Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24707 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24707 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24361-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME per procura in calce al controricorso ;
– controricorrente –
avverso il DECRETO N. 761/2020 DEL TRIBUNALE DI PERUGIA, depositato il 17/7/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/1/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1.1. Il Tribunale di Perugia, con decreto del 17.7.2020, ha accolto l’opposizione ex art. 98 l. fall. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE -, in liquidazione e
concordato preventivo, ed ha ammesso allo stato passivo del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE), dichiarato con sentenza del 16.12.2014, il credito vantato dall’opponente a titolo di danno subito per l’occupazione sine titulo di un immobile facente parte dell’azienda affittata alla RAGIONE_SOCIALE poi fallita per il corrispettivo annuo di € 150.000, che, dopo la scadenza del contratto, in data 22.3.2014, non le era stato restituito ed era rimasto nella disponibilità del curatore.
1.2. Il tribunale, premesso che il fatto costitutivo della pretesa era pacifico e che era controversa solo la quantificazione dell ‘ indennità , ha rilevato: che, in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, l ‘ esistenza di un danno in re ipsa costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum , che non può operare solo ove risulti positivamente accertato che il dominus si sia intenzionalmente disinteressato dell ‘ immobile ed abbia omesso di esercitare sullo stesso ogni forma di utilizzazione; che il danno, cd. figurativo, ben può essere liquidato con riferimento al valore locativo del bene usurpato; che nella specie il ricorso in via analogica ai criteri previsti dall’art. 1591 c.c. non era precluso dalla circostanza che le parti avessero pattuito un affitto d’azienda e non una mera locazione; che il ctu nominato, la cui indagine risultava accurata e corretta, aveva accertato che il valore locativo dell’immobile, alla data in cui avrebbe dovuto essere restituito alla proprietà, era di euro 32.000 mensili; che la richiesta della procedura opponente di un’indennità di occupazione pari a € 150. 000 annui appariva dunque addirittura sottostimata e andava accolta, con la precisazione che il credito maturato (da compensare con un controcredito della fallita sino all’ammontare di € 104.716) andava ammesso in prededuzione a partire dalla data del fallimento e sino all’effettiva restituzione del bene.
1.3. Il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE, con ricorso notificato il 16/9/2020, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione del decreto.
1.4. La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo ha resistito con controricorso.
1.5. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo il Fallimento denuncia la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e 1591 c.c.. Assume che il tribunale, nell’ammettere la RAGIONE_SOCIALE opponente al passivo del fallimento per l’importo corrispondente al ‘maggior danno ‘ derivato dalla mancata restituzione dell’immobile compreso nell’azienda concessa in affitto , sia pur nei limiti della somma richiesta, ha statuito ultra petita , non rispettando il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, in quanto la domanda di COGNOME in concordato preventivo aveva in realtà ad oggetto l ‘ ammissione al passivo soltanto del ‘ danno minimale ‘ derivato a suo carico dalla mancata restituzione del bene immobile, nella misura legale prevista dall’ art. 1591, primo inciso, c.c., e cioè il ‘ canone ‘ pattuito col contratto d ‘affitto (in realtà per l’intera azienda ), pari ad € 150.000 annui, ma non il ‘ maggior danno ‘ previsto dal l’art. 1591, ultimo inciso, c.c.
2.2. Deduce, inoltre, che il danno subito dal proprietario per l’ occupazione illegittima di un immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa e non può pertanto essere determinato sulla base di un elemento presuntivo semplice come il valore locativo del bene, essendo invece necessario che l’avente diritto alleghi e provi in giudizio di aver subito un ‘ effettiva lesione del proprio patrimonio in conseguenza del mancato rilascio del bene
fruttifero: nella specie la prova non sarebbe stata fornita, tanto più che la stessa opponente aveva dedotto che la locazione o la vendita a terzi dell’immobile, indipendentemente dalla sua mancata restituzione, sarebbero state impedite dalla domanda ex art. 2932 c.c. proposta e trascritta dalla fallita quando era ancora in bonis .
2.3. In definitiva, secondo il Fallimento, il tribunale avrebbe alterato gli elementi oggettivi dell’azione svolta da CFM, ammettendo al passivo il credito in base a un titolo diverso da quello invocato dall’opponente e utilizzando quale parametro di riferimento il valore loc ativo dell’immobile, anziché il ‘corrispettivo del canone pattuito’ dalla stessa richiesto.
2.4. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1591 e 2697 c.c., torna a dolersi dell’errata liquidazione del danno, riconosciuto in difetto di allegazione dei suoi fatti costitutivi e in particolare, a suo dire, senza considerare: i) che il canone di € 150.000 annui era stato pattuito per l ‘ a ffitto dell’intera a zienda, che era però stata oggetto di parziale restituzione, essendo pacifico e incontestato che soltanto il bene immobile era rimasto nella disponibilità del curatore; ii) che il consulente tecnico d ‘ ufficio non aveva individuato il canone d’affitto corrispondente alla sola componente immobiliare, ma aveva rideterminato ex novo un ipotetico ‘ valore locativo ‘ del bene ; iii) che la RAGIONE_SOCIALE istante non aveva allegato né offerto di provare la mora della RAGIONE_SOCIALE CFM, che costituiva un ulteriore presupposto indispensabile per l ‘ applicazione dell ‘art. 1591 c.c., avendo essa stessa affermato di aver concordato – dopo la definitiva cessazione del contratto e secondo quanto emergente dal verbale di riconsegna del 25/3/2014 – che la retrocessione del bene sarebbe avvenuta in maniera programmata, senza però indicare i termini di tale
programmazione e senza dimostrarne il mancato rispetto da parte dell ‘ affittuaria.
2.5. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’omesso esame del fatto storico decisivo, risultante dagli atti processuali e oggetto di discussione fra le parti, che l ‘importo annuo di €. 150.000,00, oltre IVA, convenuto nell’art. 5 del contratto d’affitto del 23/3/2006, rappresentava il corrispettivo della locazione dell ‘ intera azienda affittata, comprensiva della sua componente mobiliare, e non poteva, pertanto, costituire il parametro per determinare, ai sensi dell ‘ art. 1591 c.c., il danno da occupazione richiesto dall ‘ opponente, che avrebbe dovuto essere determinato individuando il valore d’affitto della sola componente immobiliare del canone complessivamente pattuito.
2.6. I motivi, da trattare congiuntamente, vanno dichiarati inammissibili.
2.7. Il tribunale ha accolto, nei limiti della somma richiesta, la ‘ domanda’ proposta dalla RAGIONE_SOCIALE opponente ‘di risarcimento ‘ di (tutti) i danni subiti dalla stessa in conseguenza della (pacifica) occupazione di un immobile di sua proprietà da parte dell ‘affittuaria prima e del suo Fallimento poi, per il periodo successivo alla cessazione d ell’efficacia d el contratto d ‘ affitto dell ‘ azienda che lo comprendeva, determinandone l ‘ ammontare, in difetto di prova di una ‘ parziale restituzione al proprietario di porzioni dell ‘immobile’ , in ragione del ‘ valore locativo delle porzioni di immobile’ occupate sine titulo , determinato dal consulente tecnico d ‘ ufficio, in base allo stato di conservazione dello stesso ‘ all’epoca in cui il bene avrebbe dovuto essere restituito ‘ , nella somma mensile di €. 32.000 (pari ad oltre il doppio di quella richiesta e riconosciuta).
2.8. Il ricorrente, l ì dove ha affermato che l ‘ opponente aveva in realt à̀ agito in giudizio per il risarcimento del danno minimale previsto dall ‘ art. 1591, prima parte, c.c., e che giudice del merito avrebbe, in sostanza, violato l ‘ art. 112 c.p.c. per aver pronunciato su una domanda diversa, avente ad oggetto il risarcimento del maggior danno previsto dall ‘ art. 1591, seconda parte, c.c., si è, a ben vedere, doluto dell ‘ interpretazione che il tribunale ha dato del ricorso che, a suo dire, non la conteneva.
2.9. L ‘ interpretazione del contenuto d ell’ atto introduttivo di un giudizio costituisce, tuttavia, un tipico accertamento in fatto, riservato come tale al giudice di merito, sicché la statuizione con cui quest ‘ ultimo abbia ritenuto, ancorché in ipotesi erroneamente, che una determinata domanda sia stata proposta non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, e cioè per error in procedendo , senza che sia stata prima accertat a, per l’appunto, l ‘ erroneità di tale interpretazione, che, tuttavia, è sindacabile in cassazione solo per violazione delle norme che regolano l ‘ ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., aventi portata è generale, ovvero per omesso esame di uno o più fatti decisivi (cfr. Cass. n. 30684 del 2017; Cass. n. 21874 del 2015; Cass. n. 1545 del 2016; Cass. n. 2630 del 2014; Cass. n. 7932 del 2012; Cass. n. 17451 del 2006; Cass. n. 15603 del 2006; Cass. n. 8953 del 2006).
2.10. In altri termini, il ricorrente che intenda utilmente censurare in sede di legittimit à̀ il significato attribuito dal giudice di merito ad un atto processuale, come il ricorso contenente la domanda d’ammissione allo stato passivo , non può limitarsi a denunciare un vizio processuale di extra-petizione, ma ha l ‘ onere di indicare, a pena di inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici che si dicono
violati o i fatti storici che contraddicono l’interpretazione che questi ha dato della domanda, ovviamente riportando in primo luogo, e sempre a pena di inammissibilità, il testo dell’atto oggetto dell’interpretazione asseritamente erronea (cfr. Cass. n. 16057 del 2016; Cass. n. 6226 del 2014; Cass. n. 11343 del 2003; pi ù̀ di recente, Cass. n. 12574 del 2019).
2.11. Nel caso in esame tali oneri non sono stati in alcun modo adempiuti dal ricorrente, che non solo ha omesso di richiamare il contenuto integrale del ricorso in opposizione, ma neppure ha chiarito dove e perché il tribunale l’avrebbe erroneamente interpretato.
2.12. Quanto al resto, la Corte rileva come il Fallimento, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, lamenti in sostanza l’erronea ricognizione dei fatti operata dal tribunale alla luce delle prove raccolte e della disposta ctu, lì dove ha ritenuto che il danno subito dalla RAGIONE_SOCIALE opponente in conseguenza dell’indebita occupazione dell’immobile andasse individuato nel ‘ valore locativo ‘ del bene , così come determinato dal consulente tecnico d’ufficio, e non, secondo quanto sostenuto dal Fallimento, in una somma (necessariamente) inferiore al canone d’affitto dell’azienda a suo tempo pattuito perché avrebbe dovuto essern e detratta l’ ipotetica sua componente mobiliare.
2.13. La valutazione delle prove raccolte, però, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione se non nei ristretti limiti previsti dall’art. 360, I comma, n. 5 c.p.c., ovvero per l’ omesso esame di uno o più fatti storici controversi, principali o secondari, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che
abbiano carattere decisivo, vale a dire che, se esaminati, avrebbero imposto una ricostruzione della vicenda storica tale da integrare senz’altro la fattispecie costitutiva (o, per converso, estintiva, modificativa o impeditiva) invocata, nel giudizio di merito, dal ricorrente e, quindi, un esito certamente differente della controversia (Cass. SU n. 8053 del 2014).
2.14. Nella specie il Fallimento (che peraltro ha espressamente denunciato il vizio di motivazione solo col terzo motivo), ha da un lato omesso di indicare in quale esatta sede processuale sarebbero stati dedotti e dibattuti i fatti (in particolare l’accordo in ordine alla restituzione programmata dell’immobile) addirittura impeditivi del diritto della controparte (diritto che il tribunale ha invece dichiarato incontestato) e, dall’altro, s i è all’evidenza limitato a lamentare che il danno sia stato liquidato sulla scorta di un parametro valutativo diverso da quello da esso preteso.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nella somma di €. 10.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 24 gennaio 2024.