Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20871 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 15935-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il DECRETO N. 7093/2020 del TRIBUNALE DI ROMA, depositato in data 15/5/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 23/4/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. La RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione avverso lo stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, dichiarato con sentenza del 9/11/2016, chiedendo di esservi ammessa: – per le somme corrispondenti ai danni patrimoniali (€. 2.089.128,00) e non patrimoniali (€. 500.000,00) subiti in
conseguenza dell ‘ inadempimento della società poi fallita al contratto per la raccolta pubblicitaria stipulato in data 22/4/2013; per la somma di €. 3.380,00, a titolo di rimborso delle spese di giustizia.
1.2. Il Fallimento ha resistito all ‘ opposizione, chiedendone il rigetto.
1.3. Il tribunale, con il decreto in epigrafe, ha parzialmente accolto l ‘ opposizione proposta ed ha, per l ‘ effetto, ammesso la società istante al passivo del fallimento per l ‘ulteriore somma di €. 3.380,00.
1.4. Il tribunale, al riguardo, dopo aver premesso, in fatto, che: – con contratto del 22/4/2013, la RAGIONE_SOCIALE (cui, secondo la prospettazione dell ‘ opponente, è subentrata la società poi fallita a seguito di cessione di ramo d ‘ azienda con atto dell ‘ 8/10/2013) aveva affidato alla RAGIONE_SOCIALE ‘ la concessione di vendita di spazi pubblicitari e di sponsorizzazione sui propri canali televisivi ‘ , a partire dall ‘ 1/5/2013 fino al 31/12/2017, per un corrispettivo pari al 25%, 35% o al 50% del ‘ fatturato netto mensile ‘ a seconda dei volumi dello stesso, oltre un premio in denaro; – la società opponente aveva fatto valere il proprio diritto al ‘ risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall ‘ inadempimento del contratto per la raccolta pubblicitaria del 22 aprile 2013 ‘ ; -ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che la società istante non avesse adempiuto all ‘ onere di provare in giudizio tanto la dedotta ‘ perdita ‘ ‘ dei guadagni che avrebbe potuto conseguire nel caso di esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza (dicembre 2017) ‘, da commisurare ai ‘risultati di gestione conseguiti nel periodo in cui il contratto ha avuto regolare esecuzione ‘, quanto la ‘ gravità della lesione della propria immagine e reputazione commerciale ‘, ‘ per non essere
stata messa in grado di rendere edotta la propria clientela (inserzionisti e/o centri media) sulla sorte dei programmi che avrebbero dovuto ospitare gli spot pubblicitari’ ed ha, pertanto, escluso che la domanda di ammissione al passivo del credito risarcitorio azionato dalla stessa potesse essere accolta.
1.5. La società opponente, infatti, ha osservato il tribunale, non ha prodotto in giudizio i contratti pubblicitari conclusi nei mesi in cui il rapporto ha avuto regolare svolgimento, né l ‘ estratto autentico del proprio libro giornale, i registri IVA, l ‘ estratto delle liquidazioni periodiche IVA, il partitario cliente e le fatture emesse nel periodo di riferimento, ‘ dai quali si sarebbe potuto ricavare l ‘ ammontare delle somme ricevute per il servizio di raccolta pubblicitaria e il margine di utile che ne è derivato ‘, e neppure, infine, i propri bilanci di esercizio, ‘ dai quali si sarebbe potuto ricavare il volume complessivo degli affari ad essa riconducibili e la dimensione commerciale della sua azienda ‘, e, quindi, ‘ non soltanto l ‘ ammontare del danno patrimoniale da lucro cessante, ma anche l ‘ esistenza e la gravità del lamentato danno all ‘ immagine e alla reputazione commerciale ‘.
1.6. L ‘ opponente, piuttosto, si è limitata a produrre in giudizio un prospetto del fatturato 2013 e i rendiconti mensili comunicati alla RAGIONE_SOCIALE nei mesi di maggio-agosto 2013, ai quali non può essere riconosciuta alcuna valenza probatoria (trattandosi di documenti estranei alla contabilità aziendale e liberamente formati dalla stessa P.R.S.) e a deferire alcuni capitoli di prova testimoniale sulla corrispondenza di tali documenti ai risultati di gestione.
1.7. Né, infine, ha osservato il tribunale, può rilevare la richiesta dell ‘ opponente di disporre una consulenza tecnica d ‘ ufficio per accertare l ‘ ammontare del fatturato dalla stessa
realizzato in esecuzione del contratto di concessione pubblicitaria nel periodo maggio-agosto 2013: – intanto, perché l ‘ istante non ha prodotto in giudizio i documenti necessari per l ‘ accertamento tecnico, sicché l ‘ indagine del tecnico avrebbe contenuto meramente esplorativo; – inoltre, la consulenza tecnica d ‘ ufficio non è un mezzo istruttorio che può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dall ‘ onere di fornire la prova di quanto assume e può essere, dunque, legittimamente negata quando la parte tenda con la stessa a supplire alle deficienze delle proprie allegazioni o offerte di prova o per compiere indagini esplorative alla ricerca di fatti o circostanze non provate.
1.8. Il tribunale, quindi, ha respinto la domanda di ammissione al passivo della pretesa risarcitoria vantata dall’opponente .
1.9. Il tribunale, invece, sulla base della ‘ documentazione allegata al ricorso in opposizione ‘ , ha ritenuto che l ‘ istante potesse essere ammessa al passivo per l ‘ ulteriore somma di €. 3.380,00, senza poter, tuttavia, vantare, in ordine a tale credito, le spese legali ad esso riferibili, avendo dimostrato la fondatezza della relativa pretesa con i documenti prodotti soltanto nel giudizio d ‘ opposizione allo stato passivo.
1.10. Il tribunale, infine, ha ritenuto che, in ragione del principio di soccombenza, l ‘ opponente dovesse essere condannata al rimborso in favore del Fallimento opposto delle spese di giudizio, che, in base ai parametri previsti dal d.m. n. 37/2018 per ‘ i giudizi di cognizione di competenza del tribunale di media complessità e di valore compreso nello scaglione di riferimento’ , ha determinato nella somma complessiva di €. 46.988,00, oltre accessori.
1.11. La RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 12/6/2020, illustrato da memoria, ha chiesto, per sei motivi, la cassazione del decreto reso dal tribunale.
1.12. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo la società ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione dell ‘ art. 115, comma 1°, c.p.c. e 2697 c.c. nonché degli artt. 95, 96, 98 e 99 l.fall. e la conseguente nullità del procedimento e del provvedimento che l ‘ ha deciso, in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda per l ‘ ammissione al passivo del credito al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante dalla stessa azionato in ragione della mancata prova del parametro di determinazione a tal fine invocato, vale a dire la quota di fatturato netto riveniente dal contratto per la raccolta pubblicitaria per i primi quattro mesi (maggio-agosto 2013) in cui lo stesso ha avuto regolare esecuzione.
2.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha omesso di considerare che, in realtà, come emerge dal progetto di stato passivo e dagli atti difensivi depositati nel corso del giudizio d ‘ opposizione, il Fallimento non ha mai specificamente contestato i fatti a tal fine dedotti dall ‘ opponente, vale a dire gli inadempimenti volontari della società poi fallita agli obblighi assunti con il contratto di concessione pubblicitaria e i dati relativi al fatturato medio netto realizzato nel suddetto periodo di tempo, pari ad €. 167.130,25 al mese, del quale il 25% era di spettanza della società concessionaria, per un totale, a partire dal mese di novembre 2013 fino al termine del 2017, di €. 2.089.128,00 (pari ad €. 41.782,56 x 50).
2.3. La correttezza dei dati relativi al fatturato pubblicitario derivante dal contratto per i mesi in questione, anzi, è stata riconosciuta dal curatore del fallimento, il quale, infatti, nel progetto di stato passivo ha espressamente dichiarato che l ‘ istante aveva fornito sufficiente prova delle prestazioni rese in favore della fallita (e cioè la raccolta pubblicitaria per il periodo aprile-ottobre 2013); tant ‘ è che la stessa ricorrente è stata ammessa al passivo dal giudice delegato per il credito ex art. 2560 c.c. relativo alla restituzione delle ‘ anticipazioni finanziarie ‘ , pari ad €. 1.441.650,04, erogate dalla stessa alla RAGIONE_SOCIALE nel periodo aprile-ottobre 2013 e calcolate al netto della quota spettante all ‘ editore, il cui ammontare, in effetti, presuppone la correttezza dei dati relativi al fatturato pubblicitario realizzato in forza del contratto per i mesi maggioagosto 2013 (‘ presi a riferimento per il calcolo del danno da lucro cessante ‘) , i quali, pertanto, in forza dell ‘ implicito riconoscimento della loro correttezza da parte del Fallimento e della mancanza di una specifica contestazione degli stessi nel giudizio d ‘ opposizione allo stato passivo da parte della curatela, dovevano essere considerati dal tribunale come pacifici e non richiedevano, quindi, alcuna prova ulteriore da parte della società opponente.
2.4. Con il secondo motivo, la società ricorrente, lamentando l ‘ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda per l ‘ ammissione al passivo del credito al risarcimento del danno da lucro cessante dalla stessa azionato in ragione della mancata prova dell ‘ ammontare dei guadagni che avrebbe potuto conseguire nel caso di esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza,
omettendo, tuttavia, di considerare che, in realtà, gli importi dei compensi spettanti alla P.R.S. per i mesi di maggio-luglio 2013, corrispondenti ad una quota del fatturato netto rendicontato all ‘ editore, sono stati espressamente riconosciuti come corretti dalla controparte contrattuale, e cioè la RAGIONE_SOCIALE, il cui amministratore unico, con dichiarazione del 27/8/2013, a riscontro dell ‘ invio da parte della P.R.S. del rendiconto relativo al predetto periodo, ha dichiarato che gli importi dalla stessa fatturati ai clienti corrispondevano, appunto, a quelli comunicati.
2.5. L ‘ avvenuto riconoscimento, ad opera della controparte contrattuale di P.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE., dell ‘ ammontare dei ricavi complessivi della concessionaria è stato, invece, completamente trascurato dal tribunale, il quale, senza soffermarsi su tale circostanza ancorché decisiva, ha erroneamente ritenuto che i compensi spettanti alla società opponente nella fase della regolare esecuzione del contratto non erano stati dimostrati, dando, piuttosto, rilievo a documenti, come l ‘ estratto autentico del proprio libro giornale, i registri IVA, l ‘ estratto delle liquidazioni periodiche IVA, il partitario cliente e le fatture emesse nel periodo di riferimento, i quali, per contro, sarebbero stati del tutto superflui ai fini della prova dei guadagni di RAGIONE_SOCIALE nei primi mesi di esecuzione del contratto.
2.6. Con il terzo motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione dell ‘ art. 115, comma 1°, c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda per l ‘ ammissione al passivo del credito al risarcimento del danno da lucro cessante dalla stessa azionato in ragione della mancata prova dell ‘ ammontare dei guadagni che avrebbe potuto conseguire nel caso di esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza e della natura meramente esplorativa della
consulenza tecnica d ‘ ufficio sollecitata dalla società istante senza, tuttavia, considerare che: -l ‘ opponente aveva tempestivamente dimostrato in giudizio, attraverso i documenti prodotti, l ‘ ammontare del proprio fatturato netto, come la dichiarazione resa dall ‘ amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE in data 27/8/2013 e la dichiarazione resa dalla società terza RAGIONE_SOCIALE, deputata alla tenuta della contabilità della P.R.S., in data 30/6/2015, dei quali, pertanto, ha travisato il contenuto, avendo negato agli stessi valore probatorio sulla base di valutazioni inconciliabili con la natura e il contenuto dei predetti documenti; – la consulenza tecnica d ‘ ufficio richiesta dall ‘ opponente, a fronte della prova di fatti decisivi come l ‘ ammontare dei fatturato netto e dei guadagni registrati nei primi quattro mesi di esecuzione del contratto, era tutt ‘ altro che esplorativa, perché avrebbe semplicemente confermato fatti già abbondantemente provati in giudizio.
2.7. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
2.8. La società ricorrente, in effetti, pur lamentando la violazione di norme di legge sostanziale e processuale, ha finito, in sostanza, per censurare la ricognizione asseritamente erronea dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle presunte emergenze delle stesse, hanno ritenuto che la società attrice non avesse fornito in giudizio la prova dei danni patrimoniali dei quali, in termini di mancato guadagno, aveva chiesto, a mezzo dell ‘ ammissione al passivo, il risarcimento.
2.9. La valutazione delle prove raccolte, però, anche se si tratta di quella (utilizzabile anche nel giudizio d’opposizione allo stato passivo: Cass. n. 26518 del 2019, in motiv.; Cass. n. 14589 del 2022; Cass. n. 34694 del 2023, in motiv.; in
precedenza, Cass. n. 11047 del 2015) asseritamente conseguente alla mancata contestazione dei fatti ex adverso dedotti (Cass. SU n. 2951 del 2016, in motiv., per cui ‘il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l ‘ inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall ‘ altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto ‘, tanto più che ‘ se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento … a fortiori ciò vale per la valutazione della mancata contestazione ‘; conf., Cass. SU n. 11377 del 2015), costituisce, al pari del giudizio relativo all ‘ effettiva ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dall ‘ art. 2729 c.c. (Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1216 del 2006) e all ‘ idoneità degli elementi presuntivi dotati di tali caratteri a dimostrare, secondo il criterio dell ‘ id quod plerumque accidit , i fatti ignoti da provare (Cass. n. 12002 del 2017), un ‘ attività riservata in via esclusiva all ‘ apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione: se non per il vizio consistito, come stabilito dall ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., nell ‘ avere quest ‘ ultimo, in sede di accertamento della fattispecie concreta: – a) omesso del tutto l ‘ esame (e cioè la ‘ percezione ‘) di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui esistenza risulti per contro dal testo della sentenza o (più probabilmente) dagli atti processuali, che siano stati oggetto di discussione (e cioè controversi) tra le parti ed abbiano carattere decisivo (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014), nel senso che, ove percepiti, avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell ‘ eccezione dalla
stessa proposta; – b) supposto l ‘ esistenza di uno o più fatti storici, principali o secondari, la cui verità risulti per contro incontrastabilmente esclusa dal testo della stessa sentenza o dagli atti processuali, sempre che siano stati controversi tra le parti ed abbiano avuto, nei termini esposti, carattere decisivo (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.14), nel senso che, ove esclusi, avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ritenere sussistenti i fatti dedotti dalla parte ricorrente a fondamento della domanda o dell ‘ eccezione dalla stessa proposta.
2.10. L ‘ omesso esame degli elementi istruttori forniti o invocati non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora gli accadimenti storici rilevanti ai fini della decisione sulla domanda proposta (quali fatti costitutivi del diritto azionato ovvero come fatti estintivi, modificativi ovvero impeditivi dello stesso) siano stati comunque presi in considerazione dal giudice di merito, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze asseritamente emergenti dalle prove acquisite o richieste in giudizio (cfr. Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.11. Nello stesso modo, il travisamento della prova (ove non si traduca in un errore di percezione del dato probatorio nella sua oggettività che, come tale, ove il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza si sia pronunciata, ‘ è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione ‘ prevista dall ‘ art. 395 n. 4 c.p.c.), vale a dire (il diverso) errore in cui il giudice di merito sia, in ipotesi, caduto nell ” individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi ‘, è sottratto al giudizio di legittimità, a condizione, beninteso, che
il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del ‘ minimo costituzional e’ . Una volta, infatti, che ‘ il giudice di merito abbia fondato la propria decisione su un dato probatorio preso in considerazione nella sua oggettività, … ed abbia adottato la propria decisione sulla base di informazioni probatorie desunte dal dato probatorio, il tutto sostenuto da una motivazione rispettosa dell ‘ esigenza costituzionale di motivazione, si è dinanzi ad una statuizione fondata su basi razionali idonee a renderla accettabile ‘ (Cass. SU n. 5792 del 2024, in motiv., punto 10.11).
2.12. La valutazione delle prove, al pari della scelta, tra le varie emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili senza essere tenuto ad un ‘ esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 11511 del 2014; Cass. n. 16467 del 2017).
2.13. Il giudice di legittimità, per contro, ha soltanto la facoltà del controllare, sotto il profilo della coerenza logicoformale, le argomentazioni svolte in ordine alla ricognizione della fattispecie concreta dal giudice di merito, così come esposte nella pronuncia impugnata, cui spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l ‘ attendibilità e la concludenza, di scegliere tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all ‘ uno o all ‘ altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge (cfr., ex plurimis , Cass. n. 40872 del 2021, in motiv.; Cass. n. 21098 del 2016; Cass. n. 27197 del 2011).
2.14. Il compito di questa Corte, del resto, non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta (con le prove ammesse ovvero offerte) un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato effettivamente conto, in ordine ai fatti storici rilevanti in causa, delle ragioni del relativo apprezzamento, come imposto dall ‘ art. 132 n. 4 c.p.c., e se tale motivazione sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all ‘ accertamento dei fatti storici rilevanti ai fini della decisione sul diritto azionato, si sia mantenuto, come in effetti è accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.).
2.15. Il decreto impugnato, in effetti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio ed (implicitamente) escluso quelle (asseritamente contrarie) invocate dall ‘ opponente, ha ritenuto, motivando il proprio convincimento sul punto in modo non apparente, perplesso o contraddittorio, che la società opponente non aveva dimostrato in giudizio l ‘ entità dei ‘ guadagni ‘ che, alla luce dei ‘risultati di gestione conseguiti nel periodo in cui il contratto ha avuto regolare esecuzione ‘,
‘a vrebbe potuto conseguire nel caso di esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza (dicembre 2017) ‘ .
2.16. Ed una volta che il giudice di merito -con apprezzamento non utilmente censurato (nell ‘ unico modo possibile), e cioè, a norma dell ‘ art. 360 n. 5 c.p.c., per aver supposto l ‘ inesistenza (o, per converso, l ‘ esistenza) di uno o più fatti storici, principali o secondari, controversi tra le parti, la cui esistenza, (o, rispettivamente, inesistenza) sia risultata con certezza (come doverosamente esposto in ricorso ed emergente dagli atti allo stesso allegati nel rigoroso rispetto degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 c.p.c.) dal testo della sentenza stessa o (più probabilmente) dagli atti processuali ed aventi carattere decisivo ai fini della soluzione della controversia (nel senso che, ove percepiti o, rispettivamente, esclusi, avrebbero senz ‘ altro imposto al giudice di merito di ricostruire la vicenda storica in termini tali da integrare il fondamento della domanda proposta o dell ‘ eccezione invocata nel giudizio di merito dalla parte poi ricorrente) – ha escluso, in fatto (non importa se a torto o a ragione), che fosse emersa in giudizio la prova (anche solo indiziaria, come quella asseritamente emergente dai dati finanziari utilizzati per l ‘ ammissione del credito alla restituzione delle anticipazioni finanziarie) dei guadagni che l ‘ opponente ‘avrebbe potuto conseguire nel caso di esecuzione del contratto fino alla sua naturale scadenza … ‘ (così prendendo in esame , pur senza dar conto di tutte le risultanze istruttorie asseritamente acquisite in giudizio, il fatto storico rilevante ai fini della decisione sulla domanda proposta dall ‘ opponente, e cioè il danno patrimoniale asseritamente subito dalla stessa, in termini di lucro cessante, per effetto dell ‘ inadempimento contrattuale posto in essere dalla società poi fallita), non si presta, evidentemente, a censure, per violazione di norme di
legge, la decisione che lo stesso tribunale ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda proposta dall ‘ istante in quanto volta, appunto, all ‘ ammissione al passivo del credito al risarcimento dei danni nella misura monetaria ad essi corrispondente, a nulla potendo, per contro, rilevare la possibilità di procedere ad una sua liquidazione equitativa.
2.17. Questa Corte, infatti, ha da tempo affermato che: il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretandosi nell ‘ accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall ‘ inadempimento dell ‘ obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell ‘ utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l ‘ obbligazione fosse stata adempiuta, esclusi i mancati guadagni meramente ipotetici perché dipendenti da condizioni incerte, sicché la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l ‘ entità del danno subito (Cass. n. 5613 del 2018, la quale, in un caso di revoca illegittima da parte del cliente di un incarico di mediazione immobiliare, ha escluso, cassando sul punto la sentenza impugnata, che il danno subito dal mediatore potesse essere liquidato parametrandolo alle provvigioni che egli avrebbe incassato ove avesse portato a termine l’incarico, basandosi sulla sola circostanza che, al momento della revoca, avesse ricevuto numerose proposte di acquisto del bene oggetto del contratto; Cass. n. 24632 del 2015); – la liquidazione equitativa del lucro cessante, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., presuppone, invero, la prova, anche presuntiva, della sua certa esistenza, in difetto della quale non vi è spazio per alcuna forma di attribuzione patrimoniale, attenendo il giudizio
equitativo solo all ‘ entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell ‘ impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne la misura (Cass. n. 11968 del 2013); -la valutazione equitativa del lucro cessante prevista dall ‘ art. 2056, comma 2°, c.c., non implica, pertanto, una relevatio ab onere probandi della concreta esistenza del pregiudizio patrimoniale, riguardando il giudizio di equità solo l ‘ entità del pregiudizio medesimo, in considerazione dell ‘ impossibilità o della grande difficoltà di dimostrare la misura del danno (Cass. n. 9835 del 1996); – il giudizio in ordine al presupposto del lucro cessante costituisce, per il resto, una valutazione di fatto che, come tale, è riservata al giudice del merito (Cass. n. 5682 del 2023, in motiv.).
2.18. La violazione del precetto di cui all ‘ art. 2697 c.c., del resto, si configura solo nell ‘ ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l ‘ onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando, come invece pretende la ricorrente, la censura dalla stessa formulata abbia, in sostanza, ad oggetto la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma (cfr. Cass. n. 18092 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).
3.1. Con il quarto motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ovvero la violazione degli artt. 135 c.p.c. e 111, comma 6°, Cost., in relazione all ‘ art. 99 l.fall., sempre a norma dell ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ovvero ancora la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., in relazione all ‘ art. 2 Cost., 1226, 2697 e 2729 c.c., in relazione all ‘ art. 360
3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda per l ‘ ammissione al passivo del credito al risarcimento del danno non patrimoniale azionato dall ‘ opponente sul rilievo che la stessa, non avendo prodotto in giudizio i propri bilanci di esercizio, non aveva adempiuto all ‘ onere di provare il danno all ‘ immagine e alla reputazione commerciale dalla stessa lamentato.
3.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato la ricorrente, il tribunale ha omesso di considerare che, in realtà, come emerge dal ricorso proposto a norma dell ‘ art. 98 l.fall., la domanda che l ‘ opponente aveva proposto era fondata sul diverso pregiudizio che i comportamenti illegittimi della società poi fallita avevano arrecato all ‘ immagine e alla reputazione commerciale della stessa per essere stata percepita, sul mercato di riferimento, da clienti già esistenti, così come dai potenziali inserzionisti, come un interlocutore approssimativo e superficiale con la conseguente perdita di credibilità, vale a dire un ‘ danno areddituale ‘ derivante dalla lesione di beni immateriali , tutelati e garantiti a livello costituzionale, da liquidarsi equitativamente ai sensi dell ‘ art. 1226 c.c. ed il cui ristoro prescinde dalla lesione di un interesse propriamente economico e/o dal verificarsi di conseguenze finanziarie negative.
3.3. Il tribunale, lì dove ha richiesto la produzione dei bilanci di esercizio da parte dell ‘ opponente ai fini della prova dell ‘ esistenza e della gravità del danno all ‘ immagine e alla reputazione commerciale, ha, pertanto, indebitamente assimilato il danno non patrimoniale lamentato dall ‘ istante con un danno di carattere patrimoniale mai lamentato dalla stessa, così fraintendendo e comunque alterando la tutela giudiziale richiesta dalla società opponente.
3.4. La motivazione resa dal tribunale per rigettare la domanda risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE risulta, d ‘ altra parte, viziata, ha aggiunto la ricorrente, in quanto perplessa e incomprensibile e, quindi, meramente apparente, non risultando obiettivamente possibile comprendere, a fronte di una domanda volta a ottenere il risarcimento di un danno non patrimoniale per lesione della propria immagine e reputazione, in relazione a quale periodo i bilanci avrebbero dovuto essere prodotti e di quale dato il tribunale desiderasse avere contezza e, soprattutto, a quale fine ha ritenuto che fosse necessaria la produzione di bilanci di esercizio, che ha contenuto patrimoniale.
3.5. Il decreto impugnato, infine, lì dove ha richiesto la produzione dei bilanci di esercizio da parte dell ‘ opponente ai fini della prova dell ‘ esistenza e della gravità del danno all ‘ immagine e alla reputazione commerciale lamentato dalla stessa, ha erroneamente omesso di considerare tutti gli elementi offerti in comunicazione da RAGIONE_SOCIALE, vale a dire la gravità e la dolosità dell ‘ inadempimento della società poi fallita e la notorietà dell ‘ istante tra le concessionarie della pubblicità, dando piuttosto rilevanza ad un elemento di carattere patrimoniale inconferente ed estraneo rispetto all ‘ indagine che doveva essere compiuta.
3.6. Il motivo, nei termini che seguono, è fondato. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte in materia di responsabilità civile, invero, anche nei confronti degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione (compatibile con l ‘ assenza di fisicità del titolare) di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, che trovano fondamento nell ‘ art. 2 Cost. e nell ‘ art. 8 paragrafo 1 della Carta dei diritti fondamentali della UE, ivi compreso quello all ‘ immagine e alla
reputazione commerciale di una società (Cass. n. 20643 del 2016; Cass. n. 23401 del 2015; più di recente, Cass. n. 20345 del 2023; Cass. n. 19551 del 2023; in precedenza, Cass. n. 12929 del 2007; Cass. n. 18082 del 2013; Cass. n. 22396 del 2013; Cass. n. 4542 del 2012).
3.7. Si tratta, più precisamente, del pregiudizio non patrimoniale che corrisponde, in termini di affari o relazioni commerciali non conclusi ovvero ostacolati in conseguenza dell ‘ altrui condotta illecita (Cass. n. 19551 del 2023), alla diminuzione della considerazione della società quale operatore economico serio ed affidabile da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la stessa di norma interagisca.
3.8. Il danno all ‘ immagine ed alla reputazione, inteso come ‘ danno conseguenza ‘, non sussiste, d ‘ altra parte, in re ipsa , dovendo pur sempre essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, così come la sua liquidazione dev ‘ essere compiuta dal giudice in ragione del concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato in giudizio (Cass. n. 31537 del 2018; Cass. n. 7594 del 2018; Cass. n. 25420 del 2017; Cass. n. 8861 del 2021). Neppure per il danno all ‘ immagine della persona giuridica o dell ‘ ente collettivo è, infatti, configurabile una risarcibilità quale mero danno-evento, e ciò in conformità alla ricostruzione operata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SU n. 15350 del 2015), la quale esclude in ogni caso la sussistenza di un danno non patrimoniale in re ipsa , anche nel caso, come quello in esame, in cui lo stesso derivi dalla lesione di diritti costituzionalmente garantiti.
3.9. La sussistenza del pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi
compreso quello all ‘ immagine e alla reputazione commerciale di una società, dev ‘ essere, pertanto, oggetto di allegazione e di prova anche attraverso l ‘ indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l ‘ esistenza (Cass. n. 34026 del 2022; Cass. n. 19551 del 2023; Cass. n. 11446 del 2017).
3.10. E solo una volta raggiunta la prova sull ‘ an del pregiudizio non patrimoniale, il giudice, ove il danno stesso non possa essere dimostrato nel suo preciso ammontare, può procedere ad una liquidazione dello stesso in via equitativa, dando, peraltro, conto delle circostanze di fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e dell ‘ iter logico che lo ha condotto a quel determinato risultato (tra le altre, Cass n. 8827 del 2003), cos ì da pervenire ad una determinazione del quantum congruente rispetto al caso oggetto di cognizione, ossia non arbitraria: ai fini della liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale, invero, è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all ‘ individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all ‘ adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e non manifestamente incongrui (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell ‘ intero percorso di specificazione dell ‘ importo liquidato (Cass. n. 28429 del 2023).
3.11. Il decreto impugnato non si è attenuto ai principi esposti. Il tribunale, infatti, ha escluso che la società opponente avesse dimostrato la ‘ gravità della lesione della propria immagine e reputazione commerciale ‘ sul mero ed esclusivo rilievo che la stessa non aveva prodotto in giudizio i propri bilanci
di esercizio, ‘ dai quali si sarebbe potuto ricavare il volume complessivo degli affari ad essa riconducibili e la dimensione commerciale della sua azienda ‘, e, quindi, ‘ non soltanto l ‘ ammontare del danno patrimoniale da lucro cessante, ma anche l ‘ esistenza e la gravità del lamentato danno all ‘ immagine e alla reputazione commerciale ‘ della stessa, erroneamente limitandosi, in tal modo, a compiere un ‘ attivit à meramente assertiva: non solo perché non ha tenuto in alcun conto delle circostanze esposte dall ‘ opponente, quali emergono dal ricorso a p. 34 e 35, e della loro idoneità, quali fatti indiziari, a dimostrare la sussistenza di un danno alla reputazione commerciale della stessa quale operatore economico, ma anche e soprattutto perché ha dato esclusivo rilievo a mezzi di prova, come i bilanci di esercizio, i quali, esponendo solo dati di carattere economico-patrimoniale, non sono certo di per sé significativi del pregiudizio lamentato dalla società istante, e cioè il danno non patrimoniale alla propria reputazione commerciale.
3.12. Con il quinto, la società ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 2233 c.c. nonché dell ‘ art. 4 del d.m. n. 55/2014, come da ultimo modificato dal d.m. n. 37/2018, in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale l ‘ ha condannata al rimborso delle spese processuali relative alla fase istruttoria del giudizio d ‘ opposizione allo stato passivo.
3.13. Il motivo è assorbito per l ‘ accoglimento del quarto.
3.14. Con il sesto motivo, la società ricorrente, lamentando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 4 c.p.c., ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, pur accogliendo l ‘ opposizione allo stato passivo proposta relativamente al credito
di €. 3.380,00, ha negato che l’ opponente avesse il diritto di recuperare le relative spese di lite sul rilievo che la ricorrente ne aveva dimostrato la sussistenza soltanto con i documenti prodotti nel giudizio d ‘ opposizione, senza, tuttavia, considerare che: – la società istante aveva provveduto al deposito dei documenti che il tribunale ha ritenuto rilevanti ai fini dell ‘ accoglimento della domanda di ammissione già nel corso del procedimento di insinuazione ai sensi degli artt. 93 ss l.fall.; l ‘ opponente ha sempre la facoltà di depositare nel giudizio di opposizione allo stato passivo documentazione nuova e diversa rispetto a quella già prodotta nel giudizio di ammissione ex art. 93 l.fall..
3.15. Il motivo è fondato.
In tema di spese processuali, in effetti, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, nei giudizi previsti dall ‘ art. 98 l.fall., si applica la regola generale di cui all ‘ art. 91 c.p.c. e che, di conseguenza, l ‘ opponente che risulti vittorioso (sia pur in conseguenza dei documenti dallo stesso legittimamente prodotti per la prima volta in tale giudizio), ha il diritto al rimborso delle conseguenti spese processuali (cfr. Cass. n. 3956 del 2018, la quale, nell ‘ affermare il principio esposto, ha confermato il decreto del tribunale che, in sede d ‘ opposizione allo stato passivo, aveva accolto l ‘ opposizione del creditore e condannato la curatela al pagamento delle spese di lite).
4. Il ricorso, nei limiti esposti, dev ‘ essere, pertanto, accolto: e il decreto impugnato, per l ‘ effetto, cassato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il quarto ed il sesto motivo di ricorso, assorbito il quinto, rigettati gli altri; cassa, in relazione ai motivi accolti, il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al Tribunale di Roma che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso a Roma, nella Camera di consiglio della Prima