Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2192 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2192 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 34300-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6143/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale Ordinario di Roma la RAGIONE_SOCIALE per sentire dichiarare risolto per inadempimento il contratto di acquisto di un’opera pittorica intercorso
con la RAGIONE_SOCIALE d’asta, con condanna di essa convenuta alla restituzione del prezzo e al risarcimento dei danni, oltre al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, per responsabilità extracontrattuale in ordine alla lesione subí ta dall’a ttore al proprio patrimonio.
1.1. A sostegno della sua pretesa spiegava l’attore di avere acquistato, in data 16.05.1986 ad un’asta promossa dalla società convenuta, un quadro a firma COGNOME intitolato «Paesaggio lacustre», per un importo di 20 milioni di vecchie Lire, la cui paternità risultava avvalorata da un’ expertise della professoressa NOME COGNOME. Dettagliava l’attore che, avendo deciso di vendere il detto quadro nel 1997, si rivolgeva alla stessa RAGIONE_SOCIALE che valutava il dipinto poco più di L.20.000.000. A séguito di ulteriori indagini, l’attore scopriva la non autenticità dell’opera: si accertava che un’altra mano, forse dopo la morte dell’artista, ave va terminato il dipinto, e che anche la firma apocrifa del COGNOME COGNOME stata sostituita a quella originaria, che risultava cancellata.
1.2. Il Tribunale di Roma dichiarava risolto il contratto per inadempimento ( aliud pro alio ) e condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di €11.879,00 in favore del COGNOME, oltre interessi legali, rigettando ogni altra domanda risarcitoria proposta dall’attore.
Avverso detta pronuncia NOME COGNOME interponeva gravame, censurandola nella parte in cui rigettava la domanda di risarcimento del danno, contrattuale ed extracontrattuale.
2.1. La Corte d’Appello di Roma, ogni ulteriore domanda respinta, rigettava integralmente il gravame principale confermando la sentenza appellata. A sostegno della sua decisione osservava la Corte, per quel che qui ancora rileva:
dall’accertata situazione giuridica (risoluzione del contratto per aliud pro alio ) non deriva il risarcimento del danno consistente nel maggior valore che l’opera avrebbe conseguito nel tempo se fosse stata autentica: ferma restando l’alea delle vendite all’asta, il COGNOME non ha fornito prova in ordine al valore di un dipinto del COGNOME del tutto similare a quello oggetto di controversia, né in ordine al periodo di realizzazione del dipinto, ove lo stesso fosse stato autentico;
l’impossibilità di determinare un danno risarcibile, nonché la mancanza di fattori oggettivi da cui desumere il pregiudizio anche in astratto, comporta l’impossibilità per il giudice di ricorrere ad una valutazione equitativa del danno da inadempimento asseritamente subìto;
quanto al danno extracontrattuale ex artt. 2043 e 2059 cod. civ., manca qualsiasi allegazione probatoria in ordine alla lesione del diritto dominicale derivante dall’acquisto del dipinto, e di una lesione all’integrità del proprio patrimonio. Né è emerso alcun dolo della RAGIONE_SOCIALE d’asta RAGIONE_SOCIALE nel porre in vendita il dipinto in questione, tale da giustificare l’asserita violazione di norme penali che disciplinano i casi di messa in commercio di opere false, non potendo dette fattispecie essere integrate dall’asserita negligenza dell’appellata, eventualmente rilevante sotto un profilo civilistico.
Per la cassazione della suddetta pronuncia NOME COGNOME proponeva ricorso, affidandolo a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE si difendeva depositando controricorso.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ. – violazione delle seguenti norme di diritto, comportante anche la nullità del procedimento e della sentenza: art. 2697, comma 1, cod. civ., art. 61, comma 1, 62 e 115, comma 1, cod. proc. civ.; art. 2729, comma 1, cod. civ. e art. 116, comma 1, cod. proc. civ. art. 1226 cod. civ. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. Il ricorrente censura in più punti la sentenza impugnata per aver ritenuto non provato il danno corrispondente alla plusvalenza che il dipinto «Paesaggio lacustre» avrebbe conseguito nel tempo se fosse stato autentico.
Innanzitutto, si denuncia violazione della legge processuale, poiché la Corte d’Appello ha rigettato la domanda attorea per difetto di prova senza al contempo disporre il rinnovo della C.T.U. già espletata in prime cure, come pure richiesto dall’odierno ricorrente.
Una seconda censura riguarda l’aver il giudice posto a base della propria decisione di rigetto un’asserzione della C.T.U. riferita alla qualità modestissima del dipinto non autentico.
Un ‘ ulteriore doglianza consiste nell’aver completamente omesso di esaminare un fatto, il periodo di realizzazione del dipinto, pure ritualmente acquisito in giudizio, desumibile dal catalogo dell’asta romana del 1986, nonché dalle osservazioni scritte della professoressa COGNOME acquisite dalla C.T.U.
Inoltre, prosegue il ricorrente, avrebbe errato la Corte d’Appello nel non fare uso delle presunzioni semplici, posto che erano disponibili fatti noti sul valore di un dipinto autentico del COGNOME di pari dimensioni derivanti da diverse risultanze probatorie.
Infine, avrebbe errato il giudice di seconde cure nel ritenere preclusa la liquidazione equitativa del danno: l’art. 1226 cod. civ. consentiva, infatti, di procedere a una difficile, ma non impossibile liquidazione, a prescindere dal fatto che nelle RAGIONE_SOCIALE private sia riscontrabile una sorta di alea che influenza il prezzo di aggiudicazione e, quindi, la quotazione del bene.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili proposti.
1.2. Preliminarmente, deve disattendersi la censura sollevata dalla controricorrente (p. 6 memoria ex art. 380bis, 1 cod. proc. civ., penultimo capoverso) di inammissibilità del motivo per c.d. «doppia conforme»: ipotesi prevista dall’art. 348 -ter , comma 5, cod. proc. civ. e applicabile, ratione temporis , ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012: il giudizio in esame è stato introdotto in appello con notificazione del 25.07.2008, dunque ben prima dell’entrata in vigore della norma richiamata.
1.3. Tanto premesso, è inammissibile la censura relativa alla mancata disposizione in appello del rinnovo della C.T.U. Sotto le mentite spoglie della violazione di legge, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. Come è noto, invero, in tema di procedimento civile sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento ( ex plurimis : Cass. Sez. 2, n. 19717/2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’8 .08.2019). Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha chiaramente argomentato – in ordine alla mancata rinnovazione della C.T.U. – che la richiesta del danno risarcibile, consistente nel maggior valore che l’opera avrebbe conseguito nel tempo, avrebbe trovato accoglimento se l’attore avesse dimostrato tale differenza di maggior valore (v. sentenza, p. 5 ultimo capoverso). Ad insindacabile valutazione del giudice di seconde cure, secondo un ragionamento ritenuto dal Collegio plausibile, non spettava alla C.T.U. fornire tale prova, ma allo stesso attore; il quale, tuttavia, non è stato in grado di dimostrare l’esistenza e il valore di mercato di un dipinto dello stesso Autore del tutto similare a quello oggetto di controversia, avuto riguardo alle dimensioni, nonché all’epoca storico -artistica del dipinto.
Sulla questione, poi, della datazione del dipinto, la Corte d’Appello non ha mai affermato l’assenza di prova in ordine all ‘epoca del dipinto acquistato: contrariamente all’assunto del ricorrente, la cui doglianza non attinge alla ratio dell’argomentazione del giudice del merito, la Corte ha, invece, ritenuto non fornita la prova del valore del dipinto in ordine al periodo storico-artistico di realizzazione della tela se questa fosse stata autentica (p. 6, righi 9-11 della sentenza). Del resto, a giudizio della Corte territoriale, le prove prodotte dal COGNOME (consulenza di parte con allegati pareri di stima; testimonianza resa dal responsabile del dipartimento dipinti del XIX secolo della RAGIONE_SOCIALE) non hanno fornito evidenza: a) in ordine al valore di un dipinto del COGNOME del tutto similare; b) in ordine al periodo di realizzazione del quadro acquistato se lo stesso fosse stato autentico (p. 6, righi 9-12). Dalle suddette risultanze probatorie, invece, si
ricavano valori di stima riferiti ad opere autentiche del COGNOME ma di dimensioni più modeste, ovvero realizzati con materiali meno pregiati (così testualmente lo stesso ricorso, p. 8 ultimo capoverso); né esse hanno fornito alcuna stima riguardante un ‘opera autentica del COGNOME risalente al medesimo periodo (1918/19) del dipinto non autentico acquistato dal COGNOME.
Da quanto sopra detto risulta chiaro, inoltre, come il giudice di seconde cure non abbia rigettato la domanda del l’appellante affidandosi ai dubbi espressi dalla C.T.U. (secondo la quale, essendo il dipinto di modestissima fattura, non era ipotizzabile un significativo incremento di valore): chè tali dubbi non sono decisivi, bensì si «aggiungono a completamento della superiore disamina» (p. 6, rigo 21 della sentenza).
Correttamente, infine, il giudice di seconde cure ha escluso il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 1226 cod. civ., non essendo stato provato l’ an di un danno risarcibile. Né poteva la Corte d’Appello ricorrere alle presunzioni semplici, avendo ritenuto -nella valutazione propria del merito -non attendibili le prove dedotte dal ricorrente quali fatti noti dai quali desumere il fatto ignorato (l’esistenza del danno da inadempimento).
Con il secondo motivo si deduce violazione delle seguenti norme di diritto, comportante anche la nullità del procedimento e della sentenza: art. 2697, comma 1, cod. civ., art. 61, comma 1, 62 e 115, comma 1, cod. proc. civ.; art. 2729, comma 1, cod. civ. e art. 116, comma 1, cod. proc. civ.; art. 1226 cod. civ.; art. 3, comma 2, legge n. 1062/1971; art. 2043 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) cod. proc. civ. Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. Il ricorrente
censura la pronuncia per aver escluso il risarcimento del danno anche a titolo di responsabilità extracontrattuale: avrebbe errato il giudice del merito, sia nel ritenere non fornita alcuna prova in ordine al danno subìto, sia nel non riconoscere la condotta dolosa della RAGIONE_SOCIALE sulla base delle risultanze istruttorie disponibili, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 2, legge n. 1062/1971 . Sotto questo profilo, precisa il ricorrente che, allegate alla C.T.U., vi sono osservazioni scritte dell’esper ta NOME COGNOME (il cui parere favorevole era stato acquisito da RAGIONE_SOCIALE al tempo della vendita del dipinto ) ove si dice espressamente che ella aveva ipotizzato, anche nella sua prima interpretazione, che il dipinto fosse stato abbozzato dal maestro e rimaneggiato da terzi dopo la sua morte. In ogni caso, conclude il ricorrente, anche la colpa grave della RAGIONE_SOCIALE d’ast e sarebbe stato elemento soggettivo idoneo per addivenire comunque all’accertamento della responsabilità extracontrattuale di RAGIONE_SOCIALE, ex art. 2043 cod. civ.
2.1. Giova premettere che ogni riferimento al danno da inadempimento contrattuale resta assorbito da quanto precedentemente argomentato (v. supra , punto 1.3.).
2.2. Con riferimento al danno extracontrattuale, le doglianze del ricorrente in merito alla sussistenza del dolo (ai fini dell’integrazione della fattispecie di reato ex art. 3, comma 2, legge 20 novembre 1971, n. 1062, applicabile ratione temporis : normativa abrogata dal d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a sua volta abrogato dal d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) sono inammissibili. Occorre, sul punto, precisare che la disposizione citata prevedeva una fattispecie di reato del tutto estranea alla valutazione, in sede civile, della sussistenza del dolo. L’eventuale sussistenza del dolo i n sede
civile, ai fini e per gli effetti dell’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., non è stata ritenuta provata in sede di merito. La normativa (art. 2, legge n. 1062 del 1971, ora trasfuso nell’art. 64 D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio) prescrive la messa a disposizione dell’acquirente del l’attestato di autenticit à e di provenienza dell’oper a, unitamente alla sua copia fotografica con retroscritta dichiarazione di autenticità e indicazione della provenienza. Tale documentazione è stata prodotta dalla convenuta già in primo grado, unitamente all’ expertise , con ciò assolvendo -ad insindacabile giudizio delle Corte di merito -all’onere di dimostrare l’impiego della diligenza professionale di cui all’art. 1176, comma 2, cod. civ. (arg. da Cass. Sez. 1, n. 2039 del 26.01.2018; Cass. n. 7299 del 03.07.1993). D el resto, l’acquisiz ione di un ulteriore parere della stessa esperta a distanza di oltre vent’ anni dimostra la logicità e congruità del ragionamento seguito dal giudice del merito, posto che l’autrice dell’ expertise -nelle osservazioni scritte acquisite dalla C.T.U. – ammette di formulare un’ipotesi d i non autenticità del dipinto di cui è causa alla luce della nuova documentazione e a séguito de ll’esame dell’opera in laboratorio .
2.3. Quanto finora detto vale, in definitiva, a confermare l ‘incesurabilità del ragionamento della Corte di merito laddove -lungi dall’ imputare alla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE una non consentita responsabilità oggettiva – ha escluso, a prescindere dalla buona fede dell’odierna controricorrente, la sussis tenza dell’elemento soggettivo della colpa ex art. 2043 cod. civ.
Il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in
favore della controricorrente, che liquida in € 6.000,00 per compensi, oltre €200,00 per esborsi ed agli accessori di legge nella misura del 15%.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda