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Danno non patrimoniale: la prova è sempre necessaria

Una comproprietaria di un immobile venduto all’asta chiedeva il risarcimento per il danno non patrimoniale, sostenendo che condotte penalmente rilevanti di terzi avessero causato la vendita a un prezzo vile. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo un principio fondamentale: il danno non patrimoniale non è mai presunto (in re ipsa), neanche se deriva da un reato. La vittima ha sempre l’onere di allegare e dimostrare concretamente il pregiudizio subito, non essendo sufficiente la sola lesione di un diritto.

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Danno non patrimoniale: la Cassazione ribadisce che va sempre provato

L’ordinanza n. 6388/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul risarcimento del danno non patrimoniale: anche quando deriva da un fatto illecito che costituisce reato, non può mai essere considerato automatico o presunto. La vittima ha sempre il dovere di dimostrare concretamente il pregiudizio subito. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: La Vendita Forzata e la Richiesta di Risarcimento

Una donna, comproprietaria di un immobile, si è trovata coinvolta in una procedura di esecuzione forzata che ha portato alla vendita all’asta del bene. Successivamente, ha intentato una causa civile contro diversi soggetti, sostenendo che le loro condotte, penalmente rilevanti, avessero turbato gli incanti, portando alla vendita del suo immobile a un prezzo inferiore a quello di mercato.

Secondo la sua tesi, questo pregiudizio patrimoniale le avrebbe causato un conseguente danno non patrimoniale, impedendole di soddisfare tutti i creditori e di ottenere un’eventuale somma residua che le avrebbe garantito una “esistenza più serena”. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno rigettato la sua domanda, ritenendo che non avesse fornito prove sufficienti a sostegno delle sue richieste. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte: l’Onere della Prova sul Danno non patrimoniale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile e, in parte, infondato, confermando le decisioni dei giudici di merito. Il fulcro della decisione si basa su un principio consolidato nella giurisprudenza: il danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, non è mai in re ipsa (cioè presunto).

Le Motivazioni: Perché il Danno non Patrimoniale va Sempre Provato

La Corte di Cassazione ha smontato la tesi principale della ricorrente, secondo cui la commissione di un reato a suo danno avrebbe dovuto automaticamente generare il diritto al risarcimento del pregiudizio non patrimoniale, senza bisogno di ulteriori prove.

I giudici hanno chiarito che, secondo un orientamento ormai granitico, “la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale ‘in re ipsa’, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici”.

In altre parole, non basta dimostrare di aver subito un’azione illegittima; è indispensabile dimostrare di aver subito, a causa di quell’azione, una conseguenza negativa e concreta nella propria sfera personale. Nel caso specifico, la ricorrente non solo non ha provato il danno non patrimoniale, ma non ha neppure dimostrato il presupposto da cui esso sarebbe derivato: il danno patrimoniale. Non è riuscita a provare né che l’immobile avrebbe potuto essere venduto a un prezzo superiore, né quali fossero esattamente i crediti da soddisfare. Di conseguenza, era impossibile stabilire se un ricavato maggiore le avrebbe effettivamente giovato, lasciandole un’eccedenza.

La Corte ha inoltre giudicato i motivi di ricorso eccessivamente prolissi, confusi e, in molti casi, volti a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La critica dei giudici si è concentrata sulla mancata specificità delle censure, che non riuscivano a colpire la vera ratio decidendi della sentenza d’appello.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza è un monito fondamentale per chiunque intenda agire in giudizio per ottenere un risarcimento. La decisione sottolinea che le aule di tribunale non sono il luogo per lamentele generiche, ma richiedono allegazioni precise e prove concrete. Per ottenere il risarcimento di un danno non patrimoniale non è sufficiente invocare la violazione di un diritto o la commissione di un reato. È necessario un lavoro di allegazione e prova meticoloso, che dimostri al giudice l’esistenza di un pregiudizio effettivo e misurabile, anche se attraverso presunzioni. Chi agisce in giudizio deve essere preparato a costruire una solida base probatoria, specificando in dettaglio ogni aspetto della propria pretesa, altrimenti il rischio di un rigetto della domanda è molto elevato.

Il danno non patrimoniale che deriva da un reato è automatico e non necessita di prove?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito chiaramente che il danno non patrimoniale non è mai ‘in re ipsa’ (cioè presunto). Anche se il fatto illecito costituisce un reato e lede un diritto fondamentale, la vittima deve sempre allegare e provare di aver concretamente subito un pregiudizio.

Cosa deve dimostrare chi chiede il risarcimento per un danno non patrimoniale?
Chi chiede il risarcimento deve dimostrare due elementi: l’evento illecito (la condotta dannosa) e il pregiudizio concreto che ne è derivato. Non è sufficiente provare solo l’illecito, ma bisogna dimostrare le conseguenze negative subite nella propria sfera personale (sofferenza, peggioramento della qualità della vita, etc.), anche tramite presunzioni basate su fatti noti.

Perché nel caso specifico la richiesta di risarcimento è stata respinta?
La richiesta è stata respinta perché la ricorrente non ha fornito la prova del danno. In particolare, non ha dimostrato il presupposto da cui, a suo dire, derivava il danno non patrimoniale: non ha provato che l’immobile sarebbe stato venduto a un prezzo superiore né che un eventuale maggior ricavato le avrebbe garantito un’eccedenza dopo aver pagato i debiti. Mancando la prova del pregiudizio, la domanda di risarcimento non poteva essere accolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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