Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21037 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21037 Anno 2024
Presidente: CONDELLO NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15005/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
INDOMENICO NOMEINDOMENICO
NOME
-intimati-
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-resistente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 936/2021 depositata il 03/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
1. -La società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha stipulato con NOME COGNOME un contratto di finanziamento dietro cessione del quinto della pensione.
In particolare, NOME COGNOME avrebbe ottenuto, secondo la narrazione della ricorrente, per il tramite di un intermediario della società RAGIONE_SOCIALE, un prestito di 10.000 €, da restituire mediante cessione del quinto della sua pensione erogata dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
La società RAGIONE_SOCIALE, in ragione di tale accordo, ha erogato la somma su un conto cointestato sia ad NOME che alla moglie, da cui quest’ultimo risultava separato.
Nella stipula del contratto è intervenuto il figlio di NOME COGNOME, ossia NOME COGNOME, il quale ha avuto la delega dal padre per depositare la documentazione presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
Tuttavia è accaduto che, poco dopo la erogazione del prestito, e pur dopo che parte della somma data a prestito era stata prelevata, NOME COGNOME ha denunciato di non aver mai sottoscritto alcuna richiesta di finanziamento e di essere dunque vittima di una truffa.
Egli ha agito in giudizio per far accertare quindi che alcun contratto di finanziamento aveva stipulato e che dunque non era tenuto alla restituzione della somma, oltre ad aver diritto al risarcimento del danno.
12. -Il tribunale di Siracusa, espletata consulenza tecnica, dalla quale è emersa la falsità delle firme, ha però rigettato la domanda, fidando sulle dichiarazioni dell’intermediario finanziario rese alla polizia giudiziaria, e dalle quali è scaturita un’indagine per truffa a carico di NOME COGNOME.
Invece, la Corte di appello di Catania ha valorizzato la consulenza tecnica, che ha concluso per la falsità delle firme, ed ha dunque condannato RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno morale nei confronti dell’attore, rigettando la domanda della società di
restituzione della somma in quanto era emerso che a percepirla effettivamente era stata la moglie dell’COGNOME anziché costui. Ricorre per cassazione RAGIONE_SOCIALE spa con sei motivi di censura.
Nessuno degli intimati si è costituito.
Ragioni della decisione
-La Corte di appello di Catania, come si è fatto cenno, ha valorizzato le risultanze della consulenza tecnica, che ha concluso nel senso della falsità delle firme apposte non solo sul contratto ma anche sugli altri atti collegati, ed ha dunque ritenuto che NOME COGNOME non ha sottoscritto il contratto di finanziamento, che di conseguenza è stato dichiarato nullo.
Per contro, dichiarata la nullità del contratto, la Corte d’appello ha escluso che dovesse essere per l’appunto NOME COGNOME a restituire la somma in quanto a percepirla effettivamente era stata la moglie.
Ha poi liquidato il risarcimento del danno morale in via equitativa a favore di NOME COGNOME, nella misura di 10.000 €, atteso il reato di truffa di cui costui è stato vittima.
Questa ratio è contestata dalla società ricorrente con sei motivi di censura.
2.1. -Con il primo motivo si prospetta violazione degli articoli 2702 e seguenti del codice civile, nonché degli articoli 115 e 116 del codice di procedura civile.
La tesi della ricorrente è la seguente.
La Corte di appello ha fatto leva esclusivamente sulle risultanze, peraltro meramente probabilistiche, della consulenza tecnica, senza tenere in alcuna considerazione tutte le altre prove, e segnatamente la circostanza che NOME COGNOME aveva già una condanna per truffa, che comunque era stato rinviato a giudizio proprio per questa vicenda, che infine risultava che costui era andato insieme all’intermediario e al figlio presso la sede dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, che vi erano altri documenti da costui sottoscritti. Il motivo è inammissibile.
Esso, in realtà, mira ad una complessiva censura della valutazione delle prove effettuata dal giudice di merito, qui inammissibile.
Ciò senza tacere del fatto che il giudizio della Corte di merito non è basato soltanto sulla valutazione della consulenza tecnica, in quanto tiene conto delle dichiarazioni rese dall’intermediario, considerate, tuttavia, inattendibili in quanto condizionate dall’interesse in causa del dichiarante.
Inoltre, non viola alcun canone di valutazione della prova il fatto di dar rilievo ad una risultanza probatoria rispetto alle altre, qualora tale rilievo sia adeguatamente motivato: i giudici di merito hanno fatto affidamento sulla consulenza tecnica atteso il grado di certezza con cui il consulente ha escluso la riferibilità delle sottoscrizioni a NOME COGNOME.
E dunque, se è vero che i giudici di merito hanno dato prevalenza a tale prova, è altresì vero che di tale giudizio probatorio hanno fornito adeguata motivazione.
Quanto alla mancata ammissione delle prove orali, ferma restando l’insindacabilità di un tale giudizio, che appartiene alla discrezionalità del giudice di merito, la censura difetta di specificità posto che non è chiaro su cosa vertessero le altre prove e quale fosse l’ambito dell’oggetto di prova. Né è riferita la ragione per la quale sono state rigettate.
2.2. -Con il secondo motivo si prospetta violazione degli articoli 1813, 1418, 2033 del codice civile.
La ricorrente lamenta la circostanza che, dichiarato nullo il contratto, come è conseguenza per l’appunto della nullità, le prestazioni andavano ripetute, e dunque la controparte andava condannata alla restituzione della somma che comunque era stata ricevuta, essendo pacifico che fosse stata accreditata sul conto di costui.
2.3. -Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 2033 del codice civile.
Il motivo costituisce svolgimento di quello precedente.
Lamenta la ricorrente il fatto che i giudici di merito non abbiano condannato la controparte alla restituzione della somma, sulla base del fatto che a percepirla è stata di fatto la moglie.
Osservano che è pacifico che, sulla base del contratto poi dichiarato nullo, a percepire la somma formalmente deve ritenersi colui a cui è stata formalmente erogata.
2.4. -Il quarto motivo , che prospetta una violazione dell’articolo 2702 del codice civile, è conseguenza degli altri precedenti due.
La ricorrente infatti contesta l’accertamento per il quale a percepire la somma è stata la moglie, attraverso la contestazione della prova su cui tale accertamento è stato basato: assume in particolare che la dichiarazione di quest’ultima, circa l’estraneità dell’ ex marito, era stata tardivamente depositata e non avrebbe dovuto essere ammessa.
Questi tre motivi pongono una questione comune e può farsene scrutinio unitario.
Essi sono infondati.
Presupposto della decisione impugnata è che a percepire di fatto le somme, e dunque ad usufruire del finanziamento, non è stato il contraente ma un suo familiare.
Questo presupposto di fatto condiziona poi la conclusione giuridica secondo cui alla restituzione è tenuto l’effettivo utilizzatore della somma e non già il contraente, che peraltro non ha sottoscritto il contratto.
Si tratta di un presupposto di fatto qui indiscutibile, che peraltro viene smentito con il quarto motivo, attraverso una censura inammissibile in quanto volta a contestare la tempestività di una
prova documentale, che avrebbe potuto essere invece fatta oggetto di apposita censura nel giudizio di merito.
La ratio della decisione impugnata, dunque, dato per presupposto quel fatto -la somma è stata percepita da soggetto diverso -è nel senso che per accipiens deve intendersi colui che di fatto ha percepito la somma, a prescindere dal soggetto cui formalmente è stata erogata.
Questa tesi è corretta. Ed infatti l’ accipiens si individua in colui che materialmente ha usufruito del pagamento (per un precedente in tale senso Cass. 17705/ 2016), a prescindere dalla circostanza che quest’ultimo sia stato effettuato nei confronti di altro soggetto.
2.5. -Il quinto motivo prospetta violazione degli articoli 2043, 2059, 2697 del codice civile.
Esso attiene al risarcimento del danno morale che la Corte di merito ha riconosciuto a NOME COGNOME in quanto vittima di una truffa e che la stessa Corte d’appello ha liquidato in via equitativa in 10.000 €.
Sostiene la ricorrente che tale risarcimento è stato liquidato senza che sia stato provato l’effettivo pregiudizio, il quale non può essere riconosciuto in re ipsa ma deve essere provato da parte del danneggiato.
2.6. -Il sesto motivo prospetta anch’esso violazione degli articoli 2043, 2059, 2697 del codice civile.
Sempre quanto al danno da reato, si osserva che esso presuppone per l’appunto un reato, che invece non risulta accertato ai danni del contraente e comunque non è stato perpetrato da RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, punto sul quale la Corte di merito non ha fornito alcuna motivazione.
Questi due motivi pongono una questione comune e sono fondati. Innanzitutto, se è vero che il danno morale è risarcibile qualora derivi da un reato, ciò non significa che il reato non debba essere accertato e il danno non debba essere provato: anche quando il danno morale è invocato quale conseguenza di un reato, è necessario che il giudice civile ne accerti i presupposti incidenter tantum , pur in mancanza di una decisione del giudice penale (Cass. 3371/ 2020).
Qui, il giudice di merito si è limitato ad affermare che il contraente è stato vittima di un reato, ma senza alcun cenno ai suoi presupposti, senza cioè indicare alcun elemento da cui un reato di truffa potesse ricavarsi: accertamento indispensabile dal momento, tra l’altro, che il risarcimento è stato posto a carico della società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, segno che a commettere il reato è stato un soggetto a costei riferibile, altrimenti non potendosi ammettere che quest’ultima risarcisca un danno da reato imputabile ad altri.
Occorreva dunque far precedere la pronuncia di risarcimento dall’accertamento, sia pure incidentale, di un reato di truffa addebitabile alla società RAGIONE_SOCIALE ( rectius , ad un suo soggetto agente).
Inoltre, anche qualora si accerti che taluno è vittima di un reato, il risarcimento del danno non è in re ipsa , ossia nel fatto stesso che taluno è vittima del reato: occorre pur sempre dimostrare che quel reato ha provocato un pregiudizio risarcibile (Cass. 8421/ 2011; Cass. 25420/ 2017).
Il danno in re ipsa è il danno consistente nella mera lesione dell’interesse leso, e dunque coincidente con il reato in questo caso. Il reato lede un interesse protetto dalla norma penale: nella fattispecie l’interesse alla integrità del patrimonio. Ma da tale lesione non è detto che derivi un pregiudizio non patrimoniale, come il danno morale, ed occorre dunque che si dimostri che quella lesione ha prodotto un pregiudizio risarcibile.
Il ricorso va pertanto accolto in questi termini e la decisione cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto e il sesto motivo. Rigetta gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/06/2024.