Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34245 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34245 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4068/2022 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO DELLA SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in BOLOGNA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 2959/2021 depositata il 16/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE ha chiesto al Tribunale di Rimini dichiararsi la revocatoria, in via principale ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2 L.F., dei pagamenti effettuati in data 1° marzo 2012 -di Euro 255.000,00 a titolo di saldo delle fatture n. 266 del 2010 e nn. 7, 8, 11, 58, 59, 117, 145 del 2011, ovvero, in via subordinata, dell’atto di vendita, sottoscritto in data 1° marzo 2012, a rogito del Dott. NOME COGNOME, Notaio in Pesaro (Rep. 38971; Racc. 15370), ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2, L.F.., ovvero, in via ulteriormente subordinata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 L.F. e 2901 s. c.c. e ciò in quanto atti lesivi della par condicio creditorum.
Il Tribunale di Rimini, con sentenza n. 748/2020, pubblicata in data 16 novembre 2020, ha accolto la domanda proposta, in via subordinata, dal Fallimento della RAGIONE_SOCIALE dichiarando inefficace nei confronti di quest’ultimo l’atto di compravendita immobiliare del 1° marzo 2012. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza n. 2959/2021, pubblicata il 16.11.2021, ha confermato la sentenza di primo grado.
Il giudice d’ appello ha, preliminarmente, dichiarato inammissibile, ex art. 345 c.p.c., l’eccezione di decadenza dell’azione revocatoria sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di eccezione non rilevabile d’ufficio proposta per la prima volta in grado d’appello. Il
giudice di secondo grado ha, comunque, ritenuto tale eccezione anche infondata.
Quanto al merito, la Corte territoriale ha condiviso l’impostazione del giudice di primo grado secondo cui la contestualità tra la vendita dell’immobile e l’estinzione del debito da parte della società venditrice era significativa del fatto che l’operazione era stata attuata allo specifico scopo di consentire alla debitrice di provvedere al pagamento del suo debito con il prezzo ricavato dalla vendita. La società acquirente aveva, infatti, pagato un prezzo che le era stato quasi interamente restituito al fine di estinguere un debito pregresso.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a quattro motivi.
La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c. Espone la ricorrente che, avendo il giudice d’appello qualificato l’eccezione di decadenza ex art. 69 L.F., dalla stessa sollevata, come eccezione non rilevabile d’ufficio, ed inammissibile ex art. 345 c.p.c., in quanto proposta solo in grado di appello, avrebbe dovuto esprimere unicamente una pronuncia di mero rito, senza decidere anche nel merito. La Corte territoriale, invece, pur rilevando l’inammissibilità dell’eccezione, la aveva esaminata anche nel merito, dichiarandola infondata, così incorrendo nel vizio di ultrapetizione, posto che aveva ‘ deciso nel merito una eccezione in senso stretto sostanzialmente non sollevata dalla parte’.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 bis L.F. in correlazione con l’art. 67 comma 1 n. 2 L.F.
Rileva la ricorrente che la data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese rappresenta il dies a quo per la decorrenza dei termini delle azioni revocatorie ex artt. 64,65 e 67 1° e 2° comma L.F., con la conseguenza che, avuto riguardo alla data di notifica della domanda giudiziale ex art. 67 L.F. e a quella di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese, la curatela era incorsa nella decadenza ex art. 69 bis comma 1 L.F.
I primi due motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta correlazione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di inammissibilità e infondatezza.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. S.U. n. 3840/2007; S.U. 15122/2013; Cass. n. 17004/2015; 11675/2020; Cass. 27338/2022) quello secondo cui il giudice che emette una pronuncia d’inammissibilità della domanda o di un’eccezione si spoglia della propria potestas iudicandi, e ove, ciò nondimeno, quel medesimo giudice si soffermi anche a motivare sul merito, tale motivazione è da considerarsi svolta ad abundantiam e, quindi, priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarla, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione.
Ne consegue che, nel caso di specie, la Corte d’Appello di Bologna, nel dichiarare inammissibile ex art. 345 c.p.c. l’eccezione di decadenza ex art. 345 c.p.c. sollevata dalla Mario RAGIONE_SOCIALE, si è spogliata su tale questione della potestas iudicandi e la parte della motivazione con cui la Corte d’Appello ha esaminato nel merito tale eccezione deve considerarsi come svolta ad abundantiam , come tale priva di effetti giuridici e ininfluente ai fini della decisione. Proprio in relazione a tale rilievo, non è
configurabile il vizio di ultrapetizione in relazione ad una decisione dell’eccezione attinente al merito priva di effetti giuridici.
In ogni caso, la curatela controricorrente ha allegato e dimostrato che nella propria comparsa di costituzione in appello aveva espressamente chiesto che l’eccezione di decadenza ex art. 69 bis L.F., sollevata dalla controparte, fosse dichiarata, oltre che inammissibile, comunque anche infondata.
Infine, sempre in considerazione del fatto che la decisione di merito della Corte d’Appello, sull’eccezione di decadenza ex art. 69 bis L.F., è priva di effetti giuridici, essendo la dichiarazione di inammissibilità la vera ragione della decisione su tale eccezione, è inammissibile per difetto di interesse il secondo motivo nel quale la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 69bis L.F. in correlazione con l’art. 67 comma 1 n. 2 L.F.
4. Con il terzo motivo è stata dedotta la « Violazione di legge e segnatamente dell’art. 132 secondo comma n. 4 c.p.c. in correlazione con l’art. 1182 e seguenti c.c. e art. 324 c.p.c. (articolo 360 comma 1 n. 4 c.p.c.)».
Ha premesso la ricorrente che la domanda di revocatoria ex art. 67 comma 1 n. 2 L.F., avente ad oggetto il pagamento da parte della fallita delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, era stata esaminata ed espressamente rigettata nel merito dal giudice di primo grado, sul rilievo che il debito rappresentato dalle predette fatture era stato estinto con un mezzo normale di pagamento rappresentato da un assegno bancario. Ciò premesso, non poteva, in palese contraddizione, sostenersi – come hanno fatto i giudici di merito – che lo stesso debito rappresentato dalle fatture de quibus fosse stato estinto, mediante datio in solutum , con l’atto di compravendita immobiliare del 1.3.2012.
Pertanto, se il giudice di primo grado aveva ritenuto valido ed efficace il pagamento delle fatture insolute effettuato dalla società fallita con assegno bancario, ogni questione riguardante l’estinzione
delle obbligazioni sottese alle predette fatture doveva ritenersi definita.
5. Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente osservato che, come già evidenziato in narrativa, il giudice d’appello ha condiviso l’impostazione del giudice di primo grado secondo cui la contestualità tra la vendita dell’immobile e l’estinzione del debito da parte della società venditrice aveva conferito all’operazione il carattere dell’anomalia, essendo la compravendita stata attuata allo specifico scopo di consentire alla debitrice di provvedere al pagamento del suo debito con il prezzo dalla stessa ricavato.
I giudici di merito, nel compiere tale valutazione, hanno fatto corretto uso del principio enunciato da questa Corte (vedi Cass. n. 12644/2011; conf. Cass. n. 22280/2019, vedi anche Cass. n. 25468/2019) secondo cui ‘ l’estinzione della precedente passività come finalità ulteriore, rispetto alla causa tipica dei singoli negozi a tal scopo utilizzati, secondo lo schema del “collegamento funzionale”, conferisce alla complessiva operazione un carattere anormale, alla stregua di una “datio in solutum” qualificabile come mezzo anomalo di pagamento ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, primo comma, n. 2 legge fall.’ . È stato, in particolare, ritenuto da questa Corte che, ove venga accertato che la compravendita costituisca un negozio indiretto, utilizzato per conseguire il risultato economico della datio in solutum, che integra un mezzo anormale di pagamento secondo la previsione dell’art 67, 1° comma nr 2 l.fall, oggetto della revocatoria è proprio l’atto dispositivo del bene (vedi Cass. n. 14239/2023).
Né la motivazione della Corte d’appello può ritenersi incoerente in relazione alla decisione con cui il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda principale di revoca dei pagamenti a titolo di saldo delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, osservando che l’avvenuto pagamento del debito di € 255.000,00 mediante
assegno bancario non fosse di per sé connotato da anormalità (questione che, in grado di appello, aveva formato oggetto dell’appello incidentale condizionato della curatela e non esaminata in quanto ritenuta assorbita).
La sentenza impugnata non ha affatto affermato -come ritiene la ricorrente – che lo stesso debito portato dalle fatture sia stato estinto due volte con modalità differenti, una volta con l’assegno bancario e l’altra con l’atto di compravendita.
Il giudice d’appello, nell’accertare che il corrispettivo versato dall’acquirente per la vendita era stato allo stesso quasi interamente restituito per estinguere un debito pregresso, realizzando così un risultato economico equivalente alla datio in solutum, non si è limitato a considerare atomisticamente la modalità con cui era avvenuto il pagamento – assegno bancario, di per sé non anormale ma ha valutato l’intera operazione nel suo insieme, come intesa a realizzare il fine -ulteriore rispetto a quello tipico della vendita di estinguere un’obbligazione pecuniaria dell’alienante nei confronti dell’acquirente. Il percorso logico -argomentativo seguito dal giudice d’appello, pienamente coerente ed esaustivamente sviluppato, in quanto frutto di una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 92 comma 2° c.p.c.
Si duole la ricorrente del rigetto da parte della Corte d’Appello del motivo con cui, in quel grado, la stessa aveva impugnato il capo della prima sentenza che l ‘ aveva condannata al pagamento delle spese di lite in misura integrale nonostante fosse stata rigettata in prime cure la domanda, proposta in via principale, di revoca ex art. 67 comma 1° n. 2 dei pagamenti effettuati in data 1.3.2012. Rileva che, nel giudizio di primo grado e in considerazione della reciproca
soccombenza delle parti, si sarebbe dovuto disporre la compensazione delle spese di lite.
7. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che, con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato soltanto ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Ne consegue che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (vedi Cass. n. 19613/2017).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 10.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 16.10.2024