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Danno non patrimoniale non è mai in re ipsa: la prova

Un ex agente assicurativo ha citato in giudizio una banca per la divulgazione illecita dei suoi dati finanziari a una compagnia di assicurazioni. Sosteneva che tale divulgazione avesse causato sia la perdita del lavoro (danno patrimoniale) sia un danno alla reputazione (danno non patrimoniale). La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo un principio fondamentale: il danno non patrimoniale non è mai ‘in re ipsa’, ovvero automatico. Anche in caso di violazione di un diritto fondamentale come la privacy, la vittima deve sempre fornire la prova delle conseguenze negative subite, non essendo sufficiente la sola lesione del diritto per ottenere un risarcimento.

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Danno non patrimoniale e Reputazione: La Prova è Sempre Necessaria

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a ribadire un principio cardine in materia di risarcimento: il danno non patrimoniale, anche quando deriva dalla lesione di diritti fondamentali come la privacy e la reputazione, non è mai automatico. Non basta dimostrare di aver subito un torto; è indispensabile provare le conseguenze dannose che ne sono derivate. Analizziamo una vicenda che chiarisce perfettamente questo concetto.

I Fatti del Caso

Un agente di assicurazioni si vede interrompere il proprio rapporto di agenzia dopo che la compagnia gli contesta alcune irregolarità. L’agente, tuttavia, è convinto che la vera causa della revoca sia un’altra: una banca avrebbe illecitamente comunicato a un rappresentante della compagnia assicurativa informazioni riservate sulla sua situazione finanziaria personale.

Sostenendo che questa violazione della privacy abbia indotto la compagnia a recedere dal contratto e abbia leso la sua reputazione, l’agente decide di citare in giudizio la banca, chiedendo sia il risarcimento per i mancati guadagni (danno patrimoniale) sia per il pregiudizio alla sua immagine (danno non patrimoniale).

Il Percorso Giudiziario nei Gradi di Merito

Il Tribunale, in primo grado, accoglie solo in parte la domanda. Riconosce che la banca ha effettivamente violato la riservatezza dell’agente, ma esclude che questo fatto abbia causato la perdita del lavoro, attribuendo il recesso ad altre ragioni contrattuali (ritardi nei versamenti dei premi). Condanna quindi la banca a un risarcimento per il solo danno non patrimoniale legato alla lesione della reputazione.

La Corte d’Appello, però, ribalta la decisione. Accogliendo il ricorso della banca, non solo conferma la mancanza di un nesso causale tra la divulgazione dei dati e il recesso, ma ritiene che l’agente non abbia fornito alcuna prova concreta del danno non patrimoniale subito. La semplice affermazione di aver subito un’offesa alla reputazione non è sufficiente.

L’Approdo in Cassazione e il Principio sul Danno non Patrimoniale

L’agente ricorre in Cassazione, lamentando principalmente due aspetti:

1. Errata valutazione delle prove: Sostiene che i giudici non abbiano considerato adeguatamente alcuni indizi che avrebbero dimostrato il collegamento tra la fuga di notizie e la perdita del lavoro.
2. Mancato riconoscimento del danno ‘in re ipsa’: Afferma che il danno non patrimoniale, derivando dalla lesione di un diritto fondamentale, dovrebbe essere considerato implicito nella violazione stessa, senza bisogno di ulteriori prove.

La Suprema Corte respinge entrambi i motivi. Sul primo punto, ribadisce che la valutazione delle prove è compito dei giudici di merito e non può essere ridiscussa in Cassazione se la motivazione è logica e coerente. Ma è sul secondo punto che la Corte enuncia il principio più importante.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione chiarisce, ancora una volta, la distinzione fondamentale tra la lesione del diritto e il danno-conseguenza. La violazione di un diritto (in questo caso, la privacy e la reputazione) è il presupposto dell’illecito, ma non coincide con il danno risarcibile.

Il risarcimento spetta solo se da quella lesione sono derivate conseguenze negative e pregiudizievoli per la vittima. Queste conseguenze costituiscono il ‘danno’ vero e proprio e devono essere dimostrate da chi chiede il risarcimento. L’idea di un danno in re ipsa, cioè di un danno esistente per il solo fatto che un diritto è stato violato, non trova spazio nel nostro ordinamento.

Questo vale anche per i diritti fondamentali. La prova del danno può certamente essere fornita tramite presunzioni, ossia deducendo l’esistenza del pregiudizio da fatti noti e certi, ma il ricorrente ha l’onere di allegare e provare proprio questi fatti-base. Nel caso specifico, l’agente si è limitato a lamentare la violazione, senza indicare elementi concreti da cui desumere un’effettiva sofferenza o un reale discredito sociale e professionale.

Conclusioni

La decisione in esame è un monito importante per chiunque intenda agire in giudizio per ottenere un risarcimento del danno non patrimoniale. Non è sufficiente denunciare una violazione, per quanto grave. È necessario raccogliere e presentare al giudice tutti gli elementi, anche indiziari, capaci di dimostrare che da quell’illecito sono scaturite conseguenze negative concrete nella propria sfera personale, sociale o lavorativa. La lesione del diritto apre la porta alla richiesta di risarcimento, ma solo la prova del danno-conseguenza permette di ottenerlo.

La violazione della privacy o della reputazione genera automaticamente un diritto al risarcimento?
No. La sentenza chiarisce che la sola lesione di un diritto fondamentale non è sufficiente. Per ottenere un risarcimento è necessario dimostrare che da tale violazione siano derivate conseguenze dannose concrete e pregiudizievoli.

Cos’è il danno ‘in re ipsa’ e perché la Corte lo esclude?
È il concetto secondo cui il danno sarebbe implicito nella condotta illecita stessa, senza bisogno di provare le sue conseguenze. La Corte lo esclude perché il nostro sistema di responsabilità civile richiede sempre la prova di un ‘danno-conseguenza’, distinguendo tra la violazione del diritto e il pregiudizio che ne deriva.

Come si può provare un danno non patrimoniale, come quello alla reputazione?
Il danno non patrimoniale può essere provato con ogni mezzo, comprese le presunzioni semplici. Tuttavia, chi lo richiede deve fornire al giudice fatti noti e circostanze concrete dalle quali sia possibile dedurre logicamente l’esistenza del pregiudizio subito (ad esempio, stati d’ansia documentati, cambiamento delle abitudini di vita, perdita di relazioni sociali).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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