Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21130 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21130 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
Oggetto: Proprietà
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31224/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 2421/2020, resa dalla Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 17/9/2020 e notificata il 1/10/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 maggio 2024 dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
Rilevato che:
1. Con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., NOME COGNOME chiese di essere dichiarato proprietario di un appartamento e quattro garage siti in INDIRIZZO INDIRIZZO, oggetto dell’atto di compravendita del 17 Marzo 2014, sostenendo di averne corrisposto il prezzo, pari a € 1.300.000,00, mediante più assegni di conto corrente, intestati in parte alla sorella del venditore, NOME COGNOME, e in parte a NOME COGNOME, e di avere ricevuto quietanza a saldo dinanzi al notaio; chiese altresì che quest’ultimo venisse condannato alla restituzione dei beni, detenuti senza titolo, e al pagamento di un’indennità di occupazione.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME rappresentò di aver notificato al ricorrente un atto di citazione per rescissione del contratto, in quanto il prezzo dichiarato quale corrispettivo della compravendita era stato oggetto di simulazione e l’importo effettivamente corrisposto era stato pari a € 300.000,00, e di essere stato costretto alla stipula del contratto in ragione del suo stato di bisogno; chiese, in via riconvenzionale, che venisse accertato che l’importo del prezzo corrisposto, pari a € 300.000,00, era inferiore al reale valore dei beni, pari a € 2.000.000,00, e che il contratto venisse rescisso per lesione ultra dimidium , con ordine al ricorrente di restituire i beni e offerta di restituzione della somma ricevuta, e, in subordine, qualora l’acquirente avesse inteso offrire la modificazione del contratto onde ricondurlo ad equità, che il predetto venisse condannato a corrispondergli la somma di € 1.700.000,00, pari alla differenza tra il valore dei beni e quanto versato.
Con sentenza n. 1575/2018, pubblicata il 14 Febbraio 2018, il Tribunale di Milano accertò che NOME COGNOME era proprietario degli immobili, condannò NOME COGNOME al loro rilascio e rigettò ogni altra domanda proposta.
Il giudizio di gravame, instaurato su iniziativa di NOME COGNOME, si concluse, nella resistenza di NOME COGNOME (che ne eccepì l’inammissibilità ex art. 342 cod. proc. civ. e l’inammissibilità RAGIONE_SOCIALE produzioni documentali ex art. 345 cod. proc. civ., proponendo, a sua volta, appello incidentale in ordine al danno subito a causa dell’occupazione senza titolo dell’immobile e alla disposizione di cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale svolta dalla sua controparte) con la sentenza n. 2441/2020, del 30 settembre 2020, con la quale la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello e condannò COGNOME NOME a corrispondere a COGNOME NOME la somma di € 75.000,00 a titolo di risarcimento dei danni, rilevando che non sussisteva lo stato di bisogno, in quanto quello provato riguardava la sola società dell’appellante e non la persona fisica, non essendo state prodotte, ad esempio, fideiussioni personali; che non era stato provato il legame tra stato di decozione della società e rischio di depauperamento del patrimonio personale dell’appellante, che non erano stati provati l’approfittamento dello stato di bisogno e la lesione ultra dimidium , posto che il venditore si era avvalso dell’ausilio di un professionista di sua fiducia e che il compratore aveva corrisposto la somma di € 1.300.000,00 ; che era stata provata sia la dazione ch e l’incasso di tutti gli assegni a firma COGNOME per il predetto importo, oltre alla quietanza liberatoria, dovendo ogni patto aggiunto e contrario essere provato per iscritto; che, quanto al valore dell’immobile, spetta va al venditore produrre i documenti relativi; che il prezzo era stato pagato e che il danno da occupazione senza titolo era in re ipsa .
Contro la predetta sentenza, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. NOME COGNOME resiste con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1448, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che non fosse stato provato lo stato di bisogno in relazione alla proposta domanda di rescissione del contratto di compravendita, sia in quanto lo stato di necessità riguardava la società e non la persona fisica, sia in quanto non era provato il legame tra stato di decozione della società e rischio di depauperamento del patrimonio personale, senza considerare che lo stato di bisogno può attenere ad una mera difficoltà momentanea e a una deficienza di mezzi pecuniari, senza necessità della sussistenza di indigenza, che era rimasta provata la maggioranza RAGIONE_SOCIALE quote societarie in capo al ricorrente e che queste società avevano presentato domanda di concordato preventivo, che il ricavato della vendita era stato usato per pagare i costi di ammissione RAGIONE_SOCIALE società al concordato, che lo stato di bisogno può riguardare anche un terzo e deve essere riferito al patrimonio e che il danno patrimoniale della società poteva riverberarsi su quello personale.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1448, primo comma, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. e in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito escluso, altresì, gli altri due requisiti di cui all’art. 1448 cod. civ., ossia la conoscenza dello stato di bisogno e il conseguente approfittamento della controparte, asserendo che il ricorrente si era avvalso dell’ausilio di un professionista di fiducia nell’ambito dell’operazione di vendita. Al riguardo, il ricorrente ha lamentato il fatto che la Corte d’Appello non avesse ammesso la prova testimoniale
dedotta, ossia l’audizione del commercialista che aveva gestito le trattative e in presenza del quale il COGNOME era stato portato a conoscenza della situazione in cui versava la holding facente capo al venditore, il bisogno dello stesso di reperire le somme per l’ammissione al concordato preventivo, l’offerta di acquisto dei beni immobili, effettuata dall’acquirente, a fronte del pagamento di € 300.000,00 e l’escamotage dell’atto di notorietà trovato dalle parti allo scopo di rendere formalmente valido l’atto di compravendita.
3. Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1448, primo comma, cod. civ., e dell’art. 1414 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere il giudice d’appello errato anche in relazione alla lesione ultra dimidium , in quanto, sostenendo che fosse stata data dimostrazione del prezzo pagato, dell’incasso di tutti gli assegni e della quietanza liberatoria e che il patto aggiunto o contrario andasse dimostrato per iscritto, aveva inquadrato l’atto di compravendita nell’istituto della simulazione relativa. Ad avviso del ricorrente, invece, il contratto andava correttamente inquadrato nell’ambito dell’art. 1148 cod. civ. e non nella simulazione relativa, posto che le parti non intendevano concludere un diverso negozio e che il venditore si era determinato a vendere solo per avere liquidità. Pertanto, i giudici avevano errato nel non ravvisare la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti sui presupposti della rescissione contrattuale e sulla lesione ultra dimidium , dati dal fatto che fosse implausibile il pagamento del prezzo di € 1.000.000,00 in favore di terzi (la sorella) ben cinque anni prima della compravendita e dunque senza neanche un titolo, che l’interesse dello stipulante, postulato dal contratto in favore del terzo, fosse insussistente nel momento e contesto del pagamento del prezzo
alla sorella, né avrebbe potuto esserlo al momento della conclusione del contratto in ragione dello stato di dissesto in cui lo stesso versava e della implausibilità della volontà di regalare a quest’ultima una somma così ingente, così come avevano errato nel non ammettere la testimonianza del commercialista che avrebbe potuto confermare come la dichiarazione sostitutiva di notorietà in relazione al prezzo fosse stata concertata tra le parti su espressa richiesta dell’acquirente.
4. Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 1448, primo comma, cod. civ., e dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto non provato il valore effettivo dell’immobile, sostenendo che fosse onere dell’appellante produrre i documenti e che il prezzo corrisposto non fosse di € 300.000,00, ma di € 1.700.000,00, senza considerare che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, che l’acquirente aveva prodotto in primo grado le quotazioni degli immobili tratte dalla banca dati dell’RAGIONE_SOCIALE, da cui risultava che il valore del compendio immobiliare (pacificamente di oltre 200 mq., ubicato in uno stabile moderno e sito in zona residenziale), ammontava a € 2.000.000,00, che tale documento non era stato contestato dal ricorrente e che questi aveva altresì chiesto una consulenza tecnica estimativa, non esplorativa, ma integrativa della documentazione in atti.
Con il quinto motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione degli artt. 2043-2056 cod. civ., in relazione agli artt. 1223, 1226 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello affermato che il danno da occupazione senza titolo fosse in re ipsa , senza considerare che l’occupazione non costituisce in sé danno, ma fonte produttiva di
danno e che questo andava provato, come recentemente affermato dalla Corte di legittimità.
6. I primi quattro motivi, da trattare congiuntamente, in quanto tutti correlati all’azione di rescissione per lesione e ai relativi presupposti e prospettati ora in termini di violazione di legge, ora di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, sono parte inammissibili e parte infondati.
L’inammissibilità riguarda, in particolare, le doglianze correlate all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le quali ricadono nella preclusione della c.d. « doppia conforme », prevista dall’art. 348ter , quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), secondo cui il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994).
Il mancato adempimento, nella specie, di tale incombente determina, sotto questo profilo, l’inammissibilità del secondo e terzo motivo.
Quanto alla doluta violazione dell’art. 1448 cod. civ., si osserva come la rescissione per lesione, che tutela l’equilibrio RAGIONE_SOCIALE
prestazioni tra le parti nella fase della formazione del contratto e protegge il contraente dal contratto a condizioni inique, richieda la simultanea esistenza di tre requisiti: 1) l’eccedenza ultra dimidium della prestazione rispetto alla controprestazione, 2) lo stato di bisogno del contraente danneggiato e 3) l’approfittamento di esso da parte dell’altro contraente (Cass., Sez. 2, 12/6/2018, n. 15338; Cass., Sez. 1, 13/2/2009, n. 3646; Cass., Sez. 2, 6/3/2007, n. 5133).
Quanto al primo requisito, il vizio genetico che legittima la rescissione per lesione e che è posto, come si è detto, a tutela dell’equilibrio tra le prestazioni, intanto sussiste, in quanto la sproporzione tra le due prestazioni sia oltre la metà, sicché ciò che rileva è il valore RAGIONE_SOCIALE stesse al momento della stipula contrattuale quale risultante da tutte le pattuizioni che concernono il prezzo (Cass., Sez. 3, 2/8/2016, n. 16042), o, nella compravendita immobiliare, quello che il bene avrebbe presumibilmente avuto in una comune contrattazione al tempo della stipulazione (Cass., Sez. 2, 6/3/2007, n. 5133), fermo restando che la sproporzione deve perdurare fino al momento in cui l’azione è proposta. Ciò significa che tutte le pattuizioni che concernono il prezzo sono essenziali ai fini della determinazione del valore della prestazione e, insieme, ai fini dell’accertamento in ordine all’esistenza della sproporzione ultra dimidium e che, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza della lesione, è irrilevante il profilo dell’esecuzione del contratto, sicché è il contraente che si assume leso che deve fornirne la prova (Cass., Sez. 3, 2/8/2016, n. 16042, cit.).
Quanto al secondo requisito, si osserva come lo stato di bisogno non vada necessariamente inteso come assoluta indigenza, essendo sufficiente ad integrarlo anche una situazione di difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità, tale
da non consentire di far fronte ad impegni di pagamento con mezzi normali e da incidere sulla libera determinazione a contrarre, e deve costituire il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni (Cass., Sez. 2, 12/6/2018, n. 15338; Cass., Sez. 2, 1/2/2010, n. 2328), riflettendosi le difficoltà economiche non solo sulla situazione psicologica del contraente di modo da indurlo ad una meno avveduta cautela derivante da una minorata libertà di contrattazione, ma anche sul suo patrimonio, sì da determinare, in rapporto di causa ed effetto, una situazione di lesione ingiusta del medesimo in conseguenza della sproporzione tra la prestazione eseguita e quella ottenuta (Cass., Sez. 2, 15/2/2007, n. 3388; Cass., Sez. 2, 8/6/2004, n. 10815). Il giudice di merito è, pertanto, tenuto a motivare adeguatamente su tutti gli elementi, non potendo evincere, in via automatica, la sussistenza del predetto nesso di causalità psicologica dalla mera constatazione di una oggettiva condizione economica negativa del contraente svantaggiato, ma dovendo considerare la decisività sul piano volitivo di questa situazione in relazione al comportamento della controparte (Cass., Sez. 2, 12/6/2018, n. 15338; Cass., Sez. 2, 1/2/2010, n. 2328), mentre l’accertamento sul punto costituisce una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata (Cass., Sez. 2, 1/2/2010, n. 2328; Cass., Sez. 2, 19/8/1998, n. 8200).
Il terzo requisito, infine, è dato dall’approfittamento dello stato di bisogno, il quale consiste nella consapevolezza che una parte abbia dello squilibrio tra le prestazioni contrattuali derivante dallo stato di bisogno altrui di cui ha parimenti conoscenza, non essendo a tal fine sufficiente uno squilibrio solo ipotizzato da parte del contraente in posizione di vantaggio (Cass., Sez. 6-2, 28/1/2015, n. 1651). Non è richiesta, dunque, la prova di una
specifica attività posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, occorrendo unicamente che, dall’istruzione della causa, emerga una situazione tale da consentire di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre (Cass., Sez. 2, 6/3/2007, n. 5133 cit.; Cass., Sez. 2, 22/12/2003, n. 19625).
Va, peraltro, ricordato come tra i tre elementi predetti non interceda alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, per cui riscontrata – con valutazione di merito non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivata -la mancanza o la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due e l’azione di rescissione deve essere senz’altro respinta (Cass., Sez. 2, 19/8/2003, n. 12116; Cass., Sez. 2, 1/3/1995, n. 2347; Cass., Sez. 2, 5/9/1991, n. 9374).
Nella specie, i giudici di merito hanno analizzato due dei tre requisiti, pervenendo alla conclusione che non sussistesse lo stato di bisogno, in quanto riguardante la società e non la persona fisica del ricorrente, né la lesione ultra dimidium , in quanto qualsiasi patto aggiunto o contrario al contenuto del contratto avrebbe dovuto essere provato per iscritto e in quanto era rimasto provato che fosse stato interamente pagato il prezzo pattuito di euro 1.300.000,00, dando così rilievo, in relazione a quest’ultimo punto, sia alla fase della conclusione del contratto e alla prova idonea a sconfessarne i contenuti, sia alla fase della sua esecuzione.
E’ dunque sufficiente soffermarsi su quest’ultima considerazione per ravvisare l’infondatezza della doglianza in ordine alla lesione
e reputare conseguentemente assorbita la questione afferente all’asserita assenza dello stato di bisogno, posto che, come si è detto, il vizio genetico intanto sussiste, in quanto siano presenti tutti e tre gli elementi previsti dalla norma.
La censura, in particolare, evidenzia come il prezzo in realtà pattuito non fosse quello indicato nel contratto di euro 1.300.000,00, ma quello di euro 300.000,00, l’unico anche realmente corrisposto, a fronte di un valore degli immobili di 2.000.000,00, sicché è sulla prova della diversa pattuizione in ordine al prezzo che deve incentrarsi l’attenzione, dovendo l’asserita sproporzione valutarsi alla stregua di quanto contenuto nel contratto, da compararsi poi con le stime operanti sul mercato.
Orbene, la giurisprudenza di legittimità si è ormai stabilmente orientata nel senso che la pattuizione con cui le parti di una compravendita immobiliare abbiano convenuto un prezzo diverso da quello indicato nell’atto scritto, soggiace, tra le stesse parti, alle limitazioni della prova testimoniale stabilite dall’art. 2722 cod. civ., avendo la prova ad oggetto un elemento essenziale del contratto che deve risultare per iscritto (Cass., Sez. U, 26/3/007, n. 7246; Cass., Sez. 2, 18/2/2015, n. 3234).
Peraltro, anche l’attestazione, contenuta nel rogito notarile, di avvenuto pagamento del prezzo, quando non reale, impedisce al quietanzante di fornire la prova contraria mediante testi o presunzioni, salvo che dimostri, in applicazione analogica dell’art. 2732 cod. civ., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza o salvo che se ne deduca la simulazione, la quale, nel rapporto tra le parti, deve essere provata mediante contro dichiarazione scritta (Cass., Sez. 2, 29/9/2020, n. 20520).
E allora non può che affermarsi la correttezza dell’operato dei giudici di merito, i quali hanno affermato che qualunque patto aggiunto o contrario al contenuto del contratto non possa provarsi per testi, come invece sollecitato anche in questa sede dal ricorrente, ma debba essere provato per iscritto.
Né può dirsi dirimente il fatto che l’acquirente avesse pagato soltanto una parte minima del prezzo (euro 300.000,00 anziché gli euro 1.300.000,00 indicati nel contratto), posto che, come si è detto, ai fini del riconoscimento del vizio genetico non assume alcuna rilevanza il profilo dell’esecuzione del contratto (in tal senso Cass., Sez. 3, 2/8/2016, n. 16042, cit.).
Ciò comporta che il venditore non poteva dimostrare attraverso prove testimoniali o presuntive i reali contenuti della pattuizione intercorsa con il venditore, chiamando a testimoniare il commercialista che lo aveva assistito durante tutte le operazioni o ricorrendo alle anomalie che avevano caratterizzato la fase esecutiva della compravendita in ordine al pagamento del prezzo, ma era tenuto a dare dimostrazione scritta della diversa entità del corrispettivo pattuito rispetto a quello riportato in contratto, onde provare che lo stesso era inferiore della metà rispetto al valore dei beni compravenduti.
Non avendo egli provveduto, come chiaramente affermato dai giudici di merito, non può che dichiararsi l’infondatezza RAGIONE_SOCIALE censure sul punto.
7. Il quinto motivo è, invece, fondato.
A tal riguardo, va richiamato il principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza 33645 del 15/11/2022, nella quale è detto che, nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di
godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato, e che fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.
Le Sezioni unite hanno, in sostanza, asserito che il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale, che l’attore è tenuto ad allegare quale sia la concreta possibilità di godimento perduta e che tale allegazione può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito, opponendo, con argomenti specifici ai sensi dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento, giacché solo in tal caso sorge in capo al proprietario l’onere di dimostrare lo specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, cod. proc. civ.) o mediante presunzioni semplici.
Orbene, i giudici di merito hanno liquidato il danno in favore dell’acquirente, limitandosi ad affermare che questo fosse in re ipsa , senza però rilevare quali fossero le allegazioni del predetto in ordine all’uso del bene e se queste, ove esistenti, fossero state contestate e, in questo caso, se fosse stata fornita la prova in ordine allo specifico godimento perso.
8. In conclusione, dichiarata l’infondatezza dei primi quattro motivi e la fondatezza del quinto, la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano che, in diversa composizione, dovrà riesaminare l’aspetto risarcitorio attenendosi al citato principio e dovrà statuire , all’esito, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del