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Danno da ritardo: onere della prova e nesso causale

Un ex dipendente pubblico, licenziato a seguito di una condanna penale, ha citato in giudizio il suo datore di lavoro per ottenere un risarcimento per il ritardo nel processo di riammissione previsto dalla legge. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, stabilendo che il danno da ritardo presuppone che il lavoratore dimostri il nesso causale. In particolare, il dipendente deve provare che un procedimento disciplinare tempestivo avrebbe verosimilmente portato a un esito favorevole (la riammissione), onere che in questo caso non è stato soddisfatto.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da Ritardo: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, affronta un tema cruciale nel diritto del lavoro pubblico: il risarcimento del danno da ritardo subito da un dipendente a causa della mancata tempestiva conclusione di un procedimento disciplinare da parte dell’amministrazione. La pronuncia stabilisce principi chiari in merito all’onere della prova e al nesso di causalità, elementi indispensabili per ottenere un risarcimento.

I Fatti di Causa: Dalla Destituzione alla Richiesta di Risarcimento

Il caso riguarda un dipendente di un ente pubblico, destituito dall’impiego a seguito di una condanna penale definitiva per truffa aggravata e falsità materiale commesse ai danni dello stesso ente. Successivamente, una legge del 1990 ha introdotto una procedura per la riammissione in servizio dei dipendenti destituiti ‘di diritto’, subordinandola all’esito di un nuovo procedimento disciplinare da avviare e concludere entro termini perentori.

L’ente, tuttavia, non ha promosso il procedimento disciplinare nei tempi previsti. Dopo un lungo contenzioso amministrativo, che ha visto l’annullamento del diniego di riammissione, il lavoratore è stato finalmente reintegrato, ma con notevole ritardo. A questo punto, il dipendente ha avviato una causa civile per ottenere il risarcimento dei danni subiti, tra cui le retribuzioni perdute e i mancati versamenti contributivi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Danno da Ritardo

La Corte d’Appello aveva respinto la domanda risarcitoria, ritenendo non provato il nesso di causalità tra il ritardo dell’ente e il danno lamentato. La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, rigettando il ricorso del lavoratore e delineando i contorni del diritto al risarcimento per il danno da ritardo.

L’Onere della Prova e il Giudizio Controfattuale

Il punto centrale della sentenza è l’onere della prova. Secondo i giudici, non è sufficiente dimostrare il ritardo dell’amministrazione. Il danneggiato deve provare, secondo un criterio di probabilità, che l’adempimento tempestivo da parte dell’ente avrebbe portato a un esito a lui favorevole.

Nel caso specifico, il lavoratore avrebbe dovuto dimostrare che, se il procedimento disciplinare fosse stato svolto correttamente e nei termini, si sarebbe concluso con una sanzione diversa dalla destituzione, e quindi con la sua riammissione in servizio. Questo tipo di valutazione richiede un ‘giudizio controfattuale’: il giudice deve immaginare cosa sarebbe accaduto se l’ente avesse agito lecitamente.

L’irrilevanza del Ritardo senza Prova del Danno

La Corte ha sottolineato che l’inerzia dell’ente ha fatto sorgere il diritto alla riassunzione del dipendente, ma questo è un effetto ‘legale’ del superamento dei termini perentori, che non si traduce automaticamente in un diritto al risarcimento per il periodo di inattività. Il diritto al risarcimento sorge solo se l’inadempimento dell’ente è stato la causa diretta del pregiudizio economico.

Considerata la gravità dei reati per cui il dipendente era stato condannato, la Corte ha ritenuto altamente improbabile che un procedimento disciplinare, anche se tempestivo, si sarebbe concluso con un esito favorevole. Di conseguenza, è stato escluso il nesso causale tra l’omissione dell’ente e il danno economico (mancate retribuzioni), poiché anche con un comportamento corretto dell’amministrazione, il lavoratore avrebbe molto probabilmente subito la stessa sorte, ovvero la destituzione definitiva.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio consolidato per cui chi agisce per il risarcimento di un danno ha l’onere di provare tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa: l’inadempimento, il danno subito e, soprattutto, il nesso causale che lega il primo al secondo. L’omissione dell’ente pubblico ha innescato una catena di eventi, ma la sua rilevanza ai fini risarcitori è subordinata alla prova che un comportamento alternativo lecito avrebbe evitato il pregiudizio. La sentenza chiarisce che il diritto alla riammissione, scaturito in via amministrativa per il mero decorso dei termini, non sana l’assenza di prova sul merito della questione disciplinare nel giudizio civile per il risarcimento del danno. In assenza di tale prova, la richiesta risarcitoria non può trovare accoglimento.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce un principio fondamentale: il ritardo o l’omissione della Pubblica Amministrazione non genera di per sé un diritto automatico al risarcimento del danno. È sempre necessario che il soggetto che si assume danneggiato fornisca la prova rigorosa del nesso di causalità, dimostrando che, in assenza dell’illecito, l’esito della vicenda sarebbe stato per lui favorevole. Questa pronuncia rappresenta un importante monito per chi intende agire contro la P.A., evidenziando la centralità del giudizio controfattuale e la ripartizione dell’onere probatorio nel processo civile.

Chi deve provare il danno da ritardo nella riammissione in servizio?
Spetta al lavoratore che si ritiene danneggiato. Egli deve dimostrare non solo il ritardo dell’amministrazione, ma anche il nesso causale, provando che un procedimento tempestivo avrebbe avuto un esito a lui favorevole, come la riammissione in servizio.

Il semplice ritardo dell’amministrazione nel concludere un procedimento disciplinare dà automaticamente diritto a un risarcimento?
No. La sentenza chiarisce che il ritardo, pur potendo generare il diritto alla riammissione per il superamento dei termini perentori, non comporta un automatico diritto al risarcimento. Per ottenere il risarcimento, deve essere provato un danno che sia conseguenza diretta e immediata di quel ritardo.

Come si valuta il nesso causale in un caso di omesso o ritardato procedimento disciplinare?
Si utilizza il cosiddetto ‘giudizio controfattuale’. Il giudice deve valutare, sulla base di un criterio di probabilità, quale sarebbe stato l’esito del procedimento disciplinare se fosse stato condotto correttamente e tempestivamente. Se è probabile che l’esito sarebbe stato comunque sfavorevole per il dipendente (es. conferma della destituzione), il nesso causale è escluso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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