Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4144 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4144 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1685/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME, pec EMAIL, e tutti elettivamente domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, e NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME, pec EMAIL;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 215/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 10/06/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa data 10/06/2021, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE per la condanna della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dalle società attrici a seguito della pubblicazione sul sito RAGIONE_SOCIALE (edito dalla RAGIONE_SOCIALE e diretto dalla COGNOME) della notizia relativa all’arresto dei signori NOME e NOME COGNOME, titolari di una ditta operante nel settore del commercio di giocattoli e del marchio ‘ mister toys ‘, indagati dalla magistratura penale in relazione alla presunta commissione di reati di natura fiscale;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come, al di là delle altre questioni di natura processuale e sostanziale dedotte in giudizio dalle parti, il giudice di primo grado avesse correttamente rilevato la mancata dimostrazione, da parte delle società attrici, dell’effettivo ricorso di conseguenze dannose concretamente ricollegabili al comportamento illecito ascritto alla RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME, tenuto conto che, in ragione dei contenuti obiettivamente diffusi sul sito internet e sulla pagina Facebook di RAGIONE_SOCIALE contestati in questa sede, dovesse escludersi l’obiettiva e inequivoca riconducibilità, delle vicende penali narrate, ai responsabili delle società attrici, avuto riguardo all’esclusivo riferimento, delle notizie pubblicate dalla RAGIONE_SOCIALE, ai soli fratelli COGNOME attivi nel territorio di Caserta, senza alcun riferimento o indicazione relativi ai fratelli
RAGIONE_SOCIALE e alle relative attività imprenditoriali in Taranto (se non per la foto e taluni altri dati inessenziali), con la conseguente esclusione di ogni possibile confondibilità delle attività imprenditoriali dei COGNOME con quelle dei RAGIONE_SOCIALE, confondibilità, peraltro, la cui eventuale riconducibilità ai convenuti sarebbe stata indimostrabile, attesa l’indiscernibilità di tale causa efficiente rispetto alla responsabilità della stessa RAGIONE_SOCIALE per avere quest’ultima fatto uso, nella propria insegna e nel proprio dominio Internet, del marchio ‘ Mister RAGIONE_SOCIALE ‘ di cui i fratelli COGNOME erano incontestatamente risultati i titolari;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha evidenziato come la stessa riduzione delle visite del sito Internet e delle vendite delle società attrici fosse stata dedotta senza alcun adeguato sostegno probatorio, idoneo a consentire il riscontro della relativa riconducibilità causale alla diffusione delle notizie contestate ad opera delle parti originariamente convenute;
avverso la sentenza d’appello, la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE propongono ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione;
la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME resistono con un comune controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la rilevabilità d’ufficio della questione concernente la titolarità, in capo alla RAGIONE_SOCIALE, del dominio Internet e della stessa azienda asseritamente danneggiata dai convenuti (con il seguente rilievo del relativo difetto di legittimazione attiva): questione
che, non decisa dal primo giudice, non è stata mai fatta valere dalle controparti in sede di appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c.;
con il secondo motivo, le ricorrenti si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 111, co. 6, Cost. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale posto a fondamento della propria decisione una motivazione illogica, segnatamente nella parte in cui ha escluso la configurabilità dell’illecito civile delle controparti in ragione della mancanza, nel caso di specie, del dolo tipico del reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p.c., in contrasto con quanto espressamente previsto dall’art. 2043 c.c. là dove sanziona l’illiceità civile di qualunque fatto ingiustamente dannoso, tanto se commesso dolosamente quanto se compiuto colposamente;
con il terzo motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la configurabilità dell’illecito civile ascritto alle controparti per assenza del dolo tipico del reato di diffamazione di cui all’art. 595 c.p., attesa la piana configurabilità dell’illecito civile anche in caso di condotta colposa del danneggiante ai sensi dell’art. 2043 c.c.;
con il quarto motivo, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c., anche in relazione agli artt. 6, 7, 8 e 9, 2563 ss. e 2569 ss. e 12 ss. c.p.i. (codice della proprietà industriale), nonché dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere, da un lato, erroneamente affermato l’insussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire in capo alla RAGIONE_SOCIALE in contrasto con gli elementi istruttori acquisiti al giudizio e, dall’altro, per avere erroneamente disconosciuto il carattere distintivo del dominio
www.mistertoysmegastore.com , negando illegittimamente la conseguente tutela risarcitoria in capo alla RAGIONE_SOCIALE a cui lo stesso domain name risulta riconducibile;
tutti e quattro i motivi, in quanto riferiti a questioni concernenti l’ an della responsabilità delle parti originariamente convenute nella causazione del fatto dannoso dedotto in giudizio, devono ritenersi assorbiti dal successivo riscontro dell’inammissibilità del quinto e del sesto motivo (concernenti l’accertamento negativo del quantum debeatur ) sulla base delle argomentazioni di seguito esposte;
con il quinto motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 6, 7, 8 e 9 c.c., nonché degli artt. 2563 ss. e 2569 ss. c.c. e 12 ss. c.p.i. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto non provati i danni oggetti della domanda risarcitoria originariamente proposta delle odierne società ricorrenti, in contrasto con i principi che presiedono alla tutela del nome e dei segni distintivi dell’impresa ai sensi delle norme espressamente richiamate in ricorso;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come le società odierne ricorrenti contestino la valutazione operata da entrambi i giudici di merito circa l’effettiva insufficienza degli elementi di prova acquisiti ai fini della dimostrazione di conseguenze dannose in ipotesi dalle stesse sofferte, con riguardo al pregiudizio al nome e ai segni distintivi dalle stesse utilizzati;
sul punto, la corte territoriale ha sottolineato come la consistenza obiettiva dei contenuti della pubblicazione diffusa dagli originari convenuti non fosse valsa a determinare alcuna confusione lesiva delle ragioni delle società odierni ricorrenti, avuto riguardo alla specificazione dell’inequivoca riferibilità delle notizie propalate da RAGIONE_SOCIALE ai soli fratelli COGNOME, e all’altrettanto obiettiva ed
inequivoca identificazione, nel casertano, del luogo dell’attività sottoposta a indagine penale, senza alcuna possibilità di confusione con le società odierne ricorrenti, attive nel tarantino;
da qui l’accertata esclusione di alcuna conseguenza concretamente lesiva riscontrabile a carico delle odierne società ricorrenti; e tanto, al di là della mancata dimostrazione, da parte di queste ultime, della sussistenza effettiva dei presupposti di fatto idonei a legittimare la rivendicata tutelabilità giuridica dei segni distintivi richiamati in ricorso;
ciò posto, osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, le ricorrenti -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si siano limitati ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis , Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica delle ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente le stesse nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate dalle odierne ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata
congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
con il sesto motivo, le società ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 n. 4 e dell’art. 111, co. 6, Cost. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione contraddittoria a fondamento della decisione assunta, sostenendo, da un lato, l’assenza di alcuna confusione tra la ditta delle odierni ricorrenti e quella dei COGNOME e, successivamente, sostenuto la tesi contraria della confusione tra tali ditte in relazione al punto concernente l’insussistenza del danno e del nesso eziologico tra il fatto illecito ascritto alle controparti e l’evento dannoso denunciato;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come le società odierne ricorrenti non abbiano còlto con esattezza la ratio della decisione impugnata;
al riguardo, varrà considerare come la corte territoriale abbia affermato, in modo inequivocabile, che le notizie diffuse da RAGIONE_SOCIALE in relazione al caso di specie non ebbero a determinare alcuna confusione tra la ditta delle odierne società ricorrenti e quella dei RAGIONE_SOCIALE;
ferma tale (decisiva) premessa, il giudice a quo ha inoltre aggiunto (esclusivamente ad colorandum ) come, pur quando volesse ammettersi, in via meramente astratta ed ipotetica , l’avvenuta verificazione di una simile confusione, del tutto impossibile si sarebbe rivelata l’operazione vòlta all’identificazione della causa di tale eventuale confusione; se cioè dovuta alla diffusione della notizia incriminata da parte di RAGIONE_SOCIALE , ovvero, al contrario, all’uso, da parte delle società odierne ricorrenti, di segni distintivi che erano risultati di titolarità della ditta RAGIONE_SOCIALE;
deve dunque escludersi alcuna contraddittorietà nel ragionamento elaborato dal giudice d’appello, avendo quest’ultimo avuto cura di procedere all’esposizione dell’unica ratio decidendi prescelta (l’assenza di alcuna confusione), a sua volta confortata ( ad colorandum ) attraverso la controprova logica del ragionamento per assurdo, destinato a concludersi nel senso per cui l’eventuale riconducibilità di una simile (ipotetica) confusione al fatto illecito dei convenuti sarebbe stata, in ogni caso, non dimostrabile, in ragione dell’irriducibile indiscernibilità delle relative cause efficienti (il fatto illecito dei convenuti o, al contrario, l’uso, da parte delle ricorrenti, dei segni distintivi risultati di titolarità della ditta dei RAGIONE_SOCIALE);
sulla base di tali premesse, rilevata l’inammissibilità del quinto e del sesto motivo (assorbiti i restanti), dev’essere dato atto dell’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al rimborso, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione