Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17438 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17438 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5782-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO COGNOME RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO N. 48/2021 del TRIBUNALE DI NOLA, depositato il 26/1/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 16/5/2025;
FATTI DI CAUSA
1.1. La CERAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione allo stato passivo del Fallimento NOME & NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE chiedendo di esservi ammessa per la somma di €. 30.200,56 quale residuo credito maturato in suo
favore per effetto dell ” accordo commerciale ‘ , sottoscritto con la società poi fallita in data 19/12/2007, in forza del quale la stessa era obbligata a pagare un contributo di inserimento e un contributo pari al 5% sul volume d’affari fino al dicembre del 2009.
1.2. Il Fallimento ha resistito all ‘ opposizione, deducendo, tra l ‘ altro, che l ‘ accordo commerciale dedotto a fondamento della domanda era privo di data certa.
1.3. Il tribunale, in sede di rinvio, con il decreto in epigrafe, ha rigettato l ‘ opposizione.
1.4. Il tribunale, in particolare, ha ritenuto che, nel caso in esame, non ricorrendo alcuna delle ipotesi tipizzate dall ‘ art. 2704 c.c., la prova della data certa dell ‘ accordo commerciale non poteva dirsi raggiunta, posto che: – gli estratti del libro IVA, pur se certificati come conformi al libro contabile, ‘ non forniscono la prova della data certa dell ‘ accordo anteriore al fallimento ‘; -‘ le fatture annotate in tale libro (come nel libro giornale) non fanno riferimento all ‘ accordo e non riportano le clausole dell ‘ accordo ‘; – le ‘ tabelle riepilogative ‘ delle fatture, delle note di credito e di debito con le relative compensazioni, i prospetti riepilogativi dei singoli bonifici e delle compensazioni sono privi di data certa e non fanno riferimento all ‘ accordo né alle sue clausole; – le ‘contabili dei bonifici ‘ provano solo l’ emissione dei bonifici in determinate date ma non provano la data anteriore dell ‘ accordo in quanto non fanno riferimento all ‘ accordo né alle sua clausole; – la lettera del 4/11/2008, inviata dalla società poi fallita, non menziona l ‘ accordo né le sue clausole; – le fatture , d’altra parte, non sono di per sé idonee a provare il credito, anche se annotate nei libri contabili regolarmente tenute, tanto più che molte di esse ‘ riportano indicazioni generiche e non fanno applicazione dell ‘ accordo ‘.
1.5. Né, infine, ha aggiunto il tribunale, può essere accolta la richiesta dell ‘ opponente di ammissione di prova testimoniale poiché ‘ i capitoli di prova testimoniale sono generici (capp. 1 e 2) ovvero inammissibili ex art. 2721 c.c. (cap. 3) ‘, al pari dell ‘ istanza di ‘ acquisizione ‘ di documentazione ai sensi dell ‘ art. 210 c.p.c. (e cioè del ‘ libro giornale ‘ e del ‘ libro Iva ‘ della fallita) onde ‘ verificare l ‘ annotazione dei bonifici effettuati dalla ricorrente e delle fatture emesse dalla ricorrente ‘, posto che, in realtà, ‘ l ‘ eventuale annotazione di tali bonifici e di tali fatture è irrilevante al fine di dimostrare il credito della ricorrente ‘.
1.6. Il tribunale ha, quindi, rigettato l ‘ opposizione e, compensate integralmente le spese del primo giudizio e del giudizio di legittimità, ha condannato l ‘ opponente al rimborso delle spese del giudizio di rinvio in ragione della sua soccombenza e dell’esito complessivo del processo .
1.7. La RAGIONE_SOCIALE con ricorso notificato il 24/2/2021, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione del decreto.
1.8. Il Fallimento ha resistito con controricorso.
1.9. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 98, 99 e 161, comma 2°, l.fall., degli artt. 88, 112 e 116 c.p.c. e degli artt. 2704, 2727 e 2967 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 o dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che l ‘ opponente non aveva fornito in giudizio la prova della certezza della data apposta sulla scrittura privata contenente l ‘ accordo commerciale dedotto a fondamento della domanda di ammissione al passivo del credito azionato,
omettendo, tuttavia, di considerare che: – la data certa di cui all ‘ art. 2704 c.c. non costituisce un requisito di opponibilità dell ‘ atto compiuto nei confronti dei terzi ma solo un requisito necessario a dimostrare nei confronti dei terzi la data di formazione del documento; -l ‘ interessato, dunque, può dimostrare, con tutti i mezzi consentiti dall ‘ ordinamento, tanto il contratto e il suo contenuto, quanto la sua stipulazione in data anteriore al fallimento; – nel caso in esame, le prove fornite in giudizio dimostravano con certezza l ‘ anteriorità della stipulazione dell ‘ accordo commerciale intercorso tra l ‘ opponente e la società poi fallita rispetto alla dichiarazione del suo fallimento; – la documentazione prodotta, come le fatture emesse dall ‘ opponente, dimostra, infatti, non solo l ‘ entità del credito vantato ma anche il fatto dell ‘ avvenuta esecuzione dell ‘ accordo commerciale dal quale inferire, in maniera oggettiva, l ‘ anteriorità dell ‘ accordo stesso rispetto alla dichiarazione di fallimento della società debitrice; – la società poi fallita, del resto, ai sensi dell ‘ art. 161, comma 2°, l.fall., aveva depositato l ‘ elenco nominativo dei suoi creditori, tra i quali l ‘ opponente, le cui pretese non potevano che essere il frutto dell ‘ accordo commerciale del 19/12/2007; – l ‘ anteriorità di tale accordo e delle relative pattuizioni emerge, infine, dalla missiva con la quale la società poi fallita ha comunicato, in data 4/11/2008, la cessione dei crediti maturati in suo favore in ragione dello stesso.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 88, 115, 116, 210, 244, 245 e 253 c.p.c., dell ‘ art. 94 disp.att. c.p.c. e degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 o dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che l ‘ opponente non aveva fornito in
giudizio la prova della certezza della data apposta sulla scrittura privata contenente l ‘ accordo commerciale dedotto a fondamento della domanda di ammissione al passivo del credito azionato, omettendo, tuttavia, di considerare che: – le prove richieste dall ‘ opponente erano senz ‘ altro ammissibili e, se ammesse, avrebbero senz ‘ altro dimostrato fatti e circostanze che incontrovertibilmente provavano l ‘ anteriorità al fallimento dell ‘ accordo commerciale intercorso con la fallita; – le clausole dell ‘ accordo, stipulato su carta intestata alla società poi fallita, non sono state in alcun modo valutate dal tribunale, né atomisticamente, né nella loro interazione.
2.3. I motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
2.4. La società ricorrente, in effetti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha finito, in sostanza, per censurare la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito: lì dove, in particolare, questi, ad onta delle presunte emergenze delle stesse, hanno ritenuto che l’ opponente non aveva fornito in giudizio alcuna prova né dell ‘ accordo commerciale intercorso con la società poi fallita né della sua stipulazione in data senz ‘ altro anteriore alla dichiarazione di fallimento di quest ‘ ultima.
2.5. La valutazione delle prove raccolte, però, costituisce un ‘ attività riservata in via esclusiva all ‘ apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione: se non, come stabilito dall ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., per il vizio consistito nell ‘ avere quest ‘ ultimo, in sede d ‘ accertamento della fattispecie concreta: – a) omesso l ‘ esame (e cioè la ‘ percezione ‘) di uno o più fatti storici (principali o secondari), la
cui esistenza risulti per contro dal testo della sentenza o (più probabilmente) dagli atti processuali, che siano stati oggetto di discussione (e cioè controversi) tra le parti ed abbiano carattere decisivo (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014), nel senso che, ove percepiti, avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte poi ricorrente a fondamento della domanda o dell ‘ eccezione dalla stessa proposta; – b) supposto l ‘ esistenza di uno o più fatti storici (principali o secondari), la cui verità risulti per contro incontrastabilmente esclusa dal testo della stessa sentenza o dagli atti processuali, sempre che siano stati controversi tra le parti ed abbiano avuto, nei termini già esposti, carattere decisivo (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.14), nel senso che, ove esclusi, avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte poi ricorrente a fondamento della domanda o dell ‘ eccezione proposta dalla stessa.
2.6. L ‘ omesso esame degli elementi istruttori forniti o invocati non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti storici rilevanti ai fini della decisione sulla domanda proposta (quali fatti costitutivi del diritto azionato ovvero come fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso) siano stati comunque presi in considerazione dal giudice di merito ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze asseritamente emergenti dalle prove acquisite o richieste in giudizio (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.7. Nello stesso modo, il travisamento della prova (ove non si traduca in un errore di percezione del dato probatorio nella sua oggettività che, come tale, ove il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia
pronunciata, ‘ è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione ‘ prevista dall’ art. 395 n. 4 c.p.c.), vale a dire (il diverso) errore in cui il giudice di merito sia, in ipotesi, caduto nell ” individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi ‘, è sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, beninteso, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del ‘ minimo costituzionale’ . Una volta, infatti, che ‘ il giudice di merito abbia fondato la propria decisione su un dato probatorio preso in considerazione nella sua oggettività, … ed abbia adottato la propria decisione sulla base di informazioni probatorie desunte dal dato probatorio, il tutto sostenuto da una motivazione rispettosa dell ‘ esigenza costituzionale di motivazione, si è dinanzi ad una statuizione fondata su basi razionali idonee a renderla accettabile ‘ (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.11).
2.8. La valutazione delle prove, al pari della scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un ‘ esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
2.9. Il giudice di legittimità, per contro, ha soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logicoformale, le argomentazioni svolte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l ‘ attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all ‘ uno o all ‘ altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis , Cass. n. 40872 del 2021, in motiv.; Cass. n. 21098 del 2016; Cass. n. 27197 del 2011).
2.10. Il compito di questa Corte, infatti, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007): dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall ‘ art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, in ordine all ‘ accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, come in effetti è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
2.11. Il decreto impugnato, in effetti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto, motivando il proprio convincimento sul punto in modo non apparente, né perplesso o contraddittorio, che le stesse non erano idonee a dimostrare né la stipulazione dell ‘ accordo commerciale asseritamente intercorso con la società poi fallita, né la sua certa anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento di quest ‘ ultima.
2.12. Tale apprezzamento, peraltro, non risulta utilmente censurato dalla ricorrente (nell ‘ unico modo a tal fine possibile, e cioè), a norma dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., per aver supposto l ‘ inesistenza (o, per converso, l ‘ esistenza) di uno o più fatti storici controversi tra le parti, la cui esistenza, (o, rispettivamente, inesistenza) sia risultata con certezza (come doverosamente esposto in ricorso ed emergente dagli atti allo stesso allegati, nel rigoroso rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.) dal testo della stessa pronuncia impugnata o (più probabilmente) dagli atti processuali ed aventi carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia, nel senso che, ove percepiti (o, rispettivamente, esclusi) avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da integrare il fondamento storico della domanda proposta o dell ‘ eccezione invocata nel giudizio di merito dalla parte poi ricorrente.
2.13. Ed una volta che il giudice di merito ha ritenuto, in fatto (non importa se a torto o a ragione), che l ‘ accordo commerciale asseritamente intercorso tra l ‘ opponente e la società poi fallita non risultava con certezza stipulato prima del fallimento di quest ‘ ultima (così prendendo in esame, pur senza dar conto di tutte le risultanze istruttorie asseritamente acquisite in giudizio, il fatto storico rilevante ai fini della decisione sulla
domanda proposta dall ‘ opponente, e cioè la stipulazione dell ‘ accordo commerciale tra l ‘ opponente e la societa poi fallita e la sua opponibilità alla massa dei creditori), non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di legge, la decisione che lo stesso tribunale ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda proposta dall ‘ opponente in quanto volta, appunto, all ‘ ammissione al passivo del credito maturato in forza (dell ‘ esecuzione) del predetto accordo.
2.14. Questa Corte, in effetti, ha ripetutamente affermato che: – il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l ‘ istanza di ammissione, con la conseguenza che, trovando applicazione la disposizione contenuta nell ‘ art. 2704, comma 1°, c.c., l ‘ onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione al passivo può ritenersi soddisfatto soltanto nel caso in cui lo stesso produca in giudizio documentazione dotata di data certa antecedente all ‘ apertura del concorso, e come tale opponibile ai creditori, e idonea a dimostrare la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa azionata (cfr. Cass. SU n. 4213 del 2013); – sono, pertanto, inopponibili nei confronti dei creditori concorrenti le scritture (che dimostrino, in ipotesi, la stipulazione di un contratto con il fallito) la cui data anteriore alla dichiarazione del fallimento ‘ non risulti in modo certo, secondo le regole poste dall ‘ art. 2704 c.c., per la cui osservanza ‘ ( ‘ quando non sussista uno dei fatti dalla norma stessa indicati specificamente come idonei a conferire siffatta certezza alla data della scrittura privata non autenticata (registrazione, morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in un atto pubblico) e debba, invece, apprezzarsi, da parte del giudice, il ricorso ad altri fatti dai quali sia desumibile in modo
egualmente certo l ‘ anteriorità della formazione del documento all ‘ evento suddetto ‘ ) ‘ è necessario che tali ultimi fatti abbiano carattere di obbiettività e soprattutto che non possano farsi risalire al soggetto stesso che li invoca e siano sottratti alla sua portata ‘ (così Cass. n. 1016 del 1993; Cass. n. 4646 del 1997; più di recente, Cass. n. 2299 del 2012; Cass. n. 18938 del 2016).
2.15. È vero, dunque, che, quando il documento privo di data certa sia finalizzato a provare un contratto per il quale (come quello dedotto dall ‘ opponente, trattandosi di un contratto avente ad oggetto la prestazione del servizio cd. di listing : v. il ricorso, p. 2) la forma scritta non è richiesta ad substantiam o ad probationem , la mancanza di data certa nella scrittura priva prodotta in giudizio per la relativa dimostrazione non esclude che la prova della stipulazione del contratto (prima del fallimento) e del suo contenuto possa essere acquisita aliunde , vale a dire indipendentemente dalla prova della certezza della data sulla scrittura , e cioè, tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza, anche con testimoni (Cass. n. 12684 del 2004) e, più in generale, ‘ con tutti gli altri mezzi consentiti dall ‘ ordinamento, salve le limitazioni derivanti dalla natura e dall ‘ oggetto del negozio stesso ‘ ( Cass. n. 2319 del 2016).
2.16. È anche vero, tuttavia, che il giudice, ai fini della decisione circa l ‘ opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, quando voglia darsi la prova del momento in cui il contratto è stato concluso e sia dedotto un fatto diverso da quelli tipizzati nell ‘ art. 2704 c.c., ha il compito di valutarne, caso per caso, la sussistenza e l ‘ idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, che non
deve essere riconducibile (come l’emissione delle fatture o la ricezione dei pagamenti) alla stessa parte che lo invoca e deve essere, altresì, sottratto alla sua disponibilità (Cass. n. 7753 del 2024; Cass. n. 4509 del 2018).
2.17. La prova della certezza della data della scrittura privata, ai fini della sua opponibilità ai terzi, richiede, in effetti, che, ove manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall ‘ art. 2704, comma 1°, c.c., sia dedotto e dimostrato in giudizio un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l ‘ anteriorità della formazione del documento, con la conseguenza che tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione che esse evidenzino un fatto munito dell ‘ indicata attitudine, non anche quando tali prove siano, in sostanza, rivolte a provocare (come le testimonianze offerte dalla ricorrente: cfr. i capi 1 e 2, così come riprodotti in ricorso, p. 32), in via indiziaria e induttiva, un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento (Cass. n. 21446 del 2023).
2.18. Del resto, se è vero che, in sede di accertamento dello stato passivo, ai fini dell ‘ opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non avente data certa, mediante la quale voglia darsi la prova del momento in cui il contratto è stato concluso, il creditore può dimostrare la certezza della data attraverso fatti, quali che siano, equipollenti a quelli previsti dall ‘ art. 2704 c.c., ivi compresa la documentazione proveniente dalla società in bonis , sempre che si tratti di documentazione idonea a tale scopo (Cass. n. 23582 del 2017), resta, nondimeno, il fatto che, con riguardo specifico ai libri contabili tenuti dal creditore (di cui l’opponente ha chiesto l’acquisizione ex art. 210 c.p.c.: v. l’istanza descritta in ricorso, p. 32 e 33), la mera iscrizione negli stessi non integra uno dei
fatti previsti dal cit. art. 2704 c.c. per stabilire con certezza l ‘ anteriorità della formazione del documento: l ‘ annotazione nei libri regolarmente tenuti e vidimati può nei singoli casi essere idonea a fornire la prova della detta anteriorità, che discende non dalla mera annotazione in tali libri ma dalla vidimazione (non dedotta nel caso in esame) del pubblico ufficiale anteriore alla dichiarazione di fallimento, e dalla sua attestazione circa la tenuta dei libri a norma di legge, ossia da un fatto estrinseco all ‘ annotazione, autonomamente idoneo a provare nella prospettiva del menzionato art. 2704 c.c. l ‘ anteriorità dell ‘ annotazione medesima alla data di chiusura dei registri e quindi alla data di apertura della procedura concorsuale (Cass. n. 4646 del 1997).
2.19. Il principio generale che regola la domanda di adempimento nei contratti (che, come quello dedotto dall’opponente, siano qualificabili come) a prestazioni corrispettive comporta, infine, che: – la parte che chiede in giudizio l’esecuzione della prestazione a lui dovuta (come il pagamento del compenso asseritamente maturato o, in caso di fallimento della committente, l’insinuazione al passivo del relativo credito) non dev’essere a sua volta inadempiente, avendo, piuttosto, l’onere di (offrire l’es ecuzione della propria, se le prestazioni debbono essere eseguite contestualmente, ovvero, in caso contrario, di) dimostrare di avere adempiuto la propria obbligazione, se la stessa precede l’adempimento di pagamento del corrispettivo cui la controparte è tenuta (come nel caso in esame, trattandosi del corrispettivo asseritamente maturato all’esito dell’esecuzione della prestazione ), integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa (Cass. n. 25410 del 2024, in motiv.); l ‘applicazione di tale principio al contratto invocato
dall’opponente comporta, quindi, che il prestatore che agisca in giudizio per il pagamento (o, come nel caso in esame, l’ammissione al passivo) del (credito al) corrispettivo maturato, ha l’onere di provare di avere adempiuto la propria obbligazione, e cioè di avere eseguito la prestazione dovuta in forza del contratto, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa; – nei contratti a prestazioni corrispettive, come quello dedotto dalla società opponente, infatti, la struttura sinallagmatica non consente di far discendere il diritto del contraente al corrispettivo convenuto dalla mera stipulazione del contratto, occorrendo, a tal fine, che lo stesso (a differenza di quanto emerge dalle prove raccolte ed offerte in giudizio: con la conseguente irrilevanza del capo 3, così come descritto a p. 32 del ricorso, della testimonianza offerta) fornisca in giudizio la prova idonea a dimostrare, oltre alla stipulazione del contratto, anche l’adempimento della propria obbligazione , vale a dire l’effettiva esecuzione delle prestazioni dallo stesso dovute.
2.20. L a violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende la ricorrente, la censura abbia avuto ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 n. 5 cit. (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).
2.21. Con il terzo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell ‘ art. 336 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c.,
ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che le spese dei precedenti gradi di giudizio dovessero essere integramente compensate tra le parti, omettendo, tuttavia, di considerare che il decreto inizialmente reso nel giudizio d ‘ opposizione era stato cassato con rinvio e che il tribunale, in sede di rinvio, aveva il compito di procedere anche alla liquidazione delle relative spese.
2.22. Il motivo è inammissibile. In tema di spese processuali, infatti, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all ‘ esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all ‘ esito finale della lite, può legittimamente pervenire (come ha fatto il decreto impugnato) ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione (e, tuttavia, complessivamente soccombente) al rimborso delle stesse in favore della controparte (Cass. SU n. 32906 del 2022; Cass. n. 20289 del 2015).
2.23. Con il quarto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 91, 92, 112 e 336 c.p.c. e del d.m. n. 55/2014, in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha liquidato le spese del giudizio di opposizione senza, tuttavia, considerare che, in relazione all ‘ esito finale della lite, il giudice di rinvio avrebbe potuto legittimamente disporre sulle spese attraverso una loro compensazione totale o parziale delle stesse.
2.24. Il motivo è inammissibile. Con riferimento al regolamento delle spese, invero, il sindacato della Corte di
cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell ‘ opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell ‘ ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell ‘ ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017).
Il ricorso, per l ‘ inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, inammissibile: e come tale dev ‘ essere, dunque, dichiarato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l ‘ inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare al Fallimento le spese di lite, che liquida in €. 4.700,00 , di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della Prima