Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32956 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32956 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/12/2024
R.G.N. 36308/2020
C.C. 4/12/2024
COMPRAVENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 36308/2019) proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura apposta in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2288/2019 (pubblicata il 30 settembre 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME lette le memorie depositate da entrambe le parti.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso per decreto ingiuntivo ritualmente proposto, RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Prato al fine di ottenere il pagamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 63.648, a titolo di prezzo di una fornitura di piumini, rimasto insoluto.
Emesso il richiesto decreto monitorio, la RAGIONE_SOCIALE proponeva tempestiva opposizione, sostenendo che -assunta la collaborazione commerciale con l’ingiungente RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione di giacche e gilet in piumino -nella stagione autunno-inverno 2008-2009 i capi realizzati non avevano presentato lo standard di qualità richiesto (e, peraltro, sino a quel momento sempre garantito), in quanto generavano del piumaggio oltre il consentito.
In considerazione di tale circostanza l’ingiunta, a sostegno e, deducendo l’inadempimento della controparte, assumeva di non dovere alcuna somma in relazione alle fatture azionate.
della formulata opposizione, denunciava il difetto Peraltro, l’opponente sosteneva di avere diritto al risarcimento del danno sia per l’ammontare delle note di credito, sia per il mancato sviluppo delle vendite, oltre che per la lesione all’immagine e per le spese di pubblicità.
L’opposta RAGIONE_SOCIALE eccepiva la decadenza della denuncia dei suddetti, in quanto tardiva.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 480/2014, accoglieva parzialmente l’opposizione di RAGIONE_SOCIALE, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento, nei confronti dell’opponente, della somma di euro 31.826,00 (derivante dalla compensazione tra il danno emergente subìto da RAGIONE_SOCIALE -pari ad euro 95.474 –
e il costo della fornitura richiesto da RAGIONE_SOCIALE -pari ad euro 63.648), con parziale compensazione delle spese di lite.
2. La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la citata sentenza di primo grado, sostenendo che il Tribunale di Prato avesse errato nell’operare la compensazione tra l’importo dovuto a titolo di risarcimento danni e l’importo equivalente al costo della fornitura richiesto da RAGIONE_SOCIALE con il decreto ingiuntivo (importo quest’ultimo, peraltro, corrisposto da RAGIONE_SOCIALE in esito alla concessione della provvisoria esecuzione del decreto).
Secondo l’appellante, infatti, l’indicato Tribunale accertata la presenza dei denunciati vizi nella merce -avrebbe dovuto ritenere che alcuna somma RAGIONE_SOCIALE doveva a RAGIONE_SOCIALE condannando, per l’effetto, quest’ultima a corrispondere in favore della prima non solo l’intero importo risarcitorio (pari ad euro 95.474), ma anche la restituzione dell’importo pagato da RAGIONE_SOCIALE in esito alla concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo (pari ad euro 69.696, equivalente all’importo capitale di cui al decreto monitorio, per come maggiorato con interessi e spese).
Nel costituirsi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE -oltre a chiedere la ripetizione di quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado -proponeva appello incidentale, sostenendo l’erroneità della decisione impugnata laddove aveva ritenuto che l’appellante non fosse decaduta dal termine per far valere i vizi della merce , in violazione dell’art. 1495, comma 1, c.c.
Con la sentenza n. 2288/2019, la Corte di Appello di Firenze accoglieva -in totale riforma della sentenza impugnata -il suddetto appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE
condannando RAGIONE_SOCIALE alla restituzione, in favore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 31.826, nonché al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, con il conseguente ordine di rimborso, a carico dell’appellante principale, dell ‘importo corrispondente all’entità delle s pese ricevute per effetto della condanna della controparte alla rifusione delle spese all’esito del giudizio di prime cure.
A sostegno dell’adottata decisione, la citata Corte territoriale -discostandosi dalla ricostruzione del Tribunale -riteneva, sulla base di una serie di risultanze fattuali, fondata l’eccezione di decadenza formulata dalla RAGIONE_SOCIALE richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di decadenza per la denuncia dei vizi occulti decorre dalla scoperta dei vizi nella loro manifestazione esteriore e ciò anche ai fini della proposizione della domanda risarcitoria.
Contro la menzionata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, RAGIONE_SOCIALE Ha resistito con controricorso l’intimata RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia -pur ponendo riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che la sentenza di appello ha impropriamente ritenuto fondata l’eccezione di decadenza proposta da RAGIONE_SOCIALE non considerando che -differentemente da quanto accaduto nel caso di specie rispetto ad alcune delle fatture -la decadenza dalla garanzia per vizi non era rilevabile d’ufficio.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce -con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 1495, comma 1, c.c. in ordine
all’errata individuazione del termine di decadenza dalla garanzia per vizi occulti.
A tal proposito, la ricorrente allega che la Corte di appello -ritenendo che il termine di decadenza per la denuncia dei vizi della cosa venduta debba essere riferito solo alle manifestazioni del vizio e non alla sua individuazione causale -avrebbe illegittimamente individuato il termine di decadenza per la denuncia, non avendo considerato che, nel caso di specie, la scoperta dei vizi non poteva che avvenire in maniera graduale, con tutte le relative conseguenze sotto il profilo della decorrenza del termine in questione.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta -avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla erronea individuazione del termine di decadenza dalla garanzia per vizi occulti.
Più nello specifico, la ricorrente contesta l’omesso esame del fatto (da considerarsi decisivo ed avendo costituito oggetto di discussione tra le parti) che -successivamente al dies a quo preso in considerazione per valutare la decadenza dal termine per la denuncia dei vizi -vi erano stati numerosi altri resi, dal che derivava l’errata individuazione del termine di decadenza.
Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia -in ordine all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla illegittima individuazione della data di denuncia dei vizi occulti.
Si afferma che il giudice di appello ha erroneamente individuato la data della prima comunicazione a RAGIONE_SOCIALE di denuncia dei vizi e ciò in considerazione del fatto
che detto giudice non ha preso in esame il fatto (da considerarsi decisivo) dell’avvenuto primo reso di merce viziata in data anteriore a quella considerata come rilevante.
Con il quinto motivo, la ricorrente deduce -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. l’illogicità e la perplessità della motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla mancata individuazione del riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi occulti.
In particolare, la ricorrente adduce detto vizio avuto riguardo al passaggio motivazionale in base al quale la Corte di appello ha ritenuto generici e non idonei i riconoscimenti -risultanti da corrispondenza prodotta in giudizio -di RAGIONE_SOCIALE relativi all’esistenza dei vizi.
Con il sesto motivo, infine, il ricorrente lamenta -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla dichiarazione di decadenza dalla garanzia per i vizi occulti dei capi di abbigliamento.
In particolare, il ricorrente sostiene che la Corte di appello -dopo aver dichiarato che, successivamente al dies a quo individuato per valutare la decadenza dal termine, erano seguiti altri resi -abbia errato nel non aver preso in esame la documentazione attinente ai (restanti) piumini restituiti per i vizi della produzione, la quale avrebbe dovuto condurre alla liquidazione dei relativi danni subìti dal compratore.
Il primo motivo non è fondato e deve, perciò, essere rigettato.
Infatti, la Corte di appello -nell’accogliere il gravame incidentale dell’odierna controricorrente non ha affatto rilevato d’ufficio la decadenza della garanzia per vizi della ricorrente.
A sostegno di tale affermazione, deve sottolinearsi che -per come ricostruito sulla base dell’adeguata motivazione della sentenza impugnata -il giudice di secondo grado ha compiutamente valutato le difese di RAGIONE_SOCIALE la quale ha proceduto alla proposizione dell’eccezione in discorso, avuto riguardo al complessivo rapporto commerciale di fornitura intercorso con la ricorrente in relazione a tutte le consegne effettuate nell’arco dell’anno 2008.
Sotto questo profilo, l’argomento della ricorrente volto ad evidenziare che l’eccezione di decadenza fosse stata proposta dalla controricorrente soltanto relativamente ad alcune delle fatture (in particolare, fatture nn. 276/2008 e 419/2008) -oltre ad essere inammissibile, in quanto dedotto per la prima volta nella presente sede di legittimità -deve ritenersi assolutamente irrilevante, considerata la complessiva unitarietà del contratto di fornitura.
Il secondo motivo si palesa anch’esso privo di fondamento e, pertanto, non meritevole di accoglimento.
In primo luogo, difatti, deve rammentarsi che, con tale doglianza, RAGIONE_SOCIALE tende sostanzialmente a sollecitare una rivalutazione di un apprezzamento di merito congruamente svolto dalla Corte toscana -perciò inammissibile nella presente sede di legittimità -sull’individuazione del dies a quo ai fini della proposizione della denuncia dei vizi (ai sensi dell’art. 1495, comma 1, c.c.) e sulla natura degli stessi.
Mediante uno svolgimento logico-giuridico adeguatamente sviluppato, la Corte di appello ha accertato, in fatto, che, già in data 16 settembre 2008, l’odierna ricorrente aveva ricevuto la restituzione di n. 10 capi (nella specie, piumini) da un cliente finale e ciò a causa della (evidente) difformità dei capi dai necessari standard qualitativi. In particolare, i
piumini oggetto della fornitura -essendo realizzati tramite l’impiego di piuma poco costosa, che non garantiva la prevista tenuta downproof -generavano, anche per effetto della relativa foratura del tessuto, un piumaggio oltre il consentito e, in quanto tali, erano inutilizzabili, da parte dei clienti finali, allo scopo convenuto, come, del resto, dedotto dalla stessa ricorrente già in sede di opposizione a decreto ingiuntivo.
Da quanto precede si evince inequivocabilmente che -considerate anche la qualità delle parti, la natura della merce e la tipologia di vizio (cfr., in termini generali, Cass. n. 5243/1982 e Cass. n. 10498/1996) -la ricorrente, già in data 16 settembre 2008, aveva avuto immediata e diretta percezione dei vizi da cui erano affetti i piumini in questione. Sotto questo profilo, la Corte toscana ha evidenziato che -diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente -non occorreva una indagine apposita ai fini della pronta conoscenza del vizio, rimanendo irrilevante che il rapporto di fornitura si fosse sviluppato anche mediante plurime successive consegne.
Sempre sulla scorta degli idonei accertamenti fattuali compiuti dal giudice di appello, non essendo stati prodotti riscontri documentali relativi ad eventuali comunicazioni informali precedenti (cfr., sulla ripartizione dell’onere della prova e sull’incensurabilità dell’accertamento del giudice di merito, Cass. n. 16766/2019 e Cass. n. 24348/2019), la prima denuncia formale di detti vizi (palesatisi all’esito del reso) era avvenuta l’11 novembre 2008. In ragione di ciò, l’odierna ricorrente non si era attenuta al rispetto del termine decadenziale di 8 giorni, previsto dall’art. 1495, comma 1, c.c. e decorrente nel caso di specie -considerate l’unitarietà del rapporto contrattuale di fornitura e l’identità
del vizio afferente la merce -dal 16 settembre 2008, data alla quale RAGIONE_SOCIALE aveva già una piena cognizione del vizio, non essendo -come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. per tutte Cass. SU n. 18672/2019) -in alcun modo necessaria la sua individuazione causale. A tal proposito, la Corte territoriale ha correttamente aggiunto che ogni altra indagine sulla natura intrinseca del vizio è, in ogni caso, rimessa ad un momento successivo (non escluso quello della sede giudiziaria), mentre il dies a quo , ai fini della denuncia, deve farsi risalire al momento (precedente) in cui il compratore acquisisca la certezza obiettiva del vizio, per l’appunto riferita a manifestazioni esteriori dello stesso.
A sostegno della tesi della ricorrente neppure si può ritenere dirimente la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 11046/2016 e Cass. n. 40814/2021) sulla base della quale, ove la scoperta del vizio avvenga gradatamente ed in tempi diversi e successivi, occorre -ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 1495 c.c. far riferimento al momento in cui detta scoperta si sia completata. Infatti -per come accertato con apprezzamento di merito dal giudice di secondo grado -nel caso di specie la scoperta del vizio (peraltro dimostratosi identico anche per i capi oggetto di successivi resi) è da intendersi frutto di una percepibilità immediata, senza necessità di indagini tecniche e senza essere condizionata da una conoscenza graduale nel tempo. Con idonea valutazione di merito, peraltro, la Corte toscana ha anche escluso che, nella fattispecie, ci si potesse trovare di fronte ad un riconoscimento tacito del vizio, che, in quanto tale, avrebbe svincolato la ricorrente dal termine di decadenza. In particolare, secondo il giudice di appello, la mail del 10 novembre 2008 conteneva -in senso
meramente ipotetico -solo un generico riferimento all’eventualità che si potessero verificare dei resi, senza, cioè, alcuna correlazione a idonee circostanze concrete, tali da implicare un benché minimo riconoscimento, da parte della venditrice, di un qualsivoglia difetto tale da rendere superflua la denuncia ad opera dell’acquirente.
Il terzo motivo è, di conseguenza, anch’esso infondato e, in quanto tale, va rigettato.
La Corte di appello non ha affatto omesso di considerare che vi erano stati altri successivi resi e che l’odierna ricorrente aveva fatto effettuare indagini tecniche dopo aver ricevuto il primo reso. Semplicemente, il giudice di seconde cure ha -sulla base di quanto già argomentato con riferimento al precedente motivo -condivisibilmente sostenuto che il vizio era già percepibile in maniera oggettiva e completa il 16 settembre 2008, con la conseguenza che il termine decadenziale di otto giorni -previsto dall’art. 1495, comma 1, c.c. – si sarebbe dovuto considerare già legittimamente decorrente da tale data.
Da ciò deriva, dunque, che la circostanza dedotta con il motivo in esame non ha comunque natura decisiva.
Il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso -esaminabili congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi -si profilano inammissibili e, dunque, vanno disattesi.
Infatti, va rilevato che -dietro l’apparente proposizione di vizi ricondotti, prima, al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., poi, al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. e, infine, nuovamente al n. 5 della stessa norma -le doglianze mirano, in effetti, a sollecitare surrettiziamente una rivalutazione nel merito -inammissibile nella presente sede di legittimità -delle circostanze di fatto riguardanti l’individuazione della data
della proposizione di una effettiva denuncia dei vizi e, di conseguenza, della sua tardività.
In realtà, la Corte di merito ha preso in considerazione sia il fatto dell’avvenuto primo reso di merce viziata in data anteriore (16 settembre 2008) a quella considerata come rilevante ai fini della denuncia (11 novembre 2008), sia la corrispondenza intercorsa tra le parti, nonché la documentazione attinente ai (restanti) piumini restituiti per i vizi della produzione. Senonché, il giudice di appello ha -a seguito di un compiuto percorso logico-giuridicoargomentativo -ritenuto che tali elementi non fossero idonei a mettere in discussione l’individuazione, nella data del 16 settembre 2008, del dies a quo e, conseguentemente, la fondatezza dell’eccezione di decadenza avanzata da RAGIONE_SOCIALE
Sul piano generale, è appena il caso di ricordare che questa Corte ha precisato (v. Cass. n. 8053/2014) che l’omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. si identifica con l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Nel caso di specie, nulla di tutto ciò è rinvenibile per le ragioni di cui sopra.
11. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna della ricorrente soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui al dispositivo.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione