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Danno non patrimoniale: prova e onere per le società

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20871/2024, ha chiarito i principi sull’onere della prova per il risarcimento del danno non patrimoniale e del lucro cessante richiesto da una società. Il caso riguardava l’opposizione allo stato passivo di un fallimento. La Corte ha stabilito che la prova del danno all’immagine non può essere rigettata solo per la mancata produzione dei bilanci, in quanto si tratta di un pregiudizio non patrimoniale da dimostrare anche con presunzioni. Ha inoltre confermato che il lucro cessante richiede una prova rigorosa della sua esistenza, non bastando mere ipotesi. Infine, ha ribadito il diritto al rimborso delle spese legali per il creditore vittorioso in sede di opposizione.

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Danno non patrimoniale alle società: la Cassazione fissa i paletti sulla prova

Con la recente ordinanza n. 20871 del 26 luglio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per le imprese: il risarcimento del danno non patrimoniale. La decisione chiarisce in modo netto la distinzione tra la prova richiesta per il danno all’immagine e quella per il lucro cessante, stabilendo principi fondamentali per le azioni legali in ambito commerciale e fallimentare. La Corte ha sottolineato che, mentre il mancato guadagno esige una dimostrazione rigorosa, la lesione alla reputazione può essere provata anche con presunzioni, e la sua valutazione non può essere ancorata unicamente a documenti contabili come i bilanci.

I Fatti di Causa: una richiesta di risarcimento respinta

Una società concessionaria di pubblicità aveva proposto opposizione allo stato passivo del fallimento di una società media, chiedendo di essere ammessa per un ingente credito. Tale credito derivava dal risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento contrattuale della società poi fallita. La richiesta si divideva in due voci principali: una per i danni patrimoniali, quantificati come mancato guadagno (lucro cessante) per oltre due milioni di euro, e una per il danno non patrimoniale all’immagine e alla reputazione commerciale, per 500.000 euro.

Il Tribunale aveva parzialmente accolto l’opposizione, ammettendo solo una piccola somma per spese di giustizia, ma aveva respinto le domande risarcitorie principali. Secondo i giudici di merito, la società opponente non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare né l’entità del mancato guadagno, né l’esistenza e la gravità del danno alla reputazione, criticando in particolare la mancata produzione dei bilanci d’esercizio.

La Prova del Lucro Cessante e del danno non patrimoniale

La società ricorrente ha impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando diversi vizi. I motivi di ricorso si sono concentrati sull’errata valutazione delle prove e sulla violazione delle norme che regolano l’onere probatorio.

La reiezione della domanda per mancato guadagno

La Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale sul punto del lucro cessante. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il danno da mancato guadagno non può essere meramente ipotetico. Chi lo richiede deve fornire la prova, anche indiziaria, dell’utilità patrimoniale che avrebbe concretamente conseguito se il contratto fosse stato eseguito. La liquidazione equitativa da parte del giudice è possibile solo se l’esistenza del danno è certa, mentre nel caso di specie il Tribunale aveva correttamente ritenuto che la società non avesse adempiuto a questo onere probatorio.

L’errore del Tribunale sulla prova del danno all’immagine

La vera svolta della pronuncia riguarda il danno non patrimoniale. La Corte ha accolto il motivo di ricorso su questo punto, ritenendo fondata la censura della società ricorrente. Il Tribunale aveva errato nel rigettare la domanda basandosi esclusivamente sulla mancata produzione dei bilanci d’esercizio. Secondo la Cassazione, i bilanci sono documenti che espongono dati economico-patrimoniali e non sono, di per sé, significativi per dimostrare un pregiudizio di natura non patrimoniale come la lesione della reputazione commerciale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha ribadito che anche gli enti collettivi, come le società, possono subire un danno non patrimoniale risarcibile, consistente nella lesione di diritti immateriali costituzionalmente protetti, come l’immagine e la reputazione. Tuttavia, tale danno non è in re ipsa, cioè non si presume automaticamente per il solo fatto dell’inadempimento. Deve essere allegato e provato da chi ne chiede il risarcimento.

L’errore del Tribunale è stato quello di limitare i mezzi di prova a un unico strumento (i bilanci), peraltro inadeguato allo scopo. La prova della lesione alla reputazione può essere fornita attraverso presunzioni e altri elementi indiziari, come la notorietà dell’impresa nel suo settore, la gravità dell’inadempimento subito e le sue ripercussioni sulla percezione del mercato (clienti, fornitori, concorrenti).

Inoltre, la Corte ha accolto anche il motivo relativo alla condanna alle spese processuali. Ha chiarito che, nei giudizi di opposizione allo stato passivo, si applica la regola generale della soccombenza. Pertanto, il creditore che risulta vittorioso, anche se sulla base di documenti prodotti per la prima volta in quella sede, ha diritto al rimborso delle spese legali.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione cassa con rinvio il decreto del Tribunale, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Le implicazioni pratiche sono rilevanti: le imprese che lamentano un danno alla reputazione non possono vedersi rigettare la domanda solo perché non producono i bilanci. Dovranno, però, articolare un quadro probatorio, anche presuntivo, che dimostri concretamente il pregiudizio subito nella considerazione del mercato. La sentenza distingue nettamente l’onere probatorio per il danno patrimoniale, che resta rigoroso, da quello per il danno non patrimoniale, per il quale il giudice deve valutare un insieme più ampio di circostanze, non limitandosi a una visione puramente contabile.

Come può una società dimostrare di aver subito un danno non patrimoniale alla reputazione?
Secondo la Corte, la prova non può basarsi solo su documenti contabili come i bilanci. La società deve allegare e provare, anche tramite presunzioni, gli elementi che dimostrano la lesione. Questi possono includere la notorietà della società nel suo settore, la gravità dell’inadempimento subito dalla controparte e le circostanze di fatto da cui si può desumere un calo della considerazione commerciale e dell’affidabilità percepita dal mercato.

Il risarcimento per mancato guadagno (lucro cessante) è automatico in caso di inadempimento contrattuale?
No. La Corte ha confermato che il risarcimento per lucro cessante non è automatico né può basarsi su guadagni meramente ipotetici. La parte che lo richiede ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, l’esistenza certa del danno, cioè l’utilità patrimoniale che avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta. Senza questa prova, il giudice non può procedere a una liquidazione, neanche in via equitativa.

Se un creditore vince un’opposizione allo stato passivo, ha diritto al rimborso delle spese legali?
Sì. La Corte ha stabilito che nei giudizi di opposizione allo stato passivo si applica la regola generale dell’art. 91 c.p.c. (principio della soccombenza). Di conseguenza, l’opponente che risulta vittorioso ha diritto al rimborso delle spese processuali, anche se la vittoria è ottenuta grazie a documenti prodotti per la prima volta nel giudizio di opposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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