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Danno da occupazione illegittima: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7553/2024, ha affrontato il caso di un danno da occupazione illegittima di un immobile. Una curatela fallimentare contestava la condanna al risarcimento in favore della proprietaria dell’immobile, occupato da beni mobili del soggetto fallito dopo la risoluzione del contratto di locazione. La Corte ha rigettato il ricorso, qualificando la responsabilità come extracontrattuale e non contrattuale. Ha inoltre stabilito che, per ottenere il risarcimento, il proprietario deve allegare la concreta possibilità di sfruttamento economico del bene persa a causa dell’occupazione, non essendo sufficiente la mera indisponibilità. Il valore locativo del bene è stato ritenuto un criterio valido per la liquidazione del danno.

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Danno da Occupazione Illegittima: Responsabilità e Prova del Pregiudizio

L’ordinanza n. 7553/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sul danno da occupazione illegittima di un immobile, delineando la natura della responsabilità e i criteri per la prova e la quantificazione del risarcimento. La pronuncia dirime una controversia tra la proprietaria di un immobile e la curatela fallimentare di un’associazione che, pur dopo la risoluzione del contratto di locazione, continuava a occupare i locali con propri beni mobili.

I Fatti del Caso: L’Occupazione dell’Immobile Post-Contratto

Una società, precedentemente locataria di un immobile, veniva dichiarata fallita. Il contratto di locazione era già stato risolto per morosità prima della dichiarazione di fallimento. Tuttavia, l’immobile non veniva liberato, poiché al suo interno erano presenti numerosi beni mobili di proprietà dell’ente fallito. La proprietaria, nominata custode a titolo gratuito di tali beni, si opponeva allo stato passivo del fallimento, chiedendo un risarcimento ben superiore a quello, minimo, riconosciuto dal giudice delegato a titolo di indennità di occupazione. Il Tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione, riconoscendo un cospicuo credito per i danni derivanti dalla ritardata restituzione. La curatela fallimentare decideva quindi di ricorrere in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La curatela fallimentare ha basato il proprio ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: secondo la curatela, il Tribunale avrebbe erroneamente qualificato la domanda come risarcimento da fatto illecito (extracontrattuale), mentre la proprietaria aveva agito in via contrattuale ai sensi dell’art. 1591 c.c.
2. Errata applicazione delle norme sul risarcimento: il Tribunale avrebbe riconosciuto il danno come in re ipsa, ossia implicito nella stessa occupazione, senza che la proprietaria fornisse la prova specifica del pregiudizio subito, come l’aver perso concrete occasioni di locazione.
3. Omesso esame di un fatto decisivo: non sarebbe stato considerato il concorso di colpa della proprietaria che, in qualità di custode dei beni, non ne aveva mai richiesto l’asporto, contribuendo così al protrarsi dell’occupazione.

Danno da occupazione illegittima e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la decisione del Tribunale e fornendo un’analisi dettagliata della disciplina applicabile al danno da occupazione illegittima.

La Corretta Qualificazione Giuridica della Domanda

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che, essendo il contratto di locazione già risolto prima del fallimento, la pretesa risarcitoria non poteva che avere natura extracontrattuale. L’obbligo di risarcire il danno per la mancata restituzione non derivava più dal contratto, ma dal fatto illecito dell’occupazione senza titolo. Pertanto, il Tribunale non è incorso in un vizio di ultra petita, ma ha semplicemente operato una corretta qualificazione giuridica della pretesa avanzata dalla proprietaria.

La Prova del Danno e il Criterio del Valore Locativo

In merito al secondo motivo, la Cassazione ha precisato che la decisione del Tribunale non si basava su un’ipotesi di danno in re ipsa. Al contrario, il danno era stato quantificato tenendo conto dell’allegazione specifica della proprietaria, la quale aveva evidenziato l’impossibilità di affittare nuovamente il locale proprio a causa della presenza ingombrante dei beni mobili. La Corte ha ribadito il principio, già affermato dalle Sezioni Unite (sent. n. 33645/2022), secondo cui il proprietario che chiede il risarcimento deve allegare, e in caso di contestazione provare, la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata perduta. In questo quadro, il criterio del valore locativo di mercato rappresenta un parametro equitativo valido per liquidare il danno, in quanto esprime il controvalore dell’uso del bene.

L’Insindacabilità del Concorso di Colpa in Sede di Legittimità

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il terzo motivo. La censura relativa al presunto concorso di colpa della creditrice (ex art. 1227 c.c.) non riguardava l’omesso esame di un “fatto storico” decisivo, ma si traduceva in una critica all’apprezzamento di merito compiuto dal giudice di grado inferiore, valutazione che non può essere riesaminata nel giudizio di legittimità.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una chiara distinzione tra responsabilità contrattuale (ex art. 1591 c.c.), che presuppone un contratto in essere, e responsabilità extracontrattuale, che sorge quando l’occupazione prosegue senza un titolo giuridico valido, come un contratto di locazione risolto. La decisione si allinea con l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite, che nega l’esistenza di un danno in re ipsa per l’occupazione illegittima, richiedendo invece al danneggiato un onere di allegazione della perdita di concrete opportunità di sfruttamento economico. La Corte sottolinea che, una volta allegata tale circostanza (nel caso di specie, l’impossibilità di riaffittare l’immobile), la liquidazione del danno può legittimamente basarsi su criteri presuntivi come il valore locativo, che rappresenta il compenso che il proprietario avrebbe potuto ottenere dal mercato.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida principi fondamentali in materia di danno da occupazione illegittima. Per il proprietario di un immobile è cruciale, al fine di ottenere il risarcimento, non solo dimostrare l’occupazione senza titolo, ma anche allegare specificamente in che modo tale occupazione gli abbia impedito di trarre profitto dal bene. Per chi occupa illegittimamente un immobile, anche se in una situazione complessa come una procedura fallimentare, la pronuncia conferma che la passività non è una strategia vincente: il protrarsi dell’occupazione genera un obbligo risarcitorio di natura extracontrattuale, il cui ammontare può essere commisurato al valore di mercato della locazione.

Quale tipo di responsabilità sorge per la ritardata restituzione di un immobile dopo la risoluzione del contratto di locazione?
Secondo la Corte, una volta che il contratto di locazione è stato risolto, la responsabilità per il protrarsi dell’occupazione non è più contrattuale (ai sensi dell’art. 1591 c.c.) ma diventa extracontrattuale, derivando dal fatto illecito dell’occupazione senza titolo.

Per ottenere il risarcimento per occupazione illegittima, è sufficiente dimostrare la mancata disponibilità del bene?
No. La Corte di Cassazione, richiamando le Sezioni Unite, ha chiarito che il danno non è ‘in re ipsa’ (automatico). Il proprietario deve allegare, e in caso di contestazione provare, la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata perduta a causa dell’occupazione (es. aver perso l’opportunità di affittare a terzi).

Il valore locativo di un immobile può essere usato per quantificare il danno da occupazione illegittima?
Sì. La Corte ha confermato che il ricorso al criterio del valore locativo di mercato è un metodo equitativo e valido per liquidare il danno, poiché rappresenta il controvalore convenzionale che il proprietario avrebbe potuto ottenere concedendo il bene in godimento a terzi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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