Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25940 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25940 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14063/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n. 321/2021 depositata il 18/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
il Tribunale di Ancona ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME e della Ubi Banca per il risarcimento del danno arrecato alla propria immagine personale e professionale in conseguenza dell’ingiusto protesto di un assegno ;
l ‘appello del COGNOME COGNOME stato a sua volta respinto dalla C orte d’appello di Ancona in ragione del mancato riscontro probatorio del pregiudizio lamentato;
n ello specifico la corte d’appello -svolta la premessa in ordine all’attuale abbandono giurisprudenziale della tesi del danno in re ipsa , così che la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno stesso, da provarsi anche mediante presunzioni semplici -ha osservato: (i) che la domanda era risultata carente già in termini di allegazione, non essendo stati specificati gli elementi di fatto rilevanti ai fini del danno risarcibile al netto d ell’incarico ricoperto dall’attore quale direttore o amministratore di una importante società inglese; (ii) che alla carente
allegazione aveva fatto seguito l’omessa articolazione di adeguati mezzi istruttori finalizzati a provare l’esistenza e l’entità del pregiudizio; (iii) che non poteva farsi luogo alla liquidazione del danno in via equitativa in mancanza della prova dell’esistenza (ontologica) di un danno ;
per la cassazione della sentenza, il COGNOME ha proposto ricorso in tre motivi;
gli intimati hanno replicato con distinti controricorsi e altrettante memorie.
Considerato che:
I. -il ricorrente denunzia, col primo mezzo, la violazione degli artt. 1 e 5 della l. n. 386 del 1990, per avere la corte territoriale rettamente opinato in ordine alla illegittimità della circolazione dell’assegno bancario posto a fondamento del giudizio e tuttavia operato uno scarto logico a proposito della prova del danno all’immagine e reputazionale , avendo in vero tralasciato le conseguenze che, ope legis , seguono al protesto di un assegno bancario soprattutto il divieto di emettere assegni per periodo variabile sulla base dell’esercizio del potere/dovere della competente prefettura; tali conseguenze si sarebbero dovute considerare come pregiudizievoli in rapporto allo status del ricorrente quale amministratore di società;
II. – il motivo è inammissibile perché risolto in una mera riproposizione della tesi secondo la quale il danno si sarebbe dovuto ritenere allegato e provato in base al semplice nesso con l’attività svolta dal ricorrente ;
in contrario si osserva che il danno era stato invocato in relazione all’immagine personale e professionale del ricorrente siccome conseguente all’illegittimo protesto di un assegno ;
la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio in ordine all’esistenza di un danno alla reputazione, non è, di per sé sufficiente per la liquidazione del danno, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando inoltre l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (v., in senso conforme ai riferimenti dell’impugnata sentenza, Cass. Sez. 3 n. 2226-12, Cass. Sez. 6-1 n. 21865-13, Cass. Sez. 1 n. 23194-13);
si tratta di principio del tutto pacifico, peraltro sostenuto da rilievi comuni a distinte fattispecie, sia per le persone fisiche che per le persone
giuridiche; principio declinato dal rilievo che ogni pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine e alla reputazione commerciale o professionale, non costituisce un mero danno-evento, e cioè in re ipsa , ma deve essere oggetto di allegazione e prova, anche tramite presunzioni semplici (cfr. tra le più recenti Cass. Sez. 3 n. 19551-23, Cass. Sez. 3 n. 34026-22, Cass. Sez. 1 n. 11446-17; e v. pure, in altre fattispecie di danno del genere, Cass. Sez. 1 n. 479-23, Cass. Sez. 1 n. 26801-23);
III. -l ‘ epilogo indiscusso del percorso giurisprudenziale induce a rifiutare qualsivoglia automatismo valutativo; sicché l’insistere su un difforme criterio da parte dell’attuale ricorrente -ben vero senza argomenti idonei a un mutamento di indirizzo – integra la condizione di inammissibilità del mezzo ai sensi dell’art. 360 -bis, n. 1, cod. proc. civ.;
-il secondo motivo denunzia l’o messo esame delle censure rivolte alla banca negoziatrice e l’ ingiustificata esclusione dei mezzi di prova, non avendo la corte d’appello trattato tutte le questioni sollevate in relazione al comportamento della banca, e limitato. Invece, la propria espressione alla questione della illegittimità del protesto e del risarcimento del danno;
il motivo è inammissibile perché generico in prospettiva di autosufficienza, non essendo specificato a quali ulteriori e decisive ‘questioni’ il ricorrente abbia inteso correlare la censura;
-il terzo motivo attiene al governo delle spese;
si assume la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. non avendo la corte d’appello fatto buon governo delle norme sulla condanna alle spese, delle quali avrebbe dovuto disporre la compensazione;
il motivo è inammissibile perché in tema di spese processuali la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà; ne segue che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (v. Cass. Sez. U n. 14989-05, cui adde , ex aliis , Cass. Sez. 6-3 n. 11329-19);
VI. -le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida, per ciascuna delle parti costituite, in 5.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, addì