Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22441 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 22441 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso n. 21859/21 proposto da:
-) Comune di Sabaudia , in persona del Sindaco pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-) NOME COGNOME, in proprio e quale rappresentante volontario di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME , domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 16 febbraio 2021 n. 1193; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 luglio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito, per la parte ricorrente, l’Avvocato NOME COGNOME e per la parte controricorrente l’ Avvocato NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Oggetto:
risarcimento
del danno –
mora
debendi
– obbligazioni
di valore – liquidazione
criteri.
Nel 1985 NOME COGNOME (il quale verrà a mancare nel corso del quarantennale giudizio, e la cui domanda sarà coltivata dagli eredi, odierni controricorrenti) convenne dinanzi al Tribunale di Latina il Comune di Sabaudia, esponendo che:
-) era proprietario di un fondo di mq 10.109 sito nel territorio del Comune di Sabaudia, località INDIRIZZO ;
-) il suddetto fondo faceva parte di un più vasto comprensorio, contraddistinto nel Piano Regolatore Generale (PRG) in vigore all’epoca dei fatti come ‘Comprensorio n. 12’ ;
-) il PRG consentiva l’edificazione nel suddetto comprensorio nei limiti di un indice volumetrico generale , cioè riferito all’intero comprensorio ;
-) sarebbe stato onere dell’amministrazione comunale riconoscere ai proprietari dei fondi ricadenti nel suddetto comprensorio il diritto di edificare in misura equa, ovvero ripartendo proporzionalmente tra essi la cubatura disponibile;
-) il Comune di Sabaudia, invece, aveva approvato all’insaputa dell’attore i piani di lottizzazione predisposti dagli altri proprietari, piani le cui previsioni avevano esaurito l’indice volumetrico di edificabilità dell’intero comprensorio;
-) con tale condotta, il Comune aveva vanificato il diritto dell’attore di edificare il proprio fondo.
Concluse pertanto l’attore chiedendo la condanna del Comune al ‘ risarcimento dei danni tutti subiti e subendi ‘, consistenti ‘ nel mancato realizzo delle volumetrie attribuite al terreno di cui è causa per un valore economico che verrà precisato e specificato nel corso del giudizio ‘ .
Il Comune si costituì contestando la giurisdizione del giudice ordinario e negando comunque la propria responsabilità.
Con sentenza 7.11.1995 n. 713 il Tribunale di Latina negò la propria giurisdizione.
Con sentenza 23.2.1998 n. 456 la Corte d’appello di Roma ritenne sussistente la giurisdizione del giudice ordinario e rimise la causa al Tribunale di Latina. Il giudizio fu riassunto nel 1999 e il Tribunale di Latina con sentenza 30.4.2014 n. 1020 accolse la domanda. Quantificò il danno in euro
303.392,13.
La sentenza fu appellata dal Comune di Sabaudia in via INDIRIZZO e dagli eredi di NOME COGNOME in via incidentale.
Il primo si dolse della condanna e della stima del danno (ritenuta eccessiva); i secondi si dolsero della stima del danno (ritenuta inferiore al dovuto).
Con sentenza 16.2.2021 n. 1193 la Corte d’appello di Roma rigettò il gravame del Comune ed accolse in parte quello dei danneggiati. La Corte territoriale ritenne che:
-) corretta fu la decisione di primo grado, nella parte in cui ravvisò una colpa per negligenza del Comune di Sabaudia;
-) il Comune infatti, prima di approvare i piani di lottizzazione presentati dai vari proprietari dei fondi ricadenti nel Comprensorio n. 12, avrebbe dovuto osservare i precetti imposti dalle Norme Tecniche di Attuazione del piano regolatore, e dunque avrebbe dovuto: a) perimetrare il comprensorio; b) evitare disparità di trattamento tra i vari proprietari; c) garantire che l’indice volumetrico complessivo assegnato al Comprensorio fosse equamente distribuito tra i vari proprietari;
-) il Comune di Sabaudia invece aveva approvato i piani di lottizzazione presentati dai proprietari dei fondi confinanti con quello di Alberico Alberici, ed accordato a questi ultimi la realizzazione di volumetrie che avevano esaurito l’indice volumetrico complessivo generale del comprensorio, sicché per questa ragione l’attore aveva perso lo ius aedificandi ;
-) se NOME COGNOME non impugnò dinanzi al giudice amministrativo il provvedimento comunale col quale fu sospeso l’esame della sua domanda di lottizzazione, ciò non fu concausa del danno, in quanto anche in caso di tempestiva impugnazione le ormai già avvenute approvazioni dei piani di lottizzazione presentati dagli altri proprietari avevano ‘esaurito’ la volumetria
edificabile assegnata al comprensorio; sicché anche nel caso di tempestiva impugnazione del suddetto provvedimento, l’attore non avrebbe evitato la perdita dello ius aedificandi ;
-) per la stessa ragione, il nesso di causa tra condotta del Comune e danno non fu interrotto dall’approvazione nel 1987 del Piano Territoriale Paesaggistico da parte della Regione Lazio;
-) erroneamente il Tribunale negò all’attore gli interessi compensativi di mora; questi ultimi infatti sono dovuti anche in assenza d’una domanda ad hoc , alla sola condizione che il danneggiato abbia chiesto il ristoro di ‘tutti i danni’.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione dal Comune di Sabaudia con ricorso fondato su tre motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
La trattazione fu fissata nell’adunanza camerale del 17 ottobre 2024, in vista della quale le parti depositarono memorie.
All’esito dell’adunanza il Collegio, con ordinanza interlocutoria n. 1707 del 2025, ritenne opportuna la trattazione del ricorso in pubblica udienza.
La trattazione è stata nuovamente fissata per l’odierna udienza pubblica, in vista della quale il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte. Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
Col primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 1227 e 2056 c.c..
Il motivo censura la statuizione con la quale la Corte d’appello ha escluso che RAGIONE_SOCIALE avesse, per colpa, contribuito alla verificazione del danno, ai sensi dell’art . 1227, comma primo, c.c..
L’illustrazione del motivo è così riassumibile:
la condotta colposa ascritta al Comune di Sabaudia consistette nell’avere ripartito in modo iniquo l’indice di edificabilità tra i proprietari dei
fondi inclusi nel medesimo comprensorio (attribuendo tutta la cubatura ‘disponibile’ in base al PRG a quattro proprietari soltanto, escludendo di fatto il quinto proprietario);
questa condotta si concretizzò in sette provvedimenti amministrativi: 1) quattro provvedimenti di approvazione di altrettanti piani di lottizzazione; 2) una ‘ nota di sospensione’ del procedimento di approvazione del piano di lottizzazione presentato da NOME COGNOME; 3) il provvedimento col quale la Regione Lazio adottò il Piano Paesistico Regionale, per effetto del quale si impedirono nuove lottizzazioni, ma si fece salvo il diritto al completamento di quelle già approvate (tra le quali non vi era quella proposta da NOME COGNOME); 4 ) la ‘ determina di attestazione della capacità edilizia residua sui suoli Alberici ‘;
NOME COGNOME tuttavia non impugnò alcuno dei suddetti provvedimenti; non ‘ sollecitò l’eserciz io dei poteri sostitutivi regionali ‘ ; non ‘ formulò osservazioni critiche nei procedimenti amministrativi relativi alle altre lottizzazioni o in quello volto all’approvazione del piano paesistico ‘;
le condotte indicate sub (c) costituirono condotte colpose che contribuirono alla causazione del danno;
la Corte d’appello ha pertanto violato l’art. 1227, comma primo, c.c., negando rilievo alle suddette condotte.
1.1. Il motivo è in parte inammissibile (per più ragioni), ed in parte infondato.
1.2. Il motivo è inammissibile nella parte (p. 9 del ricorso) in cui lamenta che la Corte d’appello, per i fini di cui all’art. 1227, comma secondo, c.c., non ha preso in esame le condotte di RAGIONE_SOCIALE consistite in:
-) non avere sollecitato l’esercizio dei poteri sostitutivi regionali;
-) non avere formulato osservazioni critiche nei procedimenti amministrativi relativi alle altre lottizzazioni;
-) non avere formulato osservazioni critiche nel procedimento volto all’approvazione del piano paesistico regionale;
-) non avere impugnato i provvedimenti amministrativi di approvazione dei piani di lottizzazione proposto dagli altri proprietari di fondi inclusi nel Comprensorio n. 12.
Dalla sentenza impugnata infatti non risulta che tali questioni siano state proposte nel grado di appello.
Dalla sentenza impugnata risulta che in appello il Comune di Sabaudia invocò il concorso di colpa del danneggiato basando l’eccezione su una sola circostanza di fatto: ‘ non avere impugnato il provvedimento di sospensione del procedimento amministrativo finalizzato all’approvazione del piano di lottizzazione presentato dal Alberico COGNOME‘ (p. 5, § 4 della sentenza d’appello).
1.3. Ad abundantiam , rileva questa Corte che in ogni caso nessuna delle condotte sopra elencate, nelle quali il Comune di Sabaudia pretende di ravvisare un concorso causale della vittima alla causazione del danno, può ritenersi ‘colpos a ‘ per i fini di cui all’art. 1227 c.c.. Infatti:
-) nel 1978 (anno in cui per la prima volta NOME COGNOME richiese informazioni al Comune al fine di conoscere i limiti del proprio diritti edificatori: all.to 1 al fascicolo di primo grado) non esistevano ‘ poteri sostitutivi regionali ‘ che consentissero di sopperire alla renitenza dell’Amministrazione Comunale nel fornire le informazioni richieste;
-) negli anni 1978-1980 (anni nei quali furono approvate le proposte di lottizzazione formulate dagli altri proprietari del comprensorio) non esisteva la legge 7 agosto 1990 n. 2412, né il diritto di accesso agli atti, né il diritto di partecipare al procedimento amministrativo per formulare osservazioni; né risulta, in ogni caso, che dei procedimenti amministrativi che coinvolgevano interessi di Alberico Alberici, questi fu portato ritualmente a conoscenza;
-) lo stesso dicasi con riferimento al procedimento amministrativo di approvazione del Piano Paesistico Regionale; aggiungasi, a tal riguardo, che l’approvazione del suddetto piano avvenne nel 1987, quando ormai erano consolidati ed irreversibili gli effetti delle approvazioni comunali degli altrui
piani di lottizzazione. I l mancato ‘intervento’ (giuridicamente impossibile a quell’epoca) nel suddetto procedimento amministrativo, pertanto, non solo non fu una condotta colposa, ma non fu nemmeno una condotta concausativa del danno.
