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Danno emergente e lucro cessante: come si calcola

Una società licenziataria non utilizzava i fondi per la pubblicità come da contratto. La Cassazione, riformando la decisione di merito, chiarisce che il risarcimento deve includere sia il danno emergente (la perdita economica diretta) sia il lucro cessante (il mancato guadagno). I giudici precedenti avevano erroneamente liquidato solo il lucro cessante. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, stabilendo che la mancata valutazione del danno emergente costituisce un errore di diritto e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello per una nuova e completa quantificazione del danno.

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Danno emergente e lucro cessante: la Cassazione fa chiarezza sulla loro distinzione e liquidazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto delle obbligazioni e del risarcimento del danno: la corretta distinzione e quantificazione del danno emergente e lucro cessante. Attraverso l’analisi di un caso relativo a un contratto di licenza di marchio, la Suprema Corte ribadisce un principio fondamentale: queste due componenti del danno patrimoniale sono autonome e devono essere entrambe considerate per un risarcimento integrale. La decisione dei giudici di merito, che aveva liquidato solo il mancato guadagno, è stata cassata per non aver tenuto conto della perdita patrimoniale diretta.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto di licenza per l’uso di un noto marchio. La società licenziante aveva concesso alla società licenziataria l’uso del brand a fronte del pagamento di royalties e di un contributo obbligatorio per le spese pubblicitarie, finalizzate a promuovere il marchio stesso.

Successivamente, la licenziante otteneva un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di alcune fatture. La licenziataria si opponeva, sostenendo di vantare un controcredito di importo superiore per conguagli e contributi pubblicitari. A sua volta, la licenziante, tramite una società cessionaria del credito, introduceva una domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento del danno, lamentando che la licenziataria non avesse mai utilizzato per fini promozionali le ingenti somme versate a tale scopo, violando gli accordi contrattuali.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente le domande, e dopo aver operato una serie di compensazioni, condannava la licenziataria al pagamento di una somma residua. In particolare, il giudice riconosceva che la licenziataria aveva omesso di sostenere i costi pubblicitari pattuiti e, per questo, liquidava un danno da lucro cessante a favore della licenziante, calcolato sulla base del mancato aumento di fatturato che la pubblicità avrebbe generato.

La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado, rigettando tutti gli appelli. I giudici di secondo grado ritenevano corretta la liquidazione del solo lucro cessante, considerandolo come l’unica componente di danno patrimoniale lamentata e provata.

Le Motivazioni della Cassazione sul danno emergente e lucro cessante

La società creditrice ricorreva in Cassazione, e la Suprema Corte ha accolto il motivo centrale del ricorso, focalizzato sulla violazione dell’art. 1223 c.c. in tema di risarcimento del danno. La Corte ha stabilito che i giudici di merito hanno commesso un errore nel non distinguere adeguatamente tra danno emergente e lucro cessante.

Il danno risarcibile, secondo la Cassazione, si articola in due componenti distinte:
1. Il danno emergente: rappresenta la perdita effettiva e immediata subita dal patrimonio del danneggiato. Nel caso di specie, corrisponde alla somma di denaro versata dalla licenziante e non utilizzata dalla licenziataria per gli scopi pubblicitari pattuiti. Si tratta di una perdita secca, un esborso finanziario a cui non è seguita la controprestazione contrattuale.
2. Il lucro cessante: rappresenta il mancato guadagno, cioè il profitto che il danneggiato avrebbe conseguito se l’inadempimento non si fosse verificato. In questo caso, corrisponde ai maggiori ricavi che la licenziante avrebbe ottenuto se la campagna pubblicitaria fosse stata realizzata come previsto.

La Corte di Appello, confermando la decisione del Tribunale, aveva erroneamente considerato solo la seconda componente (il lucro cessante), omettendo completamente di valutare la prima (il danno emergente). Secondo la Cassazione, il mancato profitto derivante dalla parziale esecuzione dell’obbligo di pubblicità non esaurisce il danno risarcibile, ma ne rappresenta solo una parte. La valutazione del pregiudizio doveva essere complessiva e articolata nella sua duplice valenza.

Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce che il risarcimento del danno da inadempimento contrattuale deve essere integrale. I giudici devono procedere a una valutazione distinta e completa di entrambe le componenti del danno patrimoniale: il danno emergente, inteso come perdita subita, e il lucro cessante, inteso come mancato guadagno. Limitare l’analisi a una sola delle due voci, come avvenuto nei gradi di merito, costituisce un errore di diritto che porta a un risarcimento parziale e ingiusto. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello, che dovrà procedere a una nuova quantificazione del danno, tenendo conto di entrambi i profili del pregiudizio subito dalla società licenziante.

Qual è la differenza tra danno emergente e lucro cessante secondo la Corte?
Il danno emergente è la perdita patrimoniale immediata e diretta subita (es. i soldi versati e non utilizzati per lo scopo previsto). Il lucro cessante, invece, è il mancato guadagno futuro che si sarebbe ottenuto se l’inadempimento non fosse avvenuto (es. i maggiori ricavi derivanti dalla pubblicità non fatta).

Cosa succede se una parte non adempie all’obbligo di investire somme in pubblicità come previsto da un contratto di licenza?
La parte inadempiente è tenuta a risarcire il danno, che include sia la restituzione delle somme non spese per la pubblicità (danno emergente), sia il mancato profitto derivante dalla mancata promozione del marchio (lucro cessante).

Può un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) sopperire alla mancata produzione di prove da parte di una delle parti in causa?
No. La Corte chiarisce che il CTU ha il potere di acquisire documenti e dati per svolgere il suo incarico tecnico, ma non può sostituirsi alla parte nell’adempiere all’onere della prova sui fatti posti a fondamento della domanda. Il suo compito è verificare e analizzare tecnicamente le prove già prodotte dalle parti, non di cercarle ex novo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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