigettato la domanda di risarcimento perché questa avrebbe dovuto trarre ‘ necessario fondamento dall’ asserita illiceità della fideiussione’ (illiceità della fideiussione la cui domanda è stata rigettata per il preteso ‘ giudicato con effetti riflessi ‘, di cui al precedente motivo n. 1), e non invece dall’illecito antitrust oggetto di causa».
Col quinto mezzo si deduce la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt. 112 e 96, comma 3, c.p.c., nonché per contrarietà alla giurisprudenza di questa S.C., avendo la Corte di appello «omesso di pronunciarsi sulla domanda tesa alla condanna della banca per responsabilità aggravata».
Come accennato, la sentenza impugnata si fonda sulla irretrattabilità dell’accertamento contenuto in un decreto ingiuntivo non opposto: evenienza, questa, reputata preclusiva dell’accoglimento della pretesa basata sul l’illiceità del titolo contrattuale già azionato monitoriamente.
Il decreto ingiuntivo è stato ottenuto da RAGIONE_SOCIALE, mandataria di Deutsche Bank, cessionaria del credito. Il giudicato è stato quindi invocato da un soggetto che non ha rivestito la qualità di parte di quel procedimento e nei cui confronti non opera l’efficacia d iretta del giudicato stesso: efficacia che, come noto, a norma dell’art. 2909 c.c., riguarda, in linea di principio, le parti, i loro eredi ed aventi causa.
Sul punto, deve ritenersi corretto il percorso ricostruttivo che ha portato la Corte di appello a ritenere che il giudicato formatosi con riguardo al decreto ingiuntivo non opposto abbia efficacia riflessa nei confronti di Banco BPM, dante causa di Deutsche Bank.
Nel presente giudizio si fa questione di un contratto di fideiussione che, come chiarito dal ricorrente, conteneva clausole corrispondenti a quelle che l’ Autorità garante per la concorrenza nel
settore bancario – all’epoca la Banca d’Italia aveva accertato essere in contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990, ove applicate in modo uniforme.
I contratti di fideiussione «a valle» di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) cit., e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3, della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994).
In tal modo, la nullità dell’ intesa restrittiva della concorrenza «a monte» determina, «a valle», due distinti effetti giuridici: il danno ingiusto che il consumatore può far valere con l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. (Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207) e, appunto, la nullità parziale del contratto concluso dal detto soggetto. Danno e nullità parziale del negozio sono distinte conseguenze dell’illiceità dell’intesa restrittiva «a monte» cui si correla, quindi, un apparato di tutele che si compone sia del rimedio risarcitorio che di quello demolitorio (in tema, cfr. Cass. 20 settembre 2023, n. 26957).
4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio per cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione, o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in
altro giudizio (Cass. 19 settembre 2024, n. 25180; Cass. 24 settembre 2018, n. 22465; Cass. 28 novembre 2017, n. 28318). In particolare, il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre non soltanto l’esistenza del credito azionato, del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito e il rapporto stessi si fondano, ma anche l’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l’opposizione (Cass. 18 luglio 2018, n. 19113; Cass. 11 maggio 2010, n. 11360).
Ora, l ‘odierno ricorrente deduce di aver allegato un danno patrimoniale derivante dall’esecuzione immobiliare subita , lamentando un «adempimento (forzato) del contratto» attuato sulla base di una clausola nulla (cfr., in particolare, ricorso, pag. 26; in realtà le clausole di cui si predica la nullità sono tre): la prospettazione offerta è, allora, quella di una esecuzione del contr atto – posta in essere in forza del decreto ingiuntivo non opposto – che non avrebbe potuto aver luogo, stante l’ invalidità dipendente dall’illiceità dell’intesa restrittiva «a monte». L’istante a ssume, altresì, di aver lamentato un danno reputazionale, sempre correlato alla pretesa azionata nei suoi confronti e quindi, in via mediata, all’i ntesa restrittiva che l’ha resa possibile . Rileva, infine, di aver fatto valere un pregiudizio da «lesione della libertà contrattuale»: ma è sicuramente questa una prospettazione tardiva, essendo stata formulata, per stessa ammissione dell’istante , nella comparsa conclusionale di primo grado e nella citazione in appello (pag. 26 del ricorso).
Le voci di danno sopra indicate sono dunque da raccordare al fatto che il contratto costituiva espressione di un’intesa restrittiva illecita , cui il negozio stesso ha dato esecuzione, «a valle». La prospettazione di tali danni è però incompatibile co n l’accertamento desumibile dal decreto ingiuntivo non impugnato; il decreto è stato pronunciato sulla base di un contratto di fideiussione che, per essere stato ritenuto produttivo di
effetti, doveva essere valido, e che pertanto non poteva costituire sbocco dell’intesa vietata (di quell ‘ intesa che determinò l’inserzione, nel contratto, delle contestate disposizioni che resero possibile l’escussione della garanzia). Tanto esclude il rimedio risarcitorio, il quale opera proprio in dipendenza dell’a ccertamento di una nullità dell’intesa restrittiva che abbia trovato attuazione nel contratto «a valle», giacché, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la ratio della previsione circa la detta nullità « è di togliere alla volontà anticoncorrenziale ‘a monte’ ogni funzione di copertura formale dei comportamenti ‘ a valle ‘ » e « di impedire il conseguimento del frutto della intesa consentendo anche nella prospettiva risarcitoria l ‘ eliminazione dei suoi effetti » (Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207, cit., in motivazione).
In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: « A vendo riguardo all’illecito concorrenziale accertato col provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005 , il giudicato formatosi sul l’assenza di fatti impeditivi al soddisfacimento del credito avente titolo nel contratto posto ‘ a valle ‘ d ell’intesa re strittiva ‘ a monte ‘ osta all’accoglimento della domanda risarcitoria il cui danno si assuma discendere, in via diretta o indiretta, da un’ esecuzione del contratto stesso, quando tale esecuzione abbia potuto dispiegarsi in forza delle clausole deputate a dare attuazione a quell’intesa ».
5 . – E’ certo, poi, c he Banco BPM possa opporre il giudicato di cui al decreto ingiuntivo ottenuto dalla propria avente causa.
Il giudicato formatosi in un determinato giudizio può spiegare «efficacia riflessa» nei confronti di soggetti rimasti estranei al rapporto processuale a condizione che: a) i terzi non siano titolari di un diritto autonomo, scaturente da un distinto rapporto giuridico o costituito su un rapporto diverso da quello dedotto nel primo giudizio; b) i terzi non possano risentire un «pregiudizio giuridico» dalla precedente decisione; c) l’efficacia riflessa riguardi soltanto l’affermazione di una situazione
giuridica che non ammette la possibilità di un diverso accertamento (Cass. 23 aprile 2020, n. 8101; in conformità, tra le tante decisioni non massimate in CED sul punto: Cass. 31 dicembre 2024, n. 35184; Cass. 14 dicembre 2024, n. 32547; Cass. 19 marzo 2024, n. 7406; nel senso che in tema di limiti soggettivi del giudicato, l’accertamento reso inter alios ha efficacia nei confronti del terzo solo qualora questi intenda avvalersene in proprio favore, in base al principio generale espresso dall’art. 1306 c.c., Cass. 25 gennaio 2024, n. 2462; per l’efficacia riflessa del giudicato, in presenza di situazioni giuridiche dipendenti da quella dedotta in causa: Cass. 21 febbraio 2023, n. 5377; Cass. 5 luglio 2019, n. 18062; Cass. 11 giugno 2019, n. 15599; Cass. 29 marzo 2019, n. 8766).
Ora, BPM è stata titolare dello stesso rapporto giuridico che ha poi fatto capo a Deutsche Bank: non quindi di un rapporto giuridico diverso. La stessa controricorrente non può poi risentire un pregiudizio dalla decisione, ma ne trae piuttosto beneficio. Da ultimo, la situazione giuridica affermata, data dalla conformità al diritto dell ‘obbligazione di garanzia cui è stata data attuazione, non può atteggiarsi diversamente nei confronti dei diversi soggetti che sono stati parti, in tempi diversi, dello stesso contratto : onde ricorre anche l’ultima del le condizioni sopra richiamate.
-Non coglie nel segno l’obiezione di parte ricorrente, secondo cui nella fase monitoria non poteva farsi luogo all’accertamento della legittimità della condotta concorrenziale. Quel che rileva, come si è visto, è la portata del giudicato, il quale copre anche l’insuss istenza dei fatti impeditivi che avrebbero potuto proporsi con l’opposizione : opposizione che l’odierno ricorrente ha ma ncato di proporre.
-Il primo motivo è dunque infondato.
8 . -Il secondo mezzo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi del provvedimento impugnato.
9 . – L’odierno istante lamenta che «la mancata pronuncia
sull’accertamento, e sull ‘ imputazione, dell’illecito antitrust dedotto a carico della banca odierna intimata ha certamente violato l’art. 112 c.p.c. e ha costituito una sorta di inammissibile ‘ sanatoria ‘ della grave violazione delle disposizioni dettate da ll’art. 101 TFUE (già art. 81 TCE) e dagli artt. 2 e 33 l. n. 287/1990».
La Corte di appello, come è del tutto evidente, non ha omesso di pronunciarsi sull’illecito co ncorrenziale, ma ha osservato che la pretesa risarcitoria basata sul detto illecito non poteva avere ingresso in ragione degli effetti riflessi del giudicato caduto sul decreto ingiuntivo di cui si è detto più volte. Sintomaticamente, occupandosi della doglianza dell’appellante secondo cui il Tribunale avrebbe omesso di provvedere sulla domanda di imputabilità dell’illecito antitrust alla banca convenuta, la Corte di Roma ha osservato che «siffatta domanda non era di certo provvista di autonomo rilievo, potendo al contrario ravvisarsi adeguato interesse al riguardo solo nel caso in cui il Tribunale potesse provvedere sulla domanda risarcitoria, laddove come si è visto siffatta possibilità era comunque esclusa dalla sussistenza del giudicato, esattamente affermata dal Tribunale».
10 . -Ad analogo esito porta lo scrutinio del terzo e del quarto motivo di ricorso.
11 . – Parte ricorrente lamenta, col terzo mezzo, che la Corte territoriale non abbia «tenuto in minimo conto» che la nullità parziale della fideiussione era «nullità speciale derivante da norme imperative dettate a tutela dell’ordine pubblico economico: norme che hanno lo scopo di eliminare qualsiasi copertura formale delle contrattazioni a valle di un’intesa vietata dalla legge».
La sentenza impugnata non contraddice affatto, come pretende il ricorrente, l’ar resto di Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994, ma attribuisce rilievo -fondatamente, come si è detto -all ‘ inoppugnabilità del provvedimento monitorio: evenienza da cui è fatto discendere che la questione s ull’il liceità della fideiussione «non
potrebbe essere nuovamente affrontata nel successivo giudizio risarcitorio che quella illiceità necessariamente presuppone».
12 . -Col quarto motivo si sostiene che secondo Cass. Sez. U. 30 dicembre 2011, n. 30175 il risarcimento del danno sarebbe dovuto, «non occorrendo a tal fine che sia individuabile uno specifico atto del quale debba predicarsi la nullità» e si invoca, poi, la disciplina antitrust introdotta col d.lgs. n. 3/2017, con cui è stata data attuazione alla dir. 2014/104/UE.
Tale mezzo di censura non si confronta con la decisione impugnata, che ha reputato precluso l’esame della questione circa l’attuazione , col contratto di fideiussione, dell’intesa che si assume illecita in ragione del giudicato occorso. Mette conto di aggiungere, per completezza, due rilievi. Anzitutto l’enunciato della cit. Cass. Sez. U. 30 dicembre 2011, n. 30175 non sarebbe comunque direttamente spendibile nella presente fattispecie, in quanto l’illecito di cui si è occupata quella pronuncia è l’abuso di posizione dominante, non l’intesa restrittiva della concorrenza. In secondo luogo, sia la dir. 2014/104/UE che il d.lgs. n. 3/2017 non sono applicabili ratione temporis alla presente controversia, che investe un contratto concluso nel 2005. Mette conto di precisare che a norma dell ‘art. 22.1 dir. 2014/104/UE gli Stati membri assicurano che le misure nazionali di recepimento adottate al fine di rispettare le disposizioni sostanziali della direttiva non hanno effetto retroattivo e che, in base all’art. 19 del citato decreto legislativo, solo gli articoli 3, 4, 5, 15, comma 2, quali disposizioni procedurali, si applicano ai giudizi di risarcimento del danno da violazione del diritto della concorrenza promossi successivamente al 26 dicembre 2014; ed è il caso pure di osservare che la presunzione del danno da violazione del diritto alla concorrenza consistente in un cartello , oltre ad essere prevista da una norma (l’art. 14, comma 2, d.lgs. n. 3 del 2017) non applicabile alla fattispecie per ragioni di diritto intertemporale (come si è appena detto), è resa inoperante dal
giudicato implicito caduto sull ‘insussistenza dell’illecito antitrust a monte.
13 . – Il quinto motivo è pure inammissibile.
14 . -Il ricorrente si duole della mancata condanna della banca appellata a norma dell’art. 96, comma 3 , c.p.c..
Sul punto non può ravvisarsi l’ omessa pronuncia in quanto la detta domanda era inammissibile. Infatti, la condanna per l’abuso dello strumento processuale non può essere disgiunta dalla condanna alle spese processuali e presuppone, altresì, che la domanda sia stata totalmente accolta, stante il richiamo operato dall’art. 96, comma 3, c.p.c. all’art. 91 c.p.c. ed al principio di soccombenza ivi stabilito (Cass. 30 maggio 2024, n. 15232). Ebbene, la domanda attrice non ha trovato accogliento e il gravame proposto da Bosco è stato integralmente respinto. Come è noto, poi, l’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito di quella domanda (ad es.: Cass. 16 luglio 2021, n. 20363; Cass. 25 settembre 2018, n. 22784; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24445).
15. – Nella propria memoria parte ricorrente ha formulato istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) alla Corte di giustizia.
L ‘istante non ha precisato quale sarebbe, di preciso, la questione da sottoporre alla nominata Corte ex art. 267 TFUE.
Egli ha fatto menzione degli artt. 1, 3, 9 e 17 della dir. 2014/104/UE, oltre che ai «considerando» della medesima direttiva.
Le disposizioni sostanziali di questa non sono tuttavia applicabili alla vicenda per cui è causa, essendo il provvedimento invocato entrato in vigore in un momento successivo rispetto a quello in cui si colloca l’intesa restrittiva qui in esame.
Il ricorrente ha pure evocato l’art. 19 , paragrafo 1, del TUE (Trattato sull’Unione Europea) , secondo cui gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione e ha pure citato Corte giust. 13 luglio 2006, C-295/04, Manfredi , per la quale (punto 72) spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti a conoscere dei ricorsi per risarcimento danni fondati su una violazione delle regole di concorrenza comunitarie e stabilire le modalità procedurali di tali ricorsi, purché le disposizioni di cui trattasi non siano meno favorevoli di quelle relative ai ricorsi per risarcimento di danni fondati su una violazione delle norme nazionali in materia di concorrenza e purché le dette disposizioni nazionali non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di chiedere il risarcimento del danno causato da un’intesa o da una pratica vietata dall’art. 81 TCE (Trattato istitutivo della Comunità Europea), ora art. 101 TFUE.
Si ribadisce, però, che il consumatore finale che sia pregiudicato da una collusione «a monte» può avvalersi dei rimedi consistenti del risarcimento del danno e dell’accertamento della nullità del contratto «a valle» : strumento quest’ultimo , che è estraneo alla disciplina unionale, ma contemplato, come si è visto, dall’ordinamento italiano, in base a una diversificazione dei mezzi di tutela che individua negli ordinamenti nazionali « la sede naturale per la regolamentazione della sorte dei contratti a valle » (così, in motivazione, la cit. Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994). In tal senso, la disciplina italiana non restringe affatto, ma semmai estende, la protezione del soggetto su cui si ripercuote l’intesa r estrittiva «a monte»: in conseguenza, non può certo dirsi che il sistema di tutela approntato dall’ordinamento italiano collida con i richiamati principi di equivalenza ed effettività.
Il cumulo dei rimedi non può peraltro tradursi in risultati che siano per l’ordinamento contraddittori : per cui, una volta che si formi il
giudicato sulla validità del contratto «a valle», non può ammettersi che l’esecuzione di quel contratto sia produttivo di effetti antigiuridici. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha, del resto, più volte sottolineato l’importanza del principio dell’autorità di cosa giudicata sia nell’ordinamento giuridico dell’Unione, sia negli ordinamenti giuridici degli Stati membri: come sottolineato dalla detta Corte, al fine di garantire la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, oltre che una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (Corte giust. UE 6 ottobre 2009, RAGIONE_SOCIALE , C-40/08, punti 35 e 36; Corte giust. UE 26 gennaio 2017, Banco Primus , C-421/14, punto 46) e il diritto dell’Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia giurisdizionale neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto (Corte giust. UE 9 aprile 2024, FY , C- 582/21, punto 38; Corte giust. UE 6 ottobre 2015, Târşia , C-69/14, punto 29). In fattispecie quale quella in esame il fideiussore richiesto giudizialmente del pagamento è del resto sempre in grado di evitare il formarsi del giudicato che gli rechi nocumento, dal momento che, in base al diritto italiano, la decisione del giudice va assunta nel rispetto del principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.): principio che trova attuazione anche nel procedimento di ingiunzione, attraverso la notifica del provvedimento monitorio, che può essere opposto dall’intimato .
16 . – In conclusione, il ricorso è rigettato.
17 . – Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sens i dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione