Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4048 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 4048  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13322/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE,  rappresentato  e  difeso dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 3111/2022 depositato in data 11/4/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE domandava l’ammissione al passivo di RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) della somma di € 131.239 a titolo di indennità di occupazione, per il periodo 24 maggio 2019 -30 settembre 2019, di immobili ubicati in
Legnano e Calenzano, oltre alle successive indennità maturande, in ragione  della  mancata  liberazione  dei  medesimi  dalle  rimanenze appartenenti alla procedura.
Chiedeva, inoltre, l’ammissione della somma di € 23.877 ‘per i crediti vantati a titolo di depositi cauzionali su immobili in locazione e per rimborso per costi sostenuti per conto della fallita’.
Deduceva, in particolare, che in data 9 agosto 2018 era stata conclusa la cessione con riserva di proprietà a NOME dei complessi aziendali riferibili alle società del gruppo.
Spiegava che la cessionaria si era resa inadempiente alle obbligazioni assunte ed era stata dichiarata fallita in data 23 maggio 2019.
Sosteneva  di  aver  maturato,  per  effetto  dello  scioglimento  del contratto ad opera del curatore e della retrocessione delle aziende all’amministrazione straordinaria, regolata dall’accordo quadro fra le due  procedure  del  2  luglio  2019,  i  crediti  a  titolo  risarcitorio  e restitutorio di cui domandava l’insinuazione.
Il G.D. al fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ammetteva i crediti vantati al passivo della procedura, rilevando, in primo luogo, la nullità del contratto di cessione con riserva di proprietà ed il fatto che i crediti vantati erano di gran lunga inferiori rispetto alle ragioni creditorie che il fallimento aveva eccepito in via breve; aggiungeva che non risultava provato in alcun modo il pagamento dei depositi cauzionali indicati nella domanda e pretesi in restituzione, escludendo, inoltre, la voce di danno per indennità di occupazione successiva alla dichiarazione di fallimento.
Il Tribunale di Milano, a seguito dell’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, faceva richiamo, innanzitutto, a una pronuncia  del medesimo  ufficio  che  aveva  già  riconosciuto la fondatezza dell’eccezione di nullità del contratto di cessi one.
Rilevava che dall’accordo quadro intervenuto fra le due procedure in data  2  luglio  2019  risultava  che  gli  immobili  erano  stati  resi,  ma recavano ancora la presenza di ‘rimanenze di RAGIONE_SOCIALE‘, rispetto alle
quali  era  stata  prevista  la  disponibilità  alla  custodia  da  parte  delle società  in  amministrazione  straordinaria  con  oneri  di  vigilanza  e custodia a carico del fallimento, il quale conservava la possibilità di accesso  agli  immobili  per  effettuare  le  verifiche  inventariali  e/o l’asporto.
Osservava che nell’articolata e minuziosa pattuizione assunta dalle parti non si rinveniva alcun termine, tanto meno finale indefettibile, a carico del fallimento entro il quale procedere all ‘ inventariazione e all’eventuale asporto, ben potendosi in ciò ravvisare una necessaria tolleranza da parte dell’amministrazione straordinaria.
Evidenziava, inoltre, che le parti avevano specificamente pattuito che il  permanere  delle  rimanenze  di  RAGIONE_SOCIALE  nei  punti  vendita  –  con custodia da parte dell’amministrazione straordinaria – avrebbe dato luogo solo ad oneri economici a carico di fallimento per ‘occupazione e  vigilanza’,  da  regolare,  secondo  le  previsioni  di  cui  all’art.  11, mediante uno specifico accordo.
Rappresentava che, mentre le parti avevano previsto il rimborso di oneri economici per occupazione e vigilanza, RAGIONE_SOCIALE, invece,  aveva  insinuato  ‘costi’  in  misura  pari  all’intero  canone  di locazione, senza  offrire alcun elemento  di  corretta  e  congrua quantificazione, malgrado quello costituito da una protratta indebita occupazione fosse un danno-conseguenza, che necessitava comunque di una prova, pure se mediante presunzioni.
Riteneva  che  l’opponente  avrebbe  dovuto  dimostrare  il  mancato conseguimento della naturale ‘fruttuosità’ del bene immobile, aspetto  che,  nel  caso  di  specie,  doveva,  invece,  essere  escluso, poiché l’opponente aveva già dato atto, quanto agli immobili, che n on se ne prevedeva la riapertura al pubblico e, anzi, i locali potevano esser destinati a custodire le rimanenze.
Sosteneva che gli oneri di occupazione previsti a carico di COGNOME, in assenza  di altra prova, non  potevano  essere  equiparati e
commisurati, sic et simpliciter , a canoni di locazione come originariamente previsti.
Aggiungeva, infine, che non vi era alcuna ‘evidenza’ che la locatrice dell’immobile  di  Rubiera  non  avrebbe  provveduto  a  restituire  la cauzione a RAGIONE_SOCIALE, circostanza che, pur costituendo, nell’assunto  dell’opponente,  il  presupposto  costitut ivo della  sua pretesa, tuttavia non risultava provata.
 RAGIONE_SOCIALE  ha  proposto  ricorso  per  la cassazione  del  decreto  di  rigetto  dell’opposizione,  pubblicato  in data11 aprile 2022, prospettando dieci motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.1 Il  primo  motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc.  civ.,  la  violazione  e  falsa  applicazione dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., perché il tribunale, nel rilevare la nullità del contratto di cessione dei rami aziendali, ha motivato per relationem limitandosi a richiamare un altro provvedimento giurisdizionale, senza però spendere una parola per rendere ragione della condivisione dell’altrui motivazione.
5.2  Il  secondo  motivo  di  ricorso  denuncia,  ai  sensi  dell’art.  360, comma 1, n. 3), cod. proc.  civ.,  la  violazione  e  falsa  applicazione dell’art.  100  cod.  proc.  civ.,  perché  il  tribunale  non  ha  rilevato l’omessa indicazione, da parte della curatela fallimen tare, dell’interesse alla declaratoria di nullità del contratto di cessione dei rami aziendali.
5.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 d. lgs. 270/99 e 1418 cod. civ., perché il tribunale ha fatto riferimento a disposizioni di legge inapplicabili alla fattispecie
concreta,  oltre  ad  averne  erroneamente  desunto  la  sanzione  della nullità.
5.4 Il quarto motivo di ricorso prospetta , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 132,  comma  2,  n.  4,  cod.  proc.  civ.  e  111  Cost.,  in  quanto  la statuizione di rigetto della domanda di ammissione al passivo degli oneri  di  occupazione  e  vigilanza  maturati  a  causa  della  mancata asportazione delle rimanenze da parte del fallimento è stata motivata, in tesi, in maniera meramente apparente.
5.5 Il quinto motivo di ricorso assume , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli art. 1362, 1363, 1366, 1375 cod. civ., con riferimento all’interpretazione dell’accordo quadro del 2 luglio 2019 resa dal tribunale e rispetto alla statuizione di rigetto della domanda volta a conseguire l’ammissione al passivo della voce di credito relativa agli oneri di occupazione e vigilanza maturati in considerazione della mancata asportazione delle rimanenze da parte del fallimento; in particolare, le clausole contrattuali prevedevano che gli oneri di custodia e vigilanza a carico del fallimento fossero esistenti da subito, per il solo fatto della presenza delle rimanenze e fino alla definitiva asportazione delle stesse, indipendentemente dalla previsione di termini di consegna, stabilivano che questi oneri avrebbero potuto essere oggetto di successiva regolamentazione, ferma la possibilità per le parti di azionare, in difetto, tali prerogative dinanzi all’autorità ritenuta competente, e specificavano, rispetto alle rimanenze ubicate presso ‘gli immobili e HUB logistici di proprietà di terzi’, che era necessario procedere nel più breve tempo possibile, ferma la disponibilità dei commissari a custodire – con oneri di occupazione e vigilanza dei locali a carico del fallimento RAGIONE_SOCIALE da regolare, successivamente alla sottoscrizione dell’accordo quadro – le rimanenze presso i magazzini dei punti vendita limitrofi agli immobili oggetto di procedure di sfratto e/o risoluzioni contrattuali.
5.6 Il sesto motivo di ricorso deduce , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1591 e 2697 cod. civ. rispetto alla statuizione di rigetto della domanda volta a conseguire l’ammissione al passivo della seconda voce di credito insi nuata dall’esponente, relativa agli oneri di occupazione e vigilanza maturati in conseguenza della mancata asportazione delle rimanenze da parte del fallimento: nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno patito è in re ipsa e la relativa sussistenza costituisce una presunzione iuris tantum ; la liquidazione può essere operata con riferimento al c.d. danno figurativo e dunque opinando con riferimento al valore locativo del bene usurpato; è onere dell’occupante vincere la predetta presunzione offrendo evidenze oggettive di segno contrario.
5.7 Il settimo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di una serie di fatti oggetto di discussione tra le parti, decisivi ai fini della soluzione della controversia in quanto dimostrativi dei presupposti funzionali alla liquidazione del danno, con riferimento alla statuizione di rigetto della domanda volta a conseguire l’ammissione al passivo della voce di credito insinuata dall’opponente relativa agli oneri di occupazione e vigilanza maturati in considerazione della mancata asportazione delle rimanenze da parte del fallimento.
5.8 L’ottavo motivo di ricorso lamenta , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., perché il tribunale ha escluso la voce di credito indicata al n. 1 dell’insinuazione al passivo variando la causa petendi della domanda formulata – di natura risarcitoria e non restitutoria, in conseguenza della lesione del diritto alla restituzione del deposito cauzionale, pregiudicato dall’inadempimento della cessionaria alle obbligazioni assunt e nell’ambito dei contratti in cui era subentrata e a cui si riferiva il deposito – e dunque statuendo su di una pretesa
differente e mai effettivamente spiegata, in violazione del principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5.9 Il nono motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.  3),  cod.  proc.  civ.,  la  violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt. 1218, 1223, 1375, 2043 cod. civ., perché il tribunale ha escluso la voce di credito indicata al n. 1 dell’insinuaz ione al passivo malgrado sussistessero tutti i presupposti funzionali al relativo accoglimento.
5.10 Il decimo motivo di impugnazione deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., l’omesso esame del fatto che RAGIONE_SOCIALE aveva presentato istanza di insinuazione al passivo di RAGIONE_SOCIALE ed  era  stata  ammessa  per  €  12.374.368.32,  malgrado  questa circostanza fosse  decisiva  ai  fini  della  soluzione  della  controversia, rispetto alla statuizione di rigetto della domanda volta a conseguire l’ammissione al passivo della prima voce di credito oggetto dell’insinuazione.
6. Il primo motivo è fondato.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che la validità della sentenza la cui motivazione sia redatta per relationem a un provvedimento giudiziario reso in un altro processo presuppone che essa sia autosufficiente, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica, mentre deve ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la sentenza che si limiti alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti, così rendendo impossibile l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 459/2022).
Nel  caso  di  specie  il  tribunale  si  è  limitato  a  fare  richiamo  a  un precedente del medesimo ufficio riportandone parzialmente il
contenuto (‘ in quanto nella fattispecie concreta emerge la contrarietà dell’operazione economica complessiva realizzata (sub specie della vendita frazionata delle rimanenze, in capo al terzo GB divenuto proprietario dell’aggiudicataria RAGIONE_SOCIALE, e degli immobili e del marchio, in capo alla RAGIONE_SOCIALE), rispetto a quella autorizzata dal RAGIONE_SOCIALE (sub specie di vendita unitaria degli immobili, delle rimanenze e del marchio alla RAGIONE_SOCIALE anche attraverso società integralmente da questa possedute, come la RAGIONE_SOCIALE) proprio in quanto più vantaggiosa (v. doc. 3 opposta) e, conseguentemente, comporta la nullità del contratto definitivo di cessione che ha consentito il frazionamento della vendita con riferimento alle rimanenze ‘).
Così facendo, tuttavia, da una parte ha operato un incompleto richiamo della decisione evocata, senza indicare le norme e le ragioni in base alle quali il provvedimento citato aveva ritenuto che la contrarietà dell’operazione economica complessiva realizza ta rispetto a quella autorizzata dal RAGIONE_SOCIALE comportasse la nullità del contratto di cessione, dall’altra ha compiuto un’acritica adesione al provvedimento evocato (vieppiù in ragione del parziale e insufficiente richiamo al suo contenuto), senza spiegare le ragioni per cui le argomentazioni assunte nel giudizio menzionato risultavano pertinenti e decisive anche rispetto ai temi dibattuti nel diverso ambito processuale.
Una  simile  motivazione  comporta  la  nullità, in  parte  qua ,  della decisione  impugnata,  giacché  il  suo  contenuto  non  consente  la completa  individuazione  delle  ragioni  poste  a  fondamento  della statuizione.
Ne discende l’assorbimento del secondo e del terzo motivo.
Il sesto motivo risulta parimenti fondato.
Il  giudice  di  merito  ha  espressamente  riconosciuto  che  l’accordo stipulato  fra  le  parti  prevedeva  oneri  di  occupazione  a  carico  di NOME, ma ha sostenuto che l’opponente avrebbe dovuto dimostrare ‘ il mancato conseguimento della naturale ‘fruttuosità’ del bene  immobile,  aspetto  che,  nel  caso  di  specie,  [doveva]  invece
essere escluso poiché l’opponente aveva già dato atto che quanto agli immobili non se ne prevedeva la riapertura al pubblico e che, anzi, i locali  potevano  esser  destinati  a  custodire  le  rimanenze,  a  ciò assumendo tolleranza ‘,  aggiungendo,  subito  dopo,  che  gli  oneri  di occupazione non potevano essere ‘ equiparati e commisurati, sic et simpliciter, a canoni di locazione come originariamente previsti ‘.
Ambedue  le  affermazioni  non  sono  coerenti  con  la  più  recente giurisprudenza di questa Corte.
Invero, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte  di  un  terzo,  il  fatto  costitutivo  del  diritto  del  proprietario  al risarcimento  del  danno  da  perdita  subita  è  la  concreta  possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento anche soltanto diretto  del  bene  e  non  solo  indiretto  mediante  concessione  a  terzi dietro corrispettivo (cfr. Cass., Sez. U., 33645/2022).
Per  integrare  un  simile  danno  non  era  necessario  che  l’opponente rappresentasse il mancato conseguimento della naturale fruttuosità del bene, ma era sufficiente allegare anche solo (come l’amministrazione straordinaria aveva fatto illustrando l’impossibili tà ‘di utilizzare gli immobili di sua proprietà e quelli oggetto di locazioni in  corso’;  v.  pag.  10  del  decreto  impugnato)  che  l’occupazione impediva l’esercizio del diritto di godimento del bene (cfr. Cass., Sez. U., 33645/2022).
Inoltre, in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede  il  risarcimento  non  può  essere  provato  nel  suo  preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se  del  caso  mediante  il  parametro  del  canone  locativo  di  mercato (Cass., Sez. U., 33645/2022).
 Rimangono  assorbiti  in  senso  improprio,  non  essendovi necessità  di  provvedere  sulle  questioni  con  essi  poste,  non  solo  il quarto  e  il  settimo  motivo,  ma  pure  il  quinto  mezzo,  dato  che  il tribunale ha espressamente riconosciuto che, pur in presenza di una
pattuizione di tolleranza da parte dell’amministrazione straordinaria non  legata  ad  alcun  termine,  ‘ erano  comunque  previsti  oneri  di occupazione a carico di COGNOME ‘ (v. pag. 10 del decreto impugnato).
10. L’ottavo motivo è inammissibile.
Il tribunale, infatti, non si è limitato a dire, quanto alla voce di credito per restituzione di deposito cauzionale, che ‘ il deposito cauzionale ha natura di pegno irregolare e che obbligata alla restituzione non è la parte contrattuale subentrata all’originario conduttore, bensì il soggetto che materialmente ne ha la disponibilità (qui la CVE )’, ma ha subito dopo aggiunto che ‘ non vi è alcuna ‘evidenza’ (come affermato dall’opponente) che CVE non provvederà affatto a restituire la cauzione a RAGIONE_SOCIALE (il che costituirebbe, nell’assunto dell’opponente, il presupposto costitutivo della sua pretesa, tuttavia non provato, ed anzi non ne è provata neanche la richiesta )’ (v. pag. 10 del decreto impugnato).
Le  due  affermazioni,  nella  loro  complessità,  devono  essere  intese, all’evidenza, nel senso che nessun risarcimento per l’asserito pregiudizio  subito  al  diritto  di  restituzione  della  cauzione  versata poteva essere lamentato prima che risultasse che tale diritto fosse stato in qualche modo pregiudicato.
La statuizione assunta, perciò, tiene ben presente che la procedura opponente aveva domandato di insinuarsi al passivo in ragione dell’asserito inadempimento di NOME agli obblighi garantiti con il deposito cauzionale e della conseguente lesione del suo diritto di credito alla restituzione dello stesso ed è del tutto pertinente e coerente con le prospettazioni e la domanda avanzata dall ‘amministrazione straordinaria , che è stata rigettata per mancanza del fatto lesivo, costituito dal diniego della restituzione del deposito cauzionale.
Il mezzo in esame risulta così inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della decisione impugnata, come il ricorso per cassazione
deve  necessariamente  fare,  indirizzando  la  contestazione  verso l’effettiva ragione posta a fondamento della pronuncia impugnata.
Il nono motivo di ricorso è parimenti inammissibile, non solo perché è afflitto dal medesimo vizio che caratterizza il precedente mezzo, dato che presuppone che il tribunale abbia statuito su di una domanda diversa da quella effettivamente presentata, ma anche perché non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, deducendo così, apparentemente, una violazione di norme di legge e mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito.
12. Stessa sorte spetta al decimo motivo.
Esso, infatti, non specifica a che titolo il credito di CVE fosse stato ammesso al passivo del fallimento controricorrente.
Una  simile  genericità  preclude  di  verificare  la  decisività  del  fatto rappresentato  e  più  precisamente  se  e  come  questa  ammissione avesse potuto portare a ravvisare l’intenzione di CVE di trattenere l’importo versato a titolo di deposito cauzionale.
 In  conclusione  il  provvedimento  impugnato  deve  essere cassato  nei  limiti  in  precedenza  indicati,  con  rinvio  al  Tribunale  di Milano, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai  principi  sopra  illustrati,  avendo  cura  anche  di  provvedere  sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibili l’ottavo, il nono e il decimo motivo, dichiara assorbiti gli altri, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa al Tribunale di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 29 gennaio 2025.