Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6388 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6388 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/03/2024
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME. COGNOME
Consigliera
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 22546 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentata e difesa, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quest’ultimo in proprio e nella sua qualità di procuratore speciale di:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi, giusta procura allegata al controricorso, dall’avvocat o NOME AVV_NOTAIONOME AVV_NOTAIO (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso, giusta procura allegata al controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrenti- nonché
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-intimato- per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Bologna n. 1977/2021, pubblicata in data 2 agosto 2021;
Oggetto:
RESPONSABILITÀ CIVILE REATO DANNI NON PATRIMONIALI
Ad. 12/02/2024 C.C.
R.G. n. 22546/2021
Rep.
udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 12 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME ha agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali che assume di aver subito in conseguenza delle conAVV_NOTAIOe di rilievo penale tenute dai medesimi in relazione alla vendita forzata, disposta in sede esecutiva, di un bene immobile di cui era comproprietaria.
La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Rimini.
La Corte d’a ppello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre la COGNOME, sulla base di dieci motivi.
Resistono con distinti controricorsi: a) NOME COGNOME e NOME COGNOME, quest’ultimo anche in rappresentanza di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME, deceduto nel corso del giudizio; b) NOME COGNOME.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro intimato. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Sono state depositate memorie, ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c., dalla ricorrente COGNOME, nonché dai controricorrenti COGNOME ed eredi COGNOME.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Si premette che il ricorso non è formulato in modo chiaro e sintetico.
Le censure sono esposte in modo prolisso e confuso e per molti aspetti non è agevole comprendere fino in fondo il loro senso
logico e giuridico, nonché la precisa correlazione con le statuizioni contestate.
Per quello che, comunque, è oggettivamente possibile per la Corte intendere di tali censure, sia pure all’esito di un non indifferente sforzo interpretativo, le stesse risultano certamente infondate, alla luce delle considerazioni che seguono.
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. per omessa valutazione della violazione di diritti assoluti e fondamentali che determinano ex se e cioè ipso iure il diritto al ristoro dei danni non patrimoniali ».
2.1 Si premette che la corte d’appello ha, in primo luogo, osservato che il danno non patrimoniale il cui risarcimento è stato richiesto dalla ricorrente nel presente giudizio, secondo la stessa prospettazione di quest’ultima , è quello direttamente conseguente al pregiudizio patrimoniale risentito in virtù della turbativa degli incanti posta in essere nel corso del processo di espropriazione forzata del suo immobile, che aveva -a suo dire -determinato la vendita di tale immobile ad prezzo inferiore all’ef fettivo valore, di modo che con il ricavato non era stato possibile soddisfare tutti i debiti fatti valere dai creditori e attribuire ai debitori il sopravanzo, il che avrebbe loro consentito un’esistenza più serena.
La corte territoriale ha, inoltre, affermato che tale danno non patrimoniale (l’unico oggetto della domanda) avrebbe dovuto essere dimostrato, ma che la relativa prova non era stata sufficientemente fornita, dal momento che non era stato sufficientemente d imostrato né che l’immobile pignorato avrebbe potuto essere venduto ad un prezzo superiore a quello effettivamente ricavato dalla vendita, né, comunque, quali fossero i crediti fatti valere nel processo esecutivo e, quindi, se effettivamente, ed in quali esatti termini, il conseguimento di un prezzo più elevato avrebbe potuto eventualmente consentire la
soddisfazione dei creditori e addirittura l’attribuzione di una differenza in favore dei debitori espropriati.
2.2 Pare potersi intendere che, secondo la ricorrente, la decisione sarebbe erronea, in quanto, essendo stati commessi dei reati in suo danno, il relativo pregiudizio non patrimoniale non avrebbe avuto bisogno di alcuna prova, ma avrebbe dovuto essere ritenuto sussistente in re ipsa .
2.3 Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che il ricorso non offre ragioni idonee a indurre a rimeditare, il pregiudizio, sia patrimoniale che non patrimoniale, derivante dall’altrui conAVV_NOTAIOa illecita, anche laddove la stessa costituisca reato e si assuma aver leso diritti inviolabili, va sempre allegato e dimostrato dal danneggiato ( ex multis , cfr.: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13614 del 21/06/2011; Sez. L, Sentenza n. 7471 del 14/05/2012, Rv. 622793 -01, Rv. 618822 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21865 del 24/09/2013, Rv. 627750 -01; Sez. 3, Sentenza n. 11269 del 10/05/2018, Rv. 648606 -01: « la lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale ‘in re ipsa’, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici »; Sez. 2, Ordinanza n. 28742 del 09/11/2018, Rv. 651525 -01; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 29206 del 12/11/2019, Rv. 655757 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 33276 del 29/11/2023, Rv. 669573 -01; nel medesimo senso, cfr., altresì: Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/2021, Rv. 660992 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19434 del 18/07/2019, Rv. 654622 -02; Sez. L, Sentenza n. 4886 del 24/02/2020, Rv. 656936 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 31537 del 06/12/2018, Rv. 651944 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7594 del 28/03/2018, Rv. 648443 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017, Rv. 646634
-04): non è, quindi, configurabile un danno in re ipsa , neanche in considerazione della rilevanza penale del fatto illecito dannoso imputato al danneggiante e della conseguente asserita violazione di diritti inviolabili.
Nella specie, inoltre, non vi è dubbio che lo specifico danno di cui l’attrice ha chiesto il risarcimento, cioè il danno non patrimoniale derivante dal preteso pregiudizio patrimoniale subito in conseguenza dei reati attribuiti ai convenuti, avrebbe richiesto la prova di tale ultimo presupposto, cioè del pregiudizio patrimoniale, fonte di quello non patrimoniale allegato.
Con il secondo motivo si denunzia « violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. per omessa valutazione della violazione di diritti assoluti e fondamentali che determinano ex se e cioè ipso iure il diritto al ristoro dei danni non patrimoniali ». La ricorrente sembra intendere sostenere che, in ordine alla questione della necessaria prova del pregiudizio allegato ai suoi diritti fondamentali ed inviolabili, la decisione impugnata non sarebbe sostenuta da una chiara, effettiva e comprensibile motivazione.
Il motivo è manifestamente infondato.
Sui punti in contestazione, la decisione impugnata è, infatti, palesemente sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non censurabile nella presente sede.
Con il terzo motivo si denunzia « errata interpretazione delle allegazioni di parte attrice e falsa applicazione degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c. ».
La ricorrente sostiene -per quanto è possibile comprendere dalla esposizione particolarmente confusa delle censure alla base del motivo di ricorso in esame -che la corte d’appello non avrebbe correttamente inteso l’effettivo oggetto del pregiudizio non patrimoniale allegato a fondamento delle sue domande e
avrebbe, inoltre, erroneamente negato la sussistenza dello stesso, a causa di una non corretta valutazione delle prove. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
In primo luogo, per quanto riguarda l’assunto in base al quale il danno non patrimoniale e, segnatamente, il danno morale conseguente al reato sarebbe un danno in re ipsa , che pare in qualche modo ribadito anche con il presente motivo di ricorso, è sufficiente rinviare a quanto esposto in relazione al primo motivo.
Per quanto riguarda, inoltre, la pretesa erronea interpretazione dell’effettivo oggetto della domanda da parte della corte d’appello, va, in primo luogo, ribadito il principio di diritto per cui l’individuazione e l’interpretazione del contenuto della domanda, attività di regola riservate al giudice di merito, sono sindacabili, come vizio di nullità processuale ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., solo qualora l’inesatta rilevazione del contenuto della domanda determini un vizio attinente all’individuazione del petitum , sotto il profilo della violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30770 del 06/11/2023, Rv. 669718 -01;
Sez. 3, Ordinanza n. 11103 del 10/06/2020, Rv. 658078 -01; Sez. 3, Sentenza n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584535 -01;
Sez. L, Sentenza n. 2148 del 05/02/2004, Rv. 569894 – 01).
Tanto premesso, non può che rilevarsi che la censura è, nella specie, inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., in quanto non è specificamente richiamato il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio e degli eventuali ulteriori atti difensivi, come sarebbe stato necessario per consentire a questa Corte di valutare la fondatezza dell’assunto a fondamento della stessa.
Peraltro, per quanto riferito nel ricorso con riguardo all’oggetto della domanda avanzata nel presente giudizio, l’interpretazione che ne ha dato la corte d’appello, come denuncia di un
pregiudizio morale e psichico conseguente ad un preteso pregiudizio patrimoniale, risulta del tutto condivisibile.
Le ulteriori censure di cui al motivo di ricorso in esame si risolvono, infine, nella contestazione della valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Con il quarto motivo si denunzia « violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver considerato il giudicato penale secondo cui tutti i convenuti posero in essere reati in danno di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ».
Il senso logico e giuridico delle censure formulate con il motivo di ricorso in esame è particolarmente arduo da decifrare e ricostruire.
La ricorrente, dopo aver sostenuto il rilievo del giudicato penale e, comunque, degli atti del procedimento penale in relazione ai fatti deAVV_NOTAIOi a base della domanda, conclude affermando che « la vicenda giudiziale penale ha un effetto dirimente sul fatto che dimostra una cospirazione giudiziaria per spogliare a prezzo vile (il ragionamento opposto vale nell’ottica dei corrotti e dei corruttori che avevano preparato anche la «fictio») l’immobile ». Il motivo è da ritenersi inammissibile, ancor prima che infondato.
Esso, per un verso, non pare cogliere adeguatamente l’effettiva ratio decidendi alla base della sentenza impugnata, che si incentra sul difetto di prova dell’effettivo pregiudizio allegato nella presente controversia e non sulla ricostruzione dei fatti accertati in sede penale, né sulla valutazione del rilievo penale di tali fatti nonché dello scopo delle conAVV_NOTAIOe dei convenuti.
Per altro verso, le censure si risolvono, nuovamente, nella contestazione di accertamenti di fatto fondati sulla valutazione degli elementi istruttori disponibili, sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella
presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
Con il quinto motivo si denunzia « violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver considerato gli atti del procedimento penale come elementi certi di assecondabilità del danno morale e/o esistenziale o/e all’integrità psichica ».
Il motivo è del tutto inammissibile, in quanto non emerge dal suo contenuto una vera e propria censura rivolta avverso una specifica statuizione della decisione impugnata.
La ricorrente torna sull’oggetto degli accertamenti svolti in sede penale, precisando i termini in base ai quali essi farebbero stato nel presente giudizio e descrivendo in dettaglio i fatti accertati, per poi limitarsi, del tutto apoditticamente, a sostenere che la corte d’appello avrebbe commesso « error(es) in procedendo et in iudicando », ma senza in alcun modo precisare in modo specifico e comprensibile quali sarebbero tali errori.
Con il sesto motivo si denunzia « violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. per non aver considerato che il danno morale o non patrimoniale o all’integrità psicofisica può essere riconosciuto ovvero accordato anche solo per il tramite di indizi o di presunzioni ».
Il motivo è inammissibile.
Per un verso, la censura non coglie adeguatamente l’effettiva ratio decidendi alla base della sentenza impugnata, in quanto la corte d’appello non ha affatto negato che il danno non patrimoniale possa essere dimostrato anche attraverso indizi o presunzioni, ma ha ritenuto che, nella specie, non fosse comunque stata raggiunta una sufficiente prova della sussistenza del pregiudizio allegato dall’attrice.
Per altro verso, essa si risolve ancora una volta nella contestazione di accertamenti di fatto fondati sulla valutazione degli elementi istruttori disponibili, sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria
sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
Con il settimo motivo si denunzia « errata interpretazione di elementi di prova rilevanti posti a fondamento del danno e della sua entità ex art. 360, n. 5 c.p.c. ».
Anche il motivo di ricorso in esame si risolve nella contestazione di accertamenti di fatto fondati sulla valutazione degli elementi istruttori disponibili, sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede, nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
Anch’esso è, pertanto, inammissibile.
Con l’ottavo motivo si denunzia « violazione e/o falsa applicazione di legge violazione di legge per difetto di motivazione circa la necessità di ammissione di CTU deducente in relazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. ».
Si tratta di un motivo di ricorso la cui confusa formulazione rende particolarmente arduo ricostruire il senso logico dell’argomentazione alla sua base.
Pare, comunque, emergere che la ricorrente intenda sostenere che, al fine di valutare la fondatezza del suo assunto in base al quale il proprio immobile era stato venduto a ‘ prezzo vile ‘ avrebbe potuto e dovuto essere disposta una consulenza tecnica di ufficio sul l’ effettivo valore dello stesso.
La censura è, in primo luogo inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., dal momento che la ricorrente non richiama il contenuto degli atti del giudizio di merito da cui possa evincersi che essa aveva chiesto una siffatta consulenza ed in quali esatti termini, nonché l’eventuale decisione dei giudici di merito sul punto.
Inoltre, anche in questo caso non pare adeguatamente colta l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto in contestazione.
La corte d’appello ha, infatti, chiaramente affermato che, anche a prescindere dal valore effettivo dell’immobile venduto, la ricorrente non aveva fornito elementi di prova sufficienti a sostegno del conseguente pregiudizio non patrimoniale allegato, in pr imo luogo per non avere neanche indicato l’entità dei crediti fatti valere nei suoi confronti in sede esecutiva, da soddisfare con il prezzo ricavato dalla vendita: dunque, la consulenza di cui si lamenta l’omesso svolgimento, non avrebbe avuto effettivo rilievo ai fini della decisione.
In ogni caso, pare altresì opportuno precisare, in proposito, da una parte, che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in sede di espropriazione immobiliare il prezzo di aggiudicazione non deve necessariamente coincidere con il valore di mercato del bene venduto, purché siano state correttamente applicate le norme processuali che disciplinano il procedimento di vendita, senza che la corretta determinazione di detto prezzo sia stato influenzato da elementi perturbatori esterni e, dall’altra parte, che, nella specie, non risulta in alcun modo accertato, nell’ambito del processo esecutivo in questione, come sarebbe stato necessario, che le conAVV_NOTAIOe dei convenuti, anche di rilievo penale, abbiano in definitiva realmente inciso sulla determinazione del prezzo ricavato dalla vendita, e ciò nonostante le contestazioni effettivamente proposte in quella sede dagli stessi debitori, che non risultano essere state accolte.
Con il nono motivo si denunzia « violazione di legge, in ordine all’ art. 111 cost. e 132, comma 4, c.p.c., e motivazione apparente , in relazione dell’ art. 360, n 3, c.p.c. ».
Secondo la ricorrente, « gli assunti circa il danno morale di COGNOME NOME evidenziati dal giudicante furono correttamente esposti ma erroneamente valutati », in quanto « non vi è alcuna
disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo completo seguito dal Giudice il che determina la nullità della sentenza ».
Il motivo è infondato.
Come già chiarito, la corte d’appello ha affermato, in diritto, che il danno non patrimoniale allegato dall’attrice, non potendo ritenersi in re ipsa , richiedeva di essere dimostrato e, in fatto, ha ritenuto, all’esito della motivata valutazione delle prove disponibili, che tale prova non fosse stata fornita.
Come già chiarito (si veda in particolare quanto già esposto in relazione al primo motivo del ricorso), si tratta di una motivazione adeguata, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede e, peraltro, pienamente condivisibile.
Con il decimo motivo si denunzia « violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in quanto andava quantificato il danno morale subito da NOME COGNOME a seguito dei reati accertati a suo danno in relazione all’ art. 240 c.p. ».
La ricorrente sostiene che « i danni non patrimoniali, ivi compresi i danni morali ed esistenziali subiti da NOME COGNOME a seguito degli illeciti penali commessi a suo danno nella procedura esecutiva n. 632/95 r.g. del Tribunale di Firenze a vantaggio di tutte le controparti, potevano e dovevano essere determinati ».
Per quanto è possibile intendere nonostante la scarsa chiarezza dell’esposizione, la doglianza ha ad oggetto la mancata quantificazione, da parte della corte d’appello , del danno morale allegato dall’attrice .
Il motivo è, per tale aspetto, certamente inammissibile.
Una volta escluso che fosse stata fornita la stessa prova dei danni non patrimoniali allegati dall’attrice, è evidente, già sul piano logico, che non avrebbe potuto procedersi ad alcuna determinazione del loro importo.
Se poi la censura potesse o dovesse intendersi come una ulteriore contestazione relativa alla valutazione delle prove operata dalla corte d’appello, in ordine alla sussistenza dei suddetti danni non patrimoniali, basterebbe richiamare quanto già ampiamente esposto in relazione all’inammissibilità dei precedenti motivi di ricorso con i quali sono state avanzate analoghe contestazioni.
12. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole: a) in complessivi € 5.000,00 per il controricorrente COGNOME; b) in complessivi € 6.000,00 per i controricorrenti NOME COGNOME ed eredi COGNOME; oltre (per entrambi) € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-