Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16195 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16195 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6198/2022 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrente –
contro
AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE ROMA ‘INDIRIZZO (già ASL Roma ‘C’), in persona del Direttore Generale NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME, domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 166/2022 della CORTE d’APPELLO di pubblicata il 12.1.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Locazione uso diverso -Danno ex art. 1591 cod. civ. –
Determinazione
Con sentenza pubblicata il 29.1.2015 il Tribunale di Roma accoglieva parzialmente le domande svolte da NOME COGNOME nei confronti della Azienda Sanitaria Locale ASL Roma ‘C’, alla quale aveva locato l’immobile sito in Roma, INDIRIZZO con contratto del l’1. 5.2000, condannando quest’ultima al pagamento del 50% delle spese di ripristino del bene quantificate in euro 56.608,49, ripartite in misura paritaria tra le parti. Il Tribunale di Roma, invece, rigettava la domanda di condanna al risarcimento del danno per l’ occupazione per il triennio 2011/2014, il cui accoglimento presupponeva non la mera condizione di incommerciabilità, ma l’impossibilità di mettere a frutto l’immobile durante l’esecuzione dei lavori, sì che sarebbe stato necessario verificare l’epoca in cui il locatore, usando l’ordinaria diligenza , avrebbe potuto dar corso alle opere e la relativa durata.
La Corte d’Appello di Roma con sentenza pubblicata il 12.1.2022, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal locatore , condannava la conduttrice al pagamento di euro 10.400 a titolo di risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ., compensando le spese di lite.
Osservava la Corte d’appello che i danni lamentati all’immobile, accertati dal C.T.U., nell’ambito di procedimento ex art. 696 cod. proc. civ. promosso dall’appellante prima dell’av vio del giudizio di merito, erano riconducibili sia a ll’ omessa manutenzione da parte della conduttrice sia alla normale usura del bene, ritenendo altresì corretta la ripartizione paritaria dell’importo di euro 56.608,49 determinata dal primo giudice.
In relazione alla domanda ex art. 1591 cod. civ., la Corte d’appello, ritenuta pacifica e comprovata la perdurante occupazione illegittima del bene da parte della conduttrice nel triennio luglio 2011/luglio 2014, limitava l’ammontare del danno a euro 10.400 (una sola mensilità, oltre euro 400 per spese condominiali) sul presupposto di un concorso di colpa ascritto al locatore che non avrebbe tempestivamente liberato l’immobile e perciò eseguito i relativi lavori di ripristino.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso l’Azienda Unit à Sanitaria Locale Roma 2 (già Azienda Unità Sanitaria Locale Roma ‘C’).
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. Le parti non hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., ‘la violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1576, 1590, 1609, 1175 e 1375 C.C., 2697 C.C. in relazione all’art. 360 co. I n. 3 c.p.c. per avere il giudice d’appello erroneamente interpretato il contenuto del contratto di locazione sottoscritto tra le parti, invertito l’onere della prova gravante sul conduttore ex art. 1590 c.c. e confermato il ridotto risarcimento del danno emergente liquidato da l giudice di primo grado’.
Il ricorrente censura l ‘ errata interpretazione fornita dalla Corte territoriale delle clausole contrattuali concernenti la manutenzione dell’immobile locato, nonché l’inversione dell’onere della prova , là dove è stato affermato che incombeva sul locatore dimostrare che all’epoca della sottoscrizione del contratto l’immobile si trova sse in buono stato, così escludendo parte dei danni accertati dal C.T.U. al momento della riconsegna.
Il contratto di locazione all’art. 9 obbligava la conduttrice, in deroga agli artt. 1576 e 1609 cod. civ., a provvedere alla manutenzione ordinaria e ad apportare le innovazioni necessarie per rendere gli impianti conformi alle prescrizioni tecniche vigenti e future. La conduttrice, inoltre, in base all’art. 8 del contratto si era impegnata alla restituzione del bene in buono stato. In assenza di descrizione dello stato dell’immobile nel contratto, in base all’art. 1590, comma secondo, cod. civ. si assume che dovrebbe valere la presunzione che il conduttore abbia ricevuto il bene in buono stato di manutenzione, onerandolo della prova contraria.
La Corte d’appello in violazione de ll’art. 1362 cod. civ. , erroneamente interpretando la deroga pattizia agli artt. 1576 e 1609 cod. civ., avrebbe ridotto il costo delle opere di ripristino assumendo che una molteplicità di voci accertate in sede di ATP dovessero intendersi come opere di manutenzione straordinaria.
Viceversa, la corretta interpretazione del contratto e dell’art. 1590 cod. civ. avrebbe dovuto portare il giudicante a ritenere che la conduttrice avesse omesso di provvedere alla manutenzione ordinaria, posto che il C.T.U. aveva calcolato il costo di ripristino in euro 102.200,61 oltre Iva, nonché omesso di provvedere all’adeguamento degli impianti , tanto più che in base all’art. 1590, comma secondo, cod. civ. la conduttrice era onerata della prova che il bene era stato consegnato in condizioni non buone.
Del pari erroneamente l’ammontare del danno risarcibile era stato ripartito paritariamente tra le parti sul presupposto della riferibilità sia all’omessa manutenzione da parte della conduttrice sia all ‘ordinaria usura del bene, mentre le precarie condizioni accertate dal C.T.U. non erano affatto riconducibili al l’uso normale.
1.1. Il motivo non merita accoglimento.
In via preliminare, si deve osservare che il ricorrente vorrebbe denunciare la violazione o falsa applicazione della congerie di norme indicate, ma, in realtà non postula né l’una né l’altra in via diretta, bensì solo all’esito di una diffusa argomentazione diretta a sollecitare la rivalutazione di quaestiones facti e dunque è inammissibile.
Analogamente, l ‘invocazione della violazione del l’art. 1362 cod. civ. non inquadra affatto il paradigma normativo per la denuncia di violazione o falsa applicazione dei canoni interpretativi del contratto, limitandosi il ricorrente a contrapporre apoditticamente a quella svolta dalla C orte d’appello una diversa , e asseritamente corretta, interpretazione.
Invero, il sindacato di legittimità deve avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti e non può investire il risultato interpretativo in sé, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1° aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 26 maggio 2016, n. 10891; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810;
2 luglio 2020, n. 13620; sez. un., 21 gennaio 2021, n. 2061). Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; 11 marzo 2014, n. 5595; 27 febbraio 2015, n. 3980; 19 luglio 2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consen tito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; 7 marzo 2007, n. 5273; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044).
1.2. La Corte d’appello nel procedere all’interpretazione dell’art. 9 de l contratto e alla perimetrazione delle opere di ripristino del bene ha evidenziato che : ‘In forza della deroga pattizia ai principi generali di ripartizione delle spese tra locatore e conduttore ex art. 1576, 1609 c.c. le in novazioni all’ immobile e agli impianti imposte da leggi e regolamenti in vigore e da emanare e tutte le riparazioni e le manutenzioni ordinarie sono a carico della conduttrice. Come si evince dalla lettura della clausola le parti hanno soltanto addossato alla conduttrice le riparazioni e le manutenzioni ordinarie con esclusione delle riparazioni straordinarie e del rifacimento degli impianti esistenti. In merito alle innovazioni ed all’adeguamento degli impianti, la clausola prevede l’esonero del locatore dall’obbligo di provvedere ad adeguare l’immobile e gli impianti alla normativa in vigore, ai quali è onerata ma non obbligata la conduttrice in relazione alla destinazione concordata del bene. Ne consegue che nessuna somma compete per tali voci di spesa ‘ (pagina 4, capoversi terzo e quarto).
L’interpretazione resa non confligge con il dato letterale della clausola, posto che, a parte l’incontestata deroga pattizia all’art. 1576 cod. civ., tale da far ricadere sulla conduttrice le opere di manutenzione ordinaria, nessun elemento porta a ritenere che fosse stato altresì previsto esplicitamente l’obbligo di provvedere all’adeguamento degli impianti . Come correttamente notato dalla Corte d’appello, la conduttrice si sarebbe fatta carico di tali interventi se imposti da prescrizioni tecnico-normative vigenti e future, ossia, se necessari, tali interventi sarebbero stati a carico di quest’ultima, che, tuttavia, in base al contratto non era obbligata ad eseguirli, trattandosi peraltro di profilo attinente all’organizzazione nella erogazione dei servizi di assistenza sanitaria da effettuare sotto il controllo delle autorità di vigilanza.
Il ricorrente, come già detto, si è limitato a contrapporre a quella della Corte d’appello la propria soggettiva interpretazione e non ha indicato né in quale errore logico sarebbe incorsa la Corte d’appello, né come la lettura contenuta in sentenza contrasti con la lettera delle clausole contrattuali e con il loro contenuto complessivo. Il ricorrente, invece, si è limitato a sostenere che la corretta interpretazione del contratto e dell’art. 1590 cod. civ. avrebbe dovuto portare il giudicante a ritenere che la conduttrice avesse omesso di provvedere alla manutenzione ordinaria, posto che il C.T.U. aveva calcolato il costo di ripristino in euro 102.200,61 oltre Iva, nonché omesso di provvedere all’adeguamento degli impianti, tanto più che in base all’art. 1590, comma secondo, cod. civ. la conduttrice era onerata della prova che il bene era stato consegnato in condizioni non buone. Con il che è evidente come l’ausp icio perseguito dal ricorrente sia quello di una rivisitazione complessiva del giudizio di fatto operato dal giudice del merito in ordine alla determinazione del costo di ripristino dell’immobile.
1.3. Diversamente da quanto indicato dal ricorrente, in alcun modo la Corte d’appello , nello scrutinio del primo motivo di appello in merito alla determinazione delle opere di ripristino, ha affermato che una molteplicità di voci accertate in sede di ATP dovessero intendersi come opere di manutenzione straordinaria. La perimetrazione di tali opere di ripristino è stata effettuata con riferimento solo ‘alla rimozione dei climatizzatori e delle opere in vetro (dei quali parte appellata
nega l’installazione ) ‘, facendo corretta applicazione della regola di cui all’art. 2697 cod. civ.
Infatti, la violazione dell’articolo 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (v. Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313; 15 ottobre 2024, n. 26739).
Secondo il ricorrente la Corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 2697 cod. civ. per aver affermato, che il ricorrente ‘non ha fornito la prova della situazione esistente al momento della consegna dell’immobile’ . Il ricorrente al riguardo ha lamentato, altresì, la violazione dell’art. 1590, comma secondo, cod. civ., in base al quale ‘In mancanza di descrizione, si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione’ .
Sta di fatto che il ricorrente non ha provveduto, come invece sarebbe stato necessario, a riprodurre il contenuto del contratto in ordine alla consegna del bene ed al suo stato, dalla cui mancata descrizione conseguirebbe la presunzione invocata, sì che la Corte territoriale non è incorsa nell’indicata violazione della distribuzione dell’onere della prova , poiché ‘in tema di risarcimento del danno per l’inadempimento o l’inesatto adempimento dell’obbligo del conduttore – previsto dall’art. 1590 c.c. – di restituire la cosa locata nel medesimo stato in cui l’aveva ricevuta, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della stessa in conformità del contratto, incombe sul locatore fornire la prova del fatto costitutivo del vantato diritto, e cioè il deterioramento intervenuto tra il momento della consegna e quello della restituzione dell’immobile, mentre sul conduttore grava l’onere di dimostrare il fatto impeditivo della sua responsabilità, e cioè che il deterioramento si è verificato per uso conforme al contratto o per fatto a lui non imputabile ‘ (v, Cass., sez. III, 15 marzo 2018, n. 6387).
Deve essere ribadito che il richiamo da parte della Corte d’appello del l’art. 2697 cod. civ., e conseguentemente la circostanza della mancata dimostrazione
della situazione esistente al momento della consegna dell’immobile , non è stato fatto sul piano generale, assumendo che il bene fosse stato rilasciato in buono stato dalla conduttrice, ma solo con riferimento ‘alla rimozione dei climatizzatori e delle opere di vetro (dei quali parte appellata nega l’installazione)’.
Per contro, sulla base degli esiti della svolta C.T.U. depositata nell’ambito del procedimento ex art. 696 cod. proc. civ. promosso dal ricorrente prima dell’avvio del presente giudizio , è stato dato atto che un degrado eccedente il normale deterioramento connesso all’uso convenzionale si era verificato, ma questo è stato valutato come ascrivibile ‘tanto all’usura -che deve essere sopportata dal locatore in base ai principi generali in materia di obbligazione di restituzione della cosa locata nello stato in cui si è ricevuta, salvo il deterioramento o consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto ex art. 1590 cod. civ. e 8 contratto di locazione -che al difetto di ordinaria manutenzione gravante sulla conduttrice in forza della previsione pattizia di cui all’art. 9 del contratto’ ( pagina 5 della sentenza, a chiusura del paragrafo 1).
Deve essere confermato che la Corte d’appello ha correttamente interpretato l’art. 9 del contratto quanto agli obblighi di effettuazione delle opere di manutenzione ordinaria e all’assunzione degli oneri connessi all’adeguamento degli impianti, senza perimetrare le opere di ripristino, nel contesto dello stato di degrado eccedente quello connesso all’uso convenzionale , in funzione della qualificazione come opere di manutenzione straordinaria quelle escluse (avendo a riferimento la C.T.U.) e senza violare la regola di cui all’art. 2697 cod. civ. Né tantomeno è censurabile la ritenuta ripartizione paritaria del costo di ripristino effettuata dalla Corte d’appello sulla base del contenuto della C.T.U., poiché la censura svolta, a chiusura del primo motivo e in modo assertorio, sottende non già l’esame di un error in iudicando , ma un riesame del fatto in questa sede precluso.
Conclusivamente, il motivo lungi dal denunciare un ‘error in iudicando’, tende a suscitare una ricostruzione dei fatti e una valutazione delle prove alternative a quelle compiute dalla Corte di merito. Deve essere ricordato come
costituisca principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento. Sono infatti riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso” dei singoli elementi probatori, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (v. Cass. civ., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 gennaio 2014, n. 1359; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
2. Con il secondo motivo viene denunciata:
ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1591, 1227 e 2697 cod. civ. per avere la Corte d’appello escluso il diritto del locatore a ottenere l’indennità di occupazione per l’intero lasso temporale di illegittima detenzione del bene, limitando tale indennità a una singola mensilità;
ai sensi dell’art. 360, comma primo, n., 5, cod. proc. civ. , per avere la Corte d’appello erroneamente valutato le prove acquisite in atti, e conseguente mente omesso l’e same di fatti decisivi per il giudizio, afferenti alla natura dei beni occupanti l’unità immobiliare e la conseguente impossibilità per il locatore di procedere esso stesso alla liberazione dell’immobile ;
ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza o del procedimento per omessa motivazione della decisione impugnata in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 111 Cost.
Le tre censure investono la decisione della Corte d’appello nella parte in cui la condanna al risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ. è stata limitata a una sola mensilità e a una ridotta porzione degli oneri condominiali, assumendo
che tale sarebbe stato l’arco di tempo occorrente per eseguire le opere di ripristino secondo l’ordinaria diligenza.
2.1. Con la censura sub a) lamenta il ricorrente che la Corte d’appello , pur dando atto che l’occupazione si era protratta per tre anni (dal luglio 2011 al luglio 2014), avrebbe rilevato d’ufficio , senza indicare il riferimento normativo, un concorso colposo del creditore per aver omesso di procedere alla liberazione del bene ed all’effettuazione dei lavori in un tempo stimato di un mese.
Tale decisione, secondo il ricorrente viola l’art. 1227, comma primo, cod. civ., poiché:
-non lo si sarebbe potuto ritenere tenuto a procedere alla rimozione di rifiuti speciali inclusi tra quanto lasciato dalla conduttrice come accertato dal C.T.U. (apparecchiature sanitarie, tra cui le lastre di piombo usate in radiologia) e del materiale contenente dati sensibili (cartelle cliniche, referti di esami e prescrizioni mediche), fatti asportare dalla conduttrice con l’ausilio di due ditte specializzate nel luglio 2014;
-l’adempimento dell’obbligo di restituzione del bene non si esaurisce in una generica restituzione delle chiavi, ma richiede una ‘incondizionata’ restituzione mediante l’effettiva immissione nella sfera di disponibilità del locatore;
-l’obbligo di diligenza non comprende anche quello di esplicare una straordinaria o gravosa attività, nella forma di un facere non corrispondente all’ id quod plerumque accidit ; il comportamento operoso richiesto al creditore, improntato all’ordinaria diligenza, non include, per sua stessa definizione, attività tali da comportare sacrifici;
-il concorso colposo di cui all’art. 1227, comma primo, cod. civ. richiede una cooperazione attiva e non una presunta condotta di tipo omissivo, della cui prova era onerata la conduttrice.
2.2. Con la censura sub b) il ricorrente lamenta l’omessa valutazione da parte della Corte d’appello di risultanze probatorie. L’affermazione secondo cui il locatore avrebbe potuto ‘agevolmente e presumibilmente’ procedere (a sue spese e responsabilità) alla liberazione dell’immobile, consegue all’omesso esame
di fatti e documenti incontrovertibilmente acquisiti al giudizio ‘ , posto che nel corso della C.T.U. era stato accertato che all’interno dell’immobile erano presenti, in tutti i locali, documenti sensibili, macchinari, apparecchiature, rifiuti speciali e che solo nel luglio del 2014 la conduttrice provvide a sgomberare l’immobile mediante due ditte di smaltimento e tre automezzi. Se tale documentazione fosse stata esaminata i giudici di merito ‘ ben avrebbero potuto, anzi dovuto, pervenire ad una difforme decisione, escludendo comunque l’ipotesi di concorso colposo del creditore nella causazione del danno e quantificandone l’ammontare conformemente al disposto dell’art. 1591 cc.’
2.3. Con la censura sub c) il ricorrente lamenta il carattere apparente della motivazione, là dove la Corte d’appello, nel ritenere un concorso di colpa a suo carico, senza procedere al relativo inquadramento , non ha esplicato l’iter logico -giuridico compiuto, limitandosi a richiamare espressamente una parte della motivazione resa dal primo giudice senza far comprendere se a suo carico fosse stata ascritta una cooperazione colposa attiva o una omissione ex art. 1227, comma secondo, cod. civ., ‘ il quale tuttavia esclude alla radice il risarcimento del danno invece riconosciuto’.
2.4. La censura sub b) è inammissibile non corrispondendo affatto allo schema della fattispecie invocata.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. Il ricorrente non indica un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni
difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106).
Il ricorrente ha lamentato l’omessa valutazione da parte della Corte d’appello di risultanze probatorie, poiché nel corso della C.T.U. era stato accertato che all’interno dell’immobile erano presenti, in tutti i locali, documenti sensibili, macchinari, apparecchiature, rifiuti speciali e che solo nel luglio del 2014 la conduttrice provvide a sgomberare l’immobile mediante due ditte di smaltimento e tre automezzi.
Non avendo indicato il ricorrente il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), la censura è inammissibile.
Quand’anche si volesse ritenere che il fatto omesso siano le rilevazioni fatte dal C.T.U. in ordine all’ingombro del locale, a maggior ragione il motivo è inammissibile perché piega verso un riesame del merito della decisione in ordine al mancato integrale accoglimento della domanda di risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ., ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il c.d. «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. 7 aprile 2014, nn. 8053-8054).
Analogamente, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. qualsiasi censura
volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi primo e secondo, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma primo, n., comma primo, n. 5, cod. proc. civ. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (v. Cass., sez. 6-III, 19 luglio 2021, n. 20553).
D’altro canto, appare evidente che la censura sottenda un riesame nel merito della vicenda, là dove il ricorrente afferma che, se tale documentazione fosse stata esaminata, i giudici di merito ‘ben avrebbero potuto, anzi dovuto, pervenire ad una difforme decisione, escludendo comunque l’ipotesi di concorso colposo del creditore nella causazione del danno e quantificandone l’ammontar e conformemente al disposto dell’art. 1591 cc.’ Va peraltro aggiunto che il profilo valorizzato dal ricorrente è stato ampiamente esaminato dalla Corte d’appello , come si dirà in prosieguo.
2.5. Le censure sub a) e c), in quanto strettamente connesse, possono essere esaminate congiuntamente, e sono entrambe infondate.
In merito al controllo in sede di legittimità, deve ribadirsi che, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. nel testo ‘novellato’ dall’art. 54, comma 1, lett. b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile ‘ ratione temporis ‘ al presente giudizio) -il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il c.d. ‘minimo costituzionale’ ( v. Cass., sez. un., 8053-8054/2014, cit.; nonché ‘ ex multis ‘, Cass. , sez. III, 20 novembre 2015, n. 23828; 5 luglio 2017, n. 16502; sez. I, 30 giugno 2020, n. 13248).
Il difetto di motivazione è, dunque, ipotizzabile solo nel caso in cui la parte motiva della sentenza risulti ‘meramente apparente’, evenienza configurabile, oltre che nell’ipotesi di ‘carenza grafica’ della stessa, quando essa, ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della
decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento’ ( v., Cass., Sez. Un., 3 novembre 2016, n. 22232; nonché, più di recente, Cass., sez. 6-V, 23 maggio 2019, n. 13977), o perché affetta da ‘irriducibile contraddittorietà’ ( v., Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; sez. 6-III, 25 settembre 2018) , ovvero connotata da ‘affermazioni inconciliabili’ ( v., Cass., sez. 6-lav., 25 giugno 2018, n. 16111; sez. III, 25 settembre 2018; sez. I, 25 giugno 2021, n. 18311; sez. III, 6 novembre 2023, n. 30579) , mentre ‘resta irrilevante il semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’ (Cass. , sez. II, 13 agosto 2018, n. 20721). Ferma in ogni caso restando la necessità che il vizio ‘emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata’ (Cass., Sez. Un., 8053/2014 cit. ), vale a dire ‘prescindendo dal confronto con le risultanze processuali’ (così, tra le molte, Cass., sez. I, 20 giugno 2018, n. 20955, non massimata; in senso conforme, da ultimo, Cass., sez., 3 marzo 2022, n. 7090).
La Corte d’appello nell’esame del secondo motivo d’appello è partita dal rilievo, peraltro incontestato, che in base alla relazione e agli allegati della C.T.U. l’occupazione del bene si è protratta per tre anni dal luglio 2011 al luglio 2014, mentre ha disatteso la censura dell’appellante , il quale sosteneva la contrarietà al canone della buona fede della conduttrice e negava ogni addebito a suo carico in ordine alla mancanza « dell’ordinaria diligenza » nella liberazione del bene successivamente alla sua restituzione.
Al riguardo, si legge a pagina 6 della sentenza: ‘non può condividersi l’assunto dell’appellante della esclusiva responsabilità della conduttrice per il danno conseguente all’inesatto adempimento dell’obbligazione di rilascio (commisurati ai canoni locatizi non percepiti), fatta eccezione per il periodo di tempo presumibilmente occorrente per la liberazione dell’immobile (un mese circa), con conseguente quantificazione del lucro cessante in euro 10.000 pari al canone pattizio’ . All’infuori della riferita cornice temporale , sempre a pagina 6 della sentenza, la Corte d’appello ha aggiunto: ‘ Per contro nulla può essere riconosciuto per le altre mensilità secondo quanto correttamente ritenuto dal
Tribunale «… nulla può essere accordato per i titoli di cui alle precedenti lettere f) e g), poiché il presupposto della pretesa risarcitoria è riconnesso all’impossibilità di mettere a frutto l’immobile nel periodo ne cessario all’esecuzione dei lavori ciò che sottende la verifica dell’epoca in cui i lavori potevano essere iniziati dal locatore usando l’ordinaria diligenza e la presumibile epoca del loro compimento e non -e all’oggettiva condizione di incommerciabilità dell’immobile’ .
Erroneamente il ricorrente addebita alla Corte territoriale il rilievo d’ufficio di un concorso colposo a suo carico ex art. 1227, comma primo, cod. civ., poiché già il Tribunale, nel rigettare la domanda di risarcimento del danno ex art. 1591 cod. civ., ebbe a rilevare a carico del locatore la necessità della verifica secondo il canone dell’ordinaria diligenza dell’epoca di inizio dei lavori e della relativa durata, così lasciando intendere che tale verifica non fosse stata fatta e che, quindi, il danno sarebbe stato evitato se il locatore si fosse conformato all’ordinaria diligenza . In altri termini, non fu rilevata dal Tribunale una cooperazione colposa ne lla fattispecie costitutiva dell’illecito, ma un difetto di diligenza rispetto ad un danno evitabile ai sensi dell’art. 1227 , comma secondo, cod. civ. , tant’è che lo stesso appellante, per quanto si ricava dalla sentenza impugnata , assumeva che ‘nessun addebito poteva essere mosso al medesimo in ordine alla mancanza della ordinaria diligenza nella liberazione del bene successivamente alla sua restituzione’ .
2.6. Neppure ricorre la pretesa apparenza della motivazione in relazione all’ammontare del danno rapportato ex lege alla mancata percezione del «corrispettivo convenuto» sulla base di un regime risarcitorio assimilabile a quello dettato dall’art. 1224 cod. civ. , stanti la previsione di un regime forfettario stabilito in misura minima e la facoltà per il creditore di pretendere il risarcimento di un di «un maggior danno», della cui prova è onerato (v. Cass., sez. III, 7 ottobre 2021, n. 27287).
La Corte d’appello, con riferimento al parametro stabilito nell’art. 1591 cod. civ. in ipotesi di ritardo nella restituzione del bene, ha stabilito che un mese era sufficiente per lo sgombero e, quindi, per la liberazione del l’immobile, in relazione
alla quale valeva la predeterminazione del danno operata dal legislatore, restando invece a carico del locatore la prova del maggior danno da ragguagliare, come già affermato dal Tribunale, al tempo occorrente per l’effettuazione dei lavori e, quindi al l’epoca del loro inizio e alla loro presumibile durata. Affermazione, quest’ultima, basata sulla previsione contenuta nell’art. 8 del contratto prevedente la liberazione della conduttrice nel caso di verbale di riconsegna, letta per l’appunto dal Tribunale nel senso di liberazione dagli obblighi ex art. 1591 cod. civ., senza che tale statuizione sia stata attinta dall’appello.
Con il terzo motivo, è denunciata ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, la violazione o falsa applicazione de ll’art. 92 cod. proc. civ.
Il ricorrente si duole per la compensazione delle spese del giudizio di appello, nonostante il parziale accoglimento dell’impugnazione svolta . La Corte d’appello ha basato la compensazione integrale sul rilievo della ‘ notevole sproporzione tra il petitum e il liquidatum ‘ , ma tale evenienza, secondo il ricorrente, non sarebbe sussumibile in alcuna delle ipotesi normativamente previste della soccombenza reciproca, del mutamento giurisprudenziale e della novità della questione trattata.
3.1. Il motivo è infondato.
La valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altre ragioni rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte (v. Cass., 6 ottobre 2011, n. 20547; 22 aprile 2005, n. 8540; 17 marzo 2004, 5405; 28 novembre 2003, n.17692).
Il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (v., ex plurimis , Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2022, n. 32061; 15 maggio 2023, n. 13212). Pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. 31 agosto 2020, n. 18128; 17 ottobre 2017, n. 24502; 31 marzo
2017, n. 8421; 19 giugno 2013, n. 15317), ivi compresa l’ipotesi di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi (v. Cass., 13212/2023, cit.), ferma restando la necessità della verifica che non siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensazione, risolvendosi il sindacato di legittimità, come affermato dalla Corte costituzionale (v. sentenza, 4 giugno 2014, n. 157), in una verifica «in negativo» in ragione della «elasticità» costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, ‘non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione delle dette spese in favore della parte vittoriosa’ (v., Corte Cost., 19 aprile 2018, n. 77; Cas s. 26 luglio 2021, n. 21400).
La Corte d’appello , pur avendo parzialmente accolto il secondo motivo di impugnazione, ai fini della compensazione delle spese del grado ha valorizzato l’esistenza di una ‘notevole sproporzione tra il petitum e il liquidatum ‘. La ragione addotta, non contestata l’esistenza della indicata sproporzione, per quanto sinteticamente esposta, non è né illogica, né errata.
La decisione della Corte d’appello non è illogica, perché è coerente con il complessivo impianto argomentativo e con le ragioni alla base della decisione. La compensazione, inoltre, non è errata, poiché è il frutto della proiezione di quanto enunciato nell’esame del secondo motivo d’appello , il cui è esito consegue all ‘ inadeguata deduzione dell’appellante di quanto preteso a titolo di maggior danno ai sensi dell’art. 1591 cod. civ. , tanto più alla luce della «sostanziale» tenuta della decisione resa dal Tribunale. A ciò deve aggiungersi l’esito sfavorevole dello scrutinio del primo motivo impugnazione, sì che correttamente, fermo restando che le spese non sono state fatte gravare sulla parte vittoriosa, è stata ritenuta l’esistenza di altra grave ed eccezionale ragione giustificatrice di rilievo analogo a quelle normativamente previste.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater ,
d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente che liquida in 200 per esborsi ed euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale/ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale/incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte