Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25286 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25286 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 629/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 289/2020 depositata il 27/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–NOME COGNOME è stato agente della società di assicurazioni RAGIONE_SOCIALE, la quale ha interrotto il rapporto di agenzia dopo avergli contestato alcune irregolarità.
Il COGNOME ha agito in giudizio sostenendo che la revoca del rapporto sarebbe avvenuta per via del fatto che la Banca di Credito Cooperativo Mediocrati ha dato notizie sul suo conto privato ad un mandatario della Cattolica, tale NOME COGNOME che in quella banca si era recato per conoscere la situazione finanziaria dell’agente verso la società.
–NOME COGNOME ha dunque citato in giudizio la banca, accusandola di avere dato accesso a notizie private, ossia di avere violato la riservatezza dei conti correnti personali, in quanto, avendo reso noto alla compagnia di assicurazione lo stato economico e finanziario, la aveva indotta a recedere dal contratto.
-Il Tribunale di Cosenza con due sentenze, la prima parziale, la seconda definitiva, ha accolto in parte la domanda riconoscendo il danno non patrimoniale, ma ha rigettato la richiesta di risarcimento di quello patrimoniale.
In particolare, ha ritenuto che non vi fosse nesso causale tra la divulgazione dei dati personali ed il recesso, avvenuto per altre ragioni. Ha invece ritenuto che la divulgazione di quei dati ha costituito lesione della reputazione.
-E’ stato proposto appello principale dalla banca, ed incidentale (sul danno patrimoniale), da parte dell’agente.
La Corte di Appello di Cosenza ha accolto l’appello principale e rigettato quello incidentale.
Ha confermato, vale a dire, la tesi del giudice di primo grado, secondo cui non vi era nesso di causa tra la divulgazione delle notizie relative ai conti personali ed il recesso, e ciò in quanto il recesso era avvenuto per altre irregolarità; ma ha ritenuto non provato il danno non patrimoniale conseguente alla pur accertata violazione della riservatezza.
-Ricorre per cassazione COGNOME con tre motivi illustrati da memoria. Ha notificato controricorso la Banca di Credito Cooperativo Mediocrati.
Ragioni della decisione
-Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 2727, 2729 c.c. e 132 c.p.c.
La questione attiene al mancato riconoscimento del danno patrimoniale.
La decisione impugnata ha confermato sul punto quella di primo grado: era emerso che la società di assicurazione era receduta dal rapporto per via di alcuni ritardi dell’agente nelle rimesse in conto dei premi assicurativi, e dunque non aveva pesato su quel recesso la conoscenza della situazione finanziaria dell’agente, ossia lo stato dei conti correnti.
Il ricorrente sostiene che questo accertamento è stato assunto sulla base prevalentemente di una testimonianza del COGNOME, non adeguatamente considerata dalla corte, che l’avrebbe presa per buona senza porsi il problema della sua attendibilità.
Dunque, questa attenzione del giudice di appello verso la testimonianza, manifesta due vizi: intanto di motivazione, non essendo chiaro in base a quale percorso logico la corte di appello sia arrivata a ritenere decisiva la testimonianza stessa; per altro verso di violazione del procedimento presuntivo, in quanto da quella testimonianza erano emersi due indizi rilevanti: che un
ritardo nelle rimesse era comunque tollerato e che la banca aveva dato accesso al Melilli anche ai conti personali.
Il motivo è inammissibile.
Esso denuncia l’apprezzamento di una prova, rimesso al giudice di merito, e censurabile solo per difetto assoluto di motivazione.
Il vizio di motivazione presuppone che non si individuino le ragioni che hanno sorretto la decisione (a partire da Cass. 8053/ 2014), che invece sono qui evidenti: manca un nesso di causa tra la divulgazione di notizie riservate ed il conseguente recesso, dovuto ad altre ragioni.
Inoltre, il motivo non chiarisce perché gli elementi asseritamente non considerati (che la divulgazione sia avvenuta, che vi era una tolleranza per gli altri agenti, fatto quest’ultimo peraltro travisato, poiché non di tolleranza si trattava ma del fatto che gli altri in tre giorni versavano le rimesse, mentre il ricorrente ne impiegava molti di più) possano costituire indizi da cui ricavare un fatto ignoto. Né si dice in che modo quegli elementi, che pur sono stati considerati, potessero contrastare l’accertamento basato su elementi altri.
-Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto rilevante e controverso.
Il ricorrente sostiene che non si è tenuto in alcun conto la missiva con cui la società di assicurazione lo ha invitato a rinnovare la fideiussione. Se se ne fosse tenuto conto, si sarebbe accertato che la società era interessata a proseguire nel rapporto, e che dunque solo la conoscenza dei suoi conti presso la banca l’ha indotta invece a recedere.
Il motivo è inammissibile.
Non si dimostra che il fatto era controverso, ossia che è stato allegato dalla parte e se ne è discusso.
Il ricorrente adduce soltanto di avere depositato il documento sin dal primo grado, ma il deposito dell’atto non significa che sul suo
contenuto e sul suo significato si sia discusso, ossia che quel fatto fosse controverso.
Né si dice perché doveva ritenersi decisivo, ossia perché, se la banca ne avesse tenuto conto – si trattava nuovamente dell’invito a rinnovare la fideiussione -avrebbe dovuto decidere diversamente, in contrasto con gli altri elementi di prova, e segnatamente con le esplicite ragioni del recesso.
3. -Il terzo motivo prospetta violazione degli articoli 2727, 2729 e ss. c.c. e 115 e 1616 c.p.c.
La censura attiene al danno non patrimoniale.
La domanda di risarcimento è stata rigettata sia in primo che in secondo grado. Entrambi i giudici hanno osservato che, si, vi è stata una violazione della riservatezza, nel senso che la banca ha comunicato al terzo anche i dati relativi ai conti personali, ma che il ricorrente non ha dimostrato di aver subito un danno non patrimoniale, e segnatamente un danno alla reputazione, per come lamentato.
Il ricorrente censura questa ratio dicendo che, da un lato, ben può la lesione della reputazione produrre un danno in re ipsa , e che per altro verso, il danno non patrimoniale può essere in tali casi presunto, derivare dalla stessa lesione della reputazione per presunzione semplice.
Il motivo è infondato.
Il danno in re ipsa è il danno coincidente con la mera lesione dell’interesse leso, a prescindere dalle conseguenze di tale lesione.
E’ regola generale del diritto della responsabilità civile che il danno risarcibile presuppone conseguenze dannose di quella lesione e non si può identificare con essa.
La tesi secondo cui nel caso del danno non patrimoniale, il danno è nella mera lesione dell’interesse leso, a differenza che nel caso di danno patrimoniale (ove invece occorre dimostrare la conseguenza pregiudizievole) non ha trovato accoglimento in giurisprudenza, la
quale richiede la dimostrazione della conseguenza dannosa anche nel caso di lesione di diritti fondamentali, come la riservatezza, la reputazione o l’immagine (per l’esclusione del danno in re ipsa , in caso di lesione della serenità familiare v. Cass. 2203/ 2024; in caso di reputazione v Cass. 6589/ 2023).
La prova del danno può di certo essere data per presunzioni, ma il ricorrente non indica quali siano. Lamenta (p. 23 -24) che il giudice aveva a diposizione una serie di elementi da lui forniti per presumere un danno patrimoniale, ma non indica in concreto quali fossero e che rilevanza indiziaria potessero avere.
Il ricorso va pertanto respinto. Le spese possono compensarsi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, se dovuto, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 07/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME