Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14702 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 13958/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE), con sede in Modena, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’AVV_NOTAIO COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME .
–
ricorrente –
contro
NOME e NOME, rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME ed NOME COGNOME, con cui elettivamente domiciliano presso quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO, c/o RAGIONE_SOCIALE .
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza, n. cron. 14/2020, della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI, SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, pubblicata in data 15/01/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
24/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 28 febbraio 2018, n. 109, il Tribunale di Nuoro respinse l’opposizione proposta da NOME COGNOME (debitore principale) e NOME COGNOME (fideiussore) avverso il precetto notificatogli, in data 25 gennaio 2016, dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in forza del titolo esecutivo costituito dal mutuo fondiario stipulato il 13 dicembre 2007.
1.1. Ritenne, tra l’altro, quel giudice che: i ) la dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine, come comunicata dal menzionato istituto di credito alla controparte, doveva considerarsi legittima, in quanto del tutto conforme al dettato normativo dell’art. 40, comma 2, T.U.L.B. (d.lgs. n. 385 del 1993), in base al quale la banca può scegliere di risolvere un contratto di mutuo qualora abbia constatato un ritardato pagamento delle rate di mutuo per almeno sette volte; ii ) il comportamento della banca non poteva configurare un abuso del diritto, dal momento che non poteva avere rilievo quanto evidenziato dagli opponenti sulla asserita tolleranza di quest’ultima, che avrebbe consentito al mutuatario di pagare costantemente in ritardo, per poi addivenire alla risoluzione del contratto. Era la stessa norma sopra menzionata che non avrebbe consentito alla banca di reagire al ritardo nei pagamenti prima che si addivenisse al ritardato pagamento della settima rata, poiché, anteriormente, la decadenza dal beneficio del termine sarebbe stata effettivamente illegittima. In seguito al settimo ritardato pagamento, il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE aveva esercitato un diritto espressamente previsto dalla normativa in materia bancaria, senza che ciò potesse comportare un abuso di tale diritto, in quanto perfettamente conforme alla fattispecie descritta
dalla disposizione normativa, né rilevando l’avvenuto pagamento delle rate successive.
Pronunciando sul gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME contro questa decisione, l’adita Corte di appello di Cagliari, Sezione di Sassari, con sentenza del 3/15 gennaio 2020, n. 14, resa nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, lo accolse e, per l’effetto, dichiarò che detto istituto di credito non aveva diritto di procedere ad esecuzione forzata sulla base del precetto notificato in data 25 gennaio 2016 e lo condannò al pagamento, in favore degli appellanti, delle spese processuali del doppio grado.
2.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) osservò, innanzitutto, che « la decisione di prime cure è basata sulla ricognizione positiva dell’esistenza dei presupposti previsti dall’art. 40 TUB, ovverossia sul ritardo qualificato nel pagamento delle semestralità dovute, reiterato per sette volte (anche non consecutive). Il trib unale riscontrava l’irregolare adempimento delle sette rate tra il 31-12-11 e il 31-12-14, segnatamente il pagamento effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla rata, che costituisce il range previsto dall’art. 40 cit., entro il quale l’inadempimento è qualificato grave dalla legge. Trattasi, come è evidente, di una valutazione predeterminata della gravità agli effetti della domanda di risoluzione, che si sovrappone a quella prevista dalle disposizioni generali di cui agli artt. 1453-1455 c.c. »; ii ) rilevò, poi, che « La contestazione dell’appellante censura la ratio decidendi della sentenza gravata laddove veniva posta in risalto la v olontà della banca di avvalersi del disposto dell’art. 40 TUB, del quale ricorrevano esattamente i requisiti prescritti, mentre non era esaminata la previsione dell’art. 18 del contratto di mutuo , che accordava, in via generale, all’istituto mutuante l a facoltà di agire in via esecutiva nell’ipotesi di mancato rispetto del termine per adempiere per effetto della decadenza ipso iure del beneficio del termine. ». Secondo gli appellanti, il tribunale si era limitato « ad affermare che la banca aveva notificato precetto nel 2016, intimando il pagamento del capitale scaduto al
31-12-14 allorché, appunto, si era formata la fattispecie legale di ritardo qualificato, che consentiva al mutuante di avvalersi del rimedio risolutorio, senza soffermarsi sulla questione se la decadenza dal beneficio del termine, pronunciata dalla banca nel giugno 2015, previa revoca degli affidamenti già disposta nel precedente mese di febbraio, fosse, o meno, conforme al dettato dell’art. 1186 c.c. »; iii ) rimarcò che, « esaminando le comunicazioni inviate dalla banca, emerge che l’istituto aveva dichiarat o di avvalersi del rimedio decadenziale nel febbraio 2015, anche per il mutuo ipotecario, allorché non era stato ancora effettuato il (ritardato) pagamento della rata scadente il 3112-14, effettuato il successivo 6-0315. Versandosi in un’ipotesi di fatti specie legale di gravità, come sopra detto, la valutazione del ritardo andava condotta nel range tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza, elemento che, per la settima rata, non si era ancora formato alla data della comunicazione di dec adenza, tant’è che la successiva comunicazione della banca (16-06-05) si riferisce al pagamento tardivo della sesta rata. Deve dunque ritenersi che all’epoca dell’intimazione della decadenza non si era formato il ritardo qualificato di cui all’art. 40 cit. , »; iv ) opinò, quindi, che, « Escluso che la banca potesse avvalersi dell’art. 40 TUB fatto salvo dall’art. 18 del contratto di mutuo (che premette: ‘Salvo quanto previsto dall’art. 40 comma 2 del T.U. n. 385/1993, …’), da ritenere subordinato al verificarsi della scansione temporale stabilita dall’art. 40 quanto all’operatività automatica della decadenza, dovendo altrimenti trovare applicazione le disposizioni generali in tema di decadenza dal termine ex art. 1186 c.c. e gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. -deve parimenti escludersi sussistessero gli estremi del rischio sopravvenuto dell’irreversibile inadempimento del debitore, posto che nella nota del 16-02-15 la banca dava atto del mancato pagamento della sola rata del 31-12-14 (le altre erano tutte rate a scadere), per la quale, come sopra ricordato, non si era ancora formato il tempo previsto dalla risoluzione legale. La decadenza dal beneficio del termine non risulta pertanto conforme al dett ato dell’art. 40 TUB, né giustificata dalle previsioni generali in materia di pagamento rateale e di
grave inadempimento, secondo i principi di buona fede e correttezza. Soltanto in questi termini nel recesso non è ravvisabile la finalità di nuocere al debitore, tipica dell’abuso del diritto, ma soltanto lo scopo di tutela del vantaggio economico persegui to da un’impresa esercente il credito in un’ottica di bilanciamento dei reciproci interessi e senza imporre all’istituto di credito un apprezzabile sacrificio. Invece, il precetto notificato ai COGNOME per l’intera somma capitale ritenuta oramai scaduta e per l’esiguo importo di euro 36,76 per capitale scaduto al 31-12-14 non tiene conto della rateizzazione cui i debitori avrebbero invece avuto diritto, né contempla i pagamenti effettuati successivamente dai debitori a deconto dell’originario piano di ammortamento e che devono essere conteggiati non ai fini della determinazione della somma per cui procedere ad esecuzione forzata, come affermato dal primo giudice, ma del credito effettivamente maturato dalla banca mutuante, compresi gli interessi di mora maturati sulle rate versate in ritardo ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Hanno resistito, con controricorso, NOME COGNOME e NOME COGNOME, promuovendo anche ricorso incidentale condizionato recante un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del ricorso principale denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (error in iudicando) con riferimento agli artt. 40, comma 2, T.U.B. e 1453-1455 c.c., art. 1186 c.c., art. 1820 c.c., e all’art. 1362 c.c. ». Premessa la differenza esistente tra i due istituti previsti, rispettivamente, dall’art. 1186 cod. civ. e dagli artt. 1453 -1455 del medesimo codice, e ricordata la particolare disciplina prevista dall’art. 40, comma 2, T.U.L.B., viene contestato alla corte territoriale di avere ritenuto che la mancanza dei sette ritardi, richiesti da detta ultima norma per la possibile
risoluzione contrattuale, al momento della comunicazione del febbraio 2015, con cui la banca aveva inteso avvalersi del rimedio decadenziale anche per il mutuo in questione, non legittimasse la decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 cod. civ., nonostante la previsione dell’art. 18 del capitolato delle condizioni generali di contratto che, invece, consentiva alla banca stessa di esercitare (al di fuori di ogni scansione temporale di cui al menzionato art. 40) il diritto di avvalersi della decadenza automatica anche a fronte del mancato integrale pagamento di una sola rata (come era avvenuto nella fattispecie in esame). La ricorrente evidenzia, altresì, che « la decisione di avvalersi dell’art. 18 è dipesa non solo dal mancato integrale tempestivo pagamento della rata scadente il 31.12.2014, ma anche dal notevole ritardo con cui parte debitrice aveva pagato le precedenti sei rate in via frammentaria per un tota le di addirittura trentanove versamenti . Non solo, come emerso nei precedenti gradi di giudizio, vi era un ritardo nel pagamento anche per il mutuo chirografario n. 00593155946 ed era stato maturato uno scoperto di conto corrente n. 13413 per Euro 64.674,71 al 31.12.2014. Infatti, nella raccomandata di decadenza dal beneficio del termine del 26.02.2015 non solo si chiedeva il pagamento anche di tali importi, oltre a quelli afferenti il fondiario, ma, in apertura, si afferma, in via generale, che ‘causa l’irregolare e insoddisfacente andamento del rapporto, ogni affidamento a Vostro favore è da considerarsi revocato con effetto immediato ‘. L’irregolarità dello sviluppo del rapporto tra le parti e la sua consequenziale inadeguatezza sono riferibili non solo al negozio fondiario ma anche agli altri due rapporti chirografari (come ben evidenziato nella costituzione della banca in appello), i quali, nella nota del 26.02.2015, vengono, si badi bene, addirittura menzionati prima del fondiario ». Si assume, infine, che « Nella fattispecie in discussione, è configurabile, in ogni caso, quella situazione di insolvenza richiamata dall’art. 1186 c.c. nei medesimi termini riconosciuti dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte come situazione di dissesto economico anche di tipo temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi (ben diverso da quello preso in considerazione in
sede fallimentare), che non rivesta, quindi, necessariamente i caratteri di gravità e di irreversibilità e che renda verosimile l’impossibilità, da parte del predetto, di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni »;
II) « Vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (error in iudicando) con riferimento agli artt. 40, comma 2, T.U.B e 1186 c.c., agli artt. 2 Cost. e 1175-1375 c.c. ». Si ascrive alla corte distrettuale di avere erroneamente ritenuto violati dalla banca i canoni di correttezza e buona fede. La ricorrente, invece, afferma di averli rispettati, avendo esercitato il suo diritto, previsto dall’art. 1186 cod. civ. e dall’a rt. 18 delle condizioni generali di contratto, di dichiarare la decadenza dal beneficio del termine ovvero dal pagamento rateale delle somme, rimanendo all’interno dei confini tracciati dalla disciplina legale e convenzionale. La sentenza impugnata, inoltre, era viziata pure laddove aveva riscontrato la violazione suddetta anche nella notifica del precetto per l’esiguo importo di € 36,76 per capitale scaduto al 31 dicembre 2014, oltre che per il capitale residuo. Il giudicante, invero, non aveva considerato che tale notifica « era avvenuta il 18-25/26.01.2016, quindi oltre un anno dopo rispetto alla nota del 26.02.2015 in cui la rata scaduta non ancora saldata ammontava, , al ben differente importo di Euro 19.746,27 »;
III) « Illegittimità della condanna alle spese », deducendosi unicamente che « la riforma della sentenza impugnata comporta anche la nuova regolamentazione delle spese di lite, da porre a carico della parte soccombente ».
La prima di tali doglianze sollecita la Corte ad affrontare un tema non particolarmente dibattuto a livello giurisprudenziale, ma che -come osservato in dottrina -presenta un indubbio rilievo nell’ambito della prassi : esso attiene ai presupposti ed alle condizioni al ricorrere dei quali il mancato, il ritardato o, comunque, l’inesatto pagamento di una o più rate di un mutuo fondiario legittimano la banca a pretendere, immediatamente, l’integrale restituzione della somma oggetto del prestito.
2.1. La questione, peraltro, va esaminata con riferimento alla situazione concretamente verificatasi nell’odierna vicenda ed alla specifica clausola contrattuale che ivi disciplinava i presupposti e le modalità che consentivano a ll’ istituto di credito di ottenere tale risultato.
2.2. È utile ricordare, allora, che, come si è ampiamente riferito nel § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, la corte distrettuale accolse il gravame di NOME COGNOME e NOME COGNOME assumendo, sostanzialmente, che: i ) in tema di mutuo fondiario, l’art. 40, comma 2, del T.U.B. (d.lgs. n. 385/93) dispone che ‘ La banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive. A tal fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata ‘; ii ) nel caso di specie , « all’epoca dell’intimazione della decadenza , non si era formato il ritardo qualificato di cui all’art. 40 cit., » , sicché non era utilizzabile il rimedio di cui a quest’ultima norma; iii ) l’art. 18 delle condizioni generali del contratto di mutuo (rubricata ‘ Decadenza dal beneficio del termine e risoluzione del finanziamento ‘, ed a tenore della quale ‘ Salvo quanto previsto dall’art. 40 del T.U. 385/1993, il mancato pagamento alle date stabilite delle rate semestrali del finanziamento o di parte di esse, degli interessi dovuti sui pagamenti rateali , produrrà la pe rdita del beneficio del temine della parte finanziata e il RAGIONE_SOCIALE mutuante avrà il diritto di agire in via esecutiva per il recupero del suo credito in capitale, interessi, rate arretrate, interessi di mora ed accessori ‘) doveva ritenersi « subordinato al verificarsi della scansione temporale stabi lita dall’art. 40 quanto all’operatività automatica della decadenza, dovendo altrimenti trovare applicazione le disposizioni generali i tema di decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c. e gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c .»; iii ) stante l’assenza del ritardo qualificato di cui alla menzionata norma del T.U.B., la vicenda doveva intendersi rifluita, dunque, nel solco della sola decadenza dal beneficio del termine con l’effetto che, onde giustificare la risoluzione contrattuale, si sarebbero dovute tenere in considerazioni le norme generali; iv )
l’inadempimento ascritto agli odierni controricorrenti non poteva considerarsi grave.
2.3. Deduce oggi la parte ricorrente che la mancanza dei sette ritardi, richiesti da ll’art. 40, comma 2, T.U.B. per la possibile risoluzione contrattuale, al momento della comunicazione del febbraio 2015, con cui la stessa aveva inteso avvalersi del rimedio decadenziale anche per il mutuo in questione, non le avrebbe precluso la possibilità di invocare la decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 cod. civ., attesa la riportata previsione dell’art. 18 delle condizioni generali di contratto che le avrebbe permesso di esercitare (al di fuori di ogni scansione temporale di cui al menzionato art. 40) il diritto di avvalersi della decadenza automatica anche a fronte del mancato integrale pagamento di una sola rata o dell’inesatto pagamento di svariate rate del contratto di mutuo fondiario in questione e della insolvenza del debitore ricavata anche dalla sua situazione complessiva tratta anche da altri rapporti intrattenuti con lui.
2.4. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che occorre indagare, dunque, in quale modo reagisce, sulla riportata disciplina di decadenza dal beneficio del termine rinvenibile n ell’art. 18 delle condizioni generali di contratto, la descritta disposizione d i cui all’art. 40, comma 2, T.U.B., che riconosce alla banca il potere di ‘ invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte, anche non consecutive ‘, con la precisazione che ‘ costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata ‘ .
2.5. Orbene, va osservato, innanzitutto, che, quanto meno secondo l’impostazione largamente maggioritaria accolta in dottrina, le norme codicistiche in tema di mutuo -ivi incluso, in particolare, l’art. 1819 c od. civ. -non contemplano ipotesi speciali di decadenza dal beneficio del termine. È all’art. 1186 c od. civ., pertanto, che bisogna fare riferimento per verificare se, in linea generale, in ambito di mutuo fondiario, vi sia la possibilità, per l’istituto bancario mutuante, di invocare questo rimedio (così da ritenere
coerente con esso la menzionata disposizione di cui all’art. 18 delle condizioni generali del contratto di cui oggi si discute).
2.5.1. Come noto, detta disposizione del codice civile trae il suo fondamento nel sopravvenire di fatti che accentuino il rischio del creditore di rimanere insoddisfatto e, più precisamente, nella sua ipotesi principale, si ricollega al verificarsi di una situazione di ‘ insolvenza ‘ che incide sulla garanzia patrimoniale generica offerta dal debitore.
2.5.2. La differente ratio che sta alla base della decadenza dal beneficio del termine rispetto a quella che giustifica il ricorso alla risoluzione, così come il diverso funzionamento dei due istituti, si apprezzano in maniera agevole. Mentre la seconda presuppone un inadempimento idoneo a giustificare lo scioglimento del contratto, nella decadenza dal beneficio del termine per insolvenza a rilevare sono eventi che segnalano la compromissione della capacità del debitore di far fronte ai debiti futuri, dalla quale discende il diritto del creditore di chiedere immediatamente il pagamento di quanto dovuto. L’effetto della decadenza dal beneficio del termine è, quindi, quello di anticipare il termine di adempimento dell’obbligo di restituzione, rendendo immediatamente esigibile la prestazione: di inadempimento si potrà parlare, di regola, solo successivamente, qualora, a fronte della richiesta di immediato pagamento integrale, il debitore non risultasse in grado di soddisfare detta pretesa.
2.5.3. È innegabile, tuttavia, che, per il contratto di mutuo (anche fondiario), il risultato pratico che consegue alla decadenza dal beneficio del termine è analogo a quello che si verifica in caso di risoluzione: in entrambi i casi, infatti, pur rimanendo ferme le differenze tra i due istituti in punto di diritto -nella risoluzione, l’obbligo di restituzione , da parte del mutuatario, è una conseguenza dello scioglimento del contratto, cioè, più precisamente, della rimozione del regolamento negoziale che rimaneva ancora da attuare. A seguito della dichiarazione di decadenza dal beneficio del termine, invece, si realizza immediatamente un’anticipazione ex lege del termine di adempimento dell’obbligo di restituzione , la quale, per il peculiare atteggiarsi
del contratto di mutuo, pare idonea a determinarne indirettamente lo scioglimento -il mutuatario deve sempre restituire anticipatamente la somma che aveva ricevuto.
2.5.4. Quanto si è finora detto circa il rapporto tra risoluzione e decadenza dal beneficio del termine nel contratto di mutuo permette di rimarcare i profili di peculiarità della previsione di cui all’ art. 40, comma 2, T.U.B., dettata in materia di credito fondiario, ed i termini entro i quali essa incide sui rimedi a disposizione della banca per ottenere la restituzione anticipata del prestito.
2.5.4.1. È indubbio che l ‘appena richiamata disciplina speciale miri a regolare le conseguenze del ritardo nel pagamento di una o più rate da parte del finanziato, circoscrivendo il potere generale della banca di invocare la risoluzione del contratto. Più precisamente, con riguardo all’ipotesi di mutuo fondiario, la norma si sovrappone, derogandovi, agli artt. 1819 e 1820 cod. civ., per un verso, richiamando direttamente la disciplina generale della risoluzione con riguardo all’inadempimento dell’obbligo di pagare una o più rate; per l’altro , dettando regole speciali a tutela del mutuatario.
2.5.4.2. Passando al contenuto della disposizione in esame, parte della dottrina ha sostenuto che essa introdurrebbe una distinzione tra l’ipotesi di ‘ ritardato pagamento ‘ e quella di ‘ mancato pagamento ‘ di una rata, assegnando a tali fattispecie una diversa rilevanza sul piano della possibilità per la banca di ottenere la risoluzione del contratto. Più in particolare, è stato sostenuto che essa sarebbe diretta a precisare ed integrare il disposto codicistico, riferito solo all’ipotesi di ‘ mancato pagamento ‘, fissando la rilevanza che assume sul piano della risoluzione la diversa circostanza del ‘ ritardato pagamento ‘.
2.5.4.3. Altri, invece, muovendo dal rilievo che le regole in tema di risoluzione applicabili al mutuo appaiono astrattamente idonee a disciplinare tanto l’ipotesi di inadempimento assoluto quanto quella di inadempimento relativo, hanno ritenuto -ed il Collegio condivide tale seconda opinione -che l’art. 40, comma 2, T.U.B. risulta diretto a graduare la rilevanza del mancato
rispetto del termine di scadenza sul piano della possibilità per il creditore di farne discendere la risoluzione del rapporto. Più specificamente, questa previsione stabilisce che il pagamento tardivo che rimanga contenuto entro i trenta giorni (si potrebbe parlare di ritardo minimo ) -fermo, ovviamente, l’obbligo del debitore di corrispondere gli interessi moratori maturati -non legittima in alcun caso la banca a sciogliersi dal contratto, mentre il pagamento tardivo che avvenga dopo detto momento ma prima del centottantesimo giorno ( ritardo grave ) consente di ottenere tale risultato solo quando si ripeta per almeno sette rate. Benché la norma non ne faccia espressa menzione, se ne desume, implicitamente, che quando il ritardo si protragga oltre ( ritardo gravissimo ), esso supera la soglia di rilevanza minima richiesta perché la banca possa invocare la risoluzione a prescindere dal numero di volte in cui lo stesso si è verificato.
2.5.5. Tanto premesso, non occorre indugiare oltre in ordine al se, in presenza di un ‘ mancato pagamento ‘ (recte di un ‘ritardo gravissimo’) ma lo stesso ragionamento potrebbe essere esteso anche al verificarsi di un ‘ ritardo grave ‘ per almeno sette volte la banca possa senz’altro risolvere il contratto, oppure se al giudice sia comunque riservata la valutazione in merito all’importanza dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c od. civ..
2 .5.5.1. Nell’odierna vicenda, infatti, come si è già riferito, la corte distrettuale ha espressamente negato che potesse trovare applicazione la norma del T.U.B., avendo accertato l’insussistenza del ritardo qualificato da essa previsto, ed ha concentrato la propria indagine sulla sola decadenza dal beneficio del termine ritenendo che, per giustificare la risoluzione contrattuale, si sarebbero dovute tenere in considerazioni le norme generali e concludendo, poi, nel senso della non configurabilità di un inadempimento grave ascrivibile alla parte debitrice/mutuataria.
2.6. Diviene, invece, tema centrale, per la decisione della odierna doglianza, quello riguardante la compatibilità, con la suddetta disposizione del T.U.B., di una clausola negoziale (il già descritto art. 18 delle condizioni generali del contratto di mutuo fondiario de quo ) destinata a disciplinare le
conseguenze del mancato pagamento di una rata di un contratto di mutuo fondiario.
2.6.1. Orbene, nell’ambito del contratto d a ultimo indicato, l ‘art. 40, comma 2, T.U.B., in considerazione delle istanze di tutela che mira a realizzare, è pacificamente ritenuto inderogabile, sicché occorre evitare la concreta possibilità di aggirarla con una previsione delle condizioni generali di detto contratto che consentano alla banca di ottenere, attraverso quest’ultima, lo stesso effetto pratico preclusole, invece, dal prim o.
2.6.2. Fermo quanto precede, il Collegio ritiene di poter condividere l’opinione dottrinale secondo cui l o spazio applicativo della decadenza dal beneficio del termine, nel contratto di mutuo fondiario, coincide con quello fissato dall’art. 1186 c od. civ. e, di conseguenza, le disposizioni in materia si collocano su un piano diverso rispetto a quello su cui si muove l’art. 40, comma 2, T.U.B., che circoscrive la possibilità di reagire con la risoluzione all’inadempimento del mutuatario all’obbligo di pagare una o più rate .
2.6.3. Ciò non significa, però, che quelle disposizioni siano sufficienti a far ritenere legittima una clausola che attribuisca alla banca la facoltà di ritenere la controparte ‘ decaduta dal beneficio del termine ‘ -alla stregua, sostanzialmente, di quanto sancito dall’art. 1186 cod. civ. per il caso di mancato pagamento anche di una sola rata scaduta.
2.6.4. Al contrario, affinché si possa concludere nel senso che il pagamento, mancato o inesatto, anche di una sola rata di mutuo, consenta alla banca di avvalersi del rimedio di cui all’art. 1186 c od. civ. (sostanzialmente richiamato, nella specie, dalla già indicata norma delle condizioni generali di contratto), senza conseguire un risultato che, invece, l’ordinamento intende vietare attraverso la citata disposizione del T.U.B., occorre affermare che il mancato o inesatto pagamento suddetto debba essere accompagnato dal concreto accertamento dell’esistenza di una delle tre ipotesi (insolvenza sopravvenuta del debitore, diminuzione di garanze o mancata loro prestazione da parte sua) di cui alla disposizione codicistica. Alteris verbis , una volta riconosciuto che la decadenza dal beneficio del
termine, nel contratto di mutuo fondiario, può essere invocata solo sulla base della disposizione generale contenuta nell’art. 1186 c od. civ., la possibilità di fare ricorso all’autonomia privata per disciplinare l’esercizio di tale facoltà non può che rimanere confinata entro i (ristretti) margini di ‘elasticità’ dell’istituto.
2.6.5. Nella vicenda in esame, allora, viene in rilievo, specificamente, tra le ipotesi menzionate dall’art. 1186 cod. civ., quella della insolvenza sopravvenuta del debitore.
2.6.5.1. Al riguardo, merita di essere ribadito, anzitutto, che la nozione di insolvenza accolta dalla citata norma codicistica ( cfr . Cass. n. 24330 del 2011, a tenore della quale « Lo stato di insolvenza, cui fa riferimento l’art. 1186 cod. civ. ai fini della decadenza del debitore dal beneficio del termine, è costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, la quale renda verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tale stato di insolvenza non deve rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, potendo conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile, purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore, e va valutato con riferimento al momento della decisione ». In senso sostanzialmente conforme, vedasi anche la più recente Cass. n. 17362 del 2023) -benché dotata di suoi tratti di peculiarità che valgono a distinguerla da quella contemplata in ambito di procedure concorsuali (secondo la quale si considera insolvente, ai fini dell’assoggettamento alle medesime procedure, l’imprenditore che, con inadempimenti od altri fatti esteriori, dimostri di non essere più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Si tratta, cioè, di uno stato di impotenza economico-patrimoniale idoneo a privare l’imprenditore della possibilità di far fronte con mezzi normali ai propri debiti) e dalle altre nozioni di insolvenza rinvenibili nel sistema -si fonda pur sempre su una valutazione complessiva della situazione del debitore tesa ad esprimere un giudizio sulla capacità di adempimento che si muove su piano del tutto diverso rispetto a
quello dell’inadempimento. Se è vero, infatti, che l’inadempimento può costituire un indice dell’insolvenza, è altrettanto innegabile che non vi è una corrispondenza biunivoca tra i due concetti, ben potendo sussistere un inadempimento senza insolvenza e, viceversa, un’insolvenza senza inadempimento.
2.6.5.2. La possibilità di addurre un inadempimento quale causa della decadenza dal beneficio del termine rimane, così, circoscritta all’ipotesi in cui questo sia dotato di una valenza ulteriore: sia, cioè, idoneo a rivelare la compromessa situazione patrimoniale del debitore. Pertanto, ogni pattuizione contrattuale che, al contrario, cercasse di instaurare un automatismo tra inadempimento e decadenza dal beneficio del termine, onde non rivelarsi irrimediabilmente in contrasto con questo principio, deve essere interpretata -giusta la previsione di cui all’art. 1367 cod. civ. -come diretta ad individuare un possibile segno di insolvenza. Con l’effetto che, nel caso in cui il mutuatario contesti la decadenza dal beneficio del termine invocata dalla banca sulla base di un inadempimento, il giudizio di merito deve comunque incentrarsi sulla sussistenza, o non, di una situazione di insolvenza idonea a legittimarne l’esercizio.
2.7. Calando, allora, tale conclusione nella fattispecie in esame, va ricordato che la corte distrettuale, dopo avere escluso, per le ragioni di cui si è già dato conto in precedenza, l’utilizzabilità del rimedio di cui all’art. 40, comma 2, T.U.B., ed aver considerato la previsione di cui all’art. 18 delle condizioni generali del contratto di mutuo subordinata « al verificarsi della scansione temporale stabilita dall’art. 40 quanto all’operatività automatica della decadenza, dovendo altrimenti trovare applicazione le disposizioni generali i tema di decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c. e gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c .» , ha accertato l’insussistenza del ritardo qualificato di cui alla menzionata norma del T.U.B. e la non gravità del l’inadempimento ascritto a lla parte debitrice/mutuataria. Ha escluso, con particolare riferimento a quest’ultimo profilo, che « sussistessero gli estremi del rischio sopravvenuto dell’irreversibile inadempimento del debitore, posto
che nella nota del 16-02-15 la banca dava atto del mancato pagamento della sola rata del 31-12-14 (le altre erano tutte rate a scadere), per la quale, come sopra ricordato, non si era ancora formato il tempo previsto dalla risoluzione legale. La decadenza dal beneficio del termine non risulta, pertanto, conforme al dettato dell’art. 40 TUB, né giustificata dalle previsioni generali in materia di pagamento rateale e di grave inadempimento, secondo i principi di buona fede e correttezza » ( cfr . pag. 9 della sentenza impugnata).
2.7.1. È palese che una tale valutazione si riferisce esclusivamente all’andamento del solo contratto di mutuo fondiario di cui si discute, piuttosto che, come sarebbe stato necessario per effetto di quanto si è chiarito in precedenza, ad una situazione di insolvenza -nello specifico significato attribuito ad essa dalla riportata giurisprudenza di legittimità che ha interpretato l’art. 1186 cod. civ. della parte debitrice/mutuataria, tratta dalla sua complessiva situazione desumibile dagli altri rapporti da questa intrattenuti con la banca.
2.7.2. Della sussistenza, o meno, di una siffatta peculiare insolvenza, tuttavia, non emerge, dalla sentenza impugnata, che si sia dibattuto in sede di gravame (come, peraltro, eccepito dai controricorrenti. Cfr . pag. 11 del controricorso), ed altrettanto è a dirsi quanto alla possibilità di ricavare, concretamente, una tale insolvenza dagli elementi descritti dalla banca.
2.7.3. Né l’odierno ricorso indica puntualmente quando e come sia stato effettivamente introdotto questo specifico tema innanzi alla corte territoriale (affatto generico rivelandosi, invero, l’assunto secondo cui, costituendosi in quella sede, la banca ivi appellata aveva sottolineato la legittimità della dichiarazione di decadenza « nel contesto di un rapporto irregolare ed insoddisfacente nel suo complesso ». Cfr. pag. 5 dell’odierno ricorso) , non rilevando, ovviamente, che RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE abbia fatto ad esso solo oggi riferimento.
2.8. Ne consegue, quindi, che, sebbene con le necessarie integrazioni, ex art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., di cui si è detto, la sentenza
impugnata resiste alla odierna censura, che, dunque, va disattesa, confermandosi, in parte qua , la sentenza impugnata.
Il secondo motivo di questo ricorso si rivela inammissibile.
3.1. Si è già riferito, invero ( cfr. amplius , § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘) che la corte distrettuale ha ritenuto che la decadenza dal beneficio del termine comunicata dalla banca alla parte debitrice/mutuataria, oltre a non essere conforme al dettato dell’art. 40 TUB, n emmeno era « giustificata dalle previsioni generali in materia di pagamento rateale e di grave inadempimento, secondo i principi di buona fede e correttezza. Soltanto in questi termini nel recesso non è ravvisabile la finalità di nuocere al debitore, tipica dell’abuso del diritto, ma soltanto lo scopo di tutela del vantaggio economico perseguito da un’impresa esercente il credito in un’ottica di bilanciamento dei reciproci interessi e senza imporre all’istituto di credito un apprezzabile sacrificio » ( cfr . pag. 9-10 della sentenza impugnata).
3.2. Di tale conclusione, basata su accertamenti di chiara natura fattuale, la stessa, peraltro, ha fornito una motivazione sicuramente in linea con il minimo costituzionale richiesto da Cass., SU, n. 8053 del 2014, oltre che immune, tenuto conto di tutto quanto si è detto disattendendosi il primo motivo, dal vizio oggi ad essa ascritta dalla ricorrente con la censura in esame.
3.2.1. Quest’ultima, dunque, si risolve, sostanzialmente, nella richiesta di una rivisitazione di quella conclusione, preclusa, però, a questa Corte, posto che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299,
13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10798 del 2024).
Il terzo motivo di questo ricorso è inammissibile perché privo di qualsivoglia effettivo contenuto, risolvendosi nel mero auspicio che la riforma della sentenza impugnata (invece mancata) avrebbe comportato anche la nuova regolamentazione delle spese di lite.
Con riguardo, da ultimo, all’unico motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME e NOME COGNOME -rubricato « Violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dell’articolo 40, comma 2, del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, e degli articoli 1453, 1455 e 1186 del c.c. » e volto a reiterare le doglianze, in punto di diritto, sulla gravità dell’inadempimento e l’interpretazione dell’articolo 40, comma secondo, del Testo Unico bancario, dagli stessi già formulate, in sede di gravame contro la sentenza del Tribunale di Nuoro, nella parte in cui aveva rigettato la loro opposizione al precetto notificatogli dalla banca per la mera sussistenza dei sette ritardi senza tuttavia valutare la gravità dell’inadempimento ai sensi delle norme generali del contratto -esso risulta dichiaratamente proposto in via condizionata ( cfr . pag. 17 e ss. del controricorso, nonché le relative conclusioni: « In via di mero subordine, nella denegata ipotesi di accoglimento dei motivi del ricorso presentato dal RAGIONE_SOCIALE e, per esso, da RAGIONE_SOCIALE »). Pertanto, deve considerarsi assorbito, atteso il già descritto complessivo esito negativo del ricorso principale.
In conclusione, dunque, l’odierno ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, deve essere respinto, mentre quello incidentale condizionato di NOME COGNOME e NOME COGNOME deve dichiararsi assorbito.
Le spese di questo giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti, stante la parziale novità delle questioni affrontate, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante
il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale (non anche dei controricorrenti, il cui ricorso incidentale è stato ritenuto assorbito), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato di NOME COGNOME e NOME.
Compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della menzionata ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile