Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24060 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 24060 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11093-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 715/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 14/11/2019 R.G.N. 842/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/06/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 11093/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/06/2024
CC
Fatti di causa
La Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza in atti, ha accolto l’appello di NOME ed in riforma della sentenza impugnata ha rigettato il ricorso originariamente proposto da RAGIONE_SOCIALE accogliendo il quale il giudice di primo grado aveva condannato NOME, già promotore finanziario della RAGIONE_SOCIALE, al pagamento in favore della preponente di € 181.037,85,00 a titolo di penale ex articolo 14 dell’allegato C al contratto di agenzia del 14/3/2016, nonché al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE di 90.500,00 € a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre interessi legali dalla data della sentenza.
Secondo la Corte di appello, invece, non spettava a RAGIONE_SOCIALE né la penale , né il danno non patrimoniale a fronte del recesso per giusta causa per frode commessa dall’agente ai danni dei clienti.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi ai quali ha resistito NOME COGNOME con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1325, 1418 e 1419 c.c., ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza impugnata omesso di individuare la causa dell’atto di risoluzione consensuale del contratto di agenzia.
2.- Con il secondo motivo di ricorso si sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1375 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla scrittura del 1521.11.2016 tra RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME la
quale prevedeva che ‘Le parti concordemente risolvono l’allegato C patti Aggiuntivi -da lei sottoscritto in data 14 marzo 2016 a decorrere dal 15 novembre 2016; pertanto, a far tempo da tale data e fino alla data di cessazione, il trattamento economico a lei riconosciuto sarà regolato esclusivamente sulla base dell’allegato A, tempo per tempo vigente’.
Con il terzo motivo si deduce l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, oggetto di trattazione tra le parti, ex art. 360 n. 5 c.p.c., anche in relazione al disposto dell’art. 1375 c.c., poiché, sempre in relazione alla portata della menzionata scrittura di risoluzione consensuale del contratto, la Corte d’Appello aveva omesso di interrogarsi sulla funzione dell’accordo di risoluzione e s u quali esigenze inducevano le parti a sottoscrivere un accordo che prevedeva la risoluzione consensuale del contratto, ma disciplinava la regolamentazione economica dello stesso, in deroga a quanto precedentemente previsto dall’allegato C.
3.1. I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente per la connessione delle censure e devono essere disattesi.
3.2. Ed invero la Corte d’appello ha rilevato che nell’allegato C al contratto di agenzia (del 14 14/3/2016), al punto numero 14, era prevista una penale nel caso in cui prima del decorso del termine di 84 mesi (computato a partire dal primo giorno del mese successivo a quello di inizio del contratto di agenzia) il contratto di agenzia fosse stato risolto o fosse cessato per qualunque motivo, salvo il caso di revoca o recesso della società senza giusta causa.
Successivamente però – in data 15/11/2016 – le parti erano addivenute ad un accordo per la risoluzione consensuale del contratto d’agenzia prevedendo che lo stesso contratto si sarebbe risolto definitivamente per mutuo consenso in data 28
febbraio 2017; e che tale data doveva intendersi a tutti gli effetti di legge e di contratto quale ultimo giorno del rapporto di lavoro in essere.
In sostanza la Corte ha evidenziato che le parti avevano consensualmente differito al 28/2/2017 l’effetto risolutivo del contratto di agenzia.
3.3. Tuttavia, come puntualmente rilevato dalla Corte, nel suddetto accordo del 15.11.2016 si prevedeva altresì che “le parti concordemente risolvono l’allegato C – Patti aggiuntivi ” con la stessa decorrenza dal 15 novembre 2016 (cioè proprio l’addendum che prevedeva la penale di cui si tratta, che veniva risolto con effetti immediati con decorrenza dalla stipulazione, in data 15/11/2016).
Si era stabilito pertanto che, a far tempo da tale data e sino alla data di cessazione, il trattamento economico riconosciuto all’agente venisse regolato esclusivamente sulla base del diverso allegato A, tempo per tempo vigente.
3.4. Infine con atto – in data 18/1/2017 – la RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato al NOME il recesso per giusta causa dal contratto di agenzia rappresentando di aver appreso dagli organi di stampa del suo coinvolgimento in un’indagine penale avviata dalla procura della Repubblica di Busto Arsizio avente ad oggetto una presunta maxi-truffa legata alla realizzazione di un resort in Belize, che sarebbe stata perpetrata quando l’appellante era legato ad un diverso rapporto di agenzia intercorso precedentemente con la banca Fideuram.
Con la medesima lettera la RAGIONE_SOCIALE ha chiesto al NOME il pagamento delle somme dovute in base al punto n. 14 dell’allegato C al contratto di agenzia qualificandole in euro 186.886,13.
3.5. Ora, come emerge dalle premesse, è evidente che la Corte d’appello abbia correttamente rilevato che alla data in cui
RAGIONE_SOCIALE ha comunicato il recesso per giusta causa dal contratto di agenzia (18/1/2017), il rapporto fosse ancora in essere (essendo stato differito l’effetto risolutivo al 28/2/2017) con la conseguenza che esso non poteva dirsi cessato per mutuo consenso, avendo la RAGIONE_SOCIALE manifestato la volontà di recedere unilateralmente dal contratto di agenzia per giusta causa, prima della scadenza pattuita del 28/2/2017, e quindi ante tempus rispetto alla data prevista per la risoluzione consensuale del rapporto.
3.6. Tuttavia risultava per tabulas che al momento del recesso della preponente per giusta causa (18.1.2017) le parti avessero già risolto consensualmente e con efficacia decorrente dal 15 novembre 2016, l’Allegato C-Patti aggiuntivi (contenente la clausola che prevedeva la penale per cui è causa) .
3.7. Pertanto, stante la immediata efficacia dell’accordo di risoluzione consensuale dell’Allegato C-Patti aggiuntivi, doveva concludersi che al momento del recesso per giusta causa della proponente l’Allegato fosse stato già espunto dal regolamento contrattuale in essere tra le parti avendone queste concordato in precedenza la immediata risoluzione, con conseguente insussistenza dell’obbligazione dell’agente di pagare la suddetta penale.
3.8. Si tratta di valutazioni del tutto conformi al diritto (in particolare alle regole di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss c.c. richiamati nelle censure), all’esplicita volontà negoziale delle parti ed all’assetto degli interessi da essi prefigurato (prima con i due allegati A e C e dopo con l’accordo di risoluzione).
Onde non si intuisce in base a quale presupposto giuridico possa essere pretesa una penale che si fonda su un regolamento contrattuale la cui efficacia giuridica era stata espressamente
risolta con forza di legge dalle parti con decorrenza anteriore alla data del recesso esercitato per giusta causa.
3.9. Nessuno dei motivi sollevati dalla ricorrente è in grado di inficiare la soluzione individuata dalla Corte d’appello nel rispetto del regolamento di interessi prefigurato dalle parti, le quali avevano previsto di risolvere l’allegato C Patti aggiuntivi con efficacia immediata.
Come rileva la difesa del controricorrente, non può dimenticarsi a tale proposito come con l’allegato C al contratto di agenzia si conferiva al NOME oltre all’incarico di semplice agente quello aggiuntivo di Growt manager per la regione Abruzzo, comprendente le attività di supervisione, coordinamento e reclutamento di altri consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede; in relazione a questo incarico si prevedevano incentivi di carattere economico, il vincolo di esclusiva per 84 mesi con correlata clausola penale azionata dalla banca; quest’ultima collegata solamente all’obbligo di stabilità.
Tale obbligo, e con esso la previsione della penale a carico dell’agente, venivano però risolti per concorde volontà delle parti con l’atto del 15-21/11/ 2016 con effetto al 15/11/2016. Il rapporto di agenzia poteva quindi proseguire fino al 28/2/2017, essendo quello di Growt manager un incarico di natura accessorio e collaterale.
L’interpretazione effettuata dalla Corte d’appello dell’accordo di risoluzione appare del tutto conforme alla volontà delle parti ed all’assetto pratico da esse perseguito; essendo ovvio che il trattamento economico spettante al dirigente non sarebbe stato corrisposto per la residua durata del semplice rapporto di agenzia. Oltretutto non avrebbe avuto alcun senso, visto che il contratto d’agenzia si sarebbe risolto da lì a tre mesi, considerare ancora dovuta la stabilità obbligatoria di 84 mesi dell’incarico di Growt manager con la relativa penale.
A nulla rileva quindi il fatto che la banca non potesse sapere che a distanza di alcuni mesi dall’accordo di risoluzione sarebbe venuto meno improvvisamente l’elemento fiduciario che la legava all’agente. Anche perché in ogni caso la penale era legata alla violazione dell’obbligo di stabilità del ruolo manageriale e non al solo recesso per giusta causa dal contratto di agenzia; era legato cioè all’assetto degli interessi prefigurato con l’allegato C che era stato risolto e non esisteva più.
3.10. Inammissibile risulta infine la denuncia di omesso esame circa la causa concreta dell’accordo di risoluzione atteso che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. ordinanza n. 2268 del 26/01/2022).
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del disposto degli artt. 2059 e 1226 c.c., in relazione al disposto dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la sentenza di appello escluso il riconoscimento del danno all’immagin e della ricorrente.
In proposito, quanto al risarcimento del danno per la risoluzione del contratto per giusta causa, la Corte ha affermato, da una parte, che il recesso di RAGIONE_SOCIALE fosse fondato sussistendo la giusta causa; tuttavia la domanda risarcitoria proposta da RAGIONE_SOCIALE, secondo la Corte, non poteva essere accolta perché RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto allegare e fornire un principio di prova di aver dovuto effettuare spese per il ripristino del bene immateriale leso ovvero quantomeno di aver dovuto sopportare
o di essere obbligato a dover sopportare in futuro costi analiticamente dimostrati per la reintegrazione della reputazione commerciale lesa.
4.1. Il motivo di ricorso è fondato.
4.2. Deve essere considerato innanzitutto che in primo grado fosse stata liquidata alla RAGIONE_SOCIALE una somma di € 90.500 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale per lesione all’immagine aziendale. La Corte d’appello, invece, come già detto, per un verso, ha riconosciuto fondato il recesso per giusta causa motivato dalla RAGIONE_SOCIALE per la sottoposizione dell’agente ad un procedimento penale per una presunta maxi truffa; ha escluso che la circostanza fosse già conosciuta dalla preponente sin dal momento della stipulazione del contratto di agenzia del 14/3/2016; ed ha affermato che sussistesse la gravità del fatto e la sua idoneità ad integrare una giusta causa di recesso anche per la natura penale dei fatti. Ma ciò nonostante, la Corte ha sostenuto, per altro verso, che la domanda risarcitoria non potesse essere accolta in quanto il danno all’immagine delle persone giuridiche, pur attenendo alla sfera personale e areddituale del soggetto, sarebbe caratterizzato da un’oggettiva accertabilità d el pregiudizio attraverso la prova di una dequotazione della considerazione sociale del danneggiato; affermando che l’elemento discriminante consisterebbe nella lesione del diritto costituzionalmente tutelato alla identità della persona giuridica che, pur potendo essere desunta da elementi presuntivi, richiederebbe comunque, quantomeno, un principio di prova; in particolare della effettuazione di spese per il ripristino del bene immateriale leso o quantomeno dell’analitica dimostrazione dei costi supportati o sopportabili per la reintegrazione del bene leso o quantomeno di aver dovuto sopportare costi per la reintegrazione della reputazione commerciale lesa.
4.3. Tali ultime affermazioni, relative alla concreta prova del danno di natura non patrimoniale azionato dalla persona giuridica per lesione della propria immagine, non possono essere condivise dal Collegio non essendo corretto ricondurre il danno all’immagine della persona giuridica ad una valutazione economica e di mercato ovvero ai costi di reintegrazione o alle spese sostenute per il ripristino del bene immateriale, che invece rilevano a i fini dell’individuazione de i pregiudizi di natura patrimoniale.
4.4. In materia, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, deve essere considerato anzitutto che ogni soggetto (sia esso persona fisica, giuridica o associazione non riconosciuta) che abbia ricevuto dall’illecito un danno di qualsiasi natura ha diritto di reclamare il relativo risarcimento.
Pertanto, anche nei confronti degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole -compatibile con l’assenza di fisicità del titolare – della lesione di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, alla reputazione o all’identità storica, culturale, e politica dell’ente (da ultimo sentenza n. 20345 del 14/07/2023, ex multis v. Cass. n. 20643 del 2016; n. 23401 del 2015; n. 4542 del 2012).
4.5. In particolare, il tema del danno non patrimoniale deve essere ricostruito alla luce delle due fondamentali svolte prodotte dalla giurisprudenza di legittimità n ell’ultimo ventennio che hanno ampliato la protezione risarcitoria della persona, anche giuridica o ente collettivo (pubblico e privato): quella del 2003 (Cass. nn. 8828 ed 8827) che è valsa ad elevare attraverso l’art.2059 c.c. i valori della persona a pilastro del sistema della responsabilità civile, oltre le strettoie del danno morale sogget tivo di cui all’art.185 c.p.; e quella operata con le
sentenze gemelle di San Martino del 2008 (Sez. Unite 26972, 26973, 260974, 26975) con la rimodulazione binaria dei contenitori danno patrimoniale-danno non patrimoniale, attraverso cui è stato ribadito che tutte le lesioni degli interessi della persona p rotetti dall’ordinamento comportano quanto meno una protezione risarcitoria sub specie di danno non patrimoniale; inteso come danno conseguenza, da provarsi sia pure a livello presuntivo.
4.6. Deve essere pertanto ribadito che vale ad integrare una ipotesi di danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., ogni caso in cui si verifichi un’ingiusta lesione dei valori di ogni persona costituzionalmente garantiti (art. 2 della Costituzione) dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. Ed inoltre che il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine e alla reputazione commerciale, non costituendo un mero danno-evento, e cioè “in re ipsa”, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici ( con l’ ordinanza n. 19551 del 10/07/2023; in applicazione di tale principio, questa Corte ha confermato la decisione di merito che – pur ritenendo lesive dell’immagine della società attrice le numerose “mails” inviate ad interlocutori istituzionali da un dipendente licenziato, nelle quali si attribuivano alla società datrice di lavoro comportamenti non etici – aveva rigettato la domanda risarcitoria, in difetto di prova del danno conseguenza per mancanza di elementi dai quali ricavare, neanche con il ricorso a presunzioni semplici, che i destinatari delle “mails” avessero avuto effettiva contezza delle recriminazioni dell’ex dipendente, con conseguente pregiudizio per l’immagine societaria, quali affari o relazioni commerciali non conclusi in conseguenza della condotta diffamatoria realizzata).
4.7. Il procedimento posto a base della liquidazione (Cass. sentenza n. 11446 del 10/05/2017) va quindi riferito alla lesione del bene immateriale, sulla base della gravità dei fatti, della diffusività degli stessi, della riconducibilità della condotta alla preponente, dell’idoneità della stessa a produrre un danno nei confronti della preponente, secondo l’id quod plerumque accidit. Costituisce invero orientamento consolidato (sentenza n. 11446 del 10/05/2017, ordinanza n. 34026 del 18/11/2022 ) che il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagi ne, possa essere oggetto di allegazione e di prova anche attraverso l’indicazione degli elementi costitutivi e delle circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l’esistenza.
4.8.Riconosciuta la legittimazione ad agire dell’ente collettivo o persona giuridica a seguito della lesione dell’interesse protetto, la concreta determinazione del danno non patrimoniale va operata invece attraverso un esercizio controllato dell’equità, previa determinazione dei criteri a cui deve essere ancorata la discrezionalità giudiziale.
4.9. Allo scopo è stato precisato che (Cass. sentenza n. 28429 del 11/10/2023) ai fini della liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale (nella specie, di un danno non patrimoniale subito da un ente territoriale a causa dell’infedele esercizio delle funzioni di un proprio organo), è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all’individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all’adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e non manifestamente incongrui (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori
il controllo dell’intero percorso di specificazione dell’importo liquidato.
5.- Alla luce di quanto fin qui osservato il quarto motivo di ricorso deve essere accolto, mentre vanno respinti i primi tre motivi. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione della causa in conformità ai principi sopraindicati e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
6.- Non sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 giugno