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Danno ritardata restituzione: la prova non è scontata

Una società locatrice ha citato in giudizio una clinica conduttrice per ottenere il risarcimento del maggior danno dovuto alla ritardata restituzione di un immobile, protrattasi per oltre tre anni. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13877/2024, ha annullato la decisione della Corte d’Appello che aveva riconosciuto il danno. La Suprema Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello meramente “apparente”, in quanto non spiegava in modo adeguato come un contratto preliminare stipulato nel 2012 potesse provare la perdita di occasioni di locazione fin dal 2009. L’ordinanza ribadisce che la prova del danno da ritardata restituzione non è automatica e richiede un onere probatorio rigoroso a carico del locatore e una motivazione esaustiva da parte del giudice.

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Danno da Ritardata Restituzione: Non Basta Affermarlo, Bisogna Provarlo

Il danno da ritardata restituzione di un immobile locato è una delle questioni più dibattute nel diritto immobiliare. Molti locatori ritengono che, una volta scaduto il contratto, il protrarsi dell’occupazione da parte del conduttore generi automaticamente un diritto al risarcimento per le occasioni perse. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 13877 del 17 maggio 2024, ci ricorda un principio fondamentale: il danno va provato rigorosamente e la motivazione del giudice deve essere solida e trasparente. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti: Una Restituzione Tardiva e la Richiesta di Risarcimento

La vicenda ha origine da un contratto di locazione tra una società immobiliare, proprietaria di un edificio, e una clinica privata. Il contratto scadeva nel febbraio 2009, ma la clinica ha liberato i locali solo nel giugno 2012, con oltre tre anni di ritardo.

La società proprietaria, ritenendo di aver subito un ingente pregiudizio economico, ha avviato un’azione legale per ottenere il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1591 del Codice Civile. Inizialmente, la richiesta si basava sulla perdita di un’offerta di locazione da parte di un terzo per un canone mensile molto più elevato rispetto a quello corrisposto dalla clinica. Successivamente, nel corso del giudizio, la società locatrice ha prodotto un contratto preliminare di locazione, stipulato nel marzo 2012 con un’altra società, che provava la possibilità concreta di rilocare l’immobile a condizioni più vantaggiose.

Il Lungo Percorso Giudiziario e i Principi della Cassazione

Il percorso giudiziario è stato complesso. Sia il Tribunale che la prima Corte d’Appello avevano respinto la domanda, ritenendo tardiva e quindi inammissibile la produzione del contratto preliminare del 2012. La questione è arrivata per una prima volta in Cassazione, la quale, con una sentenza precedente (n. 25631/2018), ha cassato la decisione d’appello, stabilendo due principi cruciali:

1. Ammissibilità delle prove sopravvenute: La produzione di documenti formatisi dopo le scadenze processuali deve essere valutata dal giudice, che può concedere una “rimessione in termini” se la parte non avrebbe potuto produrli prima.
2. Nessuna “domanda nuova”: La richiesta di risarcimento basata su un danno che si è concretizzato o aggravato in corso di causa non costituisce una domanda nuova, ma una semplice precisazione di quella originaria.

La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, la quale, seguendo le indicazioni della Suprema Corte, ha accolto la domanda della società locatrice, condannando la clinica al pagamento di una cospicua somma a titolo di risarcimento.

La Prova del Danno da Ritardata Restituzione e la Motivazione Apparente

È contro questa seconda decisione d’appello che la clinica ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione. Il motivo principale di censura era la violazione dell’art. 1591 c.c. e, soprattutto, il vizio di “motivazione apparente”.

La clinica ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel ritenere che un contratto preliminare stipulato nel marzo 2012 potesse, da solo, dimostrare l’esistenza di un danno per l’intero periodo di occupazione illegittima, a partire dal 2009. Secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza era inesistente, poiché si limitava ad affermare che il danno era provato sulla base di quel contratto e di una consulenza tecnica (CTU), senza spiegare il ragionamento logico che collegava quella prova, così tardiva, a tutto il periodo precedente.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata questa censura. Ha ribadito che il danno da ritardata restituzione non è in re ipsa, cioè non si presume automaticamente. Il locatore ha l’onere di provare di aver subito una lesione concreta al suo patrimonio, come la perdita di specifiche e favorevoli occasioni di vendita o locazione dell’immobile.

Sebbene la prova possa essere fornita anche in via presuntiva (ad esempio, desumendo la perdita di occasioni dalla stipula di un nuovo contratto vantaggioso poco dopo il rilascio), il giudice ha l’obbligo di esplicitare il suo percorso argomentativo. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha riscontrato una “motivazione apparente”. La Corte d’Appello si era limitata a elencare le fonti di prova (il contratto del 2012 e la CTU) senza spiegare perché e come quegli elementi fossero idonei a dimostrare un danno che si sarebbe protratto per i tre anni precedenti. Questa mancanza di argomentazione ha reso la decisione nulla, in quanto non permette di comprendere la logica giuridica che l’ha sostenuta.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica. Per ottenere il risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c., non è sufficiente lamentare la tardiva restituzione dell’immobile. Il locatore deve attivarsi per raccogliere prove concrete di occasioni perse durante il periodo di occupazione abusiva. A sua volta, il giudice che riconosce tale danno deve fornire una motivazione completa e logica, spiegando come le prove acquisite dimostrino effettivamente il pregiudizio per l’intero periodo richiesto. Una motivazione generica o tautologica non è sufficiente e rischia di portare all’annullamento della sentenza. La causa è stata quindi nuovamente rinviata alla Corte d’Appello di Roma, che dovrà riesaminare il caso e fornire, questa volta, una motivazione intellegibile e giuridicamente solida.

Il danno da ritardata restituzione di un immobile è automatico?
No. Secondo la giurisprudenza costante richiamata nell’ordinanza, il maggior danno previsto dall’art. 1591 c.c. non è in re ipsa (automatico). Il locatore che chiede il risarcimento deve provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio, come la perdita di concrete occasioni di locare l’immobile a condizioni più vantaggiose.

Una prova formatasi anni dopo l’inizio del ritardo può dimostrare il danno per l’intero periodo?
Sì, ma a condizione che il giudice fornisca una motivazione adeguata. Sebbene un contratto stipulato poco dopo il rilascio possa essere usato come prova presuntiva, il giudice deve spiegare logicamente come da quel fatto noto (il contratto del 2012) si possa desumere il fatto ignoto (la perdita di occasioni dal 2009). La semplice affermazione che il danno è provato da quel contratto, senza ulteriori argomentazioni, non è sufficiente.

Cosa si intende per “motivazione apparente” e quali sono le conseguenze?
Si ha una “motivazione apparente” quando la sentenza, pur presentando un testo, omette di esplicitare le ragioni logico-giuridiche della decisione, limitandosi a enunciazioni generiche o a richiamare le prove senza spiegare la loro rilevanza. Come stabilito dalla Corte, questo vizio equivale a una mancanza di motivazione e comporta la nullità della sentenza, con conseguente annullamento e rinvio della causa a un altro giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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