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Danno non patrimoniale persona giuridica: la prova

La Corte di Cassazione affronta il caso di un istituto di credito contro un suo ex agente. Viene negata l’applicabilità di una clausola penale poiché contenuta in un allegato contrattuale già risolto consensualmente dalle parti prima del recesso. Tuttavia, la Corte accoglie il ricorso sul risarcimento del danno all’immagine, stabilendo un principio chiave: la prova del danno non patrimoniale persona giuridica non richiede la dimostrazione di costi specifici per il ripristino della reputazione, potendo essere fornita anche tramite presunzioni.

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Danno non Patrimoniale Persona Giuridica: La Prova non Richiede Costi Specifici

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla distinzione tra la volontà contrattuale delle parti e le conseguenze di un illecito, in particolare per quanto riguarda il danno non patrimoniale persona giuridica. La Suprema Corte chiarisce come la prova di tale danno non debba essere confusa con la dimostrazione di spese sostenute per il ripristino dell’immagine, aprendo alla validità delle prove presuntive.

I Fatti del Caso: Un Contratto, una Penale e un Recesso

La vicenda ha origine da un contratto di agenzia tra un istituto di credito e un promotore finanziario. Il contratto includeva un allegato specifico che prevedeva una cospicua penale in caso di cessazione del rapporto prima di un termine di 84 mesi.

Successivamente, le parti sottoscrivevano un accordo di risoluzione consensuale con il quale decidevano due cose distinte:
1. Di risolvere immediatamente l’allegato contenente la clausola penale.
2. Di posticipare la risoluzione del contratto di agenzia principale a una data futura.

Prima che tale data arrivasse, la banca recedeva dal contratto per giusta causa, avendo appreso del coinvolgimento dell’agente in una grave indagine penale per fatti commessi durante un precedente rapporto con un’altra società. Forte di ciò, la banca agiva in giudizio per ottenere sia il pagamento della penale (prevista nell’allegato ormai risolto) sia il risarcimento del danno all’immagine.

Mentre la Corte d’Appello aveva respinto entrambe le domande, la Corte di Cassazione è giunta a una decisione più articolata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha diviso la sua analisi in due parti, giungendo a conclusioni opposte per le due richieste della banca.

La Clausola Penale: Prevale l’Accordo Risolutivo

Sul primo punto, la Corte ha respinto il ricorso della banca. Il ragionamento è lineare: al momento del recesso per giusta causa, l’allegato contrattuale che conteneva la clausola penale non era più in vigore. Le parti lo avevano consensualmente e immediatamente risolto con un accordo precedente. Di conseguenza, nessuna penale poteva essere pretesa, poiché la sua fonte giuridica era venuta meno per espressa volontà delle parti. La volontà negoziale, in questo caso, ha prevalso sulle successive vicende del rapporto.

Il Danno non Patrimoniale Persona Giuridica e la sua Prova

Sul secondo punto, invece, la Corte ha accolto il ricorso dell’istituto di credito. La Corte d’Appello aveva negato il risarcimento del danno all’immagine perché la banca non aveva fornito la prova di aver sostenuto costi specifici per ripristinare la propria reputazione.

La Cassazione ha censurato questa impostazione, definendola errata. Ha chiarito che confondere il danno non patrimoniale con la prova di spese sostenute significa snaturarne l’essenza. Il pregiudizio all’immagine e alla reputazione di un’azienda è un danno di natura non economica e la sua prova non è legata necessariamente a esborsi monetari.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ribadito un principio consolidato: anche le persone giuridiche sono titolari di diritti della personalità costituzionalmente protetti, come l’immagine e la reputazione. La lesione di tali diritti genera un danno non patrimoniale persona giuridica risarcibile.

La motivazione cruciale risiede nella modalità probatoria di tale danno. Non è un danno in re ipsa (cioè implicito nel fatto stesso della lesione), ma deve essere allegato e provato. Tuttavia, questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici. Il giudice può desumere l’esistenza del pregiudizio da elementi di fatto come la gravità della condotta, la sua diffusività e la sua idoneità a ledere la reputazione commerciale secondo un criterio di normalità (id quod plerumque accidit).

Richiedere la prova di costi sostenuti per una campagna di marketing riparatoria o altre spese simili, come aveva fatto la Corte d’Appello, significa confondere il danno non patrimoniale (la lesione della reputazione in sé) con un eventuale e distinto danno patrimoniale (le spese per rimediare alla lesione).

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza stabilisce un punto fermo di grande rilevanza pratica. Le aziende che subiscono un danno alla propria immagine a causa della condotta illecita di dipendenti, collaboratori o terzi, non sono obbligate a dimostrare di aver già speso denaro per ‘pulire’ la propria reputazione al fine di ottenere un risarcimento.

È sufficiente allegare e provare, anche tramite presunzioni, l’esistenza di un pregiudizio concreto alla considerazione di cui l’ente gode nel contesto sociale ed economico. La liquidazione del danno sarà poi affidata al giudice, che la effettuerà in via equitativa, basandosi su criteri oggettivi e controllabili. La sentenza è stata quindi cassata con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare la questione del risarcimento applicando correttamente questi principi.

Una clausola penale può essere richiesta se l’accordo che la contiene è stato risolto prima dell’inadempimento?
No. Secondo la Corte, se le parti hanno consensualmente risolto l’accordo o l’allegato contrattuale che conteneva la clausola penale, questa cessa di avere effetto. Di conseguenza, non può essere richiesta per un inadempimento o un recesso avvenuto successivamente a tale risoluzione.

Come può una società dimostrare di aver subito un danno non patrimoniale alla propria immagine?
La società non è obbligata a provare di aver sostenuto costi specifici per il ripristino della reputazione. Può dimostrare il danno attraverso l’allegazione di fatti e circostanze (come la gravità della condotta lesiva e la sua potenziale diffusività) da cui il giudice può desumere, anche in via presuntiva, l’esistenza del pregiudizio.

Che differenza c’è tra danno non patrimoniale e danno patrimoniale per una persona giuridica?
Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di un bene immateriale come la reputazione e l’immagine commerciale. Il danno patrimoniale, invece, si riferisce a una perdita economica diretta, come le spese concretamente sostenute per una campagna pubblicitaria riparatoria o la perdita di affari dimostrabile. La Corte chiarisce che la prova del primo non dipende dalla prova del secondo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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