1.4. Nella parte restante il motivo è infondato.
Infatti, in base ai fatti materiali accertati dal giudice di merito, la condotta ascritta ad NOME COGNOME (non avere impugnato il provvedimento di sospensione del procedimento di approvazione del piano di lottizzazione da lui proposto) non rientra nella nozione di ‘concausa’ del danno, ai sensi degli artt. 41 c.p. e 1227 c.c..
La condotta colposa del Comune di Sabaudia, secondo quanto ritenuto dal giudice di merito con accertamento di fatto non impugnato e non più sindacabile, consistette nell’avere approvato i piani di lottizzazione presentati dai vari proprietari del comprensorio – a quanto pare -‘ a misura che si presentarono ‘, senza una previa perimetrazione del comprensorio ed una equa pianificazione della distribuzione dei volumi edificabili tra tutti i proprietari.
L’approvazione di questi piani di lottizzazione avvenne tra il 1978 ed il 1980. NOME COGNOME presentò il suo piano di lottizzazione il 2.2.1982.
Il Comune di Sabaudia ne sospese l’esame, chiedendo integrazioni (alcune delle quali francamente speciose: ‘ sugli elaborati manca il timbro professionale del progettista ‘ ) con atto del 18.2.1982.
Pertanto quando il Comune adottò il provvedimento che il danneggiato, secondo la prospettazione del ricorrente, avrebbe avuto l’onere di impugnare, il danno era già avvenuto ed era irreversibile. Una approvazione più celere del piano di lottizzazione proposto da NOME COGNOME, infatti, non avrebbe potuto togliere effetti retroattivamente alle approvazioni già compiute a favore degli altri proprietari.
In conclusione, per come i fatti sono stati ricostruiti dal giudice di merito, l’unica condotta colposa ascritta al danneggiato esaminabile in questa sede (omessa impugnazione del provvedimento amministrativo di sospensione del
procedimento di approvazione del piano di lottizzazione) non soddisfaceva il requisito del condizionalismo , presupposto necessario per l’affermazione di qualunque nesso di causalità giuridica.
Questo rilievo rende superfluo esaminare le argomentazioni svolte da parte ricorrente sull’interpretazione dell’art. 30 c.p.a. e sulla c.d. ‘pregiudiziale amministrativa’:
2. Il secondo motivo di ricorso.
Col secondo motivo è denunciata congiuntamente (nell’ epigrafe del motivo) sia la violazione degli artt. 1225, 1227 e 2043 c.c. , sia la ‘ motivazione apparente’ , sia l’omesso esame d’un fatto decisivo.
Nell’illustrazione del motivo (pp. 12 e ss.) si sostiene una tesi così riassumibile: il danno patito da NOME COGNOME fu dovuto e tre cause concorrenti:
la condotta del Comune;
la condotta del danneggiato, che non impugnò il provvedimento di sospensione del procedimento di approvazione del piano di lottizzazione da lui presentato, né produsse mai la documentazione integrativa richiesta dal Comune;
c) la condotta della Regione, la quale nel 1987 approvò un Piano Paesistico che, impedendo nuove lottizzazioni nel Comprensorio 12, rese impossibile per il Comune venire incontro alle richieste di Alberico Alberici, e fu dunque una causa di danno ‘ sopravvenuta ed imprevedibile’ .
La Corte d’appello ha trascurato di prendere in esame la circostanza sub (c), la quale rappresentando un fatto imprevedibile avrebbe dovuto escludere almeno in parte la responsabilità del Comune.
2.1. La censura proposta ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. è inammissibile, essendovi stata una doppia decisione conforme nei gradi di merito.
2.2. La censura di ‘motivazione apparente’ è manifestamente infondata alla luce dei princìpi stabiliti da Cass. sez. un. 8053/14, alla cui motivazione si può qui rinviare ex art. 118, primo comma, disp. att. c.p.c..
2.3. La censura di violazione di legge è:
assorbita dal rigetto del primo motivo, nella parte in cui ascrive alla Corte di avere escluso un concorso di colpa della vittima;
b) infondata, nella parte in cui ascrive alla Corte di non avere tenuto conto della causa ‘sopravvenuta ed imprevedibile’ rappresentata dall’approvazione del Piano Paesistico Regionale .
Il danno ascritto a responsabilità del Comune ha infatti natura aquiliana, ed in materia aquiliana le concause di danno sopravvenute ed imprevedibili non escludono la responsabilità, in quanto l’art. 2056 c.c. non richiama la limitazione di responsabilità di cui all’art. 1225 c.c. ( ex multis , Sez. 3, Sentenza n. 28990 del 11/11/2019; Sez. 3, Sentenza n. 15991 del 21/07/2011; Sez. 3, Sentenza n. 8995 del 06/05/2015).
3. Il terzo motivo.
Il terzo motivo investe il capo di sentenza il quale ha accordato alle parti danneggiate la liquidazione degli interessi compensativi di mora.
Sebbene unitario, il motivo contiene in realtà tre censure.
3.1. Con una prima censura il Comune di Sabaudia sostiene che la Corte d’appello non avrebbe potuto accordare alla parte danneggiata gli interessi compensativi di mora, perché l’attore non aveva formulato una domanda ad hoc .
Sostiene l’Amministrazione ricorrente che gli interessi compensativi di mora debbono essere espressamente richiesti e che il giudice non può liquidarli d’ufficio.
3.2. Con una seconda censura (p. 20, terzo capoverso) il Comune di Sabaudia aggiunge che, in ogni caso, il danno da ritardato adempimento d’una
obbligazione di valore non è una conseguenza automatica della mora, ma deve essere allegato e provato, e nel caso di specie mancarono tanto l’allegazione quanto la prova.
3.3. Con una terza censura ( ibidem ) il Comune deduce che comunque la Corte d’appello ha liquidato gli interessi compensativi ad un tasso ‘ pari a quello degli interessi corrispettivi ‘ ( scilicet, il saggio legale) senza motivazione.
4. Sull’onere della domanda espressa di pagamento degli interessi compensativi.
La prima censura invoca un principio giuridico corretto, ma inapplicabile al caso di specie in virtù della disciplina processuale cui il presente giudizio è soggetto ratione temporis .
4.1. E’ corretta in iure l’allegazione del Comune di Sabaudia, secondo cui il risarcimento del danno da tardivo adempimento d’una obbligazione di valore deve essere espressamente richiesto, e non può essere liquidato d’ufficio. Il risarcimento del danno infatti forma oggetto d’una obbligazione di valore. Gli effetti della mora nelle obbligazioni di valore non sono disciplinati da una norma ad hoc .
Per colmare questa lacuna trent’anni fa le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U., 17/02/1995, n. 1712) hanno affermato i seguenti princìpi:
il denaro è un bene fecondo;
se quindi il debitore ritarda l’adempimento d’una obbligazione di valore, impedisce al creditore di investire la somma dovutagli e trarne un lucro finanziario;
la perduta possibilità di investire del denaro per trarne un lucro finanziario è una voce di danno che si aggiunge alle altre poste risarcitorie scaturite dal fatto illecito;
questo danno va liquidato in via equitativa: e dunque può essere risarcito a scelta del giudice sia in forma di capitale, sia in forma di interessi c.d. compensativi ;
i c.d. interessi compensativi non sono dunque frutti civili del capitale, ma una mera modalità di liquidazione del danno aquiliano da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria;
il relativo saggio andrà pertanto scelto in via equitativa dal giudice;
la base di calcolo potrà essere, a scelta del giudice: a) per ogni anno di mora, il capitale rivalutato sino a quell’anno; b) oppure un importo medio tra il capitale espresso in moneta dell’epoca dell’illecito, ed il capitale espresso in moneta dell’epoca della liquidazione.
4.2. Se dunque gli interessi compensativi sono una ‘voce’ di danno e se essi compensano la perduta possibilità per il creditore di investire il denaro dovutogli e trarne un lucro, l’esistenza di tale pregiudizio deve essere allegata dal creditore con una domanda ad hoc .
Appartiene ad un passato ormai remoto, infatti, l’opinione – che pure trova ancora alcuni testardi epigoni – secondo cui in tema di responsabilità extracontrattuale sarebbe sufficiente all’attore chiedere con l’atto introduttivo del giudizio il risarcimento di ‘ tutti i danni ‘ , per poi chiarire in corso di causa quali sarebbero i pregiudizi di cui chiede il ristoro.
Le modifiche introdotte sin dal 1995 agli artt. 163, 167 e 345 c.p.c. impongono alle parti il dovere di parlar chiaro, dovere che è speculare rispetto all’onere di contestazione incombente sul convenuto ai sensi dell’art. 115 c.p.c..
4.2.1. I danni causati da un fatto illecito possono essere i più diversi per natura, contenuto ed entità. S e il convenuto deve ‘prendere posizione’ su essi, come imposto dagli artt. 115 e 167 c.p.c., è necessario che il creditore li alleghi e li descriva.
Già da molto tempo le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che l’onere di allegazione gravante sull’attore è l’antecedente logico dell’onere di contestazione gravante sul convenuto (Sez. U, Sentenza n. 11353 del 17/06/2004, ove si legge che ‘ all’obbligo del convenuto di ‘ vuotare il sacco ‘ fin dal principio si contrappone quello analogo dell’attore di dire, senza riserva
alcuna, fin dall’atto introduttivo tutto ciò che attiene alla sua difesa e di fornire il materiale su cui si basa la pretesa ‘ ; tale principio nel caso specifico fu affermato con riferimento al rito del lavoro, ma in termini suscettibili di applicazione generale; nello stesso senso Sez. 3, Sentenza n. 9377 del 10/05/2016).
Da tale principio discende l’ovvio corollario che l’onere di allegazione non può essere adempiuto in modo generico, perché metterebbe il convenuto nell’impossibilità di difendersi.
L ‘onere di allegazione pertanto va assolto esponendo nell’atto introduttivo del giudizio fatti precisi e specifici, né può ‘ risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico ‘ (Cass. Sez. 3, 13/05/2011, n. 10527).
Di conseguenza ‘ le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria (…) devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l’attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, e ciò a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall’assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo ‘ (Cass. Sez. 3, 18/01/2012, n. 691).
Nella materia del risarcimento del danno, poi, i suesposti princìpi impongono all’attore di descrivere nell’atto introduttivo del giudizio in modo concreto i pregiudizi dei quali si chiede il ristoro, senza limitarsi a formule generiche, come la richiesta di risarcimento dei ” danni subiti e subendi “, perché tali domande, quando non nulle ex art. 164 cod. proc. civ., non obbligano il giudice a provvedere sul risarcimento di danni che siano concretamente descritti solo in corso di causa ( ex multis, Cass. Sez. 3, 30/06/2015, n. 13328; Sez. L, Ordinanza n. 13536 del 18/05/2021; Sez. 2, Sentenza n. 3962 del 09/02/2023).
4.3. Con riferimento alla specifica materia degli effetti della mora nell’adempimento delle obbligazioni di valore, poi, la già la sentenza delle Sezioni Unite 17.2.1995 n. 1712 stabilì che il danno da mora non si presume
per legge, ma ‘ deve essere allegato e provato’ , principio ribadito ancora di recente ex aliis – da Cass. Sez. 3, 16/02/2023, n. 4938.
4.4. Non può essere condiviso, invece, il contrario orientamento secondo cui il riconoscimento degli interessi compensativi sulle somme rivalutate non richiede una espressa domanda dell’interessato (Cass. Sez. 3, 21/12/2015, n. 25615; Cass. Sez. 3, 28/04/2010, n. 10193; Cass. Sez. 2, 25/11/2005, n. 24858; Cass. Sez. 1, 18/02/2000, n. 1814; Cass. Sez. 3, 06/11/1998, n. 11190; Cass. Sez. lav., 03/09/1980, n. 5085; Cass. Sez. 3, 14/06/1972 n. 1885; la sentenza capostipite in tal senso sembra essere Cass. Sez. 3, 23/04/1964 n. 980, secondo cui nella domanda di risarcimento del danno deve ritenersi compresa, per implicito, quella di pagamento degli interessi sulla somma attribuita al danneggiato).
Questo orientamento si fonda essenzialmente su due argomenti:
l’argomento per cui la domanda di interessi compensativi ( rectius , di danno da mora) ‘ è implicitamente inclusa in quella di integrale risarcimento ‘;
l’argomento per cui se si ammette che il giudice debba provvedere d’ufficio alla rivalutazione del credito risarcitorio, a fortiori dovrà ammettersi che d’ufficio vadano accordati anche gli interessi compensativi.
4.4.1. Il primo dei suddetti argomenti, quale che ne fosse la condivisibilità nel momento storico in cui sorse (come si è visto, ben prima della riforma del codice di rito introdotta dalla l. 26.11.1990 n. 353), oggi deve essere abbandonato per tre ragioni:
l’intervento delle Sezioni Unite del 1995, le quali come s’è detto esigono che il danno da mora sia ‘allegato’;
la modifica degli artt. 115, 163 e 167 c.p.c. (nonché da ultimo, dell’art. 121 c.p.c. per effetto del d. lgs. 149/22);
l’errore logico si cui si fonda.
Delle prime due ragioni si è già detto ai §§ 4.2 e 4.2.1.
Resta da aggiungere, quanto al terzo degli aspetti appena elencati, che l’orientamento il quale accorda al Giudice la facoltà di liquidare gli interessi compensativi anche in assenza d’una domanda di parte si basa sull’assunto -in sé ineccepibile -che gli interessi compensativi costituiscono ‘ una componente del danno ‘.
Ma dire che gli interessi compensativi siano una componente del danno aquiliano è affermazione che rileva sul piano sostanziale: da essa discendono le necessarie conseguenze in punto di prescrizione, criteri di accertamento e criteri di liquidazione.
La natura del danno tuttavia non può riverberare effetti sugli oneri processuali. Anche l’invalidità temporanea o la c.d. ‘personalizzazione’ sono componenti del danno biologico, ma certamente il giudice non potrebbe accordare il relativo risarcimento in assenza d’una domanda di parte.
Natura del danno e onere della domanda sono concetti tra loro incommensurabili come exempli gratia – il lato e la diagonale del quadrato. Vi sono infatti conseguenze dannose che costituiscono componenti d’un danno unitario, ma che non possono essere risarcite d’ufficio in assenza della domanda di parte ( v. gli esempi di poc’anzi) ; così come esistono danni ‘autonomi’ i quali per espressa previsione di legge possono essere risarciti dal giudice anche in assenza d’una domanda (ad es. le spese di lite, o la condanna ex art. 96, comma terzo, c.p.c.).
4.4.2. Il secondo degli argomenti invocati dall’orientamento che ammette la liquidazione officiosa degli interessi compensativi (‘ anche la rivalutazione si accorda d’ufficio’ ) è frutto d’un ragionamento minato da una confusione concettuale di fondo.
La rivalutazione non è una componente del danno: è la necessaria operazione di taxatio , imposta dall’art. 1223 c.c.. Essa ha la funzione di ripristinare il patrimonio del creditore nella medesima consistenza che avrebbe avuto, se il fatto illecito non fosse stato commesso.
Se NOME per sbadataggine mandasse in frantumi il vaso attico di Caio, non si dirà che quest’ultimo ha subito ‘un danno da perdita del vaso, ed un danno
da rivalutazione’. Si dirà piuttosto che la monet izzazione della perdita avverrà in tre passaggi: accertamento del valore del bene perduto, accertamento del valore del relitto, aggiornamento della differenza in base al valore della moneta al momento della liquidazione.
Gli interessi compensativi, invece, come s’è detto rappresentano la liquidazione di un danno ulteriore e distinto causato dalla mora, il quale è solo possibile . Così, ad es., per crediti di modesta entità vantati da creditori poco inclini al risparmio, difficilmente potrebbe ritenersi che in caso di tempestivo adempimento da parte del debitore il denaro da lui versato sarebbe stato investito e fatto fruttare.
4.5. Il motivo va dunque dichiarato fondato in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ la vittima d’un fatto illecito che intenda essere risarcita , oltre che del capitale liquidato in moneta attuale, anche del danno da mora (c.d. interessi compensativi), ha l’onere di domandar e il risarcimento di quest’ultimo in modo espresso, di allegarne il fatto costitutivo e di indicarne le fonti di prova, anche presuntive’.
4.6. La ritenuta fondatezza del motivo tuttavia non impone, su questo punto, la cassazione della sentenza impugnata, in quanto sarà sufficiente correggere la motivazione, essendo il dispositivo conforme a diritto.
Il presente giudizio infatti è iniziato nel 1985.
Ad esso, pertanto, non s’applicano le previsioni introdotte dalla l. 26.11.1990 n. 353, e con esse il sistema delle preclusioni assertive ed istruttorie. Infatti:
-) con riferimento al primo grado, il sistema delle preclusioni introdotte dalla l. 26 novembre 1990 n. 353 (artt. 1719) non s’applica ai giudizi pendenti alla data del 30.4.1995 (art. 92 l. 353/90, come modificato dall ‘art. 2, comma 5, della l. 4 dicembre 1992, n. 477);
-) con riferimento al grado di appello, l’immodificabilità della domanda oggi prevista dall’art. 345 c.p.c. non è applicabile al presente giudizio in
quanto: (a) pendente prima del 30.4.1995 al momento della modifica dell’art. 345 c.p.c. introdotta dalla l. 353/90 (art. 92); (b) pendente in grado di appello al momento della modifica dell’art. 345 c.p.c. introdotta da ll’art. 46, comma 18, della l. 18.6.2009, n. 69 (dal momento che ai sensi dell’art. 58, comma 2, della suddetta legge la novella dell’art. 345 c.p.c. si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della medesima legge).
4.7. Secondo la disciplina processuale applicabile ratione temporis ai giudizi introdotti nel 1985, così come costantemente interpretata da questa Corte, non solo nei giudizi di risarcimento del danno aquiliano la formulazione lite pendente della domanda di interessi moratori, non proposta in precedenza, non era da considerarsi ‘nuova’, né in primo grado né in appello ( ex multis, Cass. Sez. 3, 14/05/1955, n. 1385; Cass. Sez. 3, 11/03/1966, n. 705; Cass. Sez. 3, 13/12/1966, n. 2914; Cass. Sez. 3, 18/11/1969, n. 3747; Cass. Sez. 3, 28/09/1971, n. 2681; Cass. Sez. 2, 27/03/1973, n. 839; Cass. Sez. 3, 18/06/1975, n. 2433), ma in ogni caso si ammetteva che la mutatio libelli e la proposizione di domande nuove fossero prive di conseguenze, se l’altra parte non ne avesse contestato immediatamente l’inammissibilità ( cfr. Cass. Sez. 2, 19/07/1963, n. 1979 : ‘ se il convenuto accetta il contraddittorio sulle nuove domande non può più dedurre l’inammissibilità nei successivi gradi del giudizio ‘ ; nello stesso senso, ex multis , Cass. Sez. 2, 22/10/1974, n. 3028; Cass. Sez. 2, 15/12/1977, n. 5476).
4.8. Ciò posto in punto di diritto, rileva la Corte in punto di fatto che nel caso di specie con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado (1985) l’attore non formulò alcuna domanda di risarcimento del danno da mora.
Tuttavia quella domanda fu formulata a p. 7, terzultimo rigo, dell’atto di citazione in riassunzione dinanzi al Tribunale di Latina (not. 15.1.1999), dopo l’annullamento con rinvio, da parte della Corte d’appello, della sentenza di primo grado declinatoria della giurisdizione.
La riassunzione del giudizio dopo l’annullamento della sentenza di primo grado ex art. 353 c.p.c. non rappresentò l’introduzione d’un nuovo processo,
ma la prosecuzione di quello introdotto nel 1985: un giudizio, dunque, soggetto ratione temporis alle blande regole processuali riassunte al § 4.7. La conclusione è che , anche a qualificare quella domanda come ‘nuova’, l’inammissibilità fu sanata dalla tacita accettazione del contraddittorio da parte del Comune di Sabaudia: questo, infatti, non risulta avere mai eccepito tempestivamente, nei lunghi anni pei quali si protrasse il primo grado del giudizio dopo la riassunzione, la modificazione della domanda suddetta.
5. Sull’onere della prova del danno da mora.
Con la seconda censura il Comune di Sabaudia deduce che il danno da tardivo adempimento d’una obbligazione di valore non è in re ipsa ; che deve essere allegato e provato; che invece nel caso di specie quel danno non fu provato.
5.1. L’art. 1219 c.c. stabilisce che l’autore di un fatto illecito è in mora dal giorno stesso del fatto.
Il successivo art. 1223 c.c. stabilisce che il debitore è obbligato a risarcire il danno causato ‘ dal ritardo ‘.
Se il risarcimento avviene per equivalente, il ‘danno causato dal ritardo’ consisterà di norma nell’indisponibilità d’una somma di denaro.
La legge detta una norma ad hoc per la liquidazione dei danni derivanti dall’indisponibilità d’una somma di denaro: l’art. 1224 c.c..
Tuttavia una opinione dottrinaria risalente, da tempo condivisa da questa Corte senza discussioni, ritiene tale norma inapplicabile all’obblig azione di risarcimento del danno.
Non è questa la sede – né, del resto, le parti hanno prospettato la relativa questione – per riesaminare la suddetta opinione (sebbene essa, formulata nel 1928 e fondata sulle nozioni di ‘ moneta metallica’ e ‘ moneta legale’ , appaia anacronistica nell’epoca della moneta elettronica dematerializzata e delle criptovalute).
Nella presente sede pertanto questa Corte muoverà dal consolidato principio secondo cui la presunzione juris et de jure dettata dall’art. 1224, primo comma, c.c. ( ‘ nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro,
sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali (…) anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno ‘) non s’applica ai debiti definiti ‘ di valore ‘, quale è l’obbligo di risarcire il danno da fatto illecito.
5.2. Se dunque il creditore del risarcimento non può giovarsi di presunzioni legali, logico corollario è che avrà l’onere di dimostrare l’esistenza e l’entità del ‘danno da ritardo’.
Il danno causato dal ritardo di chi deve pagare una somma di denaro a tritolo di risarcimento del danno di norma consisterà o nella necessità di ricorrere al credito, sostenendone l’onere (danno emergente), oppure nella perduta possibilità di mettere a frutto il capitale dovuto e non pagato (lucro cessante), così come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la decisione già più volte ricordata (Cass. Sez. Un. 1712/95, già citata).
La dimostrazione del danno di cui si discorre potrà avvenire, in linea di principio, con tutti i mezzi di prova, ovviamente ivi comprese le presunzioni semplici, i fatti notori e le massime di esperienza.
Tuttavia se ciò è vero in linea teorica, a guardar più da vicino il panorama della giurisprudenza di merito ci si avvede che il pregiudizio di cui si discorre è, nei fatti, accertato e liquidato con criteri molto eterogenei.
Vi è chi nessun tipo di prova esige dal creditore e chi invece esige la prova rigorosa dell’impiego che questi avrebbe fatto del denaro dovutogli, se gli fosse stato pagato tempestivamente; vi è chi monetizza il danno immancabilmente in misura pari al saggio legale degli interessi, chi ricorre a medie ponderate tra il saggio legale degli interessi e il rendimento dei principali strumenti finanziari, chi sceglie un saggio caso per caso.
5.3. Queste oscillazioni sono in una certa misura inevitabili, in una materia quella della liquidazione del danno aquiliano nella quale l’infinit a varietà dei casi impone cautela nel dettare princìpi assiomatici ed uniformi.
Tuttavia questa Corte non può ignorare che la liquidazione del danno da mora nelle obbligazioni di valore, come qualsiasi liquidazione equitativa, reca in se stessa il germe dell’inevitabile approssimazione, sicché costituirebbe una pia
illusione la ricerca spasmodica d’una corrispondenza centesimale tra danno, prova di esso e risarcimento.
L’eccessivo rigore nella ricerca della prova del danno da mora costringerebbe giudice e parti ad arditi distinguo, istruttorie defatiganti, problematici accertamenti incidentali sugli stati psicologici del creditore.
Questa Corte tuttavia, ha già affermato che per stabilire quale debba essere ‘l’esatta interpretazione’ della legge , ex art. 65 ord. giud., si deve preferire quel l’interpretazione che sia in grado di garantire un ‘ effetto stabilizzante’ per il processo (Sez. U, Sentenza n. 15295 del 04/07/2014).
L ‘esatta interpretazione della legge di cui all’art. 65 ord. giud. impone pertanto di offrire alle parti ed alla giurisprudenza di merito soluzioni snelle e princìpi chiari, idonei a semplificare l’istruzione probatoria nel quadro del principio di ragionevole durata del processo proclamato dall’art. 111, comma 2, Cost. (cfr., proprio in materia di danno da mora, Sez. U., 16/07/2008, n. 19499).
5.4. In applicazione dei suddetti princìpi, ritiene la Corte che:
la prova del danno da tardivo adempimento d’una obbligazione di valore possa essere data per presunzioni, ex art. 2727 c.c.;
tali presunzioni possano essere ricavate dal giudice anche d’ufficio;
anche in materia di obbligazioni di valore debbano trovare applicazione i princìpi stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 19499/08, in tema di prova del ‘ maggior danno’ di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c..
5.5. Con la sentenza 19499/08 le Sezioni Unite di questa Corte composero gli annosi contrasti concernenti il contenuto della prova del ‘maggior danno’ dovuto al creditore d’una obbligazione pecuniaria, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c..
Nella suddetta decisione furono affermati i seguenti princìpi:
la forma più comune, diffusa ed accessibile di investimento è rappresentata dall’acquisto di titoli di stato (BOT);
il danno da tardivo pagamento d’una somma di denaro esiste sempre e va affermato in via presuntiva e d’ufficio in tutti i casi in cui il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato, con scadenza non superiore a 12 mesi, sia stato superiore al saggio degli interessi legali;
il creditore che intenda ottenere un risarcimento superiore avrà l’onere di provar n e l’esistenza e l’ammontare;
il debitore, dal canto suo, avrà l’onere di dimostrare anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici -che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe impiegato il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio suddetto.
5.6. I suddetti princìpi per identità di presupposti e di scopo vanno applicati anche all’ipotesi del tardivo adempimento d’una obbligazione risarcitoria, od ‘obbligazione di valore’ che dir si voglia.
Infatti i l ‘maggior danno’ di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c., è:
-) un pregiudizio derivante dal tardivo pagamento d’una somma di denaro, così come il pregiudizio da tardivo pagamento del risarcimento del danno per equivalente;
-) non assistito da una presunzione legale, così come il pregiudizio da tardivo pagamento del risarcimento del danno per equivalente;
-) di norma consistente nel costo sostenuto per ricorrere al credito o nella perduta possibilità di mettere a frutto il capitale dovuto, così come il pregiudizio da tardivo pagamento del risarcimento del danno per equivalente. Il pregiudizio ristorato dalla liquidazione dagli interessi compensativi, nell’ipotesi di tardivo adempimento d’una obbligazione di valore, è perfettamente identico.
Sarebbe dunque surreale sostenere che se NOME dovesse avere ‘100’ a titolo – poniamo – di canoni di locazione, in caso di mora debendi il giudice ha l’obbligo di presumere che con quel denaro il creditore avrebbe acquistato dei BOT; per poi nello stesso tempo negare analoga presunzione se NOME dovesse avere ‘100’ a titolo di risarcimento del danno .
5.7. Resta da aggiungere un corollario.
Il Comune di Sabaudia, a fondamento del motivo di ricorso qui in esame (terzo motivo), ha invocato una decisione di questa Corte (Cass. 18564/18), ed invocato il principio – trascrivendo un passo della motivazione della suddetta sentenza – per cui la sola rivalutazione potrebbe, a seconda dei casi, di per sé compensare il danno da mora.
A questo principio, isolato, non può darsi continuità.
La rivalutazione monetaria del risarcimento ( taxatio ) e la liquidazione degli interessi compensativi nulla hanno in comune.
La svalutazione monetaria eventualmente maturata tra il momento del fatto illecito e la liquidazione del danno non viene addebitata al debitore a titolo di mora, quale conseguenza del suo ritardo.
La svalutazione monetaria viene addebitata al debitore semplicemente perché nel lasso di tempo intercorrente fra il danno e la liquidazione è mutato il valore del bene danneggiato. La rivalutazione non è il risarcimento d’un danno, ma l’operazione matematica necessaria per adeguare la prestazione dovuta all’effettivo valore da reintegrare (Cass. sez. un. 1712/95).
E’ dunque scorretto giuridicamente e finanziariamente affermare che ‘ in tutti i casi in cui la remuneratività media del denaro sia inferiore al tasso di svalutazione e un danno da ritardo non è configurabile’ .
E’ scorretto giuridicamente, perché è affermazione incoerente con l’art. 1223 c.c.. E’ scorretto finanziariamente, perché la rivalutazione ricostituisce il capitale, gli interessi compensativi ne ricostituiscono i frutti perduti.
5.8. Alla luce dei princìpi sin qui esposti, la seconda censura contenuta nel terzo motivo del ricorso proposto dal Comune di Sabaudia è fondata.
La Corte d’appello, infatti, ha liquidato il danno da mora applicando tout court il saggio legale degli interessi senza accertare se, nel tempo della mora, questo fu pari, superiore od inferiore al rendimento dei BOT di durata annuale.
5.9. Il terzo motivo va dunque accolto in parte qua , in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ il danno da tardivo adempimento dell’obbligo di risarcimento per equivalente deve essere liquidato applicando sul capitale rivalutato anno per anno il saggio di rendimento netto dei BOT di durata annua, a meno che non risulti in concreto un danno maggiore o minore ‘ .
6. Sulla terza censura.
Con la terza censura contenuta nel terzo motivo di ricorso il Comune di Sabaudia denuncia il vizio di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, nella parte in cui ha liquidato il danno da mora in misura pari al saggio legale degli interessi.
6.1. La censura è fondata.
Se è vero che il danno da tardivo adempimento d’una obbligazione di valore può essere accertato col ricorso alle presunzioni semplici, non è men vero che la presunzione semplice non può ridursi ad una congettura né ad un responso oracolare.
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte d’appello ha liquidato il danno da mora senza motivare, limitandosi a stabilire che ‘ va riconosciuto sull’importo già liquidato la rivalutazione monetaria oltre agli interessi legali sull’importo via via rivalutato’ .
6.2. Il giudice di rinvio, nel sanare la menda motivazionale appena evidenziata, applicherà il principio stabilito al § 5.9.
Trattandosi tuttavia di rinvio prosecutorio, e non potendo in tal caso la decisione di rinvio essere, per il Comune di Sabaudia, più sfavorevole di quanto non sia stata la sentenza oggetto di gravame ( ex multis, Cass. Sez. 1, 28/01/2005, n. 1823; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23035 del 07/11/2011; Cass. Sez. 3, 14/07/2003, n. 10996), il giudice di rinvio liquiderà il danno da mora sotto forma di interessi compensativi applicando:
-) il saggio legale degli interessi nel periodo di tempo in cui questo dovesse risultare inferiore al rendimento dei BOT di durata annua;
-) il saggio netto di rendimento dei BOT di durata annua, nel periodo di tempo in cui questo dovesse risultare inferiore al saggio legale degli interessi.
7. Le spese.
Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso;
(-) accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche