Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13877 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13877 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26194/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME NOME , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliata per legge
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME , presso l’indirizzo di posta elettronica certificata dei quali è domiciliata per legge
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5063/2021 depositata il 24/08/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2024 dal
Consigliere Dott. COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2011 la società RAGIONE_SOCIALE (in seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) conveniva dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE la società RAGIONE_SOCIALE (in seguito, per brevità, la RAGIONE_SOCIALE“), esponendo che: a) aveva concesso in locazione alla RAGIONE_SOCIALE il proprio immobile sito in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO; b) con sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, confermata in appello e passata in giudicato, la scadenza del contratto era stata fissata alla data del 9.2.2009; c) la RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, aveva rilasciato l’immobile a giugno del 2012 (e, quindi, dopo oltre tre anni) a seguito dell’accesso 22 marzo 2012 dell’Ufficiale Giudiziario (che con l’ausilio della forza pubblica procedeva alla formale immissione della proprietaria nel possesso dell’immobile); d) a causa del ritardato rilascio, l’RAGIONE_SOCIALE aveva perduto la possibilità di locare l’immobile a terzi, a condizioni più vantaggiose di quelle a suo tempo pattuite con la RAGIONE_SOCIALE; e) in particolare, la società RAGIONE_SOCIALE aveva rilasciato in data 10 marzo 2011 una dichiarazione di interesse alla nuova locazione ad un canone di euro 50 mila mensili. Tanto premesso la società RAGIONE_SOCIALE, chiedeva la condanna della RAGIONE_SOCIALE convenuta al risarcimento del maggior danno in misura pari alla differenza tra il canone offerto di euro 50 mila e l’indennità provvisoria di occupazione (versata nella misura di euro 17.129,83 mensili, corrispondente al canone in vigore alla scadenza contrattuale).
L’intimata non si costituiva in giudizio.
La società immobiliare attorea alla memoria autorizzata 21/12/2012 depositava vari documenti, di formazione successiva al ricorso introduttivo, tra i quali il contratto preliminare 8/2/2012 ed il
contratto definitivo di locazione 1/7/2012 con RAGIONE_SOCIALE, casa di RAGIONE_SOCIALE ubicata nelle vicinanze; e precisava le conclusioni iniziali chiedendo la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 732.689,27 (pari alla differenze maturata a partire dalla scadenza del contratto tra il corrispettivo versato dall’occupante ed il corrispettivo convenuto con il nuovo conduttore).
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 1417/2013, ritenendola non provata sulla base della dichiarazione di interesse della società RAGIONE_SOCIALE e senza far alcun riferimento alla documentazione allegata alla memoria 21 dicembre 2012, rigettava la domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. per il ritardo nel rilascio dell’immobile locato.
La sentenza veniva appellata dalla RAGIONE_SOCIALE, ma la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE con sentenza n. 4353/2016 rigettava l’impugnazione, in quanto riteneva non provata l’esistenza del danno e, in particolare, tardiva (e, quindi, inammissibile) la produzione del contratto preliminare della RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE stipulato in data 8 marzo 2012.
Precisamente, secondo la corte territoriale: a) la RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto quale elemento a sostegno dell’assunto esclusivamente una “mera lettera non confermata testimonialmente’, che ad essa sarebbe stata inviata dalla società RAGIONE_SOCIALE, ma tale elemento non provava che essa avesse ricevuto una serie di offerte di locazione dell’immobile; b) l’RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito nemmeno indizi da cui desumere, ex art. 2727 c.c., l’esistenza e l’entità del danno; c) il contratto preliminare di locazione, stipulato con la RAGIONE_SOCIALE in data 8 marzo 2012 e depositato dalla RAGIONE_SOCIALE con la memoria conclusiva nel giudizio di primo grado, era inutilizzabile: sia perché tardivamente prodotto (dal momento che con la memoria conclusionale non possono depositarsi nuovi documenti); sia perché la pretesa di essere risarcita per non avere potuto dare esecuzione a quel contratto
preliminare di locazione era nuova rispetto alla pretesa formulata con l’atto di citazione; sia infine perché il danno derivante dalla perduta possibilità di stipulare vantaggiosi contratti di locazione, in conseguenza del ritardato rilascio dell’immobile, doveva sussistere al momento dell’introduzione del giudizio (mentre, nel caso di specie, la RAGIONE_SOCIALE con la memoria conclusiva aveva soltanto dedotto di avere individuato un nuovo locatore, col quale aveva stipulato il preliminare di locazione, dopo l’introduzione del giudizio nel 2011 e solo pochi mesi prima del rilascio dell’immobile, avvenuta l’8 marzo 2012).
Avverso la sentenza della corte territoriale proponeva ricorso per Cassazione l”RAGIONE_SOCIALE‘, articolando tre distinte censure in un unico motivo, al quale resisteva la RAGIONE_SOCIALE e questa Corte con sentenza n. 25631/2018 cassava la sentenza n. 4353/2016, rinviando la causa alla Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione, con domanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità ed affermando i seguenti principi di diritto:
-<>;
-<>.
4. La causa veniva riassunta dall’RAGIONE_SOCIALE che, sulla base della differenza tra il canone corrisposto dalla RAGIONE_SOCIALE e quello di mercato di cui al contratto preliminare con RAGIONE_SOCIALE, chiedeva, in riforma della sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, la condanna della RAGIONE_SOCIALE alla corresponsione della somma di € 732.689,27, ovvero di quella diversa ritenuta di giustizia, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi moratori prevista dall’art. 1224 quarto comma c.c. a decorrere dal 14 marzo 2011, nonché alla refusione RAGIONE_SOCIALE spese di tutti i giudizi, ivi compresi quello di legittimità.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, che, dedotta l’insussistenza della prova del danno, chiedeva il rigetto del ricorso in riassunzione e conseguentemente il rigetto dell’appello.
La corte territoriale, quale giudice di rinvio con ordinanza del 8 ottobre 2020 disponeva CTU per verificare la congruità del canone locativo di mercato di unità immobiliari aventi le stesse caratteristiche del fabbricato in esame nel periodo intercorrente tra la data (20.12.2009) di scadenza fissata dal giudice ex art. 56 L. 392/78 e la data (22/03/2012) di rilascio dell’immobile con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario.
In sede di conclusioni finali la società RAGIONE_SOCIALE accettava l’accorciamento del periodo di riferimento per il calcolo del danno, come indicato dalla corte territoriale in sede di formulazione del quesito al ctu, e, riduceva la domanda da euro 732.689,27 ad euro 482.494,59.
La corte di merito, in sede di rinvio, con sentenza n. 5063/2021: -in accoglimento dell’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 482.494,59 a titolo di risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. oltre
rivalutazione monetaria ed interessi legali secondo i criteri di cui in motivazione;
-provvedeva sulla regolamentazione RAGIONE_SOCIALE spese processuali e sulle spese della espletata ctu.
Avverso la sentenza della corte territoriale, quale giudice del rinvio, ha proposto ricorso la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
Per l’odierna adunanza il ProRAGIONE_SOCIALEtore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte mentre le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Questa Corte con sentenza n. 25631/2018 – dopo aver premesso che il ricorso imponeva di decidere in via gradata due questioni: a) se la corte territoriale aveva errato o meno nel reputare “nuova – la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE; (b) in caso di risposta affermativa al quesito che precede, se la corte territoriale aveva errato o meno nel negare ingresso alle prove documentali con le quali la RAGIONE_SOCIALE aveva inteso dimostrare la sua domanda – ha ritenuto fondate tutte e tre le censure (che erano state articolate dalla RAGIONE_SOCIALE nell’unico motivo di ricorso proposto).
1.1. In particolare, l’RAGIONE_SOCIALE aveva denunciato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte territoriale aveva ritenuto infondata la domanda di risarcimento anche in base al rilievo che il contratto preliminare di locazione (prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE per dimostrare l’uso alternativo che avrebbe fatto dell’immobile in caso di tempestivo rilascio) non dimostrava l’esistenza di un danno risarcibile, perché “precedente di pochi mesi il rilascio”. Al riguardo, aveva dedotto la società ricorrente che quel contratto era stato prodotto solo come indizio; che esso dimostrava ex art. 2727 c.c. che solo in prossimità dello sgombero era stato possibile per l’RAGIONE_SOCIALE trovare persone disposte a prendere in locazione il fabbricato; che pertanto dal fatto noto della stipula del preliminare e della sua data (8.3.2012), la corte
territoriale sarebbe dovuta risalire ex art. 2727 c.c. al fatto ignorato che, fino a quando la RAGIONE_SOCIALE aveva tenuto l’immobile, non era stato per essa possibile reperire soggetti potenzialmente interessati alla locazione.
Questa Corte ha ritenuto fondata detta censura – trattata per prima, ai sensi dell’art. 276, comma 2, c.p.c. – in quanto – dopo aver rilevato che la corte territoriale aveva ritenuto che, proposta una domanda di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, l’esistenza e l’ammontare del danno andasse valutato con esclusivo riferimento alla data di introduzione del giudizio, e che ai fini dell’accoglimento della domanda non rilevavano eventuali pregiudizi sopravvenuti – ha ritenuto errata tale statuizione sotto i seguenti due aspetti:
<>.
<<In secondo luogo, ed anche ad ammettere per pura ipotesi che fosse corretta la qualifica come "sopravvenuti" dei pregiudizi di cui la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il ristoro, il principio affermato dalla Corte d'appello non può essere condiviso nei termini in cui è stato formulato. E' certamente vero che, proposta una domanda di risarcimento del danno "A", fondata sul fatto costitutivo "B", mutare l'uno o l'altro di tali elementi significa ampliare non già l'oggetto del pronuntiare, ma l'oggetto del cognoscere richiesto al giudice: e dunque tale mutamento è inammissibile, perché costituirebbe un mutamento della domanda
originariamente proposta (ex multis, per la sua completezza, si veda in tal senso Sez. 1' Sentenza n. 10045 del 15/11 /1996, Rv. 500573 01).
<<Tale principio non è tuttavia inderogabile. Ad esso si deroga quando: (a) l'attore riduca in corso di causa l'entità della somma inizialmente richiesta a titolo di risarcimento (Sez. 3, Sentenza n. 3621 del 03/06/1980, Rv. 407473 – 01); (b) l'attore deduca che il danno originariamente dedotto in giudizio si sia incrementato in corso di causa, ferma restando la natura di esso e l'identità del tatto generatore (Sez. I ' Sentenza n. 10045 del 15/11/1996, Rv. 500573 — 01); (c) l'attore, senza mutare il fatto generatore della propria pretesa (l'inadempimento o l'illecito ascritto al convenuto), deduca che in corso di causa, dopo il maturare RAGIONE_SOCIALE preclusioni, si siano verificati danni ulteriori, anche di natura diversa da eludi descritti con l'atto introduttivo, che dunque gli fu impossibile prospettare ab initio (così già Sez. 3, Sentenza n. 3160 del 13/05/1981, Rv. 406955 – 01), e chieda ovviamente di essere rimesso in termini ex art. 153 c.p.c. per formulare la relativa domanda.
<>.
1.2. L’RAGIONE_SOCIALE aveva denunciato che la Corte territoriale aveva errato nel ritenere inammissibili i documenti da essa prodotti unitamente alla memoria conclusiva depositata in primo grado. Al
riguardo aveva esposto che in primo grado la RAGIONE_SOCIALE era rimasta contumace ed all’udienza del 9.1.2012 il Tribunale aveva rinviato per la discussione alla successiva udienza del 23.1.2012. I documenti ritenuti inammissibili dalla Corte territoriale erano stati depositati da essa RAGIONE_SOCIALE in una con la memoria conclusiva, depositata il 21.12.2012 in previsione dell’udienza di discussione, ed erano tutti di epoca successiva al 9.1.2012, sicché non avrebbero potuto essere prodotti in precedenza.
Questa Corte ha ritenuto fondata anche detta censura in quanto:
<>.
1.3. Infine, l’RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto che erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che, con la memoria conclusionale, era stata formulata una domanda nuova. Aveva sostenuto che con detta memoria aveva semplicemente ridotto le proprie pretese: invero, con l’atto introduttivo aveva domandato che il danno da ritardato rilascio
venisse stimato in misura pari alla differenza tra il canone pagato dalla RAGIONE_SOCIALE (circa 17.000 curo) e il canone di 50.000 euro offertole dalla società RAGIONE_SOCIALE; mentre, con la memoria conclusiva, aveva domandato che il suddetto danno fosse stimato in misura pari alla differenza tra il canone pagato dalla RAGIONE_SOCIALE e il canone di 35.000 ad essa promesso con il contratto preliminare 8 marzo 2012 dalla società RAGIONE_SOCIALE. Tale riduzione avrebbe dovuto quindi essere ritenuta (non modificazione, ma) mera precisazione della domanda.
E questa Corte ha ritenuto fondata anche detta censura, in quanto:
<<Con l'atto introduttivo del giudizio, la RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto, in buona sostanza, che a causa del ritardato rilascio dell'immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE non aveva potuto accettare l'offerta della società RAGIONE_SOCIALE, che intendeva prenderlo in locazione al canone di 50.000 euro. Aveva, di conseguenza, domandato il risarcimento del lucro cessante causato dall'inadempimento della controparte.
<<Con la memoria 21.12.2012 la RAGIONE_SOCIALE invece dedusse che a causa della prolungata occupazione dell'immobile da parte della RAGIONE_SOCIALE, poté trovare un nuovo locatore solo 1'8.3.2012 (tre anni dopo la scadenza del contratto), il quale le offrì un canone di 35.000 curo l'anno. Con questa deduzione la RAGIONE_SOCIALE non ha affatto introdotto un nuovo tema d'indagine: il tema d'indagine era e restava quello dell'accertamento del lucro cessante causato dall'inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, e l'unico elemento mutato era costituito dalla prova offerta per dimostrare se, quante e quali offerte l'RAGIONE_SOCIALE avesse perduto.
<<I fatti costitutivi della pretesa della RAGIONE_SOCIALE, anche dopo il deposito della memoria 21.12.2012, restarono dunque immutati. Essi erano due, ovvero: (a) l'esistenza dell'inadempimento colpevole; (b) la perduta possibilità di locare l'immobile a terzi, in conseguenza del suddetto inadempimento. E tali fatti da accertare restarono immutati
sia prima che dopo il deposito della suddetta memoria conclusionale. Quel che mutò fu semplicemente la prova offerta (un contratto preliminare in luogo d'una mera proposta contrattuale) per dimostrare l'esistenza del danno: ma va da sé che offrire nuove prove del medesimo fatto costitutivo non costituisce inammissibile mutamento della domanda (ex multis, in tal senso, Sez. 1, Sentenza n. 1814 del 18/02/2000, Rv. 534013 – 01, in motivazione).
<>.
2.Nell’impugnare la sentenza della corte di merito, emessa in sede di rinvio, la RAGIONE_SOCIALE articola in ricorso due motivi.
2.1.Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE denuncia <> nella parte in cui la Corte territoriale – dopo aver dichiarato ‘ammissibile la produzione dei documenti successivi al ricorso in appello nel giudizio rg 614/2014 e segnatamente quelli che la Corte aveva ritenuto inammissibili siccome tardivi (v. contratto preliminare del 8.3.2012 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE)’ (e ciò in applicazione del principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nell’ambito della sentenza n. 25631/2018) – ha poi apoditticamente ‘ritenuto provato il danno a decorrere dal 20.12.2009 al 22 marzo 2012 sulla base del contratto di locazione stipulato dall’appellante al canone
di € 35.000,00 al mese e della perizia del CTU svolta in questa sede’ (pag. 5)>>.
Osserva come il contratto preliminare stipulato in data 8 marzo 2012 tra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, non fosse minimamente idoneo a dimostrare l’esistenza di proposte provenienti da aspiranti locatari nel periodo che va ‘dal 20.12.2009 al 22 marzo 2012’, in quanto il danno da occupazione abusiva di immobile, di cui all’art. 1591 c.c., costituendo una species del genus della responsabilità civile, non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con il mero evento dell’occupazione abusiva, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno.
Al contrario, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., secondo la ricorrente, il c.d. maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. è pur sempre un danno-conseguenza e pertanto il danneggiato, che ne chieda in giudizio il risarcimento, è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli. Pertanto, il maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. non può essere provato in base all’astratto valore locativo del bene, ma deve essere provato dal locatore nella sua esistenza e nel suo ammontare sulla base di concrete proposte provenienti da aspiranti locatari.
Conseguentemente, secondo la ricorrente, il contratto preliminare di locazione sottoscritto nel mese di marzo del 2012 con la RAGIONE_SOCIALE, sarebbe irrilevante ed inefficace sotto il profilo probatorio, anche come prova presuntiva, in ordine alla dedotta circostanza che nel periodo antecedente, a decorrere dal mese di febbraio 2009, l’Immobile avrebbe potuto essere locato alle medesime condizioni.
Aggiunge che il capo della sentenza impugnata, censurato nell’ambito del motivo di ricorso in esame, è affetto anche da un più grave e radicale vizio, avendo la Corte territoriale fornito una risposta meramente formale e apparente, non idonea ad assolvere all’onere motivazionale prescritto dagli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6°, Cost. in punto di esistenza della prova del maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. domandato dalla RAGIONE_SOCIALE.
Si duole che la corte territoriale, a fronte della necessità di valutare puntualmente l’esistenza della prova dei danni lamentati dall’intimata, lungi dal prendere puntualmente posizione su tale tematica, si è limitata ad affermare (p.5) di aver <>. Tanto più che questa stessa Corte con sentenza n. 25631/2018 aveva demandato al giudice di rinvio di <>, una volta accertata la loro ammissibilità.
In definitiva, secondo la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la Corte territoriale avrebbe violato gli artt. 1591 e 2727 c.c. nella parte in cui ha ritenuto provato il c.d. maggior danno in forza del contratto di locazione stipulato tra l’RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nel marzo 2012, nonché avrebbe violato l’art. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. per il carattere meramente apparente della motivazione fornita in relazione al medesimo elemento della prova del danno.
2.2. Con il secondo motivo la RAGIONE_SOCIALE denuncia <> nella parte in cui (pp. 5-6) la corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, pur inficiata da plurime anomalie, e, sulla base della stessa, ha determinato il canone locativo di mercato in euro 35.000,00
prendendo il canone mensile pagato da RAGIONE_SOCIALE dal giugno 2012 ed ha conseguentemente condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE somma dovuta a titolo risarcitorio ex art. 1591 c.c. con riferimento ai 27 mesi computati dal dicembre 2009 al marzo 2012 in euro € 482.494,59,(€ 35.000,00 -€ 17.129,53 ultimo canone pagato dall’appellata = € 17.870 x 27).
Osserva che già nelle note autorizzate depositate in data 8 giugno 2021 aveva osservato (p.8) che ‘a CTU è stata eseguita sui dati reperiti su due portali internet su tipologie di immobili ad uso Commerciale e ad uso Ufficio, senza neppure appurare se l’immobile avesse le caratteristiche tecniche affinché potesse essere al suo interno esercitata l’attività sanitaria’ (pagg. 3-4). In particolare, aveva contestato che <>.
In definitiva, secondo la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ricorrente, la documentazione relativa alle <> e <> sono stati acquisiti dal consulente tecnico con modalità illegittime, e cioè senza che sia stato effettuato alcun accesso presso ovvero alcuna interrogazione con modalità ufficiali degli uffici competenti e non essendo dunque possibile verificare la correttezza ovvero la veridicità del loro contenuto. Donde la violazione dell’art. 116 c.p.c. nella parte in cui la corte territoriale ha posto a fondamento della propria decisione anche le risultanze della
consulenza tecnica fondata su documenti inutilizzabili e, quindi, illegittimi.
Alla disamina dei motivi giova premettere che costituiscono jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte:
sia il principio per cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la qu Si tratta di principio coerente con il più generale orientamento ─ inaugurato da Cass. n. 10115 del 15/10/1997 e indirettamente avallato anche da Corte cost. n. 482 del 2000 (par. 5, penultimo capoverso) ─ che, ai fini della prova del maggior danno ex art. 1591 cod. civ., ammette da tempo anche la prova presuntiva eale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (cfr., tra le tante, Cass. n. 3955/2018);
sia il principio per cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi (che ricorre nella specie, ndr), il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la
sua potestas iudicandi , oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto RAGIONE_SOCIALE preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. n. 17790/2014; n. 13719/2006);
– sia il principio per cui la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instaura un <>, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione. Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (cfr., tra le tante, Cass. n. 4096/2007; n. 13719/2006). La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr., tra le tante, Cass. n. 25244/ 2013, n. 4018/2006).
Nel solco di tale consolidato orientamento, la più recente giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 7091/2022) <>.
Il primo motivo di ricorso è parzialmente fondato.
4.1. Occorre premettere che il danno da occupazione abusiva di immobile di cui all’art. 1591 c.c., costituendo una species del genus della responsabilità civile, non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con il mero evento dell’occupazione abusiva, che è viceversa un elemento del fatto, produttivo del danno. Al contrario, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., il c.d. maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. è pur sempre un danno-conseguenza e pertanto il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l’occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli.
Orbene, vero è che, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (inaugurato da Cass. n. 10115/1997; indirettamente avallato anche da Corte cost. n. 482 del 2000, par. 5, penultimo capoverso; ed affermato anche di recente, ad es da Cass. n. 6387/2018), ai fini della prova del maggior danno ex art. 1591 cod. civ., è ammissibile anche la prova presuntiva, purché idonea a dare in concreto la prova del danno del locatore (derivate dal fatto provato dal quale si risale al fatto ignoto) non in astratto (con riferimento al valore locativo dell’immobile), ma in concreto (sulla base RAGIONE_SOCIALE proposte di locazione ricevute). Tale prova deve consistere nella rigorosa dimostrazione che la ritardata restituzione dell’immobile ha concretamente pregiudicato la possibilità di locare il bene a terzi per un canone superiore all’ultimo corrispettivo convenuto con il conduttore inadempiente, non essendo sufficiente la mera prova del diverso e
maggior valore locativo di mercato (Cass. n. 23704/2016, n. 15899/2014 n. 1372/2012, n. 5051/2009).
Come pure è vero che – rispetto al più rigoroso indirizzo che considerava realizzato il requisito della “concretezza” della proposta di nuova locazione solo quando la proposta stessa sia stata formalizzata da un soggetto ben determinato con la indicazione precisa del canone offerto e RAGIONE_SOCIALE altre modalità del contratto – è stato precisato che occorre tener conto, sotto il profilo della rilevanza RAGIONE_SOCIALE presunzioni, del fatto che le vere e proprie trattative per la stipulazione di una nuova locazione con terzi si instaurano normalmente quando sussiste almeno la sufficiente certezza circa l’epoca dell’effettivo rilascio dell’immobile (Cass. n. 13628/2004), con la conseguenza che è stato ritenuto corretto l’uso della prova presuntiva quando dal fatto noto dell’avvenuta stipulazione di un nuovo contratto per un determinato canone mensile pochi mesi dopo il rilascio sia stato desunto il fatto ignoto della perdita di favorevoli occasioni di locazione già nel periodo in cui si era realizzata la mora del conduttore nella restituzione (Cass. n. 1224/2006).
4.2. Senonché, nel caso di specie, correttamente è stata evocata da parte ricorrente la violazione dell’art. 132 secondo comma n. 4, in quanto la motivazione sul perché è stato riconosciuto il danno dal 2009 al 2012 è praticamente inesistente.
L’unico appiglio motivazionale si rinviene a pagina 4 della sentenza impugnata là dove si legge: <>.
Ma il riferimento al rifiuto dell’accesso di potenziali clienti, anche se coordinato con il fatto che si è disposta c.t.u. cui pure si fra riferimento, in alcun modo rappresenta motivazione idonea ad
assolvere all’onere motivazionale prescritto dagli artt. 132, comma 2°, n. 4, c.p.c. e 111, comma 6°, Cost. in punto di esistenza della prova del maggior danno di cui all’art. 1591 c.c. domandato dalla RAGIONE_SOCIALE.
La corte territoriale – a fronte della necessità di valutare l’esistenza della prova dei danni lamentati dalla RAGIONE_SOCIALE – non ha preso posizione su tale questione, di rilevanza centrale nella causa, ma si è limitata ad affermare (p. 5) di aver <>.
Tanto affermando, la corte è incorsa nel vizio di motivazione apparente, in quanto ha omesso di esplicitare una qualunque ragione a fondamento dell’asserita valenza probatoria del contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nel marzo 2012, a fronte della circostanza per cui l’occupazione dell’Immobile si era protratta dal 2009.
Quanto precede tanto più che questa Corte, nella pronuncia cassatoria n. 25631/2018 aveva espressamente demandato alla corte di rinvio di <>, una volta accertata la loro ammissibilità.
5. Il secondo motivo è inammissibile.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 11892/2016; n. 13960/2014; n. 20119/2009 e n. 26965/2007), per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 116 c.p.c. è necessario considerare che, poiché l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ., è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta
una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi).
D’altronde, ormai da un decennio le Sezioni Unite di questa Corte con sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 hanno affermato che: <>.
Ne consegue che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo incasellabile né nel paradigma del n. 5 né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione del n. 4 dell’art. 132 c.p.c. nei
termini ora indicati), non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.
Il motivo, oltre che inammissibile, è anche infondato, in quanto parte ricorrente si duole dell’errata valutazione della ctu da parte della corte di rinvio, ma dimentica che quest’ultima, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ha valutato il danno sulla base (non del valore locativo del bene, ma) del contratto preliminare di locazione ed ha disposto la ctu esclusivamente al fine di verificare la congruità del canone convenuto con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Per le ragioni che precedono, dell’impugnata sentenza s’impone la cassazione in relazione alla violazione dell’art. 132 secondo comma n. 4, eccepita nel primo motivo del ricorso, assorbita l’ulteriore censura in detto motivo formulata e dichiarato inammissibile il secondo motivo, con rinvio alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che, in diversa composizione provvederà a rendere una motivazione intellegibile sull’appello, evidenziando le ragioni dell’eventuale dissenso dalla sentenza di primo grado, sulla base RAGIONE_SOCIALE ragioni dell’appello stesso e della prospettazione difensiva dell’appellata.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Stante l’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte:
– accoglie per quanto di ragione il primo motivo del ricorso, e, assorbita l’ulteriore censura in detto motivo articolata e dichiarato inammissibile il motivo secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, ad altra Sezione della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, comunque in diversa composizione personale, perché proceda