Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15589 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15589 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Oggetto
Responsabilità
civile
generale
–
Inadempimento
contrattuale
–
Illeciti
in
contrahendo
– Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9189/2024 R.G. proposto da COGNOME,
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege ;
-controricorrente – e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMECOGNOME NOME, Regione Basilicata, COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE ;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di depositata in data 23 settembre 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio dal Consigliere NOME COGNOME
-intimati -Milano, n. 2337/2020, 2025
FATTI DI CAUSA
Le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE convennero in giudizio, nel 2012, davanti al Tribunale di Milano, la RAGIONE_SOCIALE nonché vari soci della stessa e membri del relativo consiglio di amministrazione succedutisi nel tempo o loro eredi (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) e la Regione Basilicata, proponendo nei loro confronti una serie articolata di domande, di adempimento e risarcitorie, su fondamento contrattuale ed extracontrattuale.
1.1. Esposero a fondamento che:
─ in data 11/3/1999 era stato stipulato contratto d’appalto tra la committente Sorim e l’appaltatore Set (poi denominata Tia, cedente il credito a FD) per la ‘ progettazione e realizzazione chiavi in mano di un impianto di ‘purificazione, cristallizzazione ed essicamento di sodio cloruro’ per il prezzo concordato di Lire 18.500.000.000 da realizzarsi in località INDIRIZZO nel Comune di Scanzano Jonico (MT)’ ;
-venne avviata l’esecuzione ed emessa prima fattura il 15/10/1999 per la realizzazione dell’ingegneria di dettaglio per un ammontare di Lire 3.330.000.000, rimasta impagata;
-in data 29/11/1999 Sorim comunicò la sospensione dei lavori siccome disposta da un decreto in tal senso del Presidente della Regione Basilicata;
─ come successivamente appreso, il Tar Basilicata aveva poi annullato il decreto di sospensione ed analogo esito aveva avuto l’impugnazione della conseguente determinazione dirigenziale n. 02E/2000/D/149 adottata dal dirigente dell’ufficio compatibilità ambientale del dipartimento sicurezza sociale e politiche ambientali della Regione Basilicata in data 13/4/2000;
-Sorim però non aveva mai comunicato la ripresa dei lavori, né aveva comunicato a Set di aver intrapreso un contenzioso con la Regione Basilicata volto ad ottenere il risarcimento del danno patito per effetto dell’illegittima sospensione dei lavori;
─ in data 9/12/2002 tra Set e Sorim era intervenuta scrittura transattiva con la quale veniva risolto il contratto d’appalto .
1.2. Sulla base di tali premesse FD e COGNOME formulavano nell’atto introduttivo un primo gruppo di domande, in via principale, nei confronti di COGNOME , per l’accertamento e la condanna al pagamento del credito ceduto da Tia ad FD, oltre il risarcimento del danno (domanda sub A delle conclusioni di parte attrice), e per la risoluzione del contratto d’appalto (domanda sub B delle conclusioni di parte attrice), subordinatamente all’accertamento della invalidità o inefficacia dell’accordo transattivo del 9/12/2002 (domanda sub C delle conclusioni di parte attrice).
Un secondo gruppo di domande era poi svolto, in via subordinata (per il caso di ritenuta validità ed efficacia dell’accordo transattivo del 9/12/2002), nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e degli amministratori della stessa, per il risarcimento del danno conseguente a ‘ quanto … mendacemente rappresentato nella premessa della transazione 9/12/2002 ‘ (domande sub D ed E delle conclusioni di parte attrice).
Un terzo gruppo di domande era rivolto nei confronti degli amministratori, dei soci, e dei sindaci di Sorim, in caso di accoglimento delle domande svolte in via principale o subordinata nei confronti di Sorim, per il risarcimento del danno conseguente alla riduzione del
capitale sociale ed alla diminuzione delle garanzie patrimoniali della società convenuta, previa dichiarazione di inefficacia verso FD e Tia degli atti compiuti in pregiudizio del patrimonio e del capitale sociale (domande sub F, G, H, I, K, L delle conclusioni di parte attrice).
Una domanda era poi svolta anche nei confronti della Regione Basilicata per il risarcimento del danno provocato a Tia e FD per avere pagato a Sorim: a) sulla base di un titolo (accordo transattivo tra Sorim e Regione Basilicata successivo al titolo giudiziale) inefficace per TIA/FD che dichiaravano quindi di agire, in surrogatoria di Sorim, verso la Regione Basilicata in forza del titolo giudiziale di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 267/2011 e in ogni caso per la parte corrispondente al risparmio transatto e pertanto non pagato; b) in dispregio della surroga legale ex art. 1259 c.c.: domanda questa avanzata sul presupposto del l’accertamento del credito delle società attrici nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in conseguenza delle domande svolte verso la società convenuta in via principale o subordinata.
Un’ulteriore domanda era infine svolta per il recupero delle spese di lite dei procedimenti cautelari intrapresi da FD e TIA ante causam , nei quali le società attrici sono risultate soccombenti.
Con sentenza n. 5964 del 2018 Il Tribunale di Milano rigettò tutte le domande, condannando le società attrici alle spese del processo.
Ritenne, infatti, sulla scorta degli esiti della disposta c.t.u. grafologica, autentiche la firma e le sigle apposte nella scrittura transattiva da NOME COGNOME, rappresentante di Set, e riconobbe a tale accordo natura novativa, con effetto estintivo delle obbligazioni nascenti da l contratto d’appalto , opponibili anche alla cessionaria del credito, RAGIONE_SOCIALE
Ritenne, inoltre, mancare prova di dolo o di dichiarazioni mendaci da parte di Sorim o dei suoi amministratori.
4 . La Corte d’ appello di Milano, con sentenza n. 2337/2020, depositata in data 23 settembre 2020, ha rigettato il gravame proposto
da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE confermando la decisione di primo grado sotto tutti i profili in contestazione e condannando le appellanti alle spese del giudizio di appello.
Avverso tale sentenza la sola RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a undici motivi dedotti in via principale ed altri undici motivi dedotti in via subordinata, in caso di eventuale rigetto dell’undicesimo motivo dedotto in via principale.
Hanno depositato controricorso NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con ordinanza interlocutoria n. 25217 del 19/09/2024 questa Corte ha concesso termine per la rinnovazione della notifica nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto non andata a buon fine per causa non imputabile alla ricorrente.
A tanto quest’ultima ha provveduto, notificando il ricorso, nel termine concesso, alle eredi dei predetti intimati (deceduti nelle more del giudizio) NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Queste ultime non hanno svolto difese e sono parimenti rimasti intimati RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, Regione Basilicata e RAGIONE_SOCIALE
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « violazione del comma 1 dell’art. 152 c.p.c. e dell’art. 153 c.p.c. e falsa applicazione del quinto comma dell’art. 168bis c.p.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 », in relazione al rigetto del primo motivo di appello con il quale essa aveva contestato il rigetto, da parte del giudice di primo grado, dell’eccezione di decadenza dei convenuti dalla possibilità di proporre
eccezioni , con conseguente inammissibilità dell’eccezione transazione.
1.1. Lamenta la ricorrente che erroneamente la Corte di merito abbia ritenuto, conformemente al primo giudice, che il termine per la costituzione del convenuto, ai fini della proponibilità delle eccezioni processuali o di merito, fosse quello di venti giorni prima dell’udienza fissata ex art. 168bis c.p.c. e non quello di venti giorni prima dell’udienza originariamente fissata dalla parte.
Rileva che, nella specie, tale principio non poteva trovare applicazione in quanto, alla data (del 21/02/2013) in cui il giudice di primo grado aveva disposto il rinvio dell’udienza ai sensi del quinto comma dell’art. 168bis c.p.c., il termine perentorio per la proposizione da parte del convenuto di eventuali domande riconvenzionali e di eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio era già spirato in data 20/02/2013, essendo stata indicata nell’atto di citazione la data del 12/03/2013 come data di prima udienza.
1.2. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis n. 2 c.p.c. per difetto di decisività della segnalata erronea interpretazione, da parte dei giudici d’appello, della norma di cui all’art. 168 -bis , quinto comma, c.p.c..
L’errore segnalato effettivamente sussiste, essendo la citata norma processuale da interpretare nel senso che « il differimento della prima udienza ex art. 168-bis, comma 5, c.p.c. intervenuto dopo la scadenza del termine per la costituzione del convenuto ex art. 166 c.p.c. non determina la rimessione in termini dello stesso convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico ai sensi dell’art. 167 c.p.c. » (Cass. 3/02/2020, n. 2394, Rv. 657137 -01; v. anche, conf., Cass. n. 4411 del 19/02/2025, Rv. 673769 – 01).
Tuttavia, l’errore è nella specie privo di rilevanza dal momento che l’eccezione di intervenuta transazione non forma oggetto di
un’eccezione in senso stretto sottratta al rilievo officioso, come quelle per le quali la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi, e pertanto non soggiace alla decadenza dettata dall’art. 167, secondo comma, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), ma può essere rilevata anche dal giudice d’ufficio, anche in appello, non essendo il relativo rilievo subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, purché i fatti risultino documentati ex actis (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 26118 del 27/09/2021, Rv. 662498 -03; Sez. 1, Ordinanza n. 18586 del 30/06/2023, Rv. 668017 -01; contra Sez. 3, Ordinanza n. 30905 del 6/11/2023, Rv. 669335 -01 che non tiene conto però della più recente evoluzione della giurisprudenza sul punto ben riassunta nel precedente di Cass. n. 26118 del 2021).
Può comunque soggiungersi che il tema della validità ed efficacia della transazione in questione era stato introdotto in giudizio proprio dagli attori che ─ come evidenziato alle pagg. 20-21 della sentenza di primo grado (cui questa Corte ha potuto accedere, quale giudice del fatto processuale, in quanto prodotta in atti) ─ avevano chiesto anche, tra le altre domande svolte in via principale nei confronti della Sorim, l’accertamento della invalidità o inefficacia dell’accordo transattivo del 9/12/2002 (domanda sub C delle conclusioni dell’atto introduttivo ).
2. Il secondo motivo è rubricato « violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato e violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1326 c.c. e degli artt. 2384 e 2384bis c.c. pro tempore vigenti con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione dell’art. 132, comma secondo, num. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato; falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale di cui agli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. con
riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
2.1. La ricorrente lamenta che, in violazione delle norme evocate, con motivazione apparente e omettendo di considerare prove legali, la Corte territoriale abbia:
─ omesso di rilevare che l a Sorim non aveva mai deliberato l’accettazione della proposta transattiva, dal momento che il potere di transigere spettava al Consiglio di amministrazione e non al rappresentante legale;
─ interpretato erroneamente il documento prodotto da COGNOME come un accordo transattivo, mentre si trattava di una mera proposta di transazione.
Rileva che la Corte territoriale non ha fornito una motivazione adeguata per spiegare le ragioni per cui il documento fosse da considerare un accordo transattivo e non una mera proposta, adottando al riguardo argomentazioni generiche e non idonee a chiarire la natura del documento.
Sostiene che il documento prodotto da Sorim non rappresentava un incontro di volontà tra Sorim e Set, ma al massimo tra l’Avv. NOME COGNOME e l’Ing. NOME COGNOME.
2.3. Il motivo è in parte inammissibile, in altra parte infondato.
2.3.1. L ‘asserita non riferibilità della proposta transattiva alla RAGIONE_SOCIALE costituisce questione nuova che non risulta dedotta in appello; la ricorrente difetta di interesse a farla valere, tale non riferibilità, infatti, avrebbe dovuto semmai essere fatta valere dalla Sorim; avendola invece opposta a fondamento delle proprie tesi difensive, essa, a tutto concedere, ha con ciò stesso manifestato univocamente la volontà di ratificarla.
2.3.2. Non sussiste il vizio di motivazione mancante o apparente.
La motivazione addotta in sentenza a giustificazione del convincimento espresso circa la natura dell’atto in questione, come contenente non una mera proposta di transazione ma un accordo
perfetto di tale contenuto, non si esaurisce nelle poche righe che la ricorrente indica come generiche e di contenuto neutro e dunque anodino sotto il profilo considerato, ma va letta alla luce del periodo che la precede, là dove si espone la tesi prospettata dalla parte con il motivo d’appello (tesi secondo cui, essendo il documento rappresentato da una lettera inviata da COGNOME a Set contenente proposta transattiva con l’invito a restituir e il documento controfirmato, ed essendo la sottoscrizione di Sorim apposta solo nell’ultimo dei quattro fogli, non si poteva ritenere che si fosse formata una volontà su tutto il contenuto della scrittura).
Posta tale premessa appare chiaro che, nella parte di motivazione censurata, nel rilevare che il documento presenta una chiara conseguenzialità e che le pagine risultano tutte siglate, la Corte abbia effettivamente compiutamente indicato le ragioni che non consentivano di accedere alla tesi censoria.
2.3.3. Nella restante parte il motivo prospetta argomenti diretti a contestare la fondatezza in fatto di tali ragioni, ossia dell’apprezzamento in concreto della prova documentale da parte del giudice del merito.
Sotto tale profilo appare evidente la natura meritale e meramente oppositiva della censura, che la rende inammissibile in questa sede, tanto più a fronte di doppia conforme valutazione sul punto dei giudici di merito.
3 . Con il terzo motivo ─ rubricato « violazione dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. e dall’art. 111 Cost. e dell’art. 112 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato; violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione dell’art. 2475bis c.c., artt. 1971, 1428, 1442 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. » ─ la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia erroneamente rigettato, con motivazione apparente e
in violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, il terzo motivo d’appello, mancandone di esaminare il reale contenuto che mirava a ricostruire il quadro fattuale per evidenziare la mendacità e le omissioni dolose di Sorim, nonché l’intenzionalità di agire in danno di SET.
3.1. Con tale motivo la ricorrente c ensura l’affermazione del carattere inequivoco del contenuto della scrittura transattiva in quanto asseritamente sorretta da motivazione tautologica e contraddittoria, secondo cui una ricostruzione del quadro fattuale volta ad evidenziare l’esistenza degli elementi necessari per l’annullamento di una scrittura sarebbe comunque inidonea a superare il contenuto della scrittura. In alternativa, la motivazione sul punto si rivela -secondo la ricorrenteerronea perché inosservante dei canoni ermeneutici per l’interpretazione degli atti processuali (art. 1362, 1363 e 1367 cod. civ.).
Lamenta inoltre la ricorrente il travisamento del reale contenuto del motivo d’appello, con il quale le appellanti non avevano affatto chiesto la ricostruzione dell’esatto quadro fattuale per dimostrare l’inesistenza della scrittura ma, in ipotesi dì esistenza della scrittura, per provarne l’inefficacia, l’inopponibilità e l’annullabilità.
3.2. Il motivo è infondato, quando non inammissibile.
Con esso in sostanza di denuncia un vizio di omessa pronuncia su motivo di appello (il terzo) come conseguenza di una erronea interpretazione del suo reale contenuto censorio, di guisa che lo scrutinio allo stesso dedicato risulterebbe totalmente eccentrico e fuori segno (v. per la configurazione, in una tale ipotesi, del vizio di omessa pronuncia su motivo di appello, Cass. n. 16028 del 7/06/2023, Rv. 667816).
La prospettazione di un vizio siffatto avrebbe però richiesto, se non la trascrizione testuale e completa del motivo di appello, quanto meno una sufficiente determinazione del suo contenuto « in modo da renderlo pienamente comprensibile » e che ne fosse « fornita una specifica
indicazione, tale da consentirne l’individuazione nell’ambito dell’atto di appello » (Cass. n. 11325 del 02/05/2023, Rv. 667745).
La ricorrente si limita, però, al riguardo a trascrivere la sola seguente frase che assume contenuta a pag. 38 dell’atto di appello (in realtà è leggibile invece alla fine di pag. 37): « La modifica della base fattuale erroneamente individuata dal primo giudice si rende necessaria per fondare le domande di FD e per motivare la riforma della sentenza impugnata come di seguito motivato e precisato ».
È appena il caso di rilevare che una tale frase non consente in alcuna misura di comprendere a quale fine censorio si richiedesse una « modifica della fase fattuale », né correlativamente per quale ragione dovrebbe ritenersi che il giudice di appello avrebbe erroneamente interpretato la prospettazione di una serie di elementi fattuali (nella cui elencazione si risolveva il terzo motivo di appello) come diretta a far valere un vizio dell’accordo transattivo piuttosto che a contestarne a monte proprio la qualificazione in tali termini.
Con il quarto motivo di ricorso ─ rubricato « violazione dell’art. 2704 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.; falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione dell’art. 115 c.p.c. (travisamento della prova) con riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c.; error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato » -FRAGIONE_SOCIALE si duole del rigetto del quarto motivo di appello, con il quale essa aveva reiterato l’eccezione di inopponibilità della scritt ura transattiva del 9 dicembre 2002 in quanto priva di data certa opponibile alla cessionaria.
4.1. Premesso che la statuizione sul punto è fondata sul rilievo che « ogni doglianza in ordine all’intervenuta transazione può essere sollevata da FD nei confronti del cedente COGNOME, nel caso fosse vero che il credito fosse stato dato per esistente, pur essendo stato ceduto » e che « il fatto che il credito sia stato acquistato da FD per il valore di € 100.000,00, che era proprio il corrispettivo ancora dovuto da COGNOME a
Tia al momento della cessione, cioè la parte non ancora corrisposta dell’accordo transattivo, depone nel senso di ritenere che in realtà di tale accordo transattivo FD fosse pienamente a conoscenza », deduce la ricorrente che: a) la possibile azione risarcitoria di FD verso la cedente Tia non limita il diritto della cessionaria a far valere l’inopponibilità della transazione; b) la presunzione non è tra i mezzi che possono dimostrarne la data certa opponibile ex art. 2704 c.c.; c) il ragionamento presuntivo è comunque erroneamente fondato su fatti privi dei requisiti della gravità indiziaria, precisione e concordanza.
Rileva al riguardo che rappresenta un volo pindarico inferire, dalla identità del prezzo di cessione con l’importo transattivo residuo dovuto a Set, che Fd fosse a conoscenza della transazione, invece che più correttamente ritenere che Euro 100.000 fosse semplicemente il valore di realizzo attribuito nell’atto di cessione all’intero credito ceduto, considerata l’insussistenza di attivo patrimoniale in capo alla Sorim e considerato anche il fatto che, alla data della cessione, Tia, e a maggior ragione FD , ignoravano del tutto l’esistenza del contenzioso tra Sorim e Regione Basilicata, poi conclusosi a favore della Sorim.
Deduce, inoltre, la ricorrente, che l’informazione probatoria posta a base del detto ragionamento, vale a dire l’ammontare del prezzo di cessione, è frutto di travisamento della prova essendo essa diversa da quella contenuta nell’atto (prezzo pari al valore di presumibile realizzo del « credito della cedente verso RAGIONE_SOCIALE di cui al decreto ingiuntivo del Tribunale di Napoli n. 3936/2011 ammontante ad euro 1.416.801,50 oltre interessi e rivalutazione maturati e maturandi e ogni eventuale diversa somma che sarà liquidata nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo pendente o qualsiasi altro procedimento giudiziario connesso »).
4.2. Il motivo è fondato.
Incorre nel denunciato error iuris la sentenza impugnata là dove afferma, condividendo sul punto quanto già opinato dal primo giudice,
che ogni eventuale ragione di FD discendente dall’inesistenza del credito ceduto non può che essere rivolta contro la cedente NOME (già NOME ) quale garante dell’esistenza del credito (art. 1266, primo comma, c.c.) e non nei confronti di COGNOME che può legittimamente opporre l’esistenza dell’accordo transattivo al cessionario del credito .
Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui il cessionario di un credito, a fronte dell’eccezione di estinzione dell’obbligazione che il debitore ceduto sollevi in forza di ricevuta di pagamento sottoscritta dal cedente e portante una data anteriore al momento in cui quello ha avuto conoscenza della cessione, assume la veste di terzo rispetto a detta scrittura privata e, pertanto, può contrastarne l’efficacia probatoria, senza necessità di formale disconoscimento a norma degli artt. 214 e segg. cod. proc. civ., invocando il disposto dell’art. 2704 cod. civ. circa l’inopponibilità di quella data, e quindi della anteriorità del pagamento rispetto alla conoscenza della cessione, fino a che il debitore non deduca e dimostri la certezza della data medesima, nei limiti consentiti da tale norma (Cass. n. 3705 del 20/06/1985, Rv. 441284 -01; Cass. n. 649 del 27/01/1984, Rv. 432913; n. 4235 del 12/12/1974, Rv. 372910).
Tale principio è affermato con riferimento alla quietanza di pagamento del debito ceduto, ma ben può essere esteso, per evidente identità di ratio , anche alla transazione che, come la quietanza, sia opposta al fine di eccepire l’estinzione del credito azionato dal cessionario.
4.3. Appare anche fondata la censura che investe la subordinata ratio decidendi circa l’esistenza di idonea prova presuntiva atta a dimostrare con certezza l’anteriorità della transazione rispetto alla cessione del credito.
Ciò sotto il secondo dei profili al riguardo dedotti (v. supra , par. 4.1, lett. c ).
4.3.1. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa
Corte, qualora manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall’art. 2704 c.c., comma 1, la prova di un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento può essere data anche attraverso testimoni o presunzioni, sempre che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine richiesta, e non siano rivolte, in via meramente indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento (v. ex multis , Cass. n. 29532 del 2024; n. 21446 del 2023; n. 6985 del 2019; n. 19656 del 2015).
Non può trovare avallo la tesi censoria con la quale si sostiene l’ impossibilità di dare la prova richiesta attraverso presunzioni.
4.3.2. Coglie, però, nel segno quella diretta a contestare la validità del ragionamento presuntivo adottato nella specie dalla Corte d’appello.
I requisiti di ammissibilità di una tale censura sono stati precisati da Cass. Sez. U. 24/01/2018, n. 1785 nei termini seguenti:
« la denuncia di violazione o di falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2729 cod. civ. si può prospettare (come altrove venne sostenuto: Cass. n. 17457 del 2007; successivamente. Cass. n. 17535 del 2008; di recente: Cass. n. 19485 del 2017) sotto i seguenti aspetti:
aa) il giudice di merito (ma è caso scolastico) contraddice il disposto dell’art. 2729 cod. civ., primo comma, affermando (e, quindi, facendone poi concreta applicazione) che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni (rectius: fatti), che non siano gravi, precise e concordanti: questo è un errore di diretta violazione della norma;
bb) il giudice di merito fonda la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota, così sussumendo sotto la norma dell’art. 2729 cod. civ. fatti privi di quelle caratteristiche e,
quindi, incorrendo in una sua falsa applicazione, giacché dichiara di applicarla assumendola esattamente nel suo contenuto astratto, ma lo fa con riguardo ad una fattispecie concreta che non si presta ad essere ricondotta sotto tale contenuto, cioè sotto la specie della gravità, precisione e concordanza.
Con riferimento a tale secondo profilo, si rileva che, com’è noto, la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche lex artis), che esprime nient’altro -almeno secondo l’opinione preferibile -che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B (non è condivisibile, invece, l’idea che vorrebbe sotteso alla “gravità” che l’inferenza presuntiva sia “certa”).
La precisione esprime l’idea che l’inferenza probabilistica conduca alla conoscenza del fatto ignoto con un grado di probabilità che si indirizzi solo verso il fatto B e non lasci spazio, sempre al livello della probabilità, ad un indirizzarsi in senso diverso, cioè anche verso un altro o altri fatti.
La concordanza esprime -almeno secondo l’opinione preferibile -un requisito del ragionamento presuntivo (cioè di una applicazione “non falsa” dell’art. 2729 cod. civ.), che non lo concerne in modo assoluto, cioè di per sé considerato, come invece gli altri due elementi, bensì in modo relativo, cioè nel quadro della possibile sussistenza di altri elementi probatori considerati, volendo esprimere l’idea che, in tanto la presunzione è ammissibile, in quanto indirizzi alla conoscenza del fatto in modo concordante con altri elementi probatori, che, peraltro, possono essere o meno anche altri ragionamenti presuntivi.
Ebbene, quando il giudice di merito sussume erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non sono invece rispondenti a quei caratteri, si deve senz’altro ritenere
che il suo ragionamento sia censurabile alla stregua dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e compete, dunque, alla Corte di cassazione controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta dal giudice di merito, lo sia stata anche a livello di applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta.
Essa può, pertanto, essere investita ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso nel considerare grave una presunzione (cioè, un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi. La stessa cosa dicasi per il controllo della precisione e per quello della concordanza ».
Nel caso di specie la critica della ricorrente si muove, ammissibilmente e anche fondatamente, proprio sotto tale ultimo profilo, atteso che evidenzia in sostanza la mancanza di un regola inferenziale, sia pure riconducibile ad una massima d’esperienza, in base alla quale possa dirsi che l’avere stabilito il prezzo di cessione del credito in un certo importo costituisca indizio della conoscenza da parte dei paciscenti dell’anteriore transazione e ciò sol perché quell’importo risulti de facto (e non per quanto sia espressamente previsto nell’accordo) corrispondente all’importo residuo che la cedente ha diritto ancora di ricevere dal debitore ceduto in base alla transazione.
Non si conosce, né tanto meno è evidenziata in sentenza, una massima di esperienza quale quella implicitamente presupposta, essendo al contrario noto che, di regola, chi si rende cessionario di un credito lo fa ad un prezzo inferiore a quello di effettivo realizzo, nella differenza tra questo e quello risiedendo il corrispettivo sinallagmatico dell’anticipato soddisfacimento del credito consentito al cedente se non anche del rischio connesso all’eventuale insolvenza del debitore ceduto.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia « violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 c.c., 1363 c.c. e 1367 c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. sia in relazione all’interpretazione del contratto sia in relazione all’interpretazione del motivo d’appello; violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato ».
5.1. Lamenta che la Corte territoriale abbia rigettato l’ eccezione ─ reiterata con il quinto motivo d’appello ─ di inefficacia delle rinunce di Set inserite nella scrittura transattiva per effetto della condizione sospensiva prevista nell’art. 3 della scrittura stessa, erroneamente facendo riferimento ad un diverso articolo della scrittura (art. 4), che disciplinava solo l’impegno di pagamento assunto da COGNOME e non le rinunce di SET.
La Corte d’appello avrebbe così ignorato il contenuto letterale e semantico dell’art. 3 della scrittura, eliminando di fatto l’avverbio “subordinatamente” che chiaramente indicava la condizione sospensiva relativa alle rinunce di Set, ed avrebbe inoltre omesso di effettuare, come necessario, una valutazione complessiva delle clausole della scrittura, basandosi su una personalissima interpretazione del comportamento successivo della sola SET, trascurando il comportamento di COGNOME, il quale confermava l’esistenza della condizione sospensiva. Ciò in quanto, nei bilanci di Sorim, il debito verso SET era stato mantenuto fino al 2011, dimostrando che la scrittura transattiva era sospensivamente condizionata all’integrale pagamento da parte di Sorim.
Deduce inoltre l’erronea interpretazione de l motivo d’appello, come riferito -secondo la supposta lettura datane dalla Corte- all’esistenza di una condizione sospensiva nell’art. 4 della scrittura, rilevando che il motivo riguardava invece chiaramente l’art. 3 della scrittura, denunciando quindi la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del quarto motivo.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia « violazione degli artt. 2384 e 2384bis c.c. e falsa applicazione dell’art. 2475bis c.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. » in relazione al rigetto del sesto motivo di appello con il quale si chiedeva fosse riconosciuta l’opponibilità alla Sorim della carenza in capo a NOME COGNOME presidente del C.d.A. della Set, del potere di sottoscrivere la transazione a termini di statuto e di legge.
6.1. Premesso che alla fattispecie, sotto il profilo in questione, andavano applicati, ratione temporis , gli artt. 2384 e 2384bis cod. civ. ante riforma (e non l’art. 2475 -bis entrato in vigore il 1° gennaio 2004) e ricordato che, ai sensi del predetto art. 2384 cod. civ. nel testo previgente « gli amministratori possono compiere tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, salvo le limitazioni previste dalla legge o dallo statuto » e che tali limitazioni « sono inopponibili ai terzi di buona fede, a meno che non si provi che questi fossero a conoscenza delle stesse », lamenta che la Corte d’appello peraltro non valutando con prudenza le prove raccolte, in violazione dell’art. 116 c.p.c. abbia rigettato il motivo di gravame ritenendo che non fosse stata provata l’esistenza di alcun raggiro della COGNOME, circostanza però estranea all ‘i nvocata opponibilità a COGNOME delle limitazioni del potere di rappresentanza del COGNOME.
6.2. Anche l’esame di tale censura è assorbit o dall’accoglimento del quarto motivo.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia « Violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento all’art. 360 n. 4 c.p.c.; falsa applicazione dell’art. 216 c.p.c. con riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. », in relazione al rigetto del nono motivo d’appello con il quale essa aveva dedotto che:
-la scrittura transattiva del 9 dicembre 2002 doveva ritenersi definitivamente disconosciuta dal momento che, a seguito del
disconoscimento, COGNOME aveva richiesto la verificazione della firma, ma tale richiesta riguardava solo l’ultima pagina del documento (la lettera di trasmissione) e non il presunto accordo transattivo contenuto nelle prime tre pagine, discendendone che illegittimamente il Tribunale aveva disposto una c.t.u. grafologica anche sulle “sigle” presenti nelle pagine precedenti del documento;
-la c.t.u. grafologica era stata svolta utilizzando scritture di comparazione non autorizzate dal giudice e non conformi agli artt. 216 e 217 c.p.c., che prevedono che le scritture di comparazione debbano essere riconosciute o accertate per sentenza o atto pubblico;
-il saggio grafico utilizzato dal consulente tecnico d’ufficio era stato ordinato da COGNOME e non dal giudice, in violazione delle norme processuali.
7.1. Lamenta che con la motivazione addotta in sentenza a giustificazione del rigetto di tale motivo di gravame (secondo cui « la procedura di verificazione si è incentrata correttamente su tutte le parti della scrittura, di cui parte COGNOME ha dichiarato di volersi avvalere; la c.t.u. si è svolta correttamente e le sue conclusioni sono congruamente motivate, e non sussistono ragioni per mettere in discussione la stessa, anche in considerazione del fatto che lo stesso COGNOME ha riconosciuto la propria sottoscrizione in corso di giudizio ») la Corte d’appello è incorsa in falsa applicazione dell’ art. 216 c.p.c. atteso che la c.t.u. è stata disposta e si è svolta in modo difforme da quanto stabilito da detta norma processuale.
7.2. Pure tale motivo resta assorbito dall’accoglimento del quarto motivo.
8 . Con l’ottavo motivo rubricato « violazione dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. e l’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., errores in procedendo e conseguente nullità
della decisione derivante dal vizio denunciato; falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 1971 c.c., 1975 co. 1 c.c., 1428 c.c., 1439 c.c., 1440 c.c. con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 » -la ricorrente si duole del rigetto del decimo motivo d’appello con il quale essa aveva iterato l’eccezione di annullabilità e/o nullità dell’accordo transattivo ex artt. 1971 cc., 1975 co. 1 c.c., 1428 c.c., 1439 c.c. e 1442 c.c. sul rilievo che dalla documentazione in atti risultava che gli eventi che avevano determinato la sospensione dell’attività dedotta nel contratto d’appalto e l’apparente incapacità economico-finanziaria di Sorim, come indicati nella premessa dell’accordo transattivo (e cioè la sussistenza di un ordine di sospensione della Regione Basilicata che riguardasse l’impianto commissionato a Sorim ed il conseguente venir meno del finanziamento concesso da Mediocredito a causa dell’ordine di sospensione del lavori), non corrispondevano a quanto fatto apparire « mellifluamente ed intenzionalmente » a Set da COGNOME e dai suoi agenti e che, inoltre, COGNOME aveva celato a SET di aver già ottenuto il finanziamento a fondo perduto per le attività già svolte dalla SET e che aveva anche chiesto il risarcimento danni alla Regione Basilicata per le medesime attività già svolte dalla SET e non pagate.
8.2. Il motivo è assorbito dall’accoglimento del quarto .
Con il nono motivo la ricorrente denuncia « violazione degli artt. 1259 c.c. e 2043 c.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. » in relazione al rigetto dell’undicesimo motivo d’appello con il quale essa si era doluto del rigetto, da parte del primo giudice, delle domande risarcitorie avanzate nei confronti dei membri del Consiglio di amministrazione, dei soci e dei componenti del collegio sindacale di Sorim, nonché nei confronti della Regione Basilicata.
9.1. Censura la motivazione addotta sul punto -secondo cui le
richieste di risarcimento danni dovevano ritenersi assorbite dal rigetto degli altri motivi d’appello ed inoltre, a fronte della validità dell’accordo transattivo, non era ammissibile una domanda extracontrattuale per ottenere ciò che la via contrattuale ha precluso -sostenendo che gli artt. 1259 e 2043 c.c. danno fondamento autonomo alla dedotta responsabilità risarcitoria indipendentemente dalla validità dell’accordo transattivo.
9.2. Anche l’esame di tale motivo resta assorbito dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso, riguardando esso pretesa avanzata in via subordinata rispetto a quella diretta in via principale nei confronti di Sorim.
Con il decimo motivo FD denuncia « violazione dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. e dall’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; violazione dell’art. 91 c.p.c. in riferimento all’art. 360 n. 3 c.p.c. ».
10.1. Lamenta che, con motivazione incomprensibile, la Corte d’appello abbia rigettato il quattordicesimo motivo di gravame con il quale essa si era doluta della condanna alle spese del pregresso procedimento cautelare in favore di soggetti che a tale procedimento non avevano partecipato.
10.2. Il motivo resta anch’esso assorbito dall’accoglimento del quarto motivo. La cassazione della sentenza che ne consegue determina, infatti, per l’effettivo espansivo interno ex art. 336, primo comma, c.p.c., anche la caducazione delle statuizioni relative al regolamento delle spese.
11 . Con l’undicesimo motivo la ricorrente denuncia « violazione dell’art. 2909 Cod. Civ. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c. ; violazione dell’art. 132 comma 2, n. 4 c.p.c. e dall’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., error in procedendo e conseguente nullità della decisione derivante dal vizio denunciato », in relazione all’affermazione , contenuta nella parte della motivazione dedicata al
quinto motivo di appello, secondo cui la fattura di Set sarebbe stata « già da subito contestata in quanto non corrispondente a lavorazioni effettuate ».
11.1. Sostiene che tale affermazione viola il giudicato interno formatosi sul punto con la decisione di primo grado la quale, rigettando le domande di Tia e di FD a motivo dell’accordo transattivo , ha implicitamente accertato l’esistenza della prestazione effettuata da Set.
Deduce comunque sul punto anche vizio di motivazione apparente per essere l’assunto motivato per relationem con rinvio al contenuto di pregressa ordinanza emessa in sede di reclamo cautelare senza esaminare le argomentazioni delle parti né le censure sollevate da TIA/FD.
11.2. Anche tale motivo deve dirsi assorbito dall’accoglimento del quarto motivo.
Esso investe un’affermazione (relativa all’esistenza di contestazioni sulla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE perché non corrispondente a lavorazioni realmente effettuate) che nella motivazione della sentenza impugnata (v. pag. 12, penultimo capoverso) è funzionale esclusivamente a supportare l’espresso convincimento secondo cui la rinuncia operata da Set nell’atto transattivo era immediatamente efficace (e trovava spiegazione anche nel comportamento inerte della stessa negli anni successivi oltre che nel fatto che quelle lavorazioni non risultavano portate in un SAL come anche accertato nel pregresso procedimento di reclamo cautelare) e, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti con il quinto motivo, non era sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento dell’importo di Euro 200.000 (questo piuttosto costituendo la controprestazione cui si obbligava COGNOME nel sinallagma della transazione).
Trattasi dunque di questione prospettata (ed affrontata) solo in via subordinata a quella della opponibilità alla cessionaria della transazione
e che, come tale, rimane anch’essa assorbita dall’accoglimento del motivo, il quarto, che tale opponibilità rimette in discussione.
Per la stessa ragione vanno detti assorbiti anche tutti gli altri motivi (dal dodicesimo al ventiduesimo) in quanto anch’essi diretti a censurare, sotto altri subordinati profili, la medesima affermazione.
In accoglimento, dunque, del solo quarto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta il secondo e il terzo motivo; dichiara assorbiti i rimanenti motivi; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza