Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18502 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18502 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7463-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all ‘avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente al l’avv. NOME COGNOME
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE
-intimato – avverso la sentenza n. 2854/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata in data 11/07/2019
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 31.10.2012 RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 4130/2012, emesso dal Tribunale di Padova, con il quale le era stato ingiunto il pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 127.995 oltre interessi a fronte di alcune fatture la licenza d’uso della griffe ‘RAGIONE_SOCIALE‘. L’opponente, pur non contestando la debenza, opponeva in compensazione un controcredito di € 354.276,16 per conguaglio di royalties e contributo alla pubblicità per l’anno 20082009, secondo quanto previsto dal contratto di licenza della griffe di cui anzidetto sottoscritto tra le parti il 20.5.2005. L’opponente chiedeva quindi la condanna di RAGIONE_SOCIALE.p.a. al pagamento della differenza a proprio credito, pari ad € 236.281,16.
Si costituiva l’opposta, contestando l’esistenza del controcredito di cui anzidetto e deducendo di aver corrisposto, secondo gli accordi contrattuali, la complessiva somma di € 921.635,21 tra l’anno 2006 e l’anno 2008; somma che tuttavia non sarebbe mai stata utilizzata da RAGIONE_SOCIALE per la pubblicizzazione della griffe oggetto della licenza, in violazione di quanto pattuito tra le parti. RAGIONE_SOCIALE chiedeva quindi, in via riconvenzionale, la condanna della società opponente al risarcimento del danno emergente derivante dal predetto
-controricorrente –
inadempimento, pari alla suindicata somma di € 921.635,21 o a quella, maggiore o minore, ritenuta di spettanza, nonché del lucro cessante, da quantificare in percentuale ai ricavi netti conseguiti nei vari anni.
Con atto di intervento del 10.12.2014 si costituiva RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito contenzioso di RAGIONE_SOCIALE, richiamando le difese di quest’ultima.
Con sentenza n. 290/2017 il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo opposto e condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di Simod RAGIONE_SOCIALE.r.l., della minor somma di € 73.828,55 oltre accessori. Il primo giudice riteneva che l’opponente, avendo chiesto la condanna dell’opposta al pagamento della sola differenza tra l’importo del decreto ingiuntivo e quello del maggior controcredito allegato in atto di opposizione, avesse ammesso l’esistenza del credito originariamente azionato in via monitoria; riteneva poi che, al netto dei conteggi delle royalties e dei contributi pubblicitari previsti dal contratto esistente tra le parti, fosse risultato un credito residuo di RAGIONE_SOCIALE S.p.a. pari ad € 210.896,95; che tuttavia quest’ultima aveva omesso di sostenere costi pubblicitari per € 724.415; che il lucro cessante derivante da detto inadempimento fosse pari ad € 156.703,50. All’esito, operate le varie compensazioni tra le poste reciprocamente in dare e in avere, il primo giudice riteneva dovuta, da parte di RAGIONE_SOCIALE, la residua somma di € 73.828,55 oltre accessori di cui anzidetto.
Con la sentenza impugnata, n. 2845/2019, la Corte di Appello di Venezia rigettava i gravami separatamente interposti dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e da RAGIONE_SOCIALE, nonché quelli incidentali di RAGIONE_SOCIALE, avverso la decisione di prime
cure, confermandola e compensando per intero le spese del grado di appello.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
Il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 194, 195, 183 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente degradato a fatti accessori le condotte di inadempimento agli obblighi pubblicitari gravanti su RAGIONE_SOCIALE, violando l’onere della prova, che impone alla parte nei cui confronti sia contestato l’inadempimento di dimostrare di aver adempiuto alla propria obbligazione. Ad avviso della società ricorrente, il giudice di appello avrebbe errato nel non rilevare che il C.T.U., che aveva quantificato i costi pubblicitari documentati dalla società odierna controricorrente, si era sostanzialmente sostituito alla parte in relazione alla prova dell’adempimento dello specifico onere pubblicitario previsto dal contratto di licenza del 20.5.2005. In particolare, poiché RAGIONE_SOCIALE (il cui credito litigioso era poi stato acquistato dall’odierna ricorrente) aveva contestato a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il mancato utilizzo, a fini pubblicitari, dell’importo di € 921.635,21 complessivamente versato dalla predetta RAGIONE_SOCIALE tra il 2006 ed il 2008, era onere di RAGIONE_SOCIALE fornire la prova di aver adempiuto alla propria obbligazione, destinando detti importi a scopi pubblicitari. Al contrario, detta prova non
era stata offerta direttamente dalla società odierna controricorrente, che si era limitata a produrre alcune fatture di spesa, senza tuttavia dimostrare l’effettivo adempimento al proprio obbligo convenzionalmente assunto; la ricostruzione operata dall’ausiliario, dunque, aveva in sostanza supplito ad un deficit di allegazione e di prova della parte interessata.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha evidenziato che il Tribunale, dopo aver disposto una consulenza tecnica per determinare il fatturato di RAGIONE_SOCIALE per l’anno 2008, aveva distinto i casi in cui la predetta società aveva ricevuto la merce, ed aveva quindi potuto effettivamente concludere le vendite, da quelli in cui ciò non era stato possibile a causa di fatti imputabili a RAGIONE_SOCIALE (ritardi nella fornitura, merce non conforme all’ordine, respinta o mancante), determinando il fatturato utile per la licenziataria in complessivi € 9.735.785. Il primo giudice aveva poi considerato gli obblighi promozionali gravanti convenzionalmente sulla licenziante, ritenendo utilizzabili complessivamente n. 73 fatture acquisite nel corso delle indagini peritali, il cui esito aveva dimostrato che, nel complesso, per gli anni dal 2006 al 2009 RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto costi promozionali per soli € 272.563, a fronte dei maggiori importi ricevuti da RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE nel medesimo periodo, così omettendo di sostenere costi pubblicitari per complessivi € 724.415 (cfr. pagg. 10 e s. della sentenza impugnata). La Corte distrettuale ha altresì dato atto che il Tribunale patavino aveva ritenuto che non potesse essere negato a RAGIONE_SOCIALE il diritto al risarcimento per il sol fatto che la stessa avesse versato alla licenziante, nel 2008, i contributi convenzionalmente stabiliti con alcuni mesi di ritardo rispetto a quanto previsto dal contratto, poiché ciò avrebbe semmai potuto giustificare lo slittamento della campagna pubblicitaria,
ma non la sua omissione (cfr. pag. 11 della sentenza). La Corte veneta ha altresì evidenziato che la sentenza di prime cure aveva ipotizzato che a ciascun euro non speso di pubblicità corrispondesse un aumento del fatturato di pari importo, ed aveva così determinato il danno da lucro cessante in € 156.703,50, considerando invece assorbita la domanda di restituzione delle somme versate da RAGIONE_SOCIALE per contributi di pubblicità, perché proposta in via gradata e comunque perché, comunque, la licenziataria non aveva formulato domanda di risoluzione del rapporto convenzionale in essere tra le parti, dalla quale sarebbe derivato il suo diritto alla ripetizione delle somme predette (cfr. pag. 12 della sentenza).
La Corte di Appello ha ritenuto corretto l’argomentare del giudice di prime cure, poiché il C.T.U. ‘… può attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli … Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell’incarico non comportante una supplenza rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio. Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al consulente sia necessario, per portare a termine l’indagine richiesta, acquisire documenti per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o no corrette’ (cfr . pag. 19 della sentenza impugnata). La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, richiamato anche dalla Corte veneta, secondo cui ‘Il consulente tecnico di ufficio ha il potere di acquisire ogni elemento necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, anche se risultanti da documenti non prodotti in giudizio, sempre che non si tratti di fatti che, in quanto posti direttamente a fondamento delle domande e delle eccezioni, debbono essere provati dalle parti’ (Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 12921 del 23/06/2015, Rv. 635808; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 212 del 11/01/2006, Rv. 585907; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2671 del 05/02/2020, Rv. 657091).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha dato atto che RAGIONE_SOCIALE che era onerata di dimostrare di aver adempiuto all’onere di promozione pubblicitaria della griffe previsto dall’art. 23 del contratto di licenza del 20.5.2005, aveva prodotto, nel rispetto delle preclusioni istruttorie, ‘… alcune fatture, ove si faceva riferimento al mezzo pubblicitario e al contenuto e alla data delle pubblicazioni’ in tal modo documentando i costi sostenuti per la pubblicità, poi verificati dal C.T.U. nell’ambito delle indagini peritali devolutegli dal primo giudice (cfr. pag. 20 della sentenza). Nessuna violazione dell’onere della prova, dunque, si configura nel caso di specie, posto che la parte vi aveva adempiuto, e che il consulente tecnico ha soltanto provveduto alla verifica delle spese effettivamente sostenute, nel periodo oggetto di causa, dall’odierna controricorrente, peraltro riducendo l’importo dei costi riferibili alla licenza (cfr. ancora pag. 20 della sentenza).
Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la coesistenza tra danno emergente e lucro cessante, denegando a RAGIONE_SOCIALE il diritto alla restituzione delle somme versate alla licenziante per oneri pubblicitari, dalla medesima non spese a tal scopo.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha denegato il diritto di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle somme di cui al motivo in esame, rilevando, da un lato, che la relativa domanda era stata proposta soltanto in via subordinata, di talché l’accoglimento della principale ne precludeva l’esame; e, dall’altro
lato, evidenziando che RAGIONE_SOCIALE non aveva chiesto la risoluzione del rapporto contrattuale, domanda (questa) alla quale sarebbe conseguito il suo diritto alla ripetizione delle somme di cui alla doglianza in esame. Inoltre, la Corte territoriale, nel confermare la decisione di prime cure, della quale condiviso l’ iter logico-argomentativo, ha ritenuto che il danno lamentato da RAGIONE_SOCIALE derivante dallo ‘… investimento solo parziale del cd. compenso pubblicitario in campagne pubblicitarie da parte della licenziante è costituito dai riflessi negativi che i minori investimenti possono aver avuto sul fatturato di RAGIONE_SOCIALE. Si tratta di un danno da lucro cessante che è stato preso in esame dalla sentenza. Danno emergente e lucro cessante hanno un valore descrittivo del quantum debeatur e sono due componenti sempre del danno patrimoniale. Essendosi il Giudice pronunciato sul danno patrimoniale subito da RAGIONE_SOCIALE, non vi è stata alcuna omissione di pronuncia. Non vi è nemmeno stata un’errata mancata liquidazione di una componente del danno, poiché corrispettivo e danno devono essere mantenuti distinti’ (cfr. pagg. 22 e 23 della sentenza impugnata).
In realtà, dall’esame degli atti processuali, consentito al Collegio in presenza della deduzione di un vizio di natura processuale, risulta che sin dalla comparsa di costituzione e risposta in prime cure RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto, in via riconvenzionale, la condanna di RAGIONE_SOCIALE… al risarcimento del danno patito da RAGIONE_SOCIALE in conseguenza del grave inadempimento agli obblighi promozionali previsti dall’art. 23 del Contratto di Licenza RAGIONE_SOCIALE, sottoscritto dalle parti in data 20.05.2005, e quantificato in via prudenziale nella somma di euro 921.635,21 salvo diverso maggior o minor importo che dovesse risultare di giustizia, con interessi e rivalutazione dal fatto al saldo’ e, in subordine, la condanna della predetta RAGIONE_SOCIALE a ‘… restituire a RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE la somma di euro 921.635,21 salvo diverso maggior o minor
importo che dovesse risultare di giustizia …’ (cfr. pag. 18 della predetta comparsa). La domanda è stata riproposta nella sua interezza anche in seconde cure, come risulta da pag. 8 della sentenza impugnata, ove si dà atto che l’odierna ricorrente aveva concluso per la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno, tanto a titolo di danno emergente che a titolo di lucro cessante.
Ai sensi di quanto previsto dall’art. 1223 c.c., il danno risarcibile si articola in due componenti, rappresentate rispettivamente dalla perdita subita (danno emergente) e dal mancato guadagno (lucro cessante). Il danno emergente rappresenta la perdita effettiva e immediata del patrimonio di un soggetto, causata da un evento lesivo; il lucro cessante, invece, è rappresentato dal mancato guadagno che quel soggetto avrebbe potuto ottenere se l’evento non si fosse verificato. Entrambe le componenti rientrano nell’ambito del danno risarcibile, e vanno quindi apprezzate con riguardo, da un lato, allo spostamento patrimoniale che si sia verificato per effetto del rapporto negoziale (vertendosi, nella fattispecie, in materia di responsabilità di natura contrattuale) e, dall’altro lato, alle conseguenze positive che non sono state conseguite dalla parte per effetto dell’inadempimento dell’altra parte. In detto calcolo, ovviamente, deve tenersi conto -quando si tratti di rapporto negoziale di carattere commerciale, come nel caso di speciedelle spese di produzione che comunque la parte adempiente avrebbe sostenuto in forza del contratto dalla stessa concluso, nonché, in presenza di un adempimento solo parziale dell’altra parte, della porzione di corrispettivo comunque dovuta a fronte di quest’ultimo e degli effetti favorevoli che si sono prodotti in virtù dello stesso adempimento parziale.
Nel caso specifico, la Corte distrettuale, nel confermare la statuizione del primo giudice, non si è avveduta che quest’ultimo aveva determinato il pregiudizio a carico di RAGIONE_SOCIALE individuando, al netto
dei conteggi delle royalties e dei contributi pubblicitari previsti dal contratto, un credito residuo di RAGIONE_SOCIALE pari ad € 210.896,95. Il Tribunale aveva poi affermato che la licenziante aveva omesso di sostenere costi pubblicitari per € 724.415, in quanto aveva investito in campagne pubblicitarie del marchio licenziato solo parte della somma complessivamente percepita da RAGIONE_SOCIALE a tale titolo, in adempimento a quanto previsto dall’art. 23 del contratto di licenza. Ed infine, il primo giudice aveva determinato la conseguenza negativa per RAGIONE_SOCIALE derivante da detto inadempimento, stimandola pari ad € 156.703,50 sulla base di un calcolo 1:1 tra ogni euro non speso in pubblicità ed ogni euro non percepito a titolo di ricavo, e computando sul totale del ricavo mancato il compenso effettivo che RAGIONE_SOCIALE avrebbe percepito. Il Tribunale aveva poi compensato le due poste, rispettivamente a credito di RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, pari ad € 210.896,95 e di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, pari ad € 156.703,50 pervenendo alla differenza dovuta dalla seconda società alla prima.
Detto ragionamento, confermato dalla Corte di Appello sul presupposto che, in tal modo, non vi fosse stata omissione di pronuncia, né una mancata liquidazione di una delle componenti del danno, avendo statuito il Tribunale sull’intera domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE, è erroneo, perché in realtà considera soltanto uno dei profili del pregiudizio complessivamente patito dalla licenziataria.
E’ ben vero che -come correttamente afferma il giudice di appelloil danno emergente non si identifica necessariamente con il corrispettivo versato per effetto del rapporto negoziale, poiché esso va individuato, come detto, nella perdita effettivamente subita dal patrimonio di un soggetto; ma ciò, se da un lato esclude la possibilità di operare una automatica equivalenza tra la somma versata dalla licenziataria per contributi pubblicitari e la perdita effettiva dalla stessa subita per effetto
del solo parziale adempimento della licenziante agli obblighi previsti dall’art. 23 del contratto di licenza, non autorizza il completo azzeramento della voce di danno in esame. In altri termini, il mancato profitto che, al netto del calcolo eseguito dalla Corte distrettuale, RAGIONE_SOCIALE non ha percepito per effetto dell’adempimento parziale dell’obbligazione di pubblicità del marchio gravante sulla licenziante non esaurisce il danno risarcibile, ma rappresenta soltanto una delle sue componenti. Ne deriva che, nel caso di specie, è mancata la valutazione complessiva del pregiudizio, articolato nella sua duplice valenza di danno emergente e lucro cessante.
Da quanto precede deriva l’accoglimento della censura in esame.
Con il terzo motivo, la società ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1241 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello, da un lato, non si sarebbe avveduta che il Tribunale aveva accolto la domanda promossa da RAGIONE_SOCIALE, riconoscendo in favore della stessa il diritto al contributo pubblicitario per l’anno 2008-2009, pur avendo acclarato il mancato adempimento agli obblighi pubblicitari per quella annualità. Inoltre, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente operato una reformatio in peius , compensando parzialmente il credito di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE con una sovrastima del parametro utilizzato per la determinazione del lucro cessante, pur in assenza di impugnazione incidentale di RAGIONE_SOCIALE sul punto specifico.
Con il quarto motivo, invece, la ricorrente contesta la nullità della sentenza e del procedimento e violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe reso motivazione meramente apparente in relazione alla scelta di ritenere che il lucro cessante dovesse essere apprezzato in ragione
della proporzione 1:1 tra la spesa non eseguita per pubblicità e l’incasso non conseguito nel periodo, e non invece secondo una proporzione diversa, più favorevole per il licenziatario.
Le due censure sono assorbite dall’accoglimento della seconda doglianza, poiché il giudice del rinvio dovrà procedere ad una nuova valutazione del danno risarcibile patito da RAGIONE_SOCIALE, articolato nelle sue componenti del danno emergente, da individuarsi nella perdita effettiva subita dal patrimonio della predetta società per effetto dell’inadempimento della licenziataria all’obbligo di cui all’art. 23 del contratto di licenza sottoscritto tra le parti, e del lucro cessante, rappresentato invece dal mancato guadagno che la società ricorrente avrebbe potuto ottenere se l’evento dannoso non si fosse verificato. In detta valutazione, il giudice del rinvio dovrà considerare le spese di produzione che comunque la parte adempiente avrebbe sostenuto in forza del contratto di cui è causa, nonché, in presenza di un inadempimento solo parziale dell’altra parte, della frazione del corrispettivo pattuito comunque dovuta dalla licenziataria e degli effetti favorevoli che si sono prodotti nel suo patrimonio in virtù del predetto adempimento parziale.
In definitiva, va rigettato il primo motivo, accolto il secondo e dichiarati assorbiti gli altri.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Venezia, in differente composizione, la quale si adeguerà ai principi esposti in motivazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione alla
censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Venezia, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda