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Data Certa: Prova del Credito nel Fallimento

Una società creditrice ha richiesto l’ammissione al passivo di un fallimento per un credito derivante da un accordo commerciale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del tribunale. La motivazione principale è la mancanza di una prova della ‘data certa’ dell’accordo anteriore alla dichiarazione di fallimento. La Corte ha ribadito che, nei confronti della massa dei creditori, la prova non può basarsi su elementi provenienti dalla sola parte creditrice (come fatture o registri contabili non vidimati), ma richiede fatti oggettivi e incontestabili.

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Data Certa: La Prova Regina per i Crediti nel Fallimento

Quando un’azienda fallisce, i suoi creditori devono affrontare un percorso preciso per recuperare, almeno in parte, quanto loro dovuto. Uno degli ostacoli più significativi è dimostrare non solo l’esistenza del proprio credito, ma anche la sua anteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un requisito fondamentale in questo contesto: la data certa di un accordo. Senza di essa, anche un credito legittimo rischia di non essere riconosciuto.

Questo articolo analizza il caso di una società che si è vista negare l’ammissione al passivo fallimentare di un credito di oltre 30.000 euro proprio per l’incapacità di fornire una prova incontrovertibile della data del contratto sottostante.

I Fatti di Causa: Un Credito Contestato

Una società commerciale aveva stipulato un accordo con un’altra azienda, poi fallita. In virtù di tale accordo, la prima vantava un credito residuo e ha quindi presentato istanza di ammissione allo stato passivo del fallimento. Il curatore fallimentare, agendo a tutela della massa dei creditori, si è opposto, sollevando un’eccezione dirimente: la scrittura privata che documentava l’accordo era priva di una data certa opponibile a terzi.

Il tribunale ha dato ragione al curatore, rigettando la domanda. Secondo i giudici di merito, le prove portate dalla società creditrice – come estratti dei libri IVA, fatture, tabelle riepilogative e persino una lettera della società poi fallita – non erano idonee a soddisfare il rigoroso requisito dell’articolo 2704 del Codice Civile.

La Decisione della Cassazione: il rigore della prova della data certa

La società creditrice ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che il tribunale avesse errato nel non considerare che l’anteriorità dell’accordo potesse essere provata con ogni mezzo, anche in via presuntiva, dall’insieme della documentazione prodotta.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea di rigore. I giudici hanno chiarito che la valutazione delle prove è un’attività riservata al giudice di merito, e la Cassazione non può sostituire il proprio apprezzamento a quello del tribunale, a meno che non vi sia un vizio logico palese o un’omissione su un fatto decisivo. In questo caso, il tribunale aveva adeguatamente motivato la sua decisione, spiegando perché ciascun documento prodotto fosse inidoneo a fornire la prova richiesta.

Le Motivazioni

La Corte ha ribadito alcuni principi cardine del diritto fallimentare. Il curatore è considerato un “terzo” rispetto ai rapporti contrattuali del fallito. Di conseguenza, per far valere un credito basato su una scrittura privata, il creditore ha l’onere di dimostrare che tale scrittura ha acquisito data certa prima della dichiarazione di fallimento. L’art. 2704 c.c. elenca i modi tipici per ottenere tale certezza (registrazione, morte di un sottoscrittore, riproduzione in atto pubblico), ma ammette anche che essa possa derivare da “altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”.

Tuttavia, la giurisprudenza è costante nel richiedere che questo “altro fatto” sia oggettivo, esterno e non riconducibile alla sola volontà della parte che intende avvalersene. Le fatture emesse dal creditore, le sue annotazioni contabili, o le tabelle riepilogative da lui stesso create non soddisfano questo requisito di obiettività, poiché sono atti formati dalla parte interessata e non offrono garanzie di terzietà. Nemmeno la prova per testimoni è stata ritenuta ammissibile per aggirare la mancanza di una prova documentale certa, potendo al massimo condurre a un giudizio di mera verosimiglianza, insufficiente in questo contesto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito cruciale per tutte le imprese. Per tutelare i propri crediti commerciali e renderli efficaci in caso di fallimento della controparte, non è sufficiente avere un contratto firmato. È indispensabile assicurarsi che tale contratto acquisisca data certa. Gli strumenti per farlo sono diversi e accessibili: la registrazione dell’atto presso l’Agenzia delle Entrate, lo scambio tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) con ricevute complete, l’utilizzo di una firma digitale con marcatura temporale, o l’autenticazione delle firme da parte di un notaio. Trascurare questo aspetto formale può trasformare un diritto di credito valido in una pretesa inesigibile, con gravi conseguenze economiche per l’azienda.

Perché un accordo commerciale valido tra due società non è stato riconosciuto nel fallimento di una di esse?
L’accordo non è stato riconosciuto perché la società creditrice non è riuscita a provare, con mezzi legalmente idonei, che la data di stipulazione del contratto fosse anteriore alla dichiarazione di fallimento. Mancava la cosiddetta ‘data certa’ opponibile a terzi.

Quali prove sono necessarie per dimostrare la data certa di una scrittura privata in un fallimento?
La prova della data certa può essere fornita tramite la registrazione dell’atto, la morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei firmatari, la riproduzione del suo contenuto in un atto pubblico, o qualsiasi altro fatto oggettivo che stabilisca in modo ugualmente certo l’anteriorità del documento. Non sono sufficienti prove che provengono dalla sola parte che invoca il credito.

Le fatture e le annotazioni nei libri contabili del creditore bastano a provare la data certa di un contratto?
No. Secondo la Corte, le fatture e le annotazioni contabili, pur essendo elementi probatori, sono atti formati unilateralmente dal creditore. Di conseguenza, non possiedono quel carattere di oggettività ed estraneità necessario per stabilire in modo incontrovertibile la data certa di un accordo nei confronti del fallimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